Filigrane della cartiera di Battaglia (1350-1450)

Censimento delle diverse filigrane che caratterizzano la carta prodotta a Battaglia nell’arco di un secolo: dal 1350 al 1450. L’indagine è stata effettuata presso l’Archivio di Stato di Padova.

Primo censimento delle filigrane
della cartiera di Battaglia (1350-1450)

Nella prefazione di un voluminoso studio eseguito a più mani, apparso recentemente per iniziativa dell’ Istituto centrale per la patologia del Libro, Carlo Federici racconta di un incontro avuto con Jean Irigoin, un noto ricercatore francese dedito allo studio dei codici greci, e del colloquio che ne seguì sulla possibilità “di condurre due ricerche parallele: la prima in Francia sulle carte non filigranate e la seconda in Italia su quelle filigranate”, concludendo che la seconda si prospettava più agevole poiché a differenza della prima “poteva fornire quei riferimenti topici e cronologici dei quali la carta orientale era del tutto priva”. Il lavoro che ne uscì, a distanza di tempo, è raccolto nell’opera La carta occidentale nel tardo Medioevo, due tomi di quasi mille pagine complessive che alla cartiera di Battaglia, e in particolare alla carta uscita dai suoi tini, riserva solo qualche breve accenno. Le ragioni di questo silenzio si possono individuare nella scarsa attenzione, almeno rispetto alla mole notevole di carta prodotta, che gli studiosi hanno riservato al centro produttivo padovano. Nemmeno l’entità consistente delle filigrane è riuscita ad attirare l’attenzione dei ricercatori, così che l’unico studio rimane il vecchio e quasi antiquato lavoro di Domenico Urbani. Ma vediamo di ricostruire, seppur a rapidi cenni la singolare avventura della carta filigranata partendo dalle origini, per giungere all’illustrazione del lavoro che qui si vuol presentare.

La fabbricazione della carta

Fu nel XII secolo che venne introdotta in Italia la carta, portata dai mercanti che avevano contatti con gli arabi. La prima cartiera araba d’Europa sorse in Spagna ed è verosimile che impianti manifatturieri per la produzione della carta simili a quelli spagnoli venissero impiantati tra il XII e XIII secolo anche in Italia (ad Amalfi, in Liguria, nelle Marche e altri centri collegati ai traffici commerciali con il Mediterraneo).
Rispetto alla pergamena, il nuovo materiale era più sottile, meno resistente e si strappava facilmente, tanto che veniva usato per la redazione di documenti che non erano destinati a durare nel tempo. Nel 1221 l’imperatore Federico II proibì in un editto l’uso della carta per la redazione dei documenti pubblici 1; anche a Padova, nel 1285, negli Statuti del Comune venne espressamente vietato l’uso della carta bombacina per la redazione di documenti ufficiali 2. Fu negli ultimi decenni del XIII secolo che nelle cartiere di Fabriano si introdussero quelle innovazioni che permisero di produrre carta di qualità migliore, ben diversa da quella araba.
Dal secolo XI, se non prima, si era pensato di adattare i mulini, con leve che trasformassero il movimento rotatorio in movimento alternativo. Questo sistema fu applicato nelle cartiere di Fabriano: l’antica macina, usata dagli arabi per sminuzzare e triturare gli stracci, fu sostituita con i magli chiodati, che davano al pesto una maggiore finezza e omogeneità, migliorarono la resa, diminuendo il prezzo di fabbricazione e permisero di produrre carta di qualità superiore. I maestri cartai di Fabriano migliorarono poi il processo di collatura, sostituendo le colle vegetali usate in oriente, a base di amido, responsabile del rapido deterioramento della carta, con gelatine e colle animali; curarono molto la satinatura, che venne eseguita da operai specializzati.

Pila idraulica a magli multipli proveniente da Fabriano.

Pila idraulica a magli multipli proveniente da Fabriano, utilizzata per triturare in acqua vecchi stracci ed ottenere la pasta da carta.

Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci [CC BY-SA 4.0 ], attraverso Wikimedia Commons con modifiche.

Dalla seconda metà del secolo XIV, i cartai cominciarono a Sentirsi “stretti” a Fabriano e si spostarono in altri centri: si stabilirono a Voltri, a Padova, a Treviso e crearono altri due grandi centri nei pressi di Genova e nella Repubblica di Venezia (a Salò, sul lago di Garda). Dall’Italia, la nuova materia prima venne esportata dai mercanti in tutta Europa e ben presto si cominciò a far venire direttamente dalla penisola i maestri cartai per diffondere la conoscenza del loro mestiere e produrre carta anche fuori dai confini italiani.
La carta veniva fabbricata a mano e la tecnica di fabbricazione rimase sostanzialmente immutata in tutto il periodo della stampa manuale, fino alla fine del XVIII secolo, quando vennero introdotte significative modifiche per il miglioramento della produzione. Non ci sono fonti medievali che ci descrivano le tecniche di fabbricazione: notizie sicure sono reperibili da disegni, illustrazioni o progetti tecnici che risalgono alla fine del XVI secolo 3, mentre le prime fonti descrittive sono di epoca settecentesca.
La materia prima per la fabbricazione della carta erano gli stracci usati (di cotone, lino e canapa), raccolti generalmente da commercianti specializzati, che venivano portati vicino alla cartiera, e sottoposti a cernita: venivano suddivisi in bianchi e colorati, fini, mediani e infimi, destinati rispettivamente alla carta di prima qualità, a quella ordinaria e per uso commerciale. Le cernitrici, munite di coltello, tagliavano gli stracci, ne disfacevano orli e cuciture, e li smistavano in grandi casse.

Le cernitrici suddividevano gli stracci, li tagliavano e li smistavano.

Le cernitrici suddividevano gli stracci in base alla tipologia e alla qualità; quindi li tagliavano, smistandoli poi in grandi casse.

Di Sokoljan2 [CC BY-SA 4.0 ], da Wikimedia Commons con modifiche (particolare).

In Italia gli stracci venivano preventivamente sottoposti a lavatura in una tina bucata sul fondo (in modo che l’acqua potesse sgocciolare e avere un continuo ricambio), e agitati spesso per liberarli dallo sporco. Successivamente si disponevano in mucchi quadrati ben coperti con teli di sacco, fino a quando non si fossero macerati (una settimana circa): l’operazione di fermentazione era infatti fondamentale per ottenere pasta di buona qualità. La fase successiva era quella della triturazione e raffinazione, mediante i martelli o magli del mulino ad acqua, per ottenere la pasta di carta.
Nei primi secoli, le cartiere nacquero dalla ristrutturazione interna di edifici posti lungo il corso dei fiumi e già dotati di una ruota idraulica (mulini per macinare il grano, gualchiere, ferriere) 4. Il defluire dell’acqua faceva girare quest’ultima, che imprimeva il movimento all’albero, munito di una serie di sporgenze di legno: esse servivano ad azionare, sollevandoli, magli e pestelli che si muovevano all’interno delle vasche di legno contenenti gli stracci. I magli e i pestelli avevano chiodi e punteruoli appuntiti e taglienti nelle prime tre pile vicine alla ruota, dove gli stracci venivano sminuzzati e triturati, mentre nelle altre due, riservate alla raffinatura, avevano solo chiodi a testa piatta.

Due esempi di pile idrauliche (la prima è chiamata dall’autore padovano pistogio) poste all’interno di mulini adattati allo scopo. Azionate dall’energia idraulica, pestavano e trituravano gli stracci, trasformandoli in una pasta fine, materia prima per fabbricare la carta.

Di Paul K [CC BY-2.0] attraverso flickr con modifiche
Di Daderot (Opera propria) [Public domain o CC0], attraverso Wikimedia Commons

La pasta ottenuta veniva immessa in un tino pieno d’acqua; qui il maestro cartaio tuffava la forma, telaio di legno fornito di un vaglio a fili di ottone, per filtrare l’acqua e trattenere la pasta.
Ad ogni tina erano addetti in genere due operai. Il primo, chiamato tuffatore o lavorente attingeva dalla tina la pasta con la forma completa di coperta 5, la scuoteva continuamente, in modo che la pasta si distribuisse e sedimentasse uniformemente, scolando l’acqua in eccesso. Poi, rimossa la coperta, deponeva la forma piena di pesto su una tavoletta unita alla tina, per ripetere l’operazione con una seconda forma. Il secondo operaio, detto stenditore o ponitore, toglieva il foglio ottenuto dalla forma e lo stendeva su un feltro di lana destinato ad assorbire l’acqua. Fogli e feltri venivano alternati, per formare la posta, che quando era completa, veniva trasportata sotto il torchio, in modo da toglier la maggior quantità d’acqua possibile. Il levatore staccava i fogli dai feltri, per essere asciugati nello stenditoio.

La fase centrale della produzione della carta a mano.

Il maestro cartaio immergeva la forma nella vasca contenente la pasta, raccogliendone la giusta quantità. Il tuffatore o lavorente prendeva la forma e la scuoteva, per renderne omogenea la distribuzione e togliere l’acqua in eccesso. Lo stenditore o ponitore toglieva il foglio dalla forma e lo stendeva su un feltro di lana. Una certa quantità di fogli intervallati ai feltri costituivano la posta, che veniva pressata con il torchio per togliere ulteriormente l’acqua.

Di Daderot (Opera propria) [Public domain o CC0], attraverso Wikimedia Commons

Per evitare che il foglio, destinato ad essere scritto, assorbisse l’inchiostro, veniva spalmato di una colla che lo rendesse impermeabile e liscio. I fogli incollati venivano poi portati nello stenditoio grande ad asciugare. Quindi si procedeva alla satinatura e alla lisciatura mediante selce. Finalmente la carta, generalmente in pacchi di venticinque fogli e in risme di venti pacchi, lasciava il mulino per essere destinata alla vendita e al consumo.
Per fabbricare la carta occorreva molta acqua, e acqua purissima, necessaria sia al funzionamento dei magli, sia per triturare la pasta. Secondo il Briquet, per produrre un chilo di pasta ne servivano circa duemila litri. Quest’acqua rispondeva a determinate condizioni: doveva essere limpida e pura (per non tingere la carta di bruno come capitava quando nell’acqua era presente del terriccio) e per questo molti molini da carta si trovano a monte del corso dei fiumi, inoltre, avendo maggior corrente, l’acqua veniva utilizzata anche come forza motrice per azionare i magli.
Bisognava inoltre poter disporre di una grande quantità di vecchi stracci o corde, non facilmente reperibili. La necessità di trovarli spinse i cartai a stabilirsi nei pressi di un centro urbano e in seguito a richiedere all’autorità l’istituzione di monopoli per l’incetta degli stracci 6 in quanto la domanda di carta cresceva continuamente: era destinata alle varie attività quotidiane, istituzionali (cancellerie e università) e commerciali e, con l’avvento della stampa, la richiesta si moltiplicò ed i maggiori clienti dei cartai furono i tipografi 7.

La forma

Dal procedimento manuale di fabbricazione derivano alcune caratteristiche peculiari del foglio di carta, che conserva l’impronta della forma.
La forma è costituita da un telaio di legno di quercia, la cui grandezza, misurata all’interno, è di qualche millimetro superiore a quella del corrispondente foglio di carta da produrre: il foglio di forma. Le dimensioni del foglio di forma variano a seconda dell’epoca e del luogo. Per l’Italia, un’epigrafe bolognese non datata (fine sec. XIV), ci ha tramandato le dimensioni e le denominazioni dei più diffusi formati prodotti in quel tempo:
Imperiale 500 x 725 mm
reale 440 x 725 mm
mezzana 345 x 490 mm
rezzuta 310 x 440 mm

Misure e denominazioni dei formati della carta prodotta a Bologna nel secolo XIV.

Iscrizione marmorea databile alla fine del sec. XIV in cui sono riportate le misure e le denominazioni dei formati della carta prodotta a Bologna in quel tempo (Museo civico di Bologna).

Da: Claudio GRANDIS, La cartera di pubblica ragione nella villa della Battaggia, in Battaglia Terme. Originalità e passato di un paese del Padovano, a cura di Pier Giovanni ZANETTI, Comune di Battaglia Terme, La Galiverna, 1989.

Secondo Briquet la mezzana corrisponde al formato delle carte italiane più antiche (fine sec. XIII e inizio sec. XIV), la reale e la rezzuta fanno la loro comparsa a partire dal 1310 e diventano i formati più diffusi in tutto il secolo, mentre la più recente è l’imperiale, documentata dal 1379, il cui uso è molro più raro. In base al formato, in epoca medievale, veniva anche fissato il peso minimo di ogni tipo di carta, indipendentemente dalla qualità. 8
Il foglio di carta fatto a mano, presenta sempre una trama che riproduce la struttura metallica della forma: al telaio di legno erano fissati e tesi dei fili metallici, in rame o in ottone, fittissimi e sottili quelli in senso orizzontali, chiamati vergelle, mentre più distanziati quelli in senso verticale, i filoni. I filoni erano sorretti, per evitare l’imbarcamenro, da bastoncelli, chiamati colonnelli, che venivano inseriti nei fori posti nel lato lungo della forma.
In pratica quando la forma veniva immersa nella pasta di carta, le fibre che componevano il foglio si adagiavano sopra le vergature della forma, lasciando delle impronte più serrate in senso orizzontale (vergelle) ed altre più distanziate verticali (filoni). Si è notato come nella carta più antica la tramatura sia meno visibile, dato l’eccessivo spessore e la scarsa omogeneità della pasta, e le vergelle siano più distanziate.

Di Daderot [Public domain o CC0], da Wikimedia Commons
Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci [CC BY-SA 4.0 ], attraverso Wikimedia Commons con modifiche

Osservando il foglio in trasparenza inoltre, oltre ai segni lasciati da questi fili, è visibile anche la filigrana.
La filigrana, chiamata anche marca d’acqua (watermark in inglese, Wasserzeichen in tedesco), era un marchio, anch’esso di filo metallico, modellato in modo da formare un disegno (lettera dell’alfabeto, immagine, figura, un simbolo) che doveva lasciare la sua impronta visibile in trasparenza nel foglio. La filigrana, nella forma, veniva appoggiata di solito a un filone supplementare (detto portante), che serviva da supporto, tra i due filoni adiacenti, la cui distanza era perciò maggiore. Al fondo della forma la filigrana veniva fissata mediante punti di cucitura, cioè fili metallici, visibili (attraverso la fotografia o meglio la beta-radiografia) come una serie di piccoli punti lungo i contorni del disegno.
La filigrana veniva posta da una parte, in modo che venisse a trovarsi nel giusto mezzo di una delle metà del foglio piegato in due (poteva trovarsi anche nella metà opposta dal momento che il foglio poteva presentarsi girato o capovolto al torcoliere).

Il sistema di lavoro previsto era lo stesso per ogni cartiera: per ciascun tino si usavano due forme contemporaneamente (una veniva immersa nella pasta, mentre l’altra era lasciata sgocciolare) usate in coppia, che portavano una filigrana molto somigliante, ma il cui disegno tuttavia non poteva essere rigorosamente identico sia per l’esecuzione manuale, sia per la qualità della materia usata.
Da queste diversità, che si osservano in forme della medesima coppia destinate alla stessa tina durante il ciclo di produzione (uno, massimo due anni), sono da distinguere quelle differenze volute, che si riscontrano nella nuova coppia di forme, che sostituiva quella usurata (lo stesso simbolo veniva ad esempio ripetuto con l’aggiunta di qualche segno o con misure diverse, o messo in una posizione differente del foglio). In questo modo è evidente come le cartiere usarono degli accorgimenti per riconoscere e distinguere i prodotti di ciascuna tina e del singolo ciclo; inoltre nella medesima cartiera potevano essere adoperati anche motivi diversi, contemporaneamente o a distanza di tempo. 9
Questo complesso e variegato panorama tipologico, trova riscontro in un’articolata e precisa terminologia: 10
– filigrane gemelle sono quelle, in tutto simili, appartenenti a una coppia di forme adibite simultaneamente allo stesso tino
– filigrane identiche sono quelle appartenenti alla medesima forma
– filigrane omonime sono quelle che presentano genericamente lo stesso motivo
– filigrane eteronime sono quelle che presentano motivi diversi
– filigrane simili sono quelle che presentano lo stesso motivo, ma con qualche lieve differenza, così che resta esclusa l’appartenenza alla stessa forma o alla stessa coppia
– filigrane divergenti sono quelle che, rispetto alle precedenti, presentano più marcate differenze
– filigrane consanguinee sono quelle, anche di disegno diverso usate in una stessa cartiera durante tutto il suo ciclo produttivo
– filigrane sorelle sono quelle appartenenti alla stessa cartiera che presentano lo stesso motivo.

La filigrana fu senza dubbio un’invenzione italiana. La più antica sembra essere stata la croce greca di Bologna del 1282 circa, ma sembra che la sua invenzione sia dovuta ai maestri cartai di Fabriano. 11 Il suo primo significato fu quello di indicare, quale marchio di origine, la cartiera di provenienza. A Fabriano le prime filigrane erano costituite da lettere dell’alfabeto, rappresentanti le iniziali dei nomi dei cartai. In seguito le tipologie si diversificarono e si trovano impiegati come filigrane i segni più diversi (provenienti dal mondo vegetale o animale, simbolistica religiosa, arti meccaniche, ecc.), destinati ad informare il cliente sulla provenienza, il formato, la qualità della carta, oltre, ovviamente, al nome del fabbricante. 12
A partire dalla fine del sec. XV insieme alla filigrana è presente sul foglio di forma anche una contromarca. La sua origine è da mettere in relazione con l’uso assai antico di adoperare come filigrana le iniziali dei cartai. Successivamente però il ripetersi di filigrane molto simili anche per fabbricanti diversi (a causa del moltiplicarsi delle cartiere), suggerì di adoperare le iniziali solo come contromarca. Prima che quest’uso si generalizzasse, i fabbricanti, per meglio identificare i loro prodotti, inserivano la contromarca nel disegno stesso della filigrana, personalizzandola con l’aggiunta delle iniziali o di altri segni distintivi.

NOTE

1 Per la storia della carta e delle cartiere in Italia vedi: La carta occidentale nel Tardo medioevo, Roma, 2001, 2 v.; M. CALEGARI, Contributi italiani alla diffusione della carta in occidente tra XIV e XV secolo, Convegno di Studio, 22 luglio 1988 a cura di Giancarlo Castagnari, Fabriano, 1988; Produzione e commercio della carta e del libro secc. XIII-XVIII: atti della ventitreesima settimana di studi, 15-20 aprile 1991 a cura di Simonetta Cavaciocchi, Firenze, 1992; R. SABBATINI, Di bianco lin candida prole: la manifattura della carta in età moderna e il caso toscano, Milano, 1990; P.F. TSCHUDIN, Le development technique de la papeterie, de ses debuts en Asie à l’Europe de la Renaissance, in Le papier au Moyen age: histoire et techniques, edité par Monique Zerdoun, bat-Yehouda, Turnhaut, 1999, pp. 1-16; G. CASTAGNARI, Carte e cartiere nelle Marche e nell’Umbria dalle manifatture medioevali all’industrializzazione, Fabriano, 1993; L. FEBVRE, H-J. MARTIN, La nascita del libro, Bari 1985.
2 A. GLORIA, Statuti del comune di Padova dal sec. XII all’anno 1285, Padova 1873.
3 G. PICCARD, Cartiere e gualchiere in Produttività e tecnologie nei secoli XII-XVII: atti della terza settimana di studio, 23 aprile – 29 aprile 1971, a cura di Sara Mariotti, Firenze, 1981; Griselini, Dizionario delle arti e de’ mestieri, Venezia, 1769, v. 4; DIDEROT, D’ALEMBERT, Encyclopédie, Paris, 1769, alla voce papeterie, pp. 1205-1207.
4 R. SABBATINI, La produzione della carta dal XIII al XVI secolo: strutture, tecniche, maestri cartai, in Tecnica e società nell’Italia dei secoli XII-XVI, Pistoia, 28-31 ottobre 1984: Xl convegno internazionale, Pistoia, 1987, p. 41.
5 La coperta era un telaio di dimensioni leggermente ridotte rispetto alla forma che si inseriva sopra quest’ultima.
6 L. N. ROSENBAND, Formazione ed evoluzione dei centri della produzione della carta, in Produzione e commercio della carta, pp. 49-71.
7 J. BREjOUX, Le passage du papier artisanal au papier de grande serie à la fin du XV siècle, in Le papier au Moyen age: histoire et techniques, Turnhaut, 1999, pp. 233-236.
8 G. ZOPPELLA, Manuale del libro antico: guida allo studio e alla catalogazione, Milano, 1992.
9 R. RIDOLFI, Le filigrane dei paleotipi: saggio metodologico, Firenze, 1957, p. 22-23.
10 G. ZOPPELLA, Il libro antico a stampa: struttura, tecniche, tipologie, evoluzione, Milano, 2001.
11 A. ZONGHI, Le marche principali delle carte fabrianesi dal 1293 al 1599, Fabriano 1881 (Sala Bolognese, 1979); A. ZONGHI, Le antiche carte fabrianesi, Fano, 1884. [rist. anast., stampa 1981].
12 C. BRIQUET, Notice sur le recueil des filigranes ou marques des papiers présenté à l’exposition rétrospective de la papeterie à Paris, en 1900, Genève, 1900; J. IRIGOIN, Une serie de filigranes remarquable: les noms de papetiers de Fabriano (debut du XIV siècle), in Le papier au Moyen age, pp. 137-147.