Il Cataio, vanto di Pio Enea I degli Obizzi

Storia della villa del Cataio, voluto da Pio Enea I degli Obizzi. Il grandioso complesso fu ampliato e arricchito dagli eredi. Dal 1805, estinta la famiglia, cambiò diverse proprietà. Nel 2016 è stato acquistato dall’imprenditore Sergio Cervellin, che ha iniziato un pregevole lavoro di ristrutturazione e promozione.

Villa del Cataio. Olio su tela, scuola veneta sec. XVIII, Battaglia.

La villa del Cataio raffigurata in una tela ad olio di scuola veneta (XVIII sec.).

(Coll. privata)

VILLE VENETE A BATTAGLIA TERME

IL CATAIO

La presenza della famiglia Obizzi nella località di Battaglia denominata Cataio piccolo (toponimo attestato almeno dal XIII secolo) sembra risalire al XV secolo, apparendo nelle denunce delle “condizioni” fin dal 1518 con Gasparo degli Obizzi 1. Famiglia d’origini borgognone, gli Obizzi si stanziarono a Genova (ove iniziarono la dinastia dei Fieschi) e a Lucca: di qui nel 1285 Guglielmo Malaspina venne a Padova come Podestà. Trasferitosi un Obizzo, vicario dell’Imperatore Arrigo II, a Ferrara presso la corte Estense, da questo ramo agli inizi del XV secolo si trasferì a Padova Antonio degli Obizzi che sposando Negra de’ Negri acquisì la cittadinanza padovana: si installarono nell’area delle case Negri al Duomo di Padova ove nel 1652 verrà costruito il teatro poi detto dei Concordi (via Obizzi) 2.

Lapide a ricordo dell'antica sede teatrale eretta nel 1652 da Pio Enea degli Obizzi. Padova, via Obizzi.

Padova. Lapide in via Obizzi, all’esterno del cinema Concordi, a ricordo dell’antica sede teatrale, eretta nel 1652 da Pio Enea degli Obizzi.

(foto P.G. Zanetti)

Nel 1518 quindi Gasparo degli Obizzi dichiara tra le altre proprietà — che ammontavano a circa 2800 campi — sul monte del “Catagio” una “teza e casa de gastaldo” e “In lo Catagio de Montenovo” una casa in muatura con “Teza, orto e fornasa”. La fornace appare anche nel testamento del 1541 di Gasparo, allorché lascia alla moglie la possibilità di scegliere l’usufrutto del “palatium” in “Villa Catai”: si tratta di una casa di campagna in muratura che nel 1556 viene, assieme alle altre proprietà, stimata da Domenico dell’Abaco 1150 ducati: cifra che evidentemente rimanda ad una costruzione ben più consistente di una “semplice casetta di campagna 3. Nel Ragionamento del Betussi sul Catajo 4, si dice che questa “casetta” venne fabbricata dalla madre di Pio Enea I Obizzi — che nel frattempo aveva ereditato la proprietà — “più tosto per commodità che per pompa nessuna”. Il grande cambiamento avviene appunto con Pio Enea I, Sposatosi nel 1563 con Eleonora Martinengo e decisamente avviato ad imprimere ai propri domini terrieri un’impronta neofeudale; il ruolo e la personalità dell’Obizzi lo richiedevano e d’altro canto negli stessi anni era già avviata la riqualificazione delle proprietà che sempre gli Obizzi avevano nel territorio di Albignasego: lo confermerebbero indirettamente i lavori che portarono alla decorazione della cappella di famiglia nella chiesa di S. Tomaso, affidati a Stefano dell’Arzere e ad altro ignoto artista, che nella pala ritrasse appunto i due fratelli Girolamo e Gian Pietro 5. E quindi una fase di crescita economica, quella che vive la famiglia nel corso del XVI secolo, determinata dai reinvestimenti in terre dei proventi dell’attività militare di Pio Enea per la Repubblica Veneziana e dall’entrata in famiglia di Eleonora Martinengo con la sua dote di 18.000 ducati. Accanto a tali motivazioni, il sorgere di un tale complesso — a detta del Betussi — aveva anche ragioni più direttamente pratiche, legate alla mentalità dell’Obizzi, tradizionalmente celebrato tra l’altro per essere stato l’inventore di una nuova arma da fuoco, l’obice appunto: e cioè che “ad un bisogno di passar d’eserciti, e per fuggir qualche altra furia l’huomo vi si potrebbe ricovrare”. La stessa scelta del luogo, su di una roccia “scozzesa, ineguale, et mal composta”, “più tosto luogo per un romitorio, che per altro”, appare dettata dal fatto che se “la eminenza del sito così a cavalliere della strada era bella”, essa era anche strategicamente importante, aggiungiamo noi, dal momento che la “strada commune” passava proprio lì sotto, e costituiva l’unico passaggio tra due corsi d’acqua, il canale della Battaglia e il Rialto.

Secondo il Betussi, la decisione di fabbricare venne un giorno del 1570, allorché Pio Enea in compagnia del Conte Silla Martinengo e del Cavaliere fiorentino Migliorino degli Ubaldini, salirono il monte Siesa e considerarono quanto “vi sarebbe stata bene un Torretta con tre o quattro camerette, che haverebbe servito come una veletta [vedetta] per scuoprire, et godere la vista di tutto il paese”. L’idea piacque, e ben presto la torretta ebbe ad assumere una dimensione grandiosa, divenendo “più tosto una fabrica regia, che privata”. Il tutto, realizzato nell’arco di tre anni: lo stesso Betussi dichiara che “non sono anchora finiti tre anni, che vi si diede principio”. Ed i lavori non furono certo di poco conto se per ricavare lo spazio necessario alle fondazioni, venne scavato il monte “a forza di picconi e di scalpelli” 6. Fin qui il Betussi: ma alcuni indizi fanno supporre che Pio Enea abbia iniziato ben prima del 1570 i lavori al Cataio. Nel 1566 Pio Enea spende 85 ducati per la costruzione di un “pozolo” nel “palazzo” “in villa del Catagio”: non è improbabile che il matrimonio con Eleonora nel 1563 abbia determinato la decisione, nel 1570 resasi definitiva, di ristrutturare il complesso 7.

Lasciato in loco l’edificio preesistente, inserito tra il Monte Siesa e il canale Rialto, lo trasforma in un corpo d’ingresso — sul retro il cortile conduceva alle stalle — coperto da una terrazza collegata direttamente alle terrazze che circondavano la nuova costruzione, un blocco compatto con poche aperture, privo di particolari elementi decorativi, merlato anch’esso, architettonicamente privo di confronti nel panorama edilizio padovano — e veneto — del secondo Cinquecento. Per il Betussi, l’architetto del Cataio fu lo stesso Pio Enea: il quale in questi anni è particolarmente attivo per la Repubblica Veneziana ed è forse azzardato pensare ad un continuo e diretto suo interessamento.

L’ipotesi quindi che si sia avvalso dell’aiuto di un architetto del suo tempo è plausibile: e ancor più plausibile, come d’altronde propendono gli storici, che questo architetto sia stato Andrea da Valle 8, Il quale già nel 1564 era stato impiegato da Pio Enea per valutare i lavori fatti ad Albignasego, e d’altronde il da Valle doveva essere noto all’Obizzi attraverso Alvise Cornaro, protettore dell’architetto: rapporti tra Obizzi e Cornaro sono indirettamente testimoniati dal fatto che il fedele fattore di Alvise Girolamo Pelizon 9, che lo servì per le sue proprietà e per la gestione dei beni del Vescovado nel 1566 è ricordato al servizio proprio di Pio Enea. E certo il Cornaro non aveva motivi di allontanare un uomo tanto prezioso alla conduzione dei propri affari, se non quelli di favorire una persona amica, quale l’Obizzi. E al Cornaro possono far capo le concezioni struttive che sono alla base delle nuove fabbriche del Catajo solo che si faccia riferimento alla loro insolita forma, nel contesto classicheggiante della cultura architettonica del tempo, e a quanto Scriveva Alvise nel suo trattato di architettura, sorta di vademecum per fabbricare ad uso di gentiluomini: “…ordine Dorico, Jonico, Corintio, i quali ordini, et adornamenti son di gran spesa, et non è cosa da ogni Cittadino, et non acomodano, ne fan le fabbriche più durabili, ma più belle solamente”. Architettura funzionale quindi ad un certo uso, da un lato attento alla “comodità” — e lo stesso Betussi ricorda che la distribuzione tra casa vecchia e nuova costruzione era pensata appunto in modo che quest’ultima non venisse “ad esser intricato da nessuna sorta di servitii famigliari, ne lordi; ne resta abitato, che da soli padroni” — dall’altro preoccupato di “significare” la famiglia: di qui l’impronta “feudale” che già Pietro Selvatico avvertiva in queste costruzioni, e soprattutto l’importanza che veniva ad assumere il ciclo affrescato nelle sale del piano nobile — l’edificio dei “soli padroni” — ai fini dell’autocelebrazione della dinastia degli Obizzi.

L’edificio doveva infatti apparire subito una “macchina” propagandistica: un tempo le pareti esterne erano affrescate con “historie esterne et di Romani”, “guerre et vittorie de nostri tempi con infedeli, et fra Christiani”, fatte dal pittore “a voglia sua”, ma certo con qualche riferimento alle vicende di Lepanto, alle quali anche Pio Enea aveva dato il proprio contributo, se gli fruttò la nomina a Collaterale del Dominio Veneto nel 1573, giusto l’anno in cui il Betussi pubblica il proprio “Ragionamento”. Ma “se questa vista delle mura di fuori, comune a tutti, può dare pastura ad ogn’uno, quella di dentro la darà a persone, solo intendenti, e di spirito, ed è pittura non così ordinaria per tutto”, continuava il Betussi introducendo agli affreschi realizzati da G.B. Zelotti ed aiuti nel piano nobile. Il ciclo si sgrana in quaranta scomparti inquadrati da partiture architettoniche, contrassegnati da numeri romani e commentati da iscrizioni in latino ed italiano, lungo il salone principale e cinque stanze; laddove nelle stanzette dell’ultimo piano erano decorazioni a grottesche e carte geografiche. In ogni riquadro, secondo una progressione, cronologica, sono rappresentati episodi della famiglia Obizzi, dalla creazione di Obizzo I a Luogotenente delle Riviere di Genova da Parte di Arrigo II di Sassonia; fino al matrimonio di Roberto Obizzi con Negra de’ Negri e l’inizio della dinastia padovana della famiglia. In effetti la complessità dei riferimenti, dettati sembra da Giovanni Capodilista e Bernardino Tomitano — anch’esso della cerchia di Alvise Cornaro — giustifica l’asserzione del Betussi sulla destinazione di questo ciclo soltanto agli “intendenti”: e ad ogni buon conto nel suo “Ragionamento” ne fa un’analitica — e pedante — descrizione anch’essa naturalmente in funzione gratulatoria.

G.B. Zelotti, Papa Innocenzo IV benedice le nozze di Caterina Fieschi con Luigi degli Obizzi. Affresco, seconda metà del XVI sec. Battaglia Terme, castello del Cataio.

Villa del Cataio. Affresco di Giambattista Zelotti all’interno del Salone (seconda metà del XVI sec.). Papa Innocenzo IV benedice le nozze, celebrate il 20 aprile 1251, di Caterina Fieschi con Luigi degli Obizzi.

(racc. D. Rado)

NOTE

1 A. BALDAN, Ville venete in territorio padovano e nella Serenissima Repubblica, Abano Terme, p. 463.
2 B. BRUNELLI, La tragedia di Lucrezia degli Obizzi, Padova 1950, p. 1-2.
3 A. BALDAN, Ville venete, cit., p. 63.
4 B. BRUNELLI, A. CALLEGARI, Le ville, cit., p. 300.
5 G. BRESCIANI ALVAREZ, Aspetti dell’architettura religiosa nel territorio di Albignasego, in Albignasego. Storia e Arte, Albignasego 1985, p. 50-51.
6 G. BETUSSI, Ragionamento sopra il Catajo: luogo dell’Ill.S. Pio Enea Obizzi, Padova 1573, p. V segg.
7 S. SANÒ, Il Catajo, Tesi di laurea discussa presso l’Università di Padova, Facoltà di Lettere, A.A. 1969-1970, p. 135.
8 Il Giardino Veneto, cit., p. 114.
9 C. BELLINATI, Alvise Cornaro governatore del Vescovado di Padova, in Alvise Cornaro e il suo tempo, Catalogo mostra Padova, 7 settembre-9 novembre 1980, Padova 1980 p. 140-141.