Il Cataio, vanto di Pio Enea I degli Obizzi

Ai nuovi edifici andava unita, al fondo del cortile, la scuderia, con portico “dipinto a rustico con que’ cavalli”; la pescheria con il giardino, oltre la strada voluta sempre da Pio Enea per unire al ponte levatoio sul Rialto, e quindi alla strada pubblica, la collina della Siesa; e in fine lo scalone che permetteva di “ascendere a cavallo” alle terrazze grazie alla “qualità delle scale piane, con questo cordone di pietra viva, simili a quelle di S. Pietro, nel Palazzo del Papa in Roma et di quello di Bologna”. All’interno è molto probabile che Pio Enea inizi quella che sarà la base delle collezioni poi dai successori ampliate fino a farle divenire un vero e proprio Museo: l’armeria per la quale si hanno notizie di acquisizioni nel 1565 (sella decorata in oro da Brescia, un’armatura da Porcia) 10.

Pio Enea muore nel 1589 lasciando il Cataio alla primogenitura, che mancando passa al figlio naturale Roberto. Questi a sua volta, sposato con la ferrarese Ippolita Torelli, lascia il Cataio al primogenito Pio Enea II, con tutti “li addobbi, quadri di pittura ori et argenti e gioie mobili”.

Con Pio Enea II il complesso riceverà nuovi e importanti potenziamenti. Nato nel 1592 proprio nel castello, Pio II vi era particolarmente attaccato: ricevuto da Cosimo II il titolo di Marchese del Feudo di Orciano, sposatosi con Lucrezia Dondi Orologio nel 1629, nel quarto decennio del secolo operò numerose aggiunte, soprattutto in funzione delle attività che prediligeva; i tornei e le rappresentazioni teatrali: per le quali ultime aveva fatto costruire i teatri di Ferrara e di Padova che portavano il nome della famiglia.

Villa del Cataio.
Altra veduta del Palazzo del N.H. Obizzo alla Battaglia.

(J.C. Volkamer, Continuation…, 1714)

Anche di quest’opera, durata a detta delle fonti più di diciotto anni, resta la documentazione nella ristampa del Ragionamento di Betussi fatta dal Berni a Ferrara nel 1669, unendovi anche un’incisione che costituisce la prima documentazione iconografica del Cataio. Amplia e riorganizza i giardini e il parco, disseminandovi iscrizioni a fondo celebrativo e moralistico; nel cortile fa dipingere da Ippolito Ghirlanda e Antonio Cerva le pareti a finte architetture con nicchie nelle quali sono raffigurati giganti che daranno il nome al cortile stesso e al disopra vengono dipinte le insegne delle famiglie legate agli Obizzi per parte maschile e femminile (Dondi Orologio), “così ad imitazione dei portici persiani mentovati da Vitruvio da questa corte con le memorie della nobiltà si propongono incentivi alla virtù e al valore”. Affrescate diventano anche le due facciate della vecchia casa verso la strada, ad opera del bolognese Gabriele de Rossi “degno imitatore del Mitelli e Colonna suoi maestri”, dando “virtù alle due facciate di questa casa verso la strada e verso il giardino, di trarre a sè gli sguardi e gli applausi de’ passeggeri”: appare evidente l’intenzione propagandistica e autocelebrativa che d’altronde guidò lo stesso Pio Enea I nella decorazione delle facciate esterne del nuovo palazzo. Un radicale intervento Pio Enea II opera invece nelle scuderie, al fondo del cortile. Ridipinto il fronte ad archi e festoni, ristruttura l’interno inserendovi un teatrino a sedici palchi su due ordini, con scena attrezzata di tutto punto e una raccolta di strumenti musicali e spartiti; collocandovi accanto un gioco della palla corda e allestendo al piano superiore un’armeria particolarmente fornita “in forma di sala con regola, ed ornamento esquisito in molti armari, e su’ cavalli, ed huomini di legno ha disposto una buona quantità d’armi d’ogni sorte raccolte insieme da suoi antenati”: al centro l’obice, invenzione del nonno Pio Enea I. Anche all’interno Pio Enea II si comporta da degno erede del nonno: fa continuare cioè il ciclo celebrativo della famiglia, con episodi della vita del nonno e del padre, ed insieme unisce episodi che lo riguardano direttamente, cioè “alcune feste, fra le altre molte, o che furono inventate dall’ingegno portentoso del sig. Marchese o nelle quali operò egli medesimo”. In una stanzetta poi, fa dipingere “quattro maestose mutazioni di scena: la tracica, la galeria, il giardino, la marittima” 11.

L’intervento di Pio Enea II quindi è concentrato soprattutto all’interno e finalizzato da un lato ai suoi interessi teatrali e spettacolari, dall’altro al completamento della funzione autocelebrativa del castello. Da ricordare anche il ruolo di iniziatore delle collezioni: la quadreria, la raccolta di strumenti musicali, la biblioteca, l’armeria. Una lettera del marchese Ercole Trotti, unita all’edizione del Ragionamento di Betussi del 1669, sinteticamente illustra questo aspetto del Cataio, che sarà poi particolarmente curato da Tomaso a fine Settecento: “l’arsenale in cui regolatamente riposano lunghe schiere d’armi antiche, e moderne da lui raccolte…”; “quell’antica sala dallo stesso signore hoggi tramutata in Musco alle immagini de’ Principi, et alle glorie de’ più illustri pennelli saprà conservarlo immortale al pari di quelle si’ preziose tele: e la numerosa varietà de’ libri non meno studiati, che distribuiti da lui in vaghi stanzini saprà con mille encomi vivificarlo tra’ letterati”.

Dopo Pio Enea II, il castello assiste ad un periodo di stasi e financo di decadenza: soltanto a fine Settecento, con l’ultimo marchese della dinastia, Tomaso, si assisterà ad una ripresa soprattutto, come detto, nelle collezioni che fan diventare il Cataio una delle “ meraviglie” dello Stato Veneto. Per quanto concerne l’architettura, l’intervento di Tomaso s’accentra in particolari decorativi, nell’arcone d’ingresso ove compaiono trofei scolpiti al posto delle nicchie; nel cortile d’ingresso ove compaiono colonne sormontate da palle in trachite e le figure scolpite del Medoacus Minor e Maior; ma soprattutto nella chiesetta , che ristruttura e decora con icone e dipinti su tavola, e nel nuovo edificio del museo – costruito ex novo – sorta di lunga galleria di oltre 70 metri di lunghezza, ove venne riunita la collezione di antichità.

Battaglia, primo Novecento.
Via interna ed ingresso principali del castello Cataio.

(Cartoline)

Morto Tomaso nel 1805, divenuti proprietari gli Estensi e, alla loro estinzione, gli Arciduchi d’Austria, il complesso passò infine di proprietà di Francesco IV duca di Modena al quale spettano gli ultimi ampliamenti: per ospitare la corte viene costruito a nord il castello nuovo, blocco cubico con cortile interno che riprende le forme del castello di Pio Enea I, comprese le merlature di coronamento, collegato a quest’ultimo con una torretta racchiudente una sala ovata. Sul lungo corridoio poi che univa il vecchio castello al teatro e all’armeria, e al Museo, gli Asburgo fanno costruire un nuovo appartamento di otto stanze: nel teatro infine inseriscono la chiesetta, per l’occasione trasformata in gusto neogotico, così come appare tutt’oggi.

Pianta del castello del Cataio. Battaglia Terme.

Pianta del Cataio.

(Brunelli – Callegari, Ville del Brenta…, 1931)

Son note le vicende che poi si succedettero: passato a Francesco V e da questi a Francesco Ferdinando, arciduca ereditario d’Austria e d’Este, assassinato quest’ultimo a Sarajevo ne divenne proprietario l’arciduca Carlo che nel 1916 divenne imperatore col nome di Carlo I, ma di lì a poco destituito per la perdita della I guerra mondiale. Il complesso divenne preda di guerra e acquisito dal Governo italiano che lo rivendette alla famiglia Dalla Francesca attuale proprietaria *. Con l’arrivo degli Asburgo, il castello era stato progressivamente privato delle collezioni artistiche e archeologiche, soprattutto a fine Ottocento, destinate a Vienna, da dove soltanto monete, bronzetti e codici tornarono in Italia, a Modena 12.

Lettera inviata dall’amministratore dei beni del Cataio. Battaglia, 1893.

Battaglia, 1893. Lettera inviata dall’amministratore dei beni del Cataio.

(racc. C.R.D.B.)

* La famiglia Dalla Francesca rivendette il castello nel 2015. Il castello è ancora oggi di proprietà privata. [N.d.R.]

NOTE

11 Si veda G. BETUSSI, Descrizione del Catajo… con l’aggiunte del Co.Francesco Berni…, Ferrara 1669.
12 Ulteriore bibliografia in:
V. CORONELLI, La Brenta quasi borgo della città di Venezia, Venezia 1709, tav. 126-127.
C. CAVEDONI, Indicazione dei Principali monumenti antichi del reale Museo estense del Catajo, Modena 1842.
Guida di Padova e della sua Provincia, Padova 1842, pp. 464-466.
A. BERTI, I Colli Euganei, Padova 1845, p. 100.
A. GLORIA, Il Territorio Padovano Illustrato, Padova 1862, III, p. 102-107.
O. BRENTARI, Il Catajo, in “Corriere della Sera”, 19-20 settembre 1896.
A. BENACCHIO, Pio Enea 2 degli Obizzi Letterato e Cavaliere, in “Bollettino del Museo Civico di Padova”, IV, 1901, p. 61-72, 95-102, 123-130.
L. RIZZOLI, Il castello del Cataio nel padovano e il testamento del Marchese Tommaso degli Obizzi (3 giugno 1803), in “Archivio Veneto Tridentino”, IV, 1923, p. 127-146.
L. CROSATO, Gli affreschi nelle ville venete del Cinquecento, Treviso 1962, p. 83-89.
P. e P.L. FANTELLI, L’inventario della collezione Obizzi al Catajo, in “Bollettino del Museo Civico di Padova”, LXXI, 1982, p. 101-238.

Pier Luigi Fantelli   

Copertina del libro: Battaglia Terme. Originalità e passato di un paese del Padovano.

Testo e immagini tratti da: Pier Luigi FANTELLI, Ville venete a Battaglia Terme in Battaglia Terme. Originalità e passato di un paese del Padovano, a cura di Pier Giovanni ZANETTI, Comune di Battaglia Terme, La Galiverna, 1989, pagine 104-111 e 113.

Le due incisioni, pubblicate in J.C. Volkamer, Continuation der Nürnbergischen Hesperidum…, 1714, sono opera di Joseph de Montalegre (1696-1729).