I Colli Euganei nel “Grand Tour”

3. Le due deviazioni

Abano
Le mete delle due sole deviazioni dalla direttrice Padova-Battaglia-Monselice sono Abano ed Arquà. Si tratta di località fra le più importanti dell’area euganea, per ragioni diverse: la prima era famosa per le sue acque termali già nell’antichità classica, la seconda divenne celebre dopo essere stata l’ultimo rifugio di Petrarca. In verità, c’è una terza località euganea che accolse viaggiatori stranieri di gran nome, quali Leibniz, Percy B. Shelley e sua moglie Mary. Si tratta di Este; ma tanto il passaggio di Leibniz (1689) quanto il soggiorno dei coniugi inglesi nella villa che era stata presa in affitto da Byron (1818), si collocano al di fuori del modello del Grand Tour. Il soggiorno di Shelley sembra dovuto più che altro ad un capriccio della sorte, mentre Leibniz con il viaggio a Este eseguì una missione affidatagli dai principi di Hannover, di cui era al servizio.
In verità, anche le puntate ad Abano e ad Arquà non sembrano avere il carattere dell’ordinarietà. Più che nei giornali di viaggio le due località sono citate in quei testi dei secoli XVII e XVIII che si configurano come guide, come utili strumenti al servizio dei viaggiatori. Libri in cui è del tutto scontato che siano menzionati, sia pure in modo fuggevole, centri minori che si trovano al di fuori degli itinerari più importanti.

Bagni-Abano-1761

I bagni di Abano (da D. Vandelli, Tractatus de thermis agri patavini, Padova 1761 vedi).

Confrontando questi testi, non è raro constatare la ripetitività delle informazioni. Basti qui un esempio: ecco quanto si legge di Abano in Scoto:

I Bagni d’Abano non sono lontani da Padova che cinque miglia. Ivi si vedono due fontane di qualità assai diversa, poiché una petrifica tutto ciò che vi si mette dentro, e l’altra è minerale, e salutifera per diverse malattie, poiché vi è appresso una miniera di zolfo e di sale; si ritrovano ivi varj vestigi d’Antichità.

Lo stesso identico testo ritorna, tradotto in francese, in Deseine:

Les bains d’Abano ne sont eloignés de Padoue que de cinq rnilles. On y voit deux fontaines dont les qualitez sont fort differentes, car l’une petrifie tout ce qu’on met dedans, et l’autre est minarele et salutaire pour diverses maladies, parce qu’il y a auprés une mine de souffre et de sel.

Ma non è solo la ripetitività a caratterizzare le descrizioni. Spesso vi traspaiono approssimazione e imprecisione, come ne Le delices d’Italie di De Rogissart (1707), dove si favoleggia di una casa di Petrarca ad Abano:

Non lontano di là [Arquà] è il borgo chiamato Abano, dove si trova, a quanto si dice, la casa di quello stesso Petrarca; questo paese è importante per una sorgente d’acqua calda che vi è e che Teodorico, re dei Goti, fece circondare di mura, dopo che ne ebbe conosciute le meravigliose proprietà; ma ciò che sorprende, è che benché l’acqua sia così calda da bruciare, non vi impedisce la crescita di erbe verdissime.

Insomma, sorge il dubbio che Deseine, De Rogissart, Scoto e altri non siano mai stati veramente in molte delle località che citano nei loro testi. Ovviamente, c’è anche chi ci va veramente nei luoghi che descrive, ma può essere che non veda niente o quasi niente, come capita, almeno in certa misura, a quel Jean Laurent che nel 1837 pubblica sulla rivista austriaca “Carinthia” con il titolo Passeggiata sui Colli Euganei il resoconto di una visita ad Abano e ad Arquà.
Di Abano riesce a vedere soltanto i “vapori che salgono dalle sue sorgenti”. Niente altro: non una chiesa, non una struttura alberghiera, non una strada, non un’osteria. L’intera pagina è infarcita di erudizione: una lapide latina, una citazione da Claudiano, un elenco degli aponensi illustri, un profilo di Pietro d’Abano. Insomma, quella di Laurent non è tanto una passeggiata attraverso Abano, quanto attraverso la storiografia e l’erudizione.
Per avere informazioni dettagliate su Abano, ancora una volta è meglio ricorrere al Viaggio in Italia di Montaigne.

Arquà
Il giornale di Montaigne non ci è invece di alcuna utilità a proposito di Arquà, la meta della seconda diversione dall’asse Padova-Monselice. Il fatto che il viaggiatore francese non abbia ritenuto di raggiungere il borgo euganeo, celebre per la casa e la tomba del Petrarca, e che anche altri importanti viaggiatori l’abbiano snobbato fa nascere alcuni interrogativi: Arquà è regolarmente esclusa dalle tappe del Grand Tour? O comincia a rientrare negli itinerari dei viaggiatori stranieri soltanto a partire da una certa epoca? Purtroppo i “codici di Arquà” – così si chiamano i registri che conservano le firme dei visitatori della casa del poeta del Canzoniere – iniziano soltanto dal 1788, da quando il patrizio veneto Girolamo Zulian la prese in affitto e la restaurò. E dunque non ci sono di aiuto se non per gli ultimi due secoli.
Montaigne, come si è detto, non fu il solo a “saltare” Arquà. Di sicuro non ci andarono Coryat, De Brosses, i Goethe (padre e figlio), Seume. Eppure le “guide” del Seicento e del Settecento che citano Arquà sono numerose: Scoto, Deseine, De Rogissart, Lalande e altre ancora. Offrono però descrizioni generiche, spesso sovrapponibili, intercambiabili; aridi inventari degli oggetti conservati nella casa del poeta, che si differenziano solo per qualche dettaglio. Ecco quanto scrive il De Rogissart:

A qualche miglio da là [Rovigo] è il villaggio di Arquà, luogo che gli studi di Petrarca hanno reso celebre; la tomba di quell’uomo sapiente si vede davanti la porta della chiesa; è di marmo rosso, sostenuta da quattro colonne della stessa pietra; si vede ancora nello stesso luogo la casa dove ha dimorato e la camera dov’era la sua biblioteca.

Testi come questi non ci aiutano a rispondere agli interrogativi posti sopra. Probabilmente sarebbe più produttivo scandagliare più a fondo la letteratura di viaggio. Credo che i testi ancora sconosciuti in Italia non siano pochi e che dal loro esame possano in futuro venire scoperte interessanti.

Arquà-casa-Petrarca-c-1830

Arquà, la casa del Petrarca (incisione di P. Chevalier, c. 1830).

Per adesso, sulla base degli elementi oggi a disposizione, mi pare si possa affermare che le visite ad Arquà si infittirono nell’Ottocento. Qualche anno fa ho avanzato l’ipotesi che questa più intensa frequentazione sia stata almeno in parte una conseguenza della fortuna dei versi del quarto canto del Childe Harold’s pilgrimage di Byron ispirati alla tomba: non può essere una mera coincidenza se molti viaggiatori stranieri che sostarono ad Arquà nell’Ottocento nei resoconti della loro visita accennano al poeta romantico inglese.
Si può inoltre supporre che abbiano pesato anche le famose pagine foscoliane delle Ultime lettere di lacopo Ortis. Di sicuro, ad esempio, quelle pagine le conosceva Stendhal, che, come si è visto, nel 1817 raggiunse l’ultima dimora del Petrarca.
Ecco, a parziale e provvisoria conferma di quanto ipotizzato, una rassegna delle visite più illustri del primo Ottocento. Byron ci va due volte: a dar credito al libro delle firme, l’11 settembre 1817 con John Hobhouse e il 3 giugno 1821. Nel 1817 tocca a Stendhal, l’anno dopo a Shelley. Una decina di anni più tardi raggiunse Arquà da Venezia il poeta tedesco von Platen, che peraltro non sembra molto impressionato dalla visita. Le dedica una fuggevole annotazione: “16 ottobre 1829. Ieri ho fatto una scappata in carrozza ad Arquà per vedere la tomba e la casa del Petrarca. […] La casa del Petrarca è situata in alto e ha una piacevole veduta. Una sedia, che si conserva, è frutto dell’antico lavoro di intaglio, e piena di buon gusto come quella dell’Ariosto”.
Pochi mesi prima vi passa anche Antoine Valery. Per questi Arquà è l’unica località degna di segnalazione tra Padova e Rovigo. Ma invano si cercherebbe qualche spunto originale nella pur ampia descrizione della casa e della tomba. A Valery la pagina su Arquà serve soprattutto a fare sfoggio della propria erudizione. D’altra parte il titolo della sua opera Voyages historiques et litteraires en Italie (1826-1828) non promette niente di diverso.
Dieci anni dopo ci va il già citato Laurent, proveniente da Abano. Anche qui, come nella località termale, la lente del visitatore è quella dell’erudizione, ma, per fortuna, un po’ meno spessa. La descrizione del luogo resta comunque sul generico: “Il villaggio è poco più di una rovina e conta solo 1000 abitanti. La piccola chiesa parrocchiale è costruita su una collina e non contiene nulla di particolarmente interessante”. Ma ad Arquà, se non altro, il pesante bagaglio storico-letterario non gli impedisce di buttar giù qualche osservazione non convenzionale:

Il busto fu danneggiato da qualcuno che ne perforò un occhio con un colpo di moschetto: se l’ignoto tiratore avesse colpito anche l’altro, avrebbe compiuto un atto meritorio indicando nel poeta il dio cieco dell’amore dei Colli Euganei. Nel sarcofago si nota un pezzo di marmo più recente e i contadini raccontano che anni or sono la tomba fu violata e un braccio della salma rubato: il fatto è singolare e io devo ritenere che si sia trattato di un ladro esteta.

Insomma, per molti viaggiatori Arquà è un santuario, in cui si va a sciogliere un voto. Non c’è tempo né motivo per fare altro, per distrarsi, per guardare oltre la tomba, per affacciare lo sguardo dalle finestre della casa del poeta. Il contatto con il”sacro” – il nume del cantore di Laura – ottunde, se non annulla completamente, ogni capacità di osservazione. Il viaggio ad Arquà, alla tomba e alla casa del poeta, diventa un rito da celebrare religiosamente.
Ovviamente ci sono le eccezioni. Ben altra capacità di osservazione, rispetto ad un Laurent o a un Valery, dimostrerà alla fine del secolo Joseph Widman, uno scrittore di lingua tedesca noto come compagno di viaggi di Brahms. Nel capitolo dedicato ad Arquà di un suo giornale di viaggio in Italia non c’è posto solo per la tomba e la casa del poeta. C’è il paesaggio, ben descritto nelle sue peculiarità, non un paesaggio abbozzato in modo convenzionale. Ci sono anche scene di vita quotidiana: contadini in abito domenicale che parlano in dialetto; due ragazzi che su un gelso raccolgono le foglie per i bachi. Perfino uno squarcio di lotta politica, con il volantino attaccato alla tomba del Petrarca che esorta i cattolici a non votare e il delegato di polizia che invita i contadini a non disertare le urne.
Ma siamo nel 1895 e dunque ormai fuori dal contesto Grand Tour.
È iniziata la stagione del turismo, che prima sarà fenomeno di élite, poi di massa. E con il turismo il viaggio diventa una vacanza, non è più concepito come un’esperienza formativa. Ha, tra l’altro, una durata più breve del Grand Tour, anche perché si usano i nuovi mezzi di trasporto. Widman arriva a Battaglia in treno provenendo da Lucca. Ha con sé il Baedeker, dove trova le informazioni (a dire il vero, imprecise) per la sistemazione in albergo. E, proprio come il tipico turista di oggi, non vuole lasciare Arquà senza acquistare un souvenir. Indizio, appena percettibile in questo caso, che il turismo si avvia a diventare un’industria.
Va peraltro precisato che il passaggio dal Grand Tour al turismo non avviene in modo brusco. Non c’è una frattura netta tra i due modi di viaggiare, ci sono anche persistenze e continuità. Questo vale anche per l’area euganea, dove il turismo moderno ha portato con sé i problemi tipici di ogni fenomeno di massa, ma anche nuove opportunità. Opportunità che in verità solo da pochi anni si incominciano a cogliere, con un ritardo che affonda le radici nel passato, come attesta un episodio, modesto in sé ma assai significativo, raccontato proprio dall’ultimo viaggiatore citato.
Nel lasciare Arquà, si è detto, Widman vorrebbe portare con sé almeno un ricordo fotografico della casa di Petrarca, ma, per quanto insista, il suo desiderio resta inappagato. Ne resta deluso, ma anche sorpreso, soprattutto perché in Germania aveva fatto esperienze molto diverse. Dal confronto tra la visita alla casa di Goethe a Francoforte e quella alla casa del Petrarca ad Arquà scaturisce una considerazione sulla scarsa intraprendenza “turistica” degli italiani, che, almeno per l’area euganea, avrebbe conservato attualità fin quasi ai giorni nostri:

Mentre nella casa di Goethe a Francoforte ci si può comprare ricordi fotografici a piacimento, qui non si poteva avere niente di simile. Eppure al custode gliene chiesero centinaia di volte. In queste cose gli Italiani, altrimenti molto attenti al guadagno, sono incredibilmente poco intraprendenti.

Francesco Selmin

NOTE

3. Le due deviazioni

Su Abano:
I passi da Scoto e Deseine sono tratte dai volumi citati sopra. Quello di De Rogissart da Les delices de l’Italie, Paris 1707, I, p. 200. La località è citata anche in J. Lalande, Voyage en Italie, Paris 1786, IX, p. 64. Download gratuito: vol. 1 (ed. 1790)  books.google.it Nella stessa pagina possono essere trovati altri volumi.
J. Laurent, Wanderung nach den euganeischen hugeln. Mitgetheit aus dem Tagebuche meiner Reisen, “Carinthia” (Klagenfurt), 1837, n 27, pp. 110-112. Ringrazio Tomaso Boniolo per la traduzione.

Su Arquà:
E. Macola, I codici di Arquà dal maggio 1788 all’ottobre 1873, Padova 1874. Per le firme di Byron si vedano le pagine 184 e 185. Download gratuito: books.google.it
Per i rapporti di Byron con Arquà rinvio al saggio di Francesco Rognoni pubblicato in questo volume. Per quanto concerne Foscolo, mi riferisco ovviamente alla famosa lettera dell’Ortis nella quale il protagonista del romanzo epistolare descrive la visita ad Arquà.
Che Stendhal conoscesse il romanzo foscoliano, lo deduco dal seguente passo di Rome, Naples et Florence: “Je connais une lourde copie de Werther, intitulée Lettres de Jacopo Ortis“. Cito da Y. Hersant, Italies. Anthologie des voyageurs francais aux XVIII et XIX siècles, Paris 1988, p. 811.
A. von Platen, Die Tagebucher, Hildesheim – New York 1969, II, p. 913. Il passo riportato è stato tradotto da Lorena Favaretto che ringrazio.
J. Widman, Sizilien und andere Gegenden italiens. Reisen mit Johannes Brahms, Frauenfeld 1912. Il capitolo su Battaglia e Arquà è stato pubblicato nella traduzione di Waltraud Salat in “Terra d’Este”, VI (1996), n. 11, pp. 51-61.

Terra d'Este 18, luglio-dicembre 1999.Questo articolo è stato pubblicato nel numero 18 (luglio-dicembre 1999) della Rivista di storia e cultura TERRA D’ESTE, alle pagine 7-26.

In questo numero di “Terra d’Este” sono raccolti i contributi degli studiosi che hanno partecipato al convegno “Viaggiatori stranieri sui Colli Euganei e nel Veneto”, svoltosi il 7 ottobre 2000 nella villa Selvatico-Sartori di Battaglia Terme, per iniziativa del Comune di Battaglia, con la collaborazione delle Aziende di Promozione Turistica di Padova e delle Terme Euganee, del Parco Regionale dei Colli Euganei e del Consorzio Giotto.