Andar per acque: da Mezzavia a Battaglia

Andar per acque da Padova ai Colli Euganei, lungo i Navigli, secondo un itinerario in barca e in bicicletta. In questa prima parte, il tratto che va da Mezzavia a Battaglia.

Premesse idrografiche
L’itinerario proposto
Mezzavia (Due Carrare e Montegrotto)
Mincana (Due Carrare)
Battaglia Terme (1a parte)

Schede
L’antica idrografia | La regolazione dell’acqua sul canale Battaglia | Le cave dei Colli | La questione territoriale di Montegrotto | Un fatto di cronaca nera in casa Obizzi | Pionieri della bonifica meccanica | I furti nei boschi | Le pietre dei Colli | Il Parco regionale dei Colli Euganei | I mestieri del fiume

I rimandi tra parentesi contrassegnati da un asterisco non trovano qui il testo o l’immagine corrispondente [NdR].

Premesse idrografiche

Nel 1811 lo storico Jacopo Filiasi afferma che “indovinare il corso dei fiumi nel padovano è quasi come il voler spiegare i geroglifici”. La stessa difficoltà è manifestata da Diego Valeri, noto poeta padovano, che confessa di non aver mai compreso da dove vengono le acque che bagnano Padova e di non sapere distinguere i vari canali che l’attraversano. A differenza di altre città come Firenze, Verona, Torino e Roma, percorse da un solo fiume, Padova è bagnata da due corsi d’acqua naturali, il (o la) Brenta e il Bacchiglione. Il primo nasce in montagna, dai laghi di Caldonazzo e Levico in Valsugana e dal bacino idrografico del Cismon; il secondo ha origine in pianura, nell’area pedemontana delle risorgive poste a nord di Vicenza (Dueville), dalle quali riceve tutta la portata di magra; non è però un fiume soltanto di risorgiva poiché è impinguato da affluenti provenienti dai bacini montani del Leogra e dell’Astico.
Pur presentando, come si è detto, regimi idraulici diversi, perché l’uno alimentato dalle acque superficiali delle montagne trentine e l’altro essenzialmente di pianura, i due fiumi padovani formano un unico sistema, collegato attraverso due corsi d’acqua artificiali: il canale Piovego che va da Padova a Stra, completato nel 1209, e il Brentella che va da Limena a Voltabrusegana, del 1314. Inoltre i due fiumi padovani confluiscono in un solo alveo, prima di sfociare nel mare Adriatico a Brondolo, poco più a sud di Chioggia.
A causa delle varie deviazioni realizzate dall’uomo nel corso dei secoli, molti tratti fluviali sono stati canalizzati, spesso perdendo il loro nome di origine. Il Brenta mantiene la sua denominazione nel vecchio alveo dalla Valsugana a Stra, diventa Naviglio Brenta da Stra a Fusina. Le sue nuove inalveazioni, realizzate nel 1507 da Dolo a Conche, nel 1610 da Mira a Conche, e nel 1858 da Stra sino a Corte, sono chiamate rispettivamente Brentone o Brentanova, Novissimo e Cunetta. Il Bacchiglione, arrivato a Voltabrusegana, sobborgo sud-occidentale di Padova, riceve, come si è detto, parte delle acque del Brenta attraverso l’apporto del canale Brentella; da quel punto assume vari nomi: Tronco Comune sino a Bassanello, Tronco Maestro da quest’ultimo fino a Porte Contarine (attraverso la Specola e ponte Molino), Naviglio Interno per la diramazione dalla Specola fino a Porte Contarine (attraverso i ponti Torricelle, San Lorenzo, Altinate ed altri), Piovego da Porte Contarine sino a Stra, Scaricatore da Bassanello a Voltabarozzo, canale San Gregorio da Voltabarozzo al punto di confluenza nel Piovego (zona San Lazzaro), Roncajette da Padova (Grade di San Massimo) a Bovolenta e da qui canale Pontelongo sino ad unirsi alla Cunetta in località Ca’ Pasqua.
Il Bacchiglione presenta anche altre due diramazioni: una ha inizio a Longare con il nome di Canale Bisatto o Bisàto e prosegue con i canali di Este e di Monselice; l’altra ha inizio a Bassanello (Padova) con la denominazione di Canale Battaglia o della Battaglia. Questi canali formano un sorta di anello fluviale che abbraccia Colli Euganei passando a sud degli stessi; a Battaglia si incontrano-scontrano e convogliano le loro acque verso il mare mediante il canale Sottobattaglia o Vigenzone, chiamato, più a valle, prima canale Cagnola che confluisce nel Roncajette a Bovolenta, e poi canale Pontelongo.
Nel territorio padovano a questi corsi d’acqua se ne aggiungono molti altri minori, sia d’origine naturale sia artificiali. Tutti insieme formano un sistema idraulico ingegnoso e complesso, frutto di una lunga ed articolata storia evolutiva nella quale l’azione dell’uomo ha interagito in crescente misura con i fenomeni naturali.

Schema delle acque del Padovano e dei territori limitrofi.

L’itinerario proposto

L’itinerario proposto corre lungo una parte molto significativa di questa complicata “macchina idraulica’ padovana e offre un’occasione per cercare di comprenderne il funzionamento. La descrizione, infatti, si sofferma in particolare sui manufatti idraulici che sono direttamente o indirettamente connessi con i navigli lungo i qual procede il percorso, senza tuttavia dimenticare le tante altre preziose emergenze di varia natura situati lungo i corsi d’acqua e nell’area circostante. La scelta a volte non è risultata facile soprattutto all’interno delle città attraversate, per la moltitudine d importanti opere ricche di storia. Si è cercato comunque di vedere il tutto con l’occhio curioso di chi si sposta lentamente e tranquillamente, come accade quando si fa turismo in bicicletta o in una barca tradizionale. Questi mezzi, lenti per loro natura, consentono di entrare in perfetta sintonia con ii territorio in cui si muove il passante e permettono di cogliere ogni dettaglio di ciò che lo circonda; inoltre lo fanno sentire parte integrante dell’ambiente, non estraneo o intruso, come succede con i mezzi veloci ed inquinanti.
Il percorso, proposto sia come itinerario nautico sia ciclo-turistico, corre lungo i più antichi navigli padovani che per oltre otto secoli hanno presentato le più sicure ed economiche vie di comunicazione per il trasporto delle merci e dei passeggeri. Ha inizio a Padova e lambisce i versanti meridionale ed occidentale dei Colli Euganei, più precisamente va dal cuore della città a Vo’ Vecchio, borgo sito ai confini con il territorio vicentino. Si articola essenzialmente in due parti con caratteristiche abbastanza diverse: il tratto fortemente urbanizzato di Padova, lungo circa 11 km da Porte Contarine a Bassanello (sobborgo meridionale della città), attraverso i canali Piovego, San Gregorio e Scaricatore e un breve tratto del Tronco Comune del fiume Bacchiglione; la seconda parte, da Bassanello a Monselice di circa 18 km, lungo i canali Battaglia e Monselice che arrivano a lambire i Colli Euganei, e da lì sino ad Este e Vo’ Vecchio per altri 25,4 km, percorrendo il canale Bisatto che, dopo aver attraversato l’abitato di Este, s’insinua tra monte Lozzo e gli altri monti del versante occidentale dei Colli Euganei; in totale quindi 54,4 km. La prima parte è caratterizzata da emergenze prevalentemente storiche ed idrauliche, la seconda da aspetti architettonici, archeologici e paesaggistici. L’itinerario nel suo complesso può essere considerato uno dei più belli e vari fra quelli pianeggianti della provincia di Padova, per la suggestione dei numerosi ‘monumenti’ cittadini, come le mura difensive, per la presenza di importanti manufatti idraulici, come le conche di Porte Contarine e di Battaglia, e per l’affascinante paesaggio della Riviera Euganea, ricco di ville, palazzi e rustici con uno sfondo collinare incomparabile.
Barche a remi per la voga alla veneta o canoe sono i sicuri mezzi utilizzabili in tutto il percorso da Padova a Vo’, data la ristrettezza degli alvei, specialmente nei canali Battaglia e Bisatto. Da Padova a Monselice si possono usare barche sino a 20 metri di lunghezza, 4,5 di larghezza e un pescaggio di 1 metro; da Monselice a Vo’ è necessario impiegare natanti più piccoli 1. Inoltre occorre considerare la limitatezza del tirante d’aria sotto i ponti fissi, in particolare quelli di Mezzavia, Catajo e Battaglia.
Dalla barca la visuale è limitata dalla presenza degli argini che seguono ininterrottamente il naviglio; è consigliabile perciò scendere spesso a terra per godere completamente il paesaggio, specialmente nel tratto che lambisce i colli. Per l’effettuazione dell’intero percorso con un natante si deve superare la conca di navigazione di Voltabarozzo (Padova) ed eventualmente anche quella di Battaglia, chiedendo l’intervento dei manovratori, mentre la conca di Porte Contarine (punto di partenza), non essendo funzionante, rimane costantemente aperta.
In bicicletta, invece, si può compiere tutto il tragitto senza difficoltà, impedimenti o preavvisi; si corre sulla sommità arginale che è in parte a fondo bianco ciclo-pedonale, in parte asfaltata, aperta al normale traffico motorizzato, però con forte limitazione di velocità, o riservata ai soli proprietari frontisti. La pista sopra l’argine, che veniva chiamata “via Alzaia” o anche “Restàra” (da resta o fune), era il percorso che i cavalli seguivano quando, accompagnati dai cavalànti, tiravano da terra i burci o altri barconi, mediante una lunga fune (alzana). Inoltre l’itinerario in bicicletta è quasi perfettamente in piano proprio perché segue costantemente i corsi d’acqua che, ad eccezione dei punti dove sono state costruite le conche di navigazione di Voltabarozzo e di Battaglia Terme, presentano lievissime pendenze.
Oltre che seguire il percorso, per così dire principale, che corre lungo i vari navigli, si possono fare in barca e in bicicletta anche alcune interessanti deviazioni; quelle in barca sono di volta in volta segnalate nella parte descrittiva, mentre quelle da effettuare in bicicletta, integrative oppure alternative al tracciato arginale, sono indicate sulle tavole cartografiche.

1 A condizione però che venga pulito l’alveo dalla vegetazione e da ostacoli vari. Attualmente anche il tratto da Battaglia a Monselice è difficilmente percorribile fino a che non verrà ripristinata la mobilità del ponte del cementificio e di quello girevole di Monselice.

[…]

DESCRIZIONE

Veduta aerea del Bassanello e delle sue acque in una foto dei primi anni '60.

Veduta aerea di Bassanello (primi anni ’60 del ‘900): al centro in alto il Naviglio Euganeo.

(Racc. dell’autore)

12.6 Canale Battaglia
Con questo canale comincia il Naviglio Euganeo che collega Padova ai Colli Euganei. In epoca medievale è denominato navigium o riveria, nella cartografia ufficiale odierna e chiamato “Battaglia” o “della Battaglia”, nel tratto che da Bassanello va a Battaglia, e “Monselice”, da Battaglia a Monselice. La tradizione popolare, invece, non fa nessuna distinzione e assegna il nome “Bisatto” o “Bisàto” all’intero canale che da Longare arriva sino a Padova-Bassanello, oppure quello di “Battaglia” a tutta l’idrovia Bassanello-Monselice.
Il Naviglio Euganeo nasce a Bassanello derivando parte dell’acqua del Bacchiglione e va ad innestarsi a Monselice nell’alveo del Bisatto proveniente da Longare, nel punto in cui questo piega ad est per raggiungere Pernumia con il nome di canale Bagnarolo.
Questa importante asta fluviale, lunga circa 18 chilometri, viene realizzata dal libero Comune padovano tra il 1189 e il 1201 per favorire il trasporto via acqua, Sia pure per una navigazione limitata a barche di non grandi dimensioni. È podestà di Padova in quel periodo Guglielmo da Osa, che probabilmente porta a Padova la sua équipe di collaboratori esperti in costruzioni del genere, avendone realizzate in precedenza nel Milanese. Ci si accorge che questa alveo è artificiale osservando il suo andamento quasi perfettamente rettilineo che si contrappone alla sinuosità naturale del Bacchiglione, del Bisatto e di altri corsi d’acqua naturali. Il Battaglia, peraltro il primo naviglio di data certa del Padovano, è un’ opera impegnativa non solo per la sua lunghezza, ma soprattutto per le caratteristiche del sito. Interseca antichi corsi d’acqua, come il Togisono d’epoca romana (v. scheda L’antica idrografia), che scaricano l’acqua superficiale dal bacino termale e dall’area pericollinare verso il mare. L’opera quindi costituisce un intralcio allo scorrimento superficiale di queste acque, anche perché essa si deve elevare dal livello della campagna circostante per i motivi che vedremo più avanti. L’acqua della rete scolante, quindi, viene fatta passare sotto il naviglio attraverso le “botti”, così chiamate forse perché costruite in muratura con volte “a botte”, cioè ad arco a tutto sesto: ce ne sono alcune di notevole dimensione a Pigozzo, a Rivella, a Este-Sostegno e a Lozzo, varie altre più piccole, chiamate bottesine, a Battaglia e in altri siti. Una prova che il nuovo naviglio ha effettivamente tagliato la preesistente rete di scolo del territorio la possiamo trovare negli idronimi (nomi dei corsi d’acqua) risultanti dalla cartografia. Alcuni scoli, infatti, conservano lo stesso nome al di qua e al di là del naviglio, come per esempio il Bolzan(i). Un secondo problema è la forte differenza di livello del terreno tra Padova e Battaglia e tra Monselice e Battaglia, differenza che oltrepassa i sei metri (quota s.l.m. 12 m a Bassanello, 6 a Battaglia). In questa situazione non si può far scorrere l’acqua secondo il declivio naturale del suolo, perché essa assumerebbe un’eccessiva velocità e una modesta profondità (tirante d’acqua); occorre quindi ridurre la pendenza per garantire la navigabilità, che è la funzione principale del naviglio. A questo scopo si costruisce un gran sostegno a Battaglia, punto più basso dell’asta navigabile, e s’innalzano argini per tenere alto il livello dell’acqua. In altri termini si realizza un canale pensile, più alto rispetto alla campagna circostante, con un letto che passa da quota 8,20 s.l.m. a Bassanello a 5,20 circa a Battaglia, 5,80 a Monselice, 8,70 ad Este. In questa modo la caduta dell’acqua da Padova al punto più basso risulta di circa 3 metri, anziché 6 secondo l’andamento naturale del suolo. Lo scopo principale di tutto questo è di creare una via di collegamento diretta, comoda e sicura con i Colli Euganei. Padova, nella seconda meta del XII secolo, si sta dotando di mura difensive, perciò ha bisogno di materiale per costruirle, in quanta quello riciclato e proveniente dagli edifici romani abbandonati non e più sufficiente. Necessita soprattutto della pietra dei Colli (trachite), materiale resistente, economico e adatto alla realizzazione di difese murarie. Le strade, com’è noto, sono tortuose, in terra battuta e, in certi periodi dell’anno, difficilmente praticabili, soprattutto quando piove o c’è ghiaccio. La costruzione del naviglio, oltre a soddisfare questi bisogni, permette anche di collegare direttamente Padova con l’avamposto fortificato di Monselice. Quindi questa via di comunicazione garantisce anche il controllo militare dell’area monselicense che è di simpatie ghibelline (v. 8 tav.15*). Inoltre la sua costruzione mette finalmente in collegamento diretto quelle che erano state le due maggiori città dei Veneti antichi e dei Romani, Este e Padova. Ciascuna di queste già in precedenza comunicava con il porto fluviale di Vicenza (v. 6. tav.6*): Padova tramite il Retrone-Bacchiglione; Este attraverso il basso agro patavino percorso dal Bisatto.
La singolarità di questa nuova asta fluviale consiste anche nel fatto che le acque provenienti da Bassanello si scontrano – questo e il termine forse più efficace per rendere l’idea – a Battaglia con quelle del Bisatto, provenienti da Monselice. Battaglia diventa così una sorta di compluvio, dove le acque provenienti, da una parte da Bassanello, e dall’altra da Monselice, una volta riunite si scaricano attraverso l’Arco di Mezzo (v. 12. tav.12*), generando il Vigenzone (non ci è dato di conoscere altre aste navigabili la cui acqua scorra in direzioni opposte). Nonostante le difficoltà che l’opera comporta, il canale Battaglia rivela subito una buona agibilità per i trasporti fluviali. Essa inoltre viene migliorata nei secoli successivi così da garantire l’utilizzo del naviglio sino ai giorni nostri. Ma da pacifico naviglio, in tempo di fiumane, può diventare uno dei più pericolosi canali del Padovano. Marco Antonio Sanfermo, noto idraulico dell’800, scrive a questo proposito: “quando si combinano le piene del Frassine, che non hanno uno sfogo bastevole per lo stramazzo laterale del Brancaglia e che scendono ad occupare il canale di Este per cui esiste il solo archetto di Bagnarolo, allora nasce un accozzamento micidiale con quelle che derivano da Padova più o meno dapresso alla Battaglia”.
Gli argini vengono alzati sempre più per contenere le piene e scongiurare le rotte e le tracimazioni; queste sono sempre state pericolosissime a causa della pensilità dell’alveo che imprime all’acqua eventualmente fuoriuscita un’alta velocità e una notevole irruenza provocando gravissimi danni alle campagne, agli edifici e a tutto quanto sta nelle vicinanze del canale.
Sul lato esterno dell’argine orientale del naviglio viene creato un largo terrapieno di rinforzo (contrargine), più basso della sommità arginale ma ovviamente più alto della campagna circostante, sopra il quale si costruisce successivamente la strada regia postale “Monselesana”, chiamata poi Provinciale ed infine, dopo l’istituzione dell’A.N.A.S. (Azienda Nazionale Autonoma Strade Statali) negli anni ’20, Statale n. 16 Adriatica (v. 3. tav.11).
Com’era la situazione idrografica e stradale prima della costruzione di questo importante naviglio? Sappiamo con certezza che il collegamento fra Padova e Bologna (via Emilia Altinate) passava per Mandria, Abano, Monselice, Este e Montagnana. Ben poco, invece possiamo dire sulle vie d’acqua (v. 6. tav.6*). Secondo alcuni studiosi il canale Padova-Monselice viene scavato, almeno in parte, allargando e raddrizzando un preesistente “fiumicello” che da Padova conduceva ai bagni di Montegrotto. Il “ponte alto” sulla via Romana, del quale si suppone esistano ancora i resti tra l’attuale chiesa di Mandria e l’estremo lembo sud-occidentale del parco di villa Giusti, sarebbe stato eretto su questo corso d’acqua che scorreva lambendo l’attuale parco. Anche seguendo le tracce del paleoalveo in quest’area, si arriva ad attraversare l’odierna via Armistizio proprio nel presunto sito di questa ponte.

L’antica idrografia
L’attuale assetto idrografico del territorio padovano sostanzialmente si è formato dopo il crollo dell’impero romano d’Occidente (476 d.C) a seguito di una serie di disordini idrogeologici che si sono verificati tra il VI e il VII sec. d. C. e soprattutto di fortissime precipitazioni che non si potevano contenere dentro gli alvei, quasi del tutto privi di difese arginali. In questo contesto catastrofico si inserisce il famoso diluvium aquae del 589 d. C., descritto dal cronista dei Longobardi Paolo Diacono, che ha contribuito a modificare il corso dei maggiori fiumi veneti cambiando e confondendo i loro alvei e le loro foci. Il ramo settentrionale del Brenta migra a nord allontanandosi da Padova; viene abbandonato anche quello occidentale che, seguendo la direttrice dell’attuale strada Pelosa, si dirigeva verso Padova attraversandola lungo il Tronco Maestro. Forse anche l’Adige, che entrava in Este, cambia percorso e le sue acque deviano nell’attuale tracciato che bagna Legnago e Badia Polesine. In questo modo i collegamenti fluviali vengono sconvolti e spesso interrotti e le continue invasioni, così dette “barbariche “, rendono difficile qualsiasi riassetto.
Su questi sconvolgimenti, in particolare sulla rotta del Brenta a Friola (ad ovest di Cittadella) che fu all’origine delle divagazioni di questo fiume, molto si è scritto, ma poco si sa di certo. Alcuni studiosi della Bassa Padovana considerano la “Rotta della Cucca” dell’Adige (che si sarebbe verificata in località Bonavigo a sud-est di Verona) addirittura un ‘falso d’autore’; nel passato, infatti, queste due rotte sono state considerate eventi più clamorosi del
diluvium di Paolo Diacono, allo scopo di semplificare e dare dei riferimenti temporali e territoriali precisi, che la storiografia purtroppo non è sempre in grado di offrire.
Risulta quindi difficilissimo e rischioso persino agli specialisti tentare di ipotizzare com’era la situazione dei fiumi padovani nell’età del ferro o in epoca romana, prima dello sconvolgente diluvio. Per questo ci giungono in soccorso, anche se non in modo univoco, gli studi sui paleoalvei e le testimonianze, oltre che del citato cronista longobardo, di geografi, storici e naturalisti greci e latini e del poeta alto-medievale Venanzio Fortunato che ci ha descritto la situazione idrografica poco prima che le rovinose inondazioni la sconvolgessero.
Il territorio padovano era probabilmente attraversato a nord dai vari alvei del
Medoacus o Meduacus (odierno Brenta, chiamato Brinta all’epoca di Venanzio), al centro dai rami del Retrone (attuale Bacchiglione, Edrone nel Medioevo) e a sud dal fiume Atesis (Adige), anche questo ramificato. Il Medoacus, come è stato detto, arrivato a Friola, si divideva in due rami che a Padova si ricongiungevano per poi, poco a valle della città, di nuovo dividersi in due: il Maior, che lambiva Noventa e Stra e poi scorreva grosso modo lungo l’attuale Naviglio Brenta con foce a Fusina, di fronte alla Bocca di Malamocco; il Minor che, a Brentasecca (località posta tra le attuali Villatora e Saonara), a sua volta si diramava in due bracci. Il primo di questi, quello più importante, scorreva nell’alveo dell’attuale fiumicello Cornio, passando per Sandon e uscendo in laguna presso Lova, di fronte a Portosecco; l’altro ramo, passando per Saonara e Legnaro, raggiungeva Campagnola dove confluiva con il Retrone.
Il ramo settentrionale del Retrone passava poco a sud di Padova lungo l’attuale tracciato del Roncajette; forse aveva anche ramificazioni secondarie che seguivano grosso modo il percorso degli attuali scoli Bolzan e Boracchia. Un altro ramo principale passava a occidente dei Colli e probabilmente correva sulle orme dell’attuale Bisatto. Il basso agro patavino era attraversato dall’
Atesis, il cui braccio settentrionale probabilmente bagnava Montagnana ed Este (v. scheda Il fiume e la città*). Ma a guardar bene forse è improprio parlare di rami o bracci per i fiumi naturali; è più probabile che i vari tracciati dello stesso corso d’acqua si siano succeduti nel tempo e non funzionassero contemporaneamente.
Oltre a questi importanti fiumi, il territorio era attraversato da altri alvei che assicuravano lo sgrondo superficiale in maniera più capillare, ma che tuttavia lasciavano ancora vaste aree umide attraversate da guadi. Una di queste era sicuramente quella che si estendeva dalle valli Calaona e di Lozzo sino a Bastia di Rovolon, le cui acque originavano un fiume che scendeva per Frassenelle, Praglia, San Pietro Montagnon, Mezzavia, Carrara fino a Cagnola, ove s’immetteva nella
Fossa Clodia (ora canali Cagnola e Pontelongo). Percorreva perciò la stessa via degli odierni canali Rialto e Biancolino. Forse si trattava del Togisono, che aveva anche un’altra ramificazione passante per Battaglia, lungo il percorso dell’attuale Vigenzone.
La situazione idrografica attuale non è pero frutto solo degli sconvolgimenti naturali, essa è anche opera dell’uomo che, soprattutto all’epoca dei liberi Comuni e delle Signorie, ha cercato, da una parte, di raggiungere maggiore sicurezza idraulica e dall’altra di ottenere più utilità possibile dall’acqua. A Padova il Bacchiglione viene condotto nelle anse abbandonate dal Brenta diventando così il fiume della città, e si costruiscono nuovi navigli, come l’Euganeo, il Piovego e il Brentella.
La regolazione dell’acqua sul canale Battaglia
Per chiarire come, dall’inizio del ‘200 sino alla seconda meta dell’800, si riesca a deviare parte dell’acqua del Bacchiglione verso Battaglia, occorre innanzitutto immaginare il fiume che entra a Bassanello senza alcun manufatto regolatore. Il livello dell’acqua dipende dalle precipitazioni e dagli altri fattori naturali. In queste condizioni, senza alcun intervento dell’uomo, quasi tutta l’acqua tenderebbe a dirigersi verso la città, anche perché il primo tratto del naviglio Battaglia (incile) corre quasi parallelo al Bacchiglione e l’acqua, per alimentarlo, deve quasi invertire la direzione. Non essendo stati ancora perfezionati i regolatori attivi, cioè mobili, come quelli costruiti nell’800, si crea un pennello, spartiacque fisso, quasi perpendicolarmente alla riva, simile a quelli costruiti per allontanare o frenare la corrente e in questo modo proteggere la riva stessa. Si tratta di una doppia fila di pali a forma di cuneo, riempita di pietrame, che si pone di traverso all’alveo del Bacchiglione a partire dalla riva destra dello stesso. Un’appropriata lunghezza ed altezza del pennello consente di regolare la quantità d’acqua da deviare, senza impedire la navigazione (come farebbe una briglia che attraversasse tutto l’alveo). Essendo però un ‘opera fissa non può essere adeguata alle esigenze del momento, come nel caso di magre e di brentàne (piene), né tanto meno può interrompere totalmente il flusso e mettere eventualmente in secco il canale per eseguire lavori di manutenzione.
Dal punto di vista idraulico, quindi, il manufatto, sia pure molte volte rettificato, riparato e migliorato, è fonte di gravi preoccupazioni per gli idraulici e di gravi danni per la popolazione rivierasca; durante le piene si verificano frequenti rotte degli argini, soprattutto in prossimità di Battaglia, dove le correnti, provenienti da Bassanello e da Monselice, si scontrano alzando il livello dell’acqua.
Si realizza perciò, in sostituzione del rudimentale
pennello, un manufatto regolatore, che funge anche da ponte stradale (sulla strada per Abano) con sovrastante casello per la manovra delle paratoie, in analogia a quelli sui nuovo Scaricatore e sui Tronco Maestro. Tale innovazione viene effettuata a seguito della sistemazione generale dei fiumi veneti, prevista dal famoso piano di Vittorio Fossombroni e Pietro Paleocapa (v.1. tav.5*), progetto realizzato nella seconda metà dell’800. Il ponte-regolatore viene eretto più a sud del vecchio inizio (incile), accorciando un po’ il canale per evitare di doverlo intercludere per i lavori e quindi di sospendere a lungo la navigazione. La piccola rettifica impone però la demolizione della chiesetta Tessari (v.10. tav.6*) che si trova esattamente al centro del nuovo tracciato. Una volta terminati i lavori nel 1875, il vecchio incile, che si trovava laddove oggi corre il primo tratto di via Vittorio Veneto, viene interrato. Nel letto del Bacchiglione sono state ritrovate tracce del pennello e del vecchio percorso durante le immersioni effettuate dall’appassionato archeologo subacqueo Nico Pezzato, prematuramente scomparso.

Nella cartina, le acque che scorrono nel tratto che va da Padova a Battaglia Terme.

[…]

7.9 Cippo confinario
All’incrocio tra via Sabbioni e la via alzaia del naviglio è posto il cippo di trachite che segna il vecchio limite territoriale tra Battaglia e Abano. Ora la zona che va da questo cippo sino al Catajo appartiene al Comune di San Pietro Montagnon (ora Montegrotto), nato nel 1921 dallo smembramento di Battaglia (v. scheda La questione territoriale di Montegrotto). Un analogo blocco di pietra, situato lungo la strada statale poco fuori dell’abitato di Battaglia in direzione di Monselice, indica l’antica via “Elisea” (in direzione di Pernumia e del cimitero di Battaglia), il cui nome potrebbe derivare dal canale o palude (lixetum) oppure da “élese”, leccio, specie di quercia.

tav. 10 Mezzavia (Due Carrare e Montegrotto Terme)

Percorso fluviale in località Mezzavia (Due Carrare e Montegrotto Terme).

1. Mezzavia: 1a. Ponte, 1b. Oratorio – 2 Palazzo Zennato – 3 Castello di San Pelagio – 4 Chiavica Zaborra – 5 Teleferica della teleferica della cava Bonetti – 6 Lion(e) – 1/8 Scolo Menóna – 1/11 Casa Sanudo – 2/11 Mulini di Mezzavia – 4/11 Azienda Salmaso – 12/6 Canale Battaglia.

A. Casa Salmaso – B. Casa Mocenigo Maruzzo – C. Casa Picinali – D. Capitello di S. Antonio – E. Azienda agricola Rango.

Località Mezzavia, Due Carrare, vista da Battaglia, in una cartolina del primo '900. A sinistra, le acque del canale Battaglia.

Mezzavia, Due Carrare, vista da Battaglia, in una cartolina del primo ‘900.

(Cartolina, racc. A. Zanellato)

1.10 Mezzavia e Palazzo Avogadro
Il palazzo Avogadro, che faceva un tutt’uno con il ponte di Mezzavia ricostruito nel 1683, è stato demolito nel 1936, in occasione dell’allargamento della strada statale Adriatica. Di questo palazzo-torre del tutto particolare rimangono soltanto alcune testimonianze fotografiche ed archivistiche oltre ad alcune tracce delle finestre, che si affacciavano sul canale, di uno dei due corpi destinati a botteghe e posti ai fianchi di quello principale. Il traffico stradale attraversante il canale doveva passare sotto un’apertura ad arco del palazzo che ricordava le porte sulle mura difensive delle città. Non è dato di sapere quando e perché la famiglia Avogadro, di origine bresciana, abbia fatto erigere questa bella e nobile costruzione. Dalle caratteristiche architettoniche essa sembrerebbe risalire al XVI secolo, ma dagli estimi (sorta di dichiarazione dei redditi) è denunciata soltanto a partire dal 1661. Fungevano da contorno all’edificio residenziale a quattro piani, oltre agli annessi sopracitati, anche altri fabbricati sorti lungo la strada per Montegrotto, e l’oratorio aperto al pubblico nel 1885 e situato in angolo tra la strada statale e quella per Terradura. Nel primo ‘800 tutto il complesso, unitamente alla casa indicata con la lettera C della tav.10, è affidato ai Mussita Picinali e successivamente ai Bottin che acquistano anche i vicini mulini di Mezzavia.
Questo luogo era diventato nel tempo, proprio per la sua particolare posizione, un vero e proprio mercato dove si fissavano i prezzi di cereali, frutta ed altri prodotti alimentari che qui confluivano via acqua e via terra. Con l’intensificarsi del flusso di veicoli stradali il borgo perde questa funzione. Il ponte, che passa sopra il canale Battaglia, viene seriamente danneggiato durante l’ultimo conflitto mondiale; in occasione delle conseguenti riparazioni vengono rimossi due stemmi nobiliari ed il bassorilievo raffigurante il leone di san Marco, già collocati sulla chiave di volta del ponte stesso.
Nell’abitato di Mezzavia, lungo la strada “Monselesana” (tra i Comuni di Montegrotto e di Due Carrare), c’era la fermata e il cambio dei cavalli, la celebre “posta”. Quasi dirimpetto al palazzo Avogadro, un’ampia tettoia, che andava a coprire un breve tratto di strada, e la famosa trattoria Leon d’Oro con servizio di rifornimento carburanti della famiglia Gomirato, attiravano l’attenzione dei passanti.
Del complesso ora restano soltanto il ponte, peraltro rimaneggiato nell’ultimo dopoguerra, e l’oratorio dedicato al Redentore e alla Madonna del Carmine. Il toponimo Mezzavia pare derivi dal fatto che questa località è situata a metà strada tra Padova e Monselice o, come sostengono un poco fantasiosamente altre fonti, tra Roma e Vienna.

Palazzo Avogadro a Mezzavia, prima dell'allargamento della statale Adriatica.

Palazzo Avogadro a Mezzavia, prima dell’allargamento della statale Adriatica.

(Racc. dell’autore)

2.10 Palazzo Zennato
Sull’area in cui insiste l’attuale palazzo Zennato, G.A. Rizzi Zannoni (nella sua Gran Carta del Padovano del 1780) indica un insieme di edifici, ma il corpo abitativo non sembra corrispondere a quello attuale che invece è rilevato nel catasto austriaco come casa di villeggiatura di proprietà Medoro. Il palazzo, di volumetria compatta a quattro piani, poggia sul basso livello della campagna e si eleva sull’attuale piano stradale; denota un certo pregio in alcuni particolari costruttivi, come i contorni, la porta finestra ad arco del salone centrale del piano nobile, ma purtroppo si trova a ridosso della statale e un poco inclinato come il palazzo Sanudo (v. 1. tav.11). Anche gli annessi rustici palesano una certa importanza sia in quantità che in qualità. Il complesso dai Medoro passa ai Conegliano e nel primo ‘900 ai Trevisan, sino a giungere, dopo vari altri passaggi, nelle mani degli attuali proprietari che gestiscono un’avviata azienda agro-frutticola.

3.10 Castello di San Pelagio
Non è ubicato proprio vicino al naviglio, ma per la sua vasta notorietà riteniamo opportuno segnalarlo ugualmente. In località San Pelagio di Terradura, in comune di Due Carrare (già Carrara San Giorgio), sorge la villa Zaborra, più nota come castello San Pelagio. Costruita su un castello trecentesco dei Da Carrara, signori di Padova, e già posseduta nel XVI secolo dai Santuliana, di cui conserva il grosso torrione guelfo centrale, è sottoposta a diversi rifacimenti fra cui quello del 1775 nel corso del quale viene ricostruita la parte occidentale che assume l’attuale aspetto. Le due ali che affiancano il torrione, terminano in due corpi nei quali s’aprono due portali timpanati. All’inizio dell’800 i conti Zaborra possiedono a Carrara San Giorgio circa 123 ettari e sperimentano nuove colture, come il gelso per il baco da seta e i prati stabili irrigati con acqua derivata dal canale Battaglia (v. 4. tav.10). Dal 30 maggio 1918 all’1 maggio 1919 la villa ospita il campo della 87a squadriglia “Serenissima” dell’aviazione italiana. Da qui Gabriele D’Annunzio con i suoi compagni spicca il volo su Vienna, il 9 agosto 1918. Nel corso della seconda guerra mondiale è sede di comando dell’esercito tedesco. Ora il castello, di proprietà Zaborra-Avesani, dopo il restauro avvenuto a seguito del terremoto del 1976, è adibito in parte a ristorante e in parte a Museo dell’Aria.

Museo aperto tutti i giorni, escluso il lunedì, […] Via S. Pelagio – Due Carrare.

4.10 Chiavica Zaborra
Attraverso questo manufatto idraulico, che si trova sulla sinistra idraulica tra Mezzavia (v. 1. tav.10) e i mulini di Mezzavia (v. 2. tav.11), viene derivata acqua dal naviglio sin dal 1693 per uso dei fratelli Zaborra, proprietari del castello di San Pelagio (v. 3. tav.10). L’acqua, attraverso la bocca (chiavica), scorre nel condotto di muratura che attraversa l’argine e sottopassa la strada statale compiendo un percorso ad S, probabilmente per aggirare la proprietà della villa Zennato (v. 2. tav.10). La derivazione, ora gestita dal Consorzio di Bonifica Bacchiglione Brenta, consentiva di irrigare le campagne Zaborra, comprendenti vasti terreni coltivati a prato stabile. Il sistema irriguo adottato era quello denominato “a scorrimento”; per bagnare il terreno si faceva scorrere sopra di esso un velo d’acqua che tracimava da apposite canalette adacquatrici. La coltivazione del prato e il sistema irriguo costituivano un fatto del tutto eccezionale per i campi della Bassa padovana che ordinariamente sono destinati alla cerealicoltura.

5.10 Teleferica della cava Bonetti
Mezzavia era anche chiamata il “Porto dei selesi” in quanto costituiva un comodo punto di smistamento delle merci, trachite in particolare, provenienti dai Colli. La costruzione della conca di navigazione di Battaglia (1923) stimola una serie di progetti tendenti ad agevolare l’arrivo della pietra in prossimità del canale navigabile, evitando di percorrere con i carri le strade dissestate. Solo due di questi progetti, che in buona parte prevedono la realizzazione di tranvie a trazione animale, sono realizzati. Si tratta della ferrovia Decauville dalla cava di monte Lispida a Rivella (v. 8. tav.12) e soprattutto della teleferica (ferrovia aerea) lunga 2,8 km dalla cava del Monte Oliveto Valdimandria alla stazione di scarico sul canale Battaglia, posta a circa 500 metri a valle del ponte di Mezzavia. L’iniziativa parte dallo stesso proprietario della cava, ingegner Edmondo Bonetti, nel 1931. La trachite, in questo modo, è deposta direttamente nelle stive dei barconi ormeggiati sul canale. Visto che l’opera solleva il neonato Comune di San Pietro Montagnon (ora Montegrotto) dai pesanti oneri di manutenzione delle strade che prima erano continuamente percorse dai carri carichi di pietrame, sembrerebbe risolto ogni problema, ma non è così. Nascono contenziosi con i proprietari dei fondi che vengono attraversati dalla teleferica, convinti di dover ricevere indennizzi per le fortuite perdite di carico, soprattutto con la famiglia Marcolongo che abita nella casa vicina alla stazione di scarico e lamenta un frastuono insopportabile.
Ciò nonostante l’impianto funziona sino al 1958, quando ormai il trasporto su gomma sta per soppiantare quello acqueo, e viene demolito nel 1963. Alcuni anziani del luogo ricordano ancora il lento via vai dei carrelli sospesi nell’aria, spesso assaliti, nel viaggio di ritorno, dai ragazzi vogliosi di fare un giro avventuroso, foriero in alcune circostanze di drammatiche conseguenze al momento dello ‘sbarco’.
Oggi di quest’opera, a parte qualche foto e documento, rimangono visibili lungo il canale alcuni basamenti che reggevano il terminale e una piccola banchina d’ormeggio in calcestruzzo per i natanti.

Mezzavia, le acque del canale Battaglia e il terminale della teleferica Bonetti per il trasporto della trachite. Foto del 1952.

Terminale della teleferica Bonetti a Mezzavia per il trasporto della trachite dalla cava di Montegrotto al canale Battaglia (1952).

(Foto Lux Padova)

Le cave dei Colli
La posizione geografica (isolata nella pianura, circondata da città) e la varietà delle rocce che li compongono hanno fatto dei Colli Euganei un centro privilegiato e noto di rifornimento di materiali da costruzione. In particolare le rocce sedimentarie (calcari e marne) servono per produrre calci e cementi, le rocce vulcaniche, come la trachite, per produrre pietre lavorate (selciati, cordonate, paracarri, davanzali, ecc.) o da riempimenti e sottofondi. Innumerevoli testimonianze documentano alcuni di questi usi già in epoca preromana e romana e ancora più frequentemente in epoche successive, come nel medioevo e durante la dominazione veneziana. Le comprensibili difficoltà legate ai trasporti hanno favorito l’apertura di cave in posizioni più esterne rispetto al gruppo collinare (Lispida, Montebuso, Frassenelle, Montemerlo, monte Oliveto, monte della Rocca), più comode per il trasporto via acqua.
Nei primi anni dell’800 i ritmi di estrazione cominciano ad intensificarsi; le opere stradali durante le dominazioni napoleonica e austriaca, poi quelle ferroviarie, gli edifici pubblici e privati di tutti i tipi richiedono notevoli quantità di materiali di cava. Si manifestano così i primi seri danni ambientali, come nel caso di monte della Rocca a Monselice.
Da questo momento non ci sarà più nessuna tregua: all’esigenza sempre più estesa di materia prima si aggiunge nel ‘900 l’uso di mezzi meccanici sempre più potenti, sia per l’estrazione che per la lavorazione. Non sono più solo le zone periferiche dei Colli ad essere interessate dalle cave, ma tutto il complesso collinare.
Nel secondo dopoguerra, e in particolare dopo l’alluvione del 1951 che ha distrutto o danneggiato lunghi tratti arginali del fiume Po, l’estrazione assume ritmi vertiginosi: dalle 200.000 tonnellate all’anno degli anni ’30 si passa alle 500.000 dei primi anni ’50, ai 5-6.000.000 degli anni ’70. Le cave attive arrivano a superare il centinaio: si possono aprire senza problemi perché sull’attività estrattiva manca qualsiasi disciplina legislativa. Le disastrose conseguenze sul paesaggio e sull’ambiente sempre più segnato da vistose “ferite”, nonché sulla qualità della vita di intere contrade, provocano reazioni e contestazioni sempre più forti. Verso la fine degli anni ’60 queste si coalizzano formando dei comitati per la difesa dei Colli. La protesta costringe il Parlamento a prendere uno dei primi provvedimenti ecologici del dopoguerra: il 24 novembre 1971 viene approvata la legge n. 1097 “Norme per la tutela delle bellezze naturali e ambientali e per le attività estrattive nel territorio dei Colli Euganei”, primi firmatari gli onorevoli Giuseppe Romanato e Carlo Fracanzani.
Questa legge comporta la progressiva chiusura di tutte le cave di materiale non di pregio, utilizzato per massiccia te stradali, riempimenti ecc.; ora ne restano aperte una decina, quelle dove si estrae trachite da taglio, e due di calcare che però dovrebbero chiudere entro pochi anni. In ogni caso le quantità sono limitate e i cavatori hanno l’obbligo del recupero ambientale.

6.10 Lion(e)
Attualmente sia l’abitato ad ovest del naviglio (Comune di Montegrotto) che quello ad est (Comune di Due Carrare) sono chiamati Mezzavia. In molti documenti cartografici d’archivio con il nome di Mezzavia si indica invece soltanto la parte orientale; il borgo sorto sul versante opposto (verso Montegrotto) veniva indicato come Lion(e), dal nome della famiglia proprietaria di vasti terreni nella zona.