L’organo del conte Lion nel Catajo

Storia e descrizione dell’organo realizzato dal Conte padovano Marco Lion, che iniziò a risuonare nell’oratorio di San Michele Arcangelo al castello del Catajo nel Natale del 1794.

Alberto Sabatini

Il settecentesco organo
del conte Marco Lion
nel Castello del Catajo
a Battaglia Terme

 

(pag. 1)
Il castello del Catajo
Gli organi «di legno di ancipresso» del teatro
L’«Organetto di busso» della cappella cinquecentesca

(pag. 2)
Tommaso Obizzi e il nuovo oratorio di san Michele
Il conte Marco Lion, «Nobile Padovano, di singolare abilità»
Natale del 1794: l’organo del conte Marco Lion al Catajo

(pag. 3)
La fine degli Obizzi, gli Inventari e gli Austria d’Este
Francesco iv e la visita imperiale del 1838
L’organo del Catajo da Francesco v ai nostri giorni
Scheda descrittiva dell’organo “Marco Lion” (1760 ca.)
Riassunto

A sud della città metropolitana di Padova, nel cuore del Veneto, si trova il grande “bacino euganeo” costituito dai comuni di Abano Terme, Montegrotto Terme e Galzignano Terme.
Sulla fascia più orientale di questo polo termale sorge Battaglia Terme, un piccolo centro abitato situato a circa 17 chilometri dalla più nota e popolosa città di Antenore.1
Il comune di Battaglia Terme è percorso da non pochi fossati ed alcuni corsi d’acqua; il più importante di essi prende nome dal toponimo: il canale Battaglia. Questo fu scavato tra il 1189 ed il 1201 dai padovani per bonificare la zona e congiungere Padova – per via fluviale – alle piccole cittadine fortificate di Monselice ed Este.2
Il castello del Catajo
Giungendo da Padova, sulla sponda occidentale del canale Battaglia si scorge, quasi addossato al monte Ceva, il sontuoso Castello del Catajo (fig. 1); il nome pare derivare da «Ca’ sul tajo», ovvero da «tenuta del taglio»: un chiaro riferimento – in pretto dialetto veneto – ai vari frazionamenti che si vennero a creare sui molti appezzamenti agricoli preesistenti a seguito dello scavo del precitato canale.
Battaglia Terme (Padova), il castello del Catajo.
Fig. 1 – Battaglia Terme (Pd): il castello del Catajo.
Anche se alcune testimonianze del 1443 parlano chiaramente della sussistenza di «una casa de muro in monte del Cattaglio cum tesa, curtivo, bruolo, cum la columbara»,3 l’edificazione di una prestigiosa villa gentilizia iniziò solo a partire dal 1516 per volontà degli Obizzi. Questo nucleo familiare, originariamente composto da comandanti militari giunti in Italia dalla Borgogna intorno al xii secolo, poi stabilitosi nella città di Lucca, venne ascritto alla nobiltà padovana dal Quattrocento, da quando cioè Antonio Obizzi sposò l’aristocratica padovana Negra de’ Negri.
Nel corso del Cinquecento, soprattutto grazie a Gasparo Obizzi e alla sua consorte Beatrice da Correggio (donna coltissima, caratterizzata da una spiccata filantropia e da un tenace amore per l’arte tutta),4 «Ca’ sul tajo» venne trasformata da semplice «casa de muro» ad uno dei più importanti salotti letterari dell’Italia settentrionale (fig. 2): basti pensare che, già da quegli anni, grazie ad una favorevole temperie culturale la villa iniziò ad essere frequentata da colti ed intellettuali come, ad esempio, Ludovico Ariosto, Pietro Bembo e Sperone Speroni.5 Per tutto il xvi secolo questa mirabile villa alle pendici degli Euganei divenne per l’aristocrazia locale, ma non solo, un rifugio degli uomini di scienze, lettere ed arti: un cenacolo, pertanto, dove si conversava amabilmente, si recitavano poesie e si ascoltava musica dotta, che veniva eseguita da un nugolo di suonatori provetti di vari strumenti, tra cui – come si vedrà – anche l’organo.

Castello e giardini del Catajo in una veduta dall’alto. Battaglia Terme (Padova).

Fig. 2 – Battaglia Terme (Pd), castello del Catajo: i suoi giardini in una veduta dall’alto.
Sedotto dalla bucolica vaghezza e dalla mistica quiete offerte dal contesto naturale euganeo, Pio Enea Obizzi (1525 †1589, fig. 3), figlio di Gasparo e Beatrice, tra il 1570 ed il 1573 volle far ampliare sensibilmente la già pregevole struttura della villa grazie alla collaborazione del noto architetto Andrea Da Valle (†1578). Venne così creata la parte del maniero che ancor oggi viene denominata Castel Vecchio; realizzata in uno stile che potrebbe definirsi la crasi tra una villa veneta principesca e un fortilizio medievale militare, essa fu caratterizzata nell’aspetto esterno dalla presenza di torri di guardia e da mura merlate coronanti una poderosa mole che, sin da subito, conferirono alla fabbrica quel singolare aspetto che ancor oggi contraddistingue il magniloquente edificio.6

Ritratto di Pio Enea I degli Obizzi.

Fig. 3 – Pio Enea Obizzi (1525-1589).
Pare debba essere attribuito a questo iniziale periodo di tangibile floridezza della villa-castello l’allestimento di una prima cappella privata ad uso degli Obizzi:7 eretta nel 1572 e posizionata quasi all’ingresso del giardino, secondo una testimonianza offerta dalla Visita Pastorale del 1655 del Vescovo di Padova – Giorgio Cornelio – risultava essere molto piccola: misurava m. 7,5 di lunghezza per m. 2,6 di larghezza ed era originariamente dedicata al Natale del Signore.8 Se si considera la notevole distanza dalla chiesa parrocchiale di Battaglia, è probabile che tale cappella gentilizia fosse stata predisposta non solo per soddisfare i precetti religiosi degli augusti padroni del castello, o dei loro numerosi ospiti, ma anche per agevolare gli abitanti del luogo e le famiglie delle numerosissime maestranze operanti presso il vasto maniero a seguire le funzioni religiose statuite dal vigente calendario liturgico.9
A partire dal 1571 gli interni della rinnovata magione obizziana furono decorati da Giovanni Battista Zelotti (1526 †1578), e dalla sua bottega, mediante l’allestimento di uno dei più ricchi e sontuosi cicli di affreschi autocelebrativi presenti nelle numerose ville del Veneto nel periodo rinascimentale: ben quaranta dipinti, distribuiti in sei diversi saloni, narravano le gesta della famiglia.10
Oltre alle pitture, gli Obizzi vollero ben presto iniziare a creare anche una ricca collezione di pezzi d’arte e reperti storici: vasi cinerari, iscrizioni reperite sui colli Euganei, vasi di rame, di vetro, di terracotta e altri monumenti pregevoli. Da Volterra e da altri luoghi della Toscana (ma anche da Roma, da Venezia e dalla Dalmazia) furono fatte arrivare più di venti urne cinerarie etrusche, nonché vasi fittili variamente dipinti, “specchi mistici”, sarcofagi, statue, bronzi e altre varie anticaglie. Tutto questo ingente patrimonio storico ed artistico trovò posto nel castello in un vero e proprio museo ad esso riservato, che andò a formare quella che verrà poi denominata dagli studiosi del settore la grande “collezione Obizzi” del Catajo.11
Alla morte di Pio Enea la proprietà del nobile e severo monumento del Catajo passò nelle mani di Pio Enea ii (1592 †1674), figlio di Roberto Obizzi e Ippolita Torelli. Costui, grande appassionato di opere teatrali, nella prima metà del xvii secolo fece realizzare nel castello un piccolo teatro – uno tra i primi “coperti” nel Veneto – proprio dove, al tempo di Pio Enea, trovavano posto le stalle: la piccola sala era dotata di 16 palchetti disposti su due ordini sovrapposti ed era capace di ospitare un centinaio di spettatori scelti.12
A questo periodo di fulgore scenico appartiene anche la costruzione del cosiddetto “Cortile dei Giganti” nel castello del Catajo, opera tutt’ora esistente: grazie alle sue dimensioni generose e alla sua impostazione scenografica molto naturale permetteva, in pieno Rinascimento, l’allestimento di opere teatrali (nonché di feste principesche, spettacolari rappresentazioni, giostre, tornei e naumachie) in un contesto ben più ampio rispetto all’attiguo e contenuto teatro coperto.13
Gli organi «di legno di ancipresso» del teatro
Dalla consultazione dei documenti d’archivio si evince (anche se non sappiamo esattamente da quale anno) che il teatrino del Catajo venne ben presto corredato da un buon numero di strumenti musicali di vario tipo; opportunamente stipati su tutte le pareti in apposite scaffalature ad essi dedicate, ai lati del teatro stesso, e accresciuti in numero nel corso dei decenni, oltre a formare una vera e propria collezione d’arte musicale del tutto singolare tali strumenti avevano anche un compito di tipo funzionale: venivano usati in esecuzioni di musica da camera e servivano per allietare e accompagnare le varie rappresentazioni che, in pieno Seicento, si tenevano nel teatrino per un limitato pubblico o, all’aperto, nel “cortile dei Giganti” per un pubblico più numeroso.
Da qui – e questo è il dato più rilevante per il nostro studio – si ricava che, tra i vari strumenti musicali in dotazione del teatro, vi erano anche organi con canne di legno; si può affermare ciò con assoluta certezza grazie ad un Inventario del 20 settembre 1674 steso in occasione della morte di Pio Enea ii. In tale registro viene menzionata la presenza «nel Teatro da comedia» di ben «due Organi di legno di ancipresso con suoi armadi dipinti», il tutto per un valore di «D.ti 20».14 Tale indicazione rappresenta la prima e più antica testimonianza sull’esistenza nel castello di organi a canne; sembrerebbe logico arguire che a tale ricca disponibilità di strumenti corrispondesse un reale e costante utilizzo anche dei due organi, ma i documenti non sono del tutto espliciti in proposito.
Anche per il Catajo l’uso di vari strumenti musicali e dell’organo in ambito teatrale va probabilmente letto nell’ottica del contesto musicale di fine Cinquecento-inizio Seicento, che prevedeva quella “nuova pratica”, prodromo della lunga e gloriosa stagione del melodramma italiano, propugnata in terra fiorentina soprattutto da Giulio Caccini e da Emilio de’ Cavalieri,15 che prevedeva di «concertare con Organo voci, & stromenti da tasti, arco & corda»16: ossia la nuova prassi che stabiliva di suonare simultaneamente gli «strumenti di “fondamento” e “di ornamento”. Al gravicembalo e all’organo si affiancavano arpe doppie e liuti, tiorbe e lironi; alle viole da braccio e da gamba si univano flauti e tromboni, violini e cornetti in compagini che rappresentavano le prime proto-orchestrazioni della storia. In questi gruppi strumentali, chiamati al sostegno di un canto raffinato e all’illustrazione sonora di spettacoli dove straordinarie macchine teatrali creavano mirabili illusioni, l’organo con canne di legno svolse una rilevante funzione, anche nel sostegno del canto a voce sola».17
Ma di chi erano opera e quali caratteristiche avevano i due organi situati nel teatrino del Catajo?
Difficile a dirsi; più facile a supporsi.
Dacché i documenti padovani non sono generosi nel restituirci dati ad essi concernenti, per poter definire la mole, l’entità fonica e la probabile paternità di tali strumenti è necessario fare ricorso a collaterali e coeve testimonianze su siffatto tipo di manufatti.18
Le scarse notizie non consentono di chiarire termini e dettagli di carattere tecnico-fonico, ma, data l’epoca di utilizzo e la loro costruzione in «legno di ancipresso con suoi armadi dipinti», è agevole opinare che i due organi del teatrino riecheggiassero le peculiarità di consimili strumenti coevi e che potessero presentare importanti analogie con l’organo “ad ala” in legno di cipresso che «dal 1660 si trova nella Cappella di Vittoria della Rovere a Palazzo Pitti [di Firenze] e che ha due registri (non precisati) di canne di piombo e un mezzo registro di Zampogne in legno di noce».19 Non mancano testimonianze sulla presenza di piccoli organi di legno anche nell’Italia centrale; tra queste vi è il caso del palazzo Farnese a Roma, ai tempi del cardinale Odoardo (a cavaliere del xvi e xvii secolo), dove figurava la presenza di un organo di cipresso e di un altro organo portativo in legno.20
Tra Cinquecento e Seicento gli organi con canne di legno svolsero un’importante funzione nella musica a servizio delle rappresentazioni teatrali; per le loro particolari caratteristiche erano considerati più idonei nell’accompagnamento delle voci rispetto a quelli con canne di metallo, perché stimati di «dolce intonazione»21 e di voce molto «soave»22. Di «organo soave di canne lignee» parla il Banchieri,23 mentre un trattato di ignoto del Seicento, apparentemente composto da mano fiorentina, oltre ad affermare che «sempre più delicata parerà la consonanza che farà il suono dell’organo di legno con la voce umana che non parerà sempre gl’istromenti di corde», ci illumina sul fatto che «la “delicata” consonanza dell’organo di legno […] era affidata a canne di cipresso nelle taglie di Principale e di Ottava; con la rara presenza aggiuntiva del registro del Flauto».24
Si ha contezza, quindi, che tali strumentini “di legno”, a maneggio delle varie rappresentazioni teatrali (sovente inscritte in una cornice dai contorni bucolici), erano provvisti di pochi ma significativi registri (due o tre al massimo) di canne “aperte” in legno di cipresso, su base armonica di quattro o due piedi, formati da un Principale, un’Ottava e un eventuale Flauto. La limitata consistenza fonica, volutamente contenuta per ragioni di peso e ingombro e per non soverchiare il concento degli altri strumenti, non contemplava la presenza di un Plenum completo, classicamente inteso e concepito, ma prevedeva la rappresentazione della sua sonorità in modo stilizzato, cioè con una o due file acute: un Principale di 2 piedi e/o un’Ottava di 1’. Ciò si rendeva necessario (in una concezione tipicamente rinascimentale di sonorità “concertata” o, più specificatamente, in una accezione prettamente prebarocca di intreccio strumentale) per poter agevolmente suonare alla pari con gli altri strumenti, senza sovrastarli, o per dialogare efficacemente con i vari cantanti.25
Di organi con canne di legno parla largamente anche il “padovanissimo” Antonio Barcotto nella sua celebre Regola del 1652; egli prescrive questo tipo di strumenti dal suono dolce nel caso essi debbano risuonare in «camere, e sale, o vero d’Accademia, acciocché per la vicinanza delle orecchie d’ascoltanti non siano fastidite dall’altezza del suono, poiché in luoghi piccoli, come camere e sale non si ricerca gran quantità di suono e gli strumenti in tali luoghi quanto più sono dolci, tanto maggiore soavità formano»;26 il noto organaro-teorico padovano specifica altresì l’entità fonica di siffatti strumenti: «e che ciò sia vero, si vede, che tal sorte d’Organi viene fabricata di due soli registri, lasciando fuori tutti li ripieni».27
È importante, a questo punto, far notare che proprio il Barcotto cita con cognizione gli strumenti dotati di canne di legno esistenti nelle case nobiliari del contado padovano negli anni della sua attività: se ne potrebbe inferire che avesse documentata nozione della loro esistenza e che conoscesse bene le loro caratteristiche perché, quasi certamente, ne fu proprio lui l’autore; egli menziona quelli «in Padova nell’Accademia dell’Illustr.mo Sig. Mantoa, ov’è un organo tutto di legno alla similitudine, che abbiamo detto fabricato con mirabile bellezza, e nello Appartamento del’Ill.mo ed Eccel.mo Sig.r Marches Obici [sic, per «Pio Enea ii degli Obizzi»] vi sono tre Organi di legno d’esquisita bontà, e tutti alla similitudine, che già si è detto, ed anco in molti altri luoghi, come Venezia, Vicenza, e per ogni parte se ne trovano, che per brevità tralascio».28 Viene da chiedersi se il Barcotto, ricordando i tre organi padovani «d’esquisita bontà», facesse riferimento a quelli presenti nel castello del Catajo o a quelli già esistenti nell’alloggio cittadino di Pio Enea ii degli Obizzi. Sembra non azzardato ritenere che si tratti degli stessi strumenti: se si considera che la Regola è del 1652 e l’Inventario, citato in precedenza, risale al 1674, non è da escludere che Pio Enea ii, che aveva eletto a sua dimora di preferenza il Catajo, avesse scelto di trasportare a Battaglia gli organi presenti a Padova (oltre ai due strumenti presenti nel teatro infatti – come vedremo a breve – al Catajo ve ne era un terzo). Interessante e rimarchevole, dal punto di vista organologico, è poi l’appunto che il Barcotto fa sulle canne di legno, adducendo che «una canna di legno, per grande che sia, non valerà più di tre o quattro Ducati; ma di stagno valerà trenta o quaranta, conforme la sua grandezza». La difficoltà a reperire organi dotati di alcuni registri di metallo ed alcuni di legno sta nel fatto che sono sconsigliate simili edificazioni, in quanto «le canne di legno fanno due effetti, uno si è, che sono dolci si, e meno strepitose da camera; ma l’altro si è che sono più crude in comparazione del piombo, e stagno, che per ciò con gran difficoltà andranno uguali di voce insieme con piombo e stagno. Onde sarà meglio tutto legno, o vero tutto stagno e piombo»; il Barcotto aggiunge, concludendo, che «le canne di legno sono state inventate per Organi portatili, essendo materia più leggera da portare. Ma la verità è, che mentre si può fare di meno di metterli Canne di legno, massime in Organi di qualità, sempre sarà meglio, poiché la Canna di legno, quando è guasta, non è più buona altro, che per il fuoco, che così non son le altre […]. E di più non si devono permettere Canne di legno, poiché sono fabbricate con cole, che facilmente l’umido, e il gran caldo le guastano, e anco le tarli li danno un gran danno».29
L’«Organetto di busso» della cappella cinquecentesca
Il predetto inventario del Catajo del 1674 ci fornisce un ulteriore e significativo dato: esso attesta che nella piccola ed angusta cappella cinquecentesca, già fatta erigere per volere di Pio Enea i, vi era «un Organetto di busso».30 Purtroppo, l’imperfetta documentazione d’archivio di quel periodo non ci consente di appurare in via definitiva se l’edificio sacro venne dotato di organo già nei primi tempi dalla sua officiatura; né ci procura generalità sull’ubicazione fisica all’interno della cappella; né ci provvede particolari tecnici dello strumento (circa, ad esempio, l’esatta natura dei suoi registri – se non il fatto che esso fosse costituito esclusivamente da canne in legno di bosso – o la loro distribuzione rispetto all’estensione dell’unica tastiera); né ci ragguaglia sul suo autore. Né maggior ricchezza di notizie contraddistingue i documenti degli anni immediatamente successivi.31
Per ora, grazie al cenno di un inventario, si può solo affermare che il luogo sacro fu ben presto dotato di organo: benché nessuna testimonianza diretta ne conforti l’identificazione, il piccolo manufatto potrebbe essere riconosciuto con quel terzo organo che il Barcotto cita nella sua Regola come esistente – ancora nel 1652 – «nello Appartamento del’Ill.mo ed Eccel.mo Sig.r Marches Obici».
Tale strumento musicale ad uso del culto figura, assieme a «libri diversi et commedie», anche in un successivo inventario risalente al 1682: pure in quell’occasione esso viene rubricato come «un Organetto di busso».32
Tre successivi inventari settecenteschi, uno del 1711, uno del 1718 e uno del 1725, ci forniscono finalmente, oltre alla conferma della presenza dell’organo, anche una importante specificazione circa la sua collocazione all’interno del piccolo edificio sacro. L’inventario del 1711 afferma che «nella chiesa appresso il giardino» vi era «un’organetto [sic] di Bosso sop.a la cantoria»;33 l’inventario “de’ mobili esistenti nel Pallazzo del Cattaio e Fabrice adiacenti di Raggione dell’Ill.mo Sig.r Marchese Tomaso degli obizzi consignati da mé Franc.co Toschini”, redatto nel 1718, ribadisce che «nella chiesa appresso il giardino» risultava esservi «un organeto di bosso sopra la cantoria»;34 infine, l’inventario del 1725 riaffermava la presenza di «un Organino sopra la cantoria» all’interno della precitata «Cappellina».35
Dopo quest’ultima data si perdono le tracce dei due organini in «legno di ancipresso» del teatrino e dell’«organetto di busso» in uso presso l’edificio di culto; si può affermare ciò con buona certezza consultando un ulteriore inventario del 1768: in esso non si recupera cenno circa la presenza di un organo «nella Cappellina»;36 lo stesso repertorio, rinvenuto in copia, non menziona alcun tipo di organi:37 segno evidente che quello della cappellina era da tempo inutilizzabile o – più facilmente – era stato smantellato già qualche lustro addietro a causa della sua irrecuperabilità.
1 “Battaglia” pare derivare dal lemma latino baptalea, ossia “luogo dei bagni”; è da ritenere pacifico sussumere sotto questo toponimo le pittoresche varianti ortografiche figuranti nei documenti: Batàja, Batàgia, Bettàgia, Botàja.
2 Dopo il Naviglio Grande di Milano, lungo 50 chilometri, il canale Battaglia – o Naviglio Euganeo (da non confondere con i Navigli Grandi di Padova) – è il più importante corso d’acqua artificiale in Italia per lunghezza: misura 18 chilometri. Questo canale, pensile rispetto al piano della strada, è delimitato da possenti muraglioni eretti nel 1814-1818 a seguito di una devastante piena che divise in due l’abitato.
3 Bruno Brunelli – Adolfo Callegari, Ville del Brenta e degli Euganei, Milano, Fratelli Treves Editori, 1931, p. 300.
4 Francesco Agostino Della Chiesa dedicò a Beatrice da Correggio un succinto ma efficace profilo celebrativo nel suo Theatro delle donne Letterate (1620). Lettura e download: books.google.it
5 Qui lo Speroni scrisse il Dialogo delle laudi del Cathaio, villa della S. Beatrice Pia degli Obici. Lettura e download: books.google.it
6 Cade qui opportuno accennare che, quasi costantemente, i sontuosi palazzi fatti erigere dai nobili veneti sui loro possedimenti fondiari, rubricati sotto l’arcadico appellativo di «residenza di villeggiatura in campagna», rappresentavano de facto un valido presidio non tanto per la difesa del territorio, quanto piuttosto per la tutela dell’economia e degli interessi del casato stesso rendendo possibile una costante, oculata ed attenta opera di controllo dei possedimenti medesimi e delle persone impiegate nei fondi circonvicini. Gli Obizzi, prima, e – come si constaterà – gli Austria d’Este, poi, non fecero eccezione: buona parte dei fondi terrieri tutt’intorno al Catajo, sui quali furono stipulati numerosi contratti di affitto o di enfiteusi (con conseguente impiego di mezzadri, livellari e semplici braccianti a vario titolo), erano di loro proprietà; proprietà – come si evince dalla ricchissima documentazione contabile esistente presso l’Archivio di Stato di Padova – che garantivano al nobile casato importanti rendite derivanti dai prodotti agricoli e permettevano agli Obizzi, al contempo, di accumulare tali e tante fortune da consentire loro di esercitare un mecenatismo quasi al pari di una real schiatta.
7 Tale edificio sacro fu classificato come “oratorio pubblico” della Parrocchia di S. Giacomo apostolo a Battaglia.
8 Guido Beltrame, Luoghi sacri minori in Diocesi di Padova, Padova, Libraria Padovana Editrice, 1992, p. 47.
9 L’ipotesi, tutt’altro che peregrina, sembra essere corroborata dal confronto con molte altre realtà del Veneto, dove una tenuta dei nobili era provvista di luogo sacro. Il dato poi traspare chiaramente dalla lettura dei numerosi documenti presenti nell’Archivio di Stato di Padova (d’ora in poi ASPd), presso il quale sono custoditi i circa 1944 pezzi delle nobili casate degli Obizzi (proprietari del castello sino al 1803) e degli Austria d’Este (ASPd, Archivi privati Obizzi-Austria d’Este, segnatamente alle bb. 668 e 769, passim). Occorre precisare che l’archivio gentilizio, costituito da un ponderoso complesso documentario formato da faldoni, registri e scartafacci, rappresenta la naturale sedimentazione degli Atti delle nobili casate in circa otto secoli di storia. Si deve tener presente inoltre che, per assicurare un piacevole soggiorno nel castello (soprattutto durante i mesi estivi), per poter scongiurare il costante deprezzamento della grande proprietà e per poter gestire le complesse questioni economico-amministrative fosse necessaria l’opera di non poche persone; la documentazione d’archivio ci restituisce infatti un nutrito numero di nomi di falegnami, di agricoltori, di cuochi, di giardinieri, di amministratori, di guardiani, di operai, di stallieri e di muratori (ancor più numerosi nel periodo di ogni anno compreso tra maggio e ottobre) che operavano in quel caotico microcosmo quasi perfetto costituito dal Catajo.
10 Dell’opera dello Zelotti al Catajo fa memoria l’archeologo gesuita Lanzi alla fine del Settecento: «una delle più grandi sue opere è al Catajo, nella villa del Sig. Marchese Tommaso Obizzi, ove intorno al 1570 figurò in varie stanze i fasti di quell’antichissima famiglia, e chiarissima in toga e in armi» (Luigi Lanzi, Storia pittorica della Italia, Bassano, Remondini, 1795-1796). Lettura e download: books.google.it
11 Pare che Pio Enea fosse un amante ed un estimatore degli strumenti musicali; il Valdrighi fa memoria di un suo dono al duca di Modena consistente in «duo [f]lauti fatti da un maestro […] in Padova». Anche se la testimonianza citata dal Valdrighi viene fatta risalire al 1483, la data pare improbabile se si considera che Pio Enea nacque nel 1525 (Luigi Francesco Valdrighi, Nomocheliurgografia antica e moderna [1884], Bologna, ristampa Forni Editore, 2001, n.° 96, p. 116). Lettura e download: books.google.it
12 Pio Enea ii, uomo colto, letterato e accademico “dei Ricovrati”, fu anche l’autore di alcune opere teatrali (come l’Ermiona [1636], allestita a Padova in un teatro di legno nei pressi del noto Prato della Valle – Lettura e download: books.google.it), tutte concepite seguendo le linee guida di quella che diverrà, in pieno Settecento, la grande riforma goldoniana e che, non di rado, furono rappresentate proprio nel teatrino del Catajo. Il gentiluomo fu spesso anche il committente, il promotore, l’organizzatore e l’attore di molte produzioni, rivelandosi uno tra gli esponenti più alacri ed ingegnosi di quelle forme di spettacolo cortese e cittadino che, negli stessi anni in cui venne a maturazione il moderno teatro d’opera d’impresa, sperimentarono in varie località venete combinazioni plurime di poesia, musica, sfarzo scenico e imprese cavalleresche. Pio Enea ii era talmente appassionato di teatro che, nel 1651, chiese a Francesco i d’Este (duca di Modena e Reggio) l’invio a Padova della compagnia teatrale ducale (l’anno seguente, proprio dietro volere di Pio Enea ii, sarà edificato in Città il più capiente “teatro Obizzi”, nei pressi di Palazzo Obizzi; rimaneggiato più volte nel corso del xvii e xix secolo, è ancor oggi esistente, seppur molto diverso rispetto alla primitiva concezione obizziana; subì una profonda rivisitazione nel 1941). Il teatrino del Catajo, invece, fu visitato dal De Brosses nel 1739 – il presidente del parlamento di Borgogna – in occasione di un suo viaggio in Italia: pur avendolo trovato adatto per rappresentazioni con pubblico ristretto, lo definì un «un teatrino tascabile assai ben ideato per recitare commedie tra gente di qualità» (Charles De Brosses, Viaggio in Italia. Lettere familiari, Milano, 1957, iii, p. 253). Il teatrino fu assiduamente adoperato durante tutta la vita di Pio Enea ii, ma dopo la sua morte divenne un luogo quasi inutilizzato, tanto che più tardi – come si avrà modo di constatare – verrà adibito ad altra destinazione d’uso. Per alcuni tratti della proteiforme figura di Pio Enea ii degli Obizzi, vedasi: Adalgisa Benacchio, Pio Enea ii degli Obizzi letterato e cavaliere, in “Bollettino del Museo Civico di Padova”, iii, (1901) 1902, pp. 61-72, 95-102, 123-130. Per la lunga tradizione teatrale di Casa Obizzi: Bruno Bonelli Bonetti, Appendici alla storia dei teatri di Padova. Il carteggio teatrale degli Obizzi, in “Atti della Accademia patavina di Scienze Lettere e Arti”, n.s., 64, 1951-1952, p. 1 e ss.; Bruno Brunelli, Il teatro degli Obizzi, poi già degli Obizzi, Nuovissimo, dei Concordi, nel secolo xix, in Teatri di Padova. Dalle origini alla fine del secolo xix, Padova, Libreria Angelo Draghi, 1921, pp. 444-488.
13 È ad Enea ii che si deve, con tutta probabilità, anche la formazione della grande armeria di famiglia, che andò a costituire la grande collezione d’armi antiche e contemporanee tanto ammirata dalla nobiltà a lui coeva.
14 ASPd, Archivio privato Casa Austria d’Este, b. 777, Vol.e xiv: Inventario dei quadri, incisioni e medaglie del Museo del Catajo e dei sacri arredi della cappella. Nota degli obblighi delle Cappellanie. Breve dei privilegi dell’Oratorio del Catajo [secc. xvii-xix], Inventario del 1674, [c. 16v].
15 Vedasi: Giulio Caccini, Nuove musiche e nuova maniera di scriverle, Firenze, Zanobi Pignoni, 1614; Emilio de’ Cavalieri, Rappresentazione di Anima et di Corpo. Nuovamente posta in musica dal sig. Emilio del Cavaliere, per recitar cantando, Roma, Mutij, 1600. Lettura e download: books.google.it
16 Il passo, tratto dalla “Lettera di Agostino Agazzari à un Virtuoso senese […] di Roma il dì 25 aprile 1606”, sta in: Adriano Banchieri, Conclusioni nel suono dell’organo, Bologna, G. Rossi, 1609, p. 68. Lettura e download: books.google.it
17 Pier Paolo Donati, Il ruolo dell’organo di legno in una fonte del primo Seicento, in “Informazione Organistica”, nuova serie n. 19, anno xx [n. 1], aprile 2008, pp. 41-42. La nuova prassi rappresenterà il passaggio risolutivo dalla composita luminosità del linguaggio letterario-musicale rinascimentale alla nuova armoniosità poetico-spirituale del lirismo barocco; quindi dalla prima pratica, in cui si ricercava la perfezione armonica predominante sul ritmo e sulla melodia, alla monteverdiana seconda pratica, in cui la perfezione melodica – retaggio della μίμησις [mímesis] platonica (rivalutazione della comunicazione lirica del pensiero) – doveva prevalere e dominare sul ritmo e sull’armonia (la “rappresentazione degli affetti”).
18 È curioso osservare quanto spesso gli studi organologici si concentrino solo ed esclusivamente sull’uso dell’organo in ambito cultuale tralasciando, sovente, di focalizzare l’attenzione anche sull’utilizzo culturale che se ne fece in contesti laici o del tutto profani durante la Rinascenza.
19 Giuliana Montanari, Strumenti a tastiera, a corde e a canne della Guardaroba medicea nel xvii secolo: consistenza, tipologie, permanenza. ii: aspetti tecnici, in “Informazione Organistica”, nuova serie n. 27, anno xxii [n. 3], dicembre 2010, pp. 219-234: 221-222. Si consiglia pure dello stesso autore: Strumenti a tastiera, a corde e a canne della Guardaroba medicea nel xvii secolo: consistenza, tipologie, permanenza. i: aspetti costruttivi, in “Informazione Organistica”, nuova serie n. 26, anno xxii [n. 2], agosto 2010, pp. 159-174. La consuetudine di collocare piccoli organi in teatri, sale da musica e oratori di palazzi patrizi deve essere tuttavia fatta risalire a ben prima del Seicento: già nel corso del xvi secolo nella sala da musica del palazzo Ducale di Parma è attestata la presenza di un organo con canne di cipresso, come rilevato da un inventario del 1587 (Archivio di Stato di Parma [d’ora in poi ASPa], Casa e Corte Farnesina, 52, 1; tale repertorio è stato poi pubblicato in: Giuseppe Bertini, La sezione musicale della Libreria Farnesiana e la musica alla corte di Ottavio Farnese, atti del convegno, Parma, 11-12 novembre 2004).
20 Per i due organi (uno con canne di legno e uno di noce) nel palazzo dell’Aquila ai tempi di Margherita d’Austria, vedasi: ASPa, Computisteria Farnesiana di Parma e Piacenza, Robbe della Felice Memoria di Madama Serenissima Margherita d’Austria, b. 372, cc. 95v e 101v. L’uso costante di piccoli organi in legno nel corso del Cinque-Seicento in ambito teatrale (nelle cosiddette “favole in musica”) è stato più volte dimostrato dalle fonti archivistiche. A Firenze, già alla fine del xvi secolo, nella corte medicea «per le necessità degli Intermedi e degli altri spettacoli allestiti […] nel nuovo teatro degli Uffizi, Emilio dei Cavalieri aveva ordinato la costruzione di vari organi con canne in legno di cipresso, che lui chiamava “da concerto”, allo ‘specialista’ Francesco Palmieri» (Pier Paolo Donati, Commenti, in “Informazione Organistica”, nuova serie n. 17, anno xix [n. 2], agosto 2007, p. 186). Tuttavia, già nel xv secolo si era consolidato l’impiego di organi con tali caratteristiche: si fa memoria del dono di un organo con canne tutte di legno, costruito dal modenese Costantino Tantini, fatto da Leonello d’Este ad Alfonso d’Aragona nel 1448 (Luigi Francesco Valdrighi, Nomocheliurgografia antica e moderna [1884], Bologna, ristampa Forni Editore, 2001, n.° 3119, p. 216 e pp. 241-242). V’è ricordo pure di organi con canne di cartone: il modenese don Giovanni Crespi Reghizzi costruì non pochi strumenti con siffatto tipo di elementi fonici, il quale «dopo ricerche, studi ed esperimenti assai, volle ritornato l’uso della carta e cartone negli organi, e datosi a tentare di rendere codesto impermeabile e quasi di durezza metallica, vi riuscì e diedegli nome di cartone-cuoio. […] Del resto d’organi di carta si conosce l’esistenza in Firenze sin dai tempi di Lorenzo il Magnifico, d’Alfonso i in Ferrara (1598), e più indietro (1476) di G. Galeazzo Maria-Visconti, in Milano, e nel 1511 in Venezia» (Luigi Francesco Valdrighi, op. cit., aggiunta all’edizione del 1884, n.° 3726, pp. 23-24).
21 Nicola Vicentino, Circolare descrittiva l’Arciorgano, Venezia, N. Bevilacqua, 1561.
22 Emilio de’ Cavalieri, Rappresentazione di Anima et di Corpo. Nuovamente posta in musica dal sig. Emilio del Cavaliere, per recitar cantando, Roma, Mutij, 1600, n. 5.
23 Adriano Banchieri, Conclusioni nel suono dell’organo, Bologna, G. Rossi, 1609, n. 2, p. 15.
24 Pier Paolo Donati, Il ruolo dell’organo di legno in una fonte del primo Seicento, in “Informazione Organistica”, nuova serie n. 19, anno xx [n. 1], aprile 2008, p. 45 e soprattutto alle pp. 57-61.
25 Non è un caso, quindi, se «i collaudi di nuovi strumenti venivano spesso affidati a “periti sonatori et cantori”, congiuntamente convocati» (Pier Paolo Donati, Commenti, in “Informazione Organistica”, nuova serie n. 17, anno xix [n. 2], agosto 2007, p. 186).
26 Antonio Barcotto, Regola e breve raccordo per far rendere agiustati, e regolati ogni sorte di Istrumenti da vento, cioè Organi, Claviorgani, Regali e simili, 1652, pubblicato in: Renato Lunelli, Un trattatelo di Antonio Barcotto colma le lacune dell’«Arte Organica», in “Collectanea Istoriae Musicae”, i, Olschki Editore, Firenze 1953, pp. 135-155: 148.
27 Antonio Barcotto, op. cit., p. 148.
28 Antonio Barcotto, op. cit., pp. 148-149.
29 Antonio Barcotto, op. cit., p. 149.
30 ASPd, Archivio privato Casa Austria d’Este, b. 777, Vol.e xiv: Inventario dei quadri, incisioni e medaglie del Museo del Catajo e dei sacri arredi della cappella. Nota degli obblighi delle Cappellanie. Breve dei privilegi dell’Oratorio del Catajo [secc. xvii-xix], Inventario del 1674, [c. 38v].
31 Anche in altre realtà italiane, simili a quella del Catajo, era invalso l’uso di piccoli o piccolissimi organi per accompagnare le liturgie di cappelle private od oratori gentilizi: ve ne è chiara attestazione nell’oratorio dei SS. Francesco d’Assisi e Antonio di Padova a Castelvetro (Mo), dov’è segnalata, nel 1720, la presenza di un organo di due registri – di pretta fattura cinquecentesca – originariamente provvisto dal conte Fulvio Rangoni per la chiesa parrocchiale dei SS. Senesio e Teopompo a Castelvetro presso il castello locale (Carlo Giovannini – Paolo Tollari, Antichi organi italiani: la provincia di Modena, Modena, Franco Cosimo Panini Editore, 1991, pp. 73-74).
32 ASPd, Archivio privato Casa Austria d’Este, b. 494, Inventari di mobili di Casa Obizzi [secc. xvii-xviii], Inventario della mobilia del Cattaio, consignatta á m.r Niccolò [1682], [c. 39v]. Nella stessa busta compare, in copia, il medesimo elenco ripreso come “Inventario della mobillia, del Cattaio, consignatta a ms. Nicolò” ancora sotto la data del 1682: anche in questo caso viene citata la presenza in chiesa di «un organino di busso» (ASPd, ibidem, scartafaccio, c. non numerata).
33 ASPd, ibidem, Inventario delle Robbe del Cattaio che si consegna á D.o Tomaso Barbieri Castaldo nel sud.o luogo [1711], [c. 21v].
34 ASPd, ibidem, Inventario de’ mobili esistenti nel Pallazzo del Cattaio e Fabrice adiacenti di Raggione dell’Ill.mo Sig.r Marchese Tomaso degli obizzi consignati da mé Franc.co Toschini, 1718, c. 21.
35 ASPd, ibidem, Inventari di mobili di Casa Obizzi [secc. xvii-xviii], Inventario dei mobili esistenti nel Palazzo del Cattajo e fabbriche adiacenti di raggione di me Tommaso March.e degli Obizzi, che si consegnano in questo giorno [settembre 1725] a M.r Bortolo Bertini Gastaldo al Cattaio succeduto in luogo di M.r Marco Munari morto a mesi passati, [c. 40v]. Lo stesso catalogo trova copia nella medesima busta 494 sotto la rubrica “Inventario di consegna de’ Mobilli essistenti nel Palazzo del Cattaio e fabrice adiacenti”, datato 8 aprile 1725; qui, «nella chiesa appresso il giardino» figura sempre «un organeto [di] busso sopra la cantoria» (ASPd, ibidem, c. non numerata).
36 ASPd, ibidem, Inventari di mobili di Casa Obizzi (secc. xvii-xviii), Inventario del 1768.
37 ASPd, ibidem, Inventari di mobili di Casa Obizzi (secc. xvii-xviii), Inventario degli effetti vari che vi si trovano in esser al Catajo questo dì 28 8bre 1768, cc. 5r e 5v.