Piante bibliche nel territorio euganeo

Piante bibliche nel territorio euganeo. Prima parte del catalogo realizzato a seguito della mostra allestita nel 2001 dapprima a Battaglia Terme e poi a Monteortone.

PIANTE BIBLICHE
NEL TERRITORIO EUGANEO

A cura di
Mariano Brentan
Marcello Milani
Antonio Todaro

PREMESSA ALLA MOSTRA

1) Bibbia e Botanica, un connubio possibile?

L’idea della mostra è maturata dal vivo e diffuso interesse per il Libro fondamentalmente religioso che è alla base della nostra cultura occidentale. Un’attenta lettura, oltre a momenti di riflessioni bibliche e teologiche, offre occasioni per ripensare tematiche naturalistiche e “botaniche” dense di contenuto culturale, sociale, spirituale, intrecciando delle strade che solitamente il naturalista e il botanico, da un versante, e il biblista, da un altro percorrono in modo solitario e parallelo. Questo connubio può aiutare a illustrare ulteriormente l’ambiente in cui la parola di Dio si è manifestata, a meglio comprendere espressioni e immagini attraverso le quali la verità si rende accessibile. Non è casuale che ogni figura sia collegata a qualche ambiente. I Patriarchi vivono nel deserto o attorno ad alcuni alberi e pozzi; Davide è collegato a pecore, spade o strumenti musicali; Gesù si esprime in parabole attinte dal mondo contadino (il seme, l’albero del fico, i fiori del campo) o da quello del lago (la pesca e i pesci buoni e cattivi); Paolo invece usa immagini più cittadine o commerciali, si riferisce ai viaggi o alle navi (sciogliere le vele) o al vestiario del soldato per esprimere le virtù del cristiano. Tra le oltre centotrenta piante, riportate dal testo sacro, ne sono state individuate una ottantina che per lo più si trovano anche nei colli Euganei e nel territorio padovano.

Battaglia Terme, le valli Selvatiche viste dall’argine del canale Bisato, al tramonto.

Battaglia Terme, le valli Selvatiche viste dall’argine del canale Bisato, al tramonto. In primo piano l’esteso vigneto e, sulla sommità del colle di Sant’Elena, la Villa Selvatico.

Foto di Alessandra Lanza.

La maggior parte di esse è perciò molto nota e la citazione biblica, che si trova accanto ad ogni pianta, propone di rendere accessibili alcune di queste suggestive contaminazioni fra la botanica e la fonte scritta, pur con tutti i rischi che tale operazione comporta. È in quest’ottica e nella consapevolezza delle difficoltà, insite in questa ricerca, che si sono ritrovati incontri e si sono fissate convergenze utili per avvicinarsi alla vita, alla storia, alla cultura grandiosa e complessa di un popolo, che al mondo delle piante chiedeva quotidianamente cibo, farmaci, vesti, aromi, ornamenti, significati simbolici e religiosi, termini di paragone e messaggi sociali, in un rapporto continuo e reciproco con Dio. Queste piante indicano una stretta interdipendenza tra l’uomo e la terra (agricoltura, alimentazione, farmacopea, tradizioni, racconti, proverbi) e di entrambi con Dio (calendari delle feste, testi profetici, rituali, simbologie). In tal modo esse diventano strumenti per accedere alla storia della mentalità, del vivere quotidiano, del paesaggio, dell’agricoltura, che emerge, delle condizioni di vita delle classi nobiliari e subalterne e per comprendere il racconto di uno stato d’animo, la notazione di un avvenimento “casuale”, il ritratto di un personaggio o di una categoria, l’analisi di un sogno, il serpeggiare delle emozioni, la crisi di un individuo, la forza morale, la fede in certi valori. Spiragli che aiutano ad accostarci ad un popolo, ai suoi desideri, alle sue azioni, ai suoi sogni e alla sua realtà, ai successi e anche ai più amari insuccessi.
La mostra ha anche un’altra finalità: propone il territorio euganeo come un laboratorio privilegiato per la comprensione della cultura materiale del luogo intrecciata con la storia economica, sociale, del costume e della vita quotidiana, senza scadere nella mera curiosità.
Alcune delle specie esposte sono abbastanza simili a quelle menzionate nella Bibbia; altre, specialmente quelle coltivate, sono per lo più differenti, poiché selezionate dall’uomo in molteplici varietà. Infine non si può non ricordare che la vegetazione attuale di Israele è molto diversa da quella biblica: alcune piante si sono estinte e altre, introdotte da paesi talora molto lontani, si sono spontaneizzate nel territorio.
Perciò una identificazione della pianta biblica rimane accettabile fino a prova contraria e comunque solo con riserva.
Se tutto ciò avesse provocato disagio a qualche credente ebreo o cristiano, non era intenzione degli organizzatori negare la legittimità di una lettura devota della Bibbia, senza interrogarsi su questi problemi.

Olivo monumentale (disegno).

2. La Bibbia … un libro solo religioso?

La Bibbia non è solo un libro religioso e sacro. Una lettura mirata può consentire di trarre da tale libro una completa enciclopedia quantomai ricca e articolata, cui forse potrà mancare organicità e sistematicità, ma non certo numeri, varietà e complessità di argomenti, per così dire laici, che attraversano l’agricoltura, le tecniche di coltivazione, il paesaggio agrario, recuperando il lavoro del contadino alla sua dimensione storica. In questo testo si trova suggerito un intreccio di discipline lontane e diverse, che qui si incontrano, si frequentano, si richiamano, raccordando finalità essenzialmente spirituali, con vistose tracce di usi, costumi, stili di vita, diffusi in un’estesa area geografica assai differenziata dal punto di vista geologico, climatico, vegetazionale.
In questo senso, il testo sacro diviene testimone del suo tempo, voce di un’epoca, di un’atmosfera, di un mondo che ha registrato eventi quotidiani ed eccezionali all’interno di una trama profonda di consuetudini, modi di vivere riconducibili all’identità di un popolo. Spesso affiora l’indugio sul valore simbolico, metafisico, antropologico del mondo della natura, in generale, e quello delle piante, in particolare. Tra la valenza positiva di questo mondo e gli aspetti concreti del quotidiano, si può collocare un vasto capitolo di quella botanica popolare (etnobotanica, dal greco étnos=”popolo”), che rivela conoscenze gastronomiche, pratiche terapeutiche e agronomiche, identità rituali, scambi fra culture limitrofe socialmente diversificate, ma facilmente riconoscibili poiché dovevano soddisfare esigenze molteplici, materiali e anche spirituali dell’uomo.

2.1 Botanica e salute

La guarigione è dono di Dio, ma anche opera dell’uomo (il medico), al quale Dio dona la sua arte. Questa opera di mediazione è compiuta in Siracide. Le “opere” sono le opere di Dio, che continua a dare agli uomini e alle cose una partecipazione alla sua potenza guaritrice, diffondendo così il bene sulla terra. Il benessere dipende da Dio e dal buon uso dei medicamenti che egli ha diffuso sulla terra e che il saggio sa scoprire.

«Onora il medico come si deve secondo il bisogno,
anch’egli è stato creato dal Signore.
Dall’Altissimo viene la guarigione,
anche dal re egli riceve doni.
Da Dio il medico diviene saggio
dal re riceve doni.
La scienza del medico lo fa procedere a testa alta,
egli è ammirato anche tra i grandi.
Il Signore ha creato medicamenti dalla terra,
l’uomo assennato non li disprezza.
Dio ha dato agli uomini la scienza
perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie.
Con essi il medico cura ed elimina il dolore
e il farmacista prepara le miscele.
Non verranno meno le sue opere!
Da lui proviene il benessere sulla terra».
(Siracide 38, 1-7)

Secondo la legge ebraica la protezione della vita (propria e altrui) e la tutela della salute sono obbligatorie. Quest’obbligo, qualora sia in pericolo la vita dell’uomo, è preminente su tutte le regole della Toràh. (Di Segni, 1976).

2.2 Alimentazione

L’alimentazione, nei paesi mediterranei, era imperniata sulla coltura dei cereali, dei legumi e delle più comuni piante dell’orto e poi della vite, dell’olivo e di alcuni alberi da frutto. Sono le “piante della civiltà” attorno a cui si formò un sistema alimentare, assai articolato e variegato, non solo ebraico. La prima immagine di questo tipo di alimentazione induce a riflettere su una gastronomia “locale” aperta verso l’orto, il campo e il prato, realtà naturalistiche ricche di profondi significati umani e perciò difficili da immaginare senza rapportarle all’uomo, alle sue azioni, alle sue idee, ai suoi progetti spesso condizionati da sensi di attesa, di speranze, di sogni. Per la maggior parte di questa gente grano, vite, ulivo sono stati i punti di forza di un’alimentazione a forte caratterizzazione vegetale, impostata sul pane, sulle farinate, sul vino, sull’olio e sulle verdure. Il tutto era integrato da carne e formaggio proveniente per lo più da pecore e capre che frequentavano i prati incolti. Da qui la necessità di incontrare una civiltà contadina che doveva fare i conti con le carenze tecniche dell’epoca e con le complesse condizioni geografiche, pedologiche e climatiche necessarie per ottenere una buona produzione. Per questa società il vino, l’olio e il pane, soprattutto il pane, caratterizzarono un regime alimentare povero cui si attenevano i contadini e più in generale i ceti subalterni. Ciò non significò che solo i contadini e i poveri fossero consumatori di pane. Lo erano anche i signori, che ne consumavano, ma di qualità diversa. In questo tipo di dieta, la carne e il pesce erano cibi di lusso, riservati per lo più ai ricchi, fatta eccezione per i periodi di festa (Gower, 2001).

Piante di frumento (Triticum) di varie specie, illustrazione.

Varietà di frumento (Triticum), illustrazione.

Amédée Masclef [Public domain], attraverso Wikimedia Commons, con modifiche.

Nel tempo, il pane divenne qualcosa di più; si intrise di profumi e sapori in cui si sono stratificate memorie ancestrali, valori simbolici, usi e connotazioni sociali e culturali tali da considerarlo espressione della stessa vita. Unitamente al vino e all’olio divennero simboli alimentari sacri e strumenti per una religione, sorta in ambito mediterraneo, che traeva dalla coltura del grano, della vite e dell’olivo riferimenti ed immagini per divulgare i suoi messaggi, per spiegare i suoi misteri, per alimentare i suoi riti. Vi è un sermone di Agostino che identifica la preparazione del pane con la formazione del cristiano: «Questo pane racconta la vostra storia. È spuntato come grano nei campi. La terra l’ha fatto nascere, la pioggia l’ha nutrito e l’ha fatto maturare in spiga. Il lavoro dell’uomo l’ha portato sull’aia, l’ha battuto, ventilato, riposto nel granaio e portato al mulino. L’ha macinato, impastato e cotto in forno. Ricordatevi che questa è anche la vostra storia».

Il brano seguente offre il quadro di un’alimentazione povera, monotona e razionata, in tempo di carestia, facendo tra l’altro dei miscugli abbastanza diversi a cui i sacerdoti non erano abituati (cfr. Lv. 19, 19).

«Prendi grano, orzo, fave, lenticchie, miglio, spelta/farro; mettili in un recipiente e fattene del pane. Ne mangerai durante tutti i giorni che tu rimarrai disteso sul fianco, cioè 190 giorni. Il cibo che prenderai sarà del peso di venti sicli al giorno (meno di 200 grammi)».
(Ezechiele 4, 9)

Piante di miglio.

Piante di miglio.

Pubblico dominio, attraverso Wikimedia Commons, con modifiche.

Uno spaccato del cibo d’Egitto, ci viene offerto, invece, nel lamento o “mormorazione” del popolo nel deserto. Esso ricorda con nostalgia il cibo saporito a cui aveva accesso in Egitto, pur nella condizione di schiavitù. La fame e il cibo quotidiano, povero e semplice, della “manna” fa dimenticare la preziosa libertà guadagnata.

«La gente raccogliticcia, che era tra il popolo, fu presa da bramosia, ma di cibo; anche gli Israeliti ripresero a lamentarsi e a dire: “Chi ci potrà dare carne da mangiare. Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. Ora la nostra vita inaridisce; non c’è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna”. La Manna era simile al seme del coriandolo e aveva l’aspetto della resina odorosa».
(Numeri 11, 4-7)

Coriandolo (Coriandrum sativum), illustrazione.

Coriandolo (Coriandrum sativum), illustrazione.

Franz Eugen Köhler, Köhler’s Medizinal-Pflanzen, Public domain, attraverso Wikimedia Commons, con modifiche.

II nutrimento fondamentale in Israele viene sintetizzato nei doni portati dagli amici per soccorrere Davide che fuggiva dopo il colpo di stato del figlio Assalonne.

«Quando Davide giunse a Macanaim… portarono letti e tappeti, coppe e vasi di terracotta, grano, orzo, farina, grano arrostito, fave, lenticchie, miele, latte acido e formaggi di pecora e di vacca, per Davide e la sua gente, perché mangiassero; infatti dicevano: “Questa gente ha patito fame, stanchezza e sete nel deserto”».
(2 Samuele 17, 28-29)

Un altro passo ci ricorda l’abbondante offerta di Abigail, moglie di Nabal, che si era rifiutato di offrire beni a Davide e ai suoi compagni, come prezzo della “protezione” concessa ai suoi greggi, mediante il controllo del territorio. Davide ne riconoscerà la saggezza e, quando il marito morirà, la manderà a prendere come sposa.

«Abigail allora prese in fretta duecento pani, due otri di vino, cinque arieti preparati, cinque misure di grano tostato, cento grappoli di uva passa e duecento schiacciate di fichi secchi e li caricò sugli asini».
(1 Samuele 25, 18)

Non mancano, come già possiamo intravedere dai brani citati, indicazioni sul modo di preparare il cibo. Oltre al pane misto di Ezechiele, all’uva passa e alle schiacciate di fichi secchi, si ricordano il pane all’olio e la focaccia cotta sulla piastra.

«Il Signore parlò al profeta Elia e disse: “Alzati, va’ a stabilirti in Zarepta di Sidone (una città fenicia, oggi Sarafand). Ecco io ho dato ordine a una vedova di là per il tuo cibo”. Egli si alzò e andò a Zarepta. Entrato nella porta della città, ecco una vedova raccoglieva la legna. La chiamò e le disse: “Prendimi un po’ d’acqua in un vaso perché io possa bere”.
Mentre quella andava a prenderla, le gridò: “Prendimi anche un pezzo di pane”. Quella rispose: “Per la vita del Signore tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ di olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo”.
Elia disse: “Non temere; su, fa’ come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché dice il Signore: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non si svuoterà finché il Signore non farà piovere sulla terra”.
Quella andò e fece come aveva detto il profeta Elia. Mangiarono Elia, la vedova e il figlio di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia».

(1 Re 17, 8-16)

Bartholomeus Breenbergh, Elia e la Vedova di Zarepta. Olio su tavola, intorno al 1630. Collezione privata.

Elia e la Vedova di Zarepta. Bartholomeus Breenbergh, olio su tavola, intorno al 1630. Collezione privata.

Bartholomeus Breenbergh, Public domain, attraverso Wikimedia Commons, con modifiche.


«Elia impaurito si alzò e se ne andò per salvarsi… Si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto un ginepro. Desideroso di morire disse: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”.
Si coricò e si addormentò sotto il ginepro. Allora, ecco un angelo lo toccò e gli disse: “Alzati e mangia!”. Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio di acqua. Mangiò e bevve, quindi tornò a coricarsi.
Venne di nuovo l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: “Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”. Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb».

(1 Re 19, 4-5)

La preparazione delle minestre è ricordata più volte, come la minestra immangiabile, preparata forse con rucola o altra erba amara, che i “figli dei profeti” ritengono avvelenata e che il profeta Eliseo rende commestibile con una manciata di farina (2 Re 4, 38-41). La più famosa è probabilmente la minestra di lenticchie: per un piatto di lenticchie Esaù vendette la primogenitura a Giacobbe.

«Giacobbe aveva cotto una minestra (di lenticchie) ed Esaù venne dalla campagna ed era sfinito. Esaù disse a Giacobbe: “Lasciami mangiare un po’ di questa (minestra) rossa, perché sono sfinito”. E Giacobbe disse: “Vendimi subito la tua primogenitura”. Rispose Esaù: “Ecco io sto morendo: a che mi serve una primogenitura?”. Disse Giacobbe: “Giurami subito”; ed egli giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. E Giacobbe diede a Esaù pane e minestra di lenticchie. Egli mangiò e bevve, si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura».
(Genesi 25, 34)

Lenticchia (Lens culinaris), illustrazione.

Lenticchia (Lens culinaris), illustrazione.

Johann Georg Sturm (Painter: Jacob Sturm), Public domain, attraverso Wikimedia Commons, con modifiche.

2.3 Agricoltura e allevamento

I libri sacri sono intessuti di norme, precetti, metafore; testimoniano l’uso di pratiche agronomiche; divengono lo specchio di contingenze ambientali e di sperimentazioni; sono l’espressione di livelli culturali acquisiti, di fisionomie materiali del paesaggio in un rapporto dinamico fra uomo e ambiente, di creatività culturale, che consente di intuire uno scambio di informazioni tra i diversi strati della società.
In questo senso, nella Bibbia si può ritrovare il primo capitolo della storia dell’agronomia occidentale, poiché riferisce di pratiche agrarie (dall’aratura alla semina, dalla mietitura alla spigolatura, dalla vendemmia alla vinificazione), di organizzazione del lavoro umano, di strumenti messi in atto per uno stabile controllo del territorio da parte di un popolo orientale che, insediato sulle rive del Mediterraneo, nel tempo avrebbe esercitato un profondo e duraturo influsso sull’impiego delle risorse naturali e sull’intima struttura delle associazioni umane europee, pur sapendo che ogni epoca è signora di se stessa.

2.3.1 Coltivazione della terra

Il documento seguente indica che la terra è un bene inalienabile che appartiene solo a Dio; non può quindi essere venduta per sempre, ma solo per un tempo limitato, trascorso il quale, il proprietario primordiale doveva rientrarne in possesso. La legge intendeva impedire l’accaparramento delle terre denunciato dai profeti.

«Il Signore disse a Mosè sul monte Sinai: “….Quando entrerete nel paese che vi do, … per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore; non seminerai il tuo campo e non poterai la tua vigna. Non mieterai quello che nascerà spontaneamente dal seme caduto nella mietitura precedente e non vendemmierai l’uva della vigna che non avrai potata; sarà un completo riposo per la terra.
Ciò che la terra produrrà durante il riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua schiava, al tuo bracciante e al forestiero che è presso di te; anche al tuo bestiame e agli animali che sono nel tuo paese servirà di nutrimento quanto essa produrrà.
Le terre non potranno essere vendute per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini».

(Levitico 25, 3-7)

Il Monastero di Santa Caterina e il Monte Sinai (Egitto).

Il Monastero di Santa Caterina e il Monte Sinai (Egitto).

Foto di Makalu, attraverso pixabay, con modifiche.

I brani che seguono offrono uno spaccato della tradizione agricola (aratura, seminagione, mietitura di cereali) con l’uso degli animali. Ad esempio non era possibile arare aggiogando due animali appartenenti a specie diverse:

«Non arare con un bue e un asino insieme».
(Deuteronomio 22, 10)

Era proibita anche la messa a dimora in un campo coltivato di semi appartenenti a specie diverse (es. frumento e orzo), come anche la commistione dei vestiti:

«Non seminerai il tuo campo con due sorta di semi, né porterai veste tessuta di due materie diverse».
(Levitico 19, 19)

Era però consentito porre altri semi ai margini del coltivo, probabilmente contro la magia che crea angoscia, paura e perenne insicurezza. Il brano che segue richiama un’agricoltura efficace con accenno ai prodotti abbondanti del campo. L’arte di coltivare è dono della sapienza di Dio.

«Porgete l’orecchio e ascoltate la mia voce,
fate attenzione alle mie parole.
Ara forse tutti i giorni l’aratore in vista della semina,
rompe e sarchia la terra?
Forse non ne spiana la superficie,
non vi semina la nigella e non vi sparge il cumino?
E non vi pone grano e miglio e orzo e spelta/farro lungo i confini?
E la sua perizia rispetto alla regola gliela insegna il suo Dio.
Certo, la nigella non si batte con il tribbio,
né si fa girare sul cumino il rullo,
ma con una bacchetta si batte la nigella
e con la verga il cumino.
Il frumento vien schiacciato,
ma non lo si pesta all’infinito;
e vi si spinge sopra il rullo
e gli zoccoli delle bestie non lo schiacciano.
Anche questo è dal Saggio;
il Signore degli eserciti lo fa uscire:
egli fece mirabile il consiglio,
grande il successo/vittoria».

(Isaia 28, 23-29)

Nigella (Nigella sativa), illustrazione.

Nigella (Nigella sativa), illustrazione.
Cumino (Cuminum cyminum), illustrazione.

Cumino (Cuminum cyminum), illustrazione.

Attribuzioni. Franz Eugen Köhler, Köhler’s Medizinal-Pflanzen, Public domain, attraverso Wikimedia Commons, con modifiche. | Franz Eugen Köhler, Köhler’s Medizinal-Pflanzen, Public domain, attraverso Wikimedia Commons, con modifiche.

In un passo, alcune traduzioni vorrebbero riconoscere un’allusione ai ceci, ma sembra trattarsi piuttosto di foraggio per animali, forse “biada saporita o salata” che ricorda un proverbio arabo: «Il foraggio dolce è il pane dei cammelli, ma quello salato è il loro companatico».

«Allora (il Signore), al posto del pane dell’afflizione e dell’acqua della tribolazione concederà la pioggia per il seme che avrai seminato nel terreno, e il pane, come prodotto della terra: sarà abbondante e grasso. In quel giorno, il tuo bestiame pascolerà su un vasto prato. E i buoi e gli asini che lavorano la terra mangeranno biada saporita, ventilata con la pala e con il vaglio».
(Isaia 30, 23-24)

Al cibo insipido o saporito rinvia il documento seguente:

«Raglia l’asino sulla sua erba
o ruggisce il toro sulla sua biada/foraggio?
Si mangia forse un cibo insipido?
Che gusto c’è nell’acqua o infuso di malva?».

(Giobbe 6, 5-6)

Quando si mieteva il grano, si raccoglievano le olive o si vendemmiava la vigna, non si doveva tornare indietro. Le spighe cadute a terra, le olive, che non erano cadute dall’albero, e i grappoli d’uva, che erano stati dimenticati, dovevano essere lasciati per essere raccolti dai poveri.

«Quando, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova, perché il Signore benedica in ogni lavoro delle tue mani.
Quando abbacchi il tuo olivo, non ripassare ciò che resta indietro: sarà per il forestiero, per l’orfano e la vedova.
Quando vendemmi la tua vigna, non tornare indietro a racimolare; sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Ricordati che sei stato schiavo in Egitto; perciò ti prescrivo di fare questo».

(Deuteronomio 24, 19-22)

2.3.2 Utilizzo delle risorse naturali

I documenti che seguono, testimoniano come agricoltura e allevamento siano un processo che si amalgama e si inserisce nella vita di un popolo sino a far diventare preminente una riflessione sull’organizzazione materiale del suolo e sulla vitalità delle coperture vegetali, da cui dipende l’alimentazione degli animali e quindi la vita dei pastori. In questo contesto, emergono alcune problematiche connesse con l’interazione tra coltivazione, allevamento e spazi geografici disponibili, l’antropofilia animale e vegetale, i rapporti tra gli uomini. Alcuni brani aiutano anche a comprendere le complesse relazioni tra i pastori e la vitalità dei pascoli.
Il territorio viene diviso per avere terreno sufficiente per tutti, uomini e animali.

«Abram era molto ricco di bestiame, argento e oro… Ma anche Lot (suo nipote), che andava con Abram, aveva greggi e armenti e tende. Il territorio non consentiva che abitassero insieme, perché avevano beni troppo grandi e non potevano abitare insieme. Per questo sorse una lite tra i mandriani di Abram e i mandriani di Lot, mentre i Cananei e i Perizziti abitavano nel paese.
Abram disse a Lot: “Non vi sia discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli. Non sta forse davanti a te tutto il paese? Sepàrati da me. Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; se tu vai a destra, io andrò a sinistra”.
Allora Lot alzò gli occhi e vide che tutta la valle del Giordano era un luogo irrigato da ogni parte (prima che il Signore distruggesse Sodoma e Gomorra); era come un giardino del Signore, come il paese d’Egitto, fino ai pressi di Zoar. Lot scelse per sé tutta la valle del Giordano e trasportò le tende verso oriente. Così si separarono l’uno dall’altro. Abram si stabilì nel paese di Canaan e Lot si stabilì nelle città della valle e piantò le tende vicino a Sodoma».

(Genesi 13, 2-12)

Una divisione equa è la premessa per un futuro migliore. È quanto avviene tra Esaù e il fratello Giacobbe dopo la riconciliazione.

«Esaù prese le mogli e i figli e le figlie e tutte le persone della sua casa, il suo gregge e tutto il bestiame e tutti i suoi beni, che aveva acquistati nel paese di Canaan, e andò nel paese di Seir, lontano dal fratello Giacobbe. Infatti i loro possedimenti erano troppo grandi, perché essi potessero abitare insieme, e il territorio, dove essi soggiornavano, non poteva sostenerli per causa del loro bestiame. Così Esaù si stabilì sulle montagne di Seir. Ora Esaù è Edom».
(Genesi 36, 6-8)

2.3.3 I doni della terra promessa

La terra promessa è il paese che ha fatto sognare gli ebrei, che per quaranta anni vagarono nomadi nel deserto, un luogo riarso, privo di piante e di sorgenti. Doveva essere “un paese dove scorre latte e miele” con sorgenti e acque che attraversavano valli e monti, piogge abbondanti e condizioni climatiche e pedologiche tali da consentire l’affermazione di un efficace allevamento e di una redditizia agricoltura. In questa terra gli ebrei avrebbero trovato sette specie di piante: grano, orzo, vite, fico, melograno, olivo e dattero.

«Il Signore Dio tuo ti introdurrà in una terra buona, terra di acque e di fonti, nei cui campi e nei cui monti erompono gli abissi dei fiumi, terra di frumento e orzo e vite e fico e melograno, terra di ulivo d’olio e miele, dove non mangerai il pane della miseria, e godrai di abbondanza di ogni cosa; le cui pietre sono ferro e dai cui monti scaverai il rame. Mangerai dunque a sazietà e benedirai il Signore Dio tuo a causa del paese fertile che ti avrà dato».
(Deuteronomio 8, 8-10)

Il testo biblico non scrive solo olivo ma precisa una terra di olivo, quasi a sottolineare che il popolo ebraico conosceva queste piante e possedeva anche le pratiche colturali, una buona capacità di utilizzo agricolo del suolo e anche i modi per ricavarne i prodotti; in breve, aveva una precisa concezione agronomica delle risorse agricole del territorio.

Le coltivazioni di Israele biblico (mappa basata su dati parziali).

A testimonianza dell’abbondanza dei prodotti è il racconto della esplorazione del paese di Canaan prima di entrarvi. Mosè inviò dodici uomini, uno per ogni tribù.

«Giunsero fino alla valle di Escol (a nord di Ebron), dove tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga (o una portantina), e presero melagrane e fichi. Quel luogo fu chiamato valle di Escol a causa del grappolo d’uva che gli israeliti vi tagliarono».
(Numeri 13, 23-24)

Tra i prodotti scelti vi erano anche quelli che Giacobbe invia in Egitto come dono per ringraziare del grano concesso ai figli da parte di colui che si rivelerà essere il suo figlio Giuseppe, ritenuto morto.

«Prendete nei vostri bagagli i prodotti scelti del paese e portateli in dono a quell’uomo: un po’ di balsamo, un po’ di miele, di resina e laudano, pistacchi e mandorle».
(Genesi 43, 11)

Un buon prodotto è il lino, coltivato tra gli orti e le vigne per la fibra presente nello stelo. I suoi filamenti finissimi, morbidi e tenaci, servirono per tessere vesti e biancheria. I semi furono utilizzati per le virtù medicamentose. Un breve passo ci ragguaglia sulla stagione della sua coltivazione.

«Il lino(pistah) e l’orzo(se’orah) erano stati colpiti (dalla grandine), perché l’orzo era in spiga e il lino in fiore.
Ma il grano e la spelta/farro non erano stati colpiti, perché tardivi».

(Esodo 9, 31-32)

Un curioso episodio mostra che il lino fu utile per nascondere alcune spie inviate da Giosuè in avanscoperta per esplorare il paese. Ricercate dal re di Gerico, queste, aiutate dalla prostituta Rahab, si rifugiano in un nascondiglio coperto da alcuni fasci di lino. Raccolto prima dell’orzo (aprile), il lino veniva collocato sul tetto delle case, a cui si accedeva mediante una scala, ove poteva seccarsi facilmente.

«(Rahab) li aveva fatti salire sul terrazzo e li aveva nascosti sotto i mannelli di lino che vi aveva accatastato».
(Giosuè 2, 6)

Lo si ritrova anche nell’arredamento di un banchetto elegante e nella descrizione delle vele di una nave raffigurante la città di Tiro.

«Vi erano cortine di lino fine e cotone».
(Ester 1, 6)
«Di lino ricamato d’Egitto era la tua vela che ti servisse d’insegna, di giacinto e scarlatto delle isole di Elisà era il tuo padiglione».
(Ezechiele 27, 7)

Della moglie ideale, descritta alla fine del libro dei Proverbi, si dice che

«Tesse drappi di lino e li rivende, una cintura vende al commerciante».
(Proverbi 31, 24)

Lino (Linum usitatissimum), illustrazione.

Lino (Linum usitatissimum), illustrazione.

Prof. Dr. Thomé’s Flora von Deutschland, Österreich und der Schweiz, in Wort und Bild, für Schule und Haus ; mit … Tafeln … von Walter Müller., Public domain, attraverso Wikimedia Commons, con modifiche.

2.3.4 Il calendario di Ghezer

Quando gli ebrei lasciarono l’Egitto, si organizzarono secondo un calendario, che recuperava, da un lato l’esperienza egiziana e dall’altro la vita di un popolo che viveva nel deserto e che scandiva il suo tempo rapportandosi al sole e alla luna. Nel computo di questo calendario, coesistono perciò due sistemi di calcolo: quello solare, che si identifica con la durata dell’annata agricola, e quello lunare, che si riferisce nelle sue unità alle quattro fasi della luna e viene usato per calcolare i mesi. I nome dei mesi spesso rinviano a lavori agricoli. Così Ethanim (1 Re 8, 2), il mese del costante fluire, indica il momento dell’anno in cui i corsi d’acqua sono in piena; Aviv, “spiga”, cioè il tempo in cui matura il grano; Ziv (1 Re 1,37), il tempo della fioritura.
Oltre che per calcolare il tempo, questo calendario veniva usato per determinare le date esatte in cui cadevano le feste e le sagre.

«Dio ordinò: “Vi siano delle lampade nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per feste, per giorni e per anni e facciano da lampade nel firmamento del cielo, per illuminare la terra».
(Genesi, 1, 14-15)

Perciò le unità di tempo, le stagioni e i mesi, non sono numeri e calcoli astratti; si muovano in sintonia con il ciclo della vita che si ritrova nei campi e nei boschi frequentati da una società agricola e pastorale, che viveva in luoghi ove i campi di grano, di vigne e di olivi si alternavano ai boschi, ai pascoli e ai prati incolti.
Nel 1908 a Ghezer, località situata a Nord-Ovest di Gerusalemme, è stata trovata una tavoletta d’argilla su cui era inciso un documento relativo alla vita agricola del periodo biblico più antico.
È l’esercizio mnemonico di uno scolaro che doveva tenere a mente i principali lavori agricoli.
Può ricordare una filastrocca del tipo “trenta giorni ha novembre… “. Vi si può cogliere il segno di una integrazione tra sensibilità ecologica e naturale saggezza.

Due mesi sono per il raccolto delle olive (settembre/ottobre)
Due mesi sono per piantare il grano (novembre/dicembre)
Due mesi sono per le semine del lino (gennaio/febbraio)
Un mese è per la raccolta del lino (marzo)
Un mese è per la raccolta dell’orzo (aprile)
Un mese è per la mietitura e i festeggiamenti (maggio)
Due mesi sono per la cura delle viti (giugno/luglio)
Un mese per la frutta dell’estate (agosto)

(Le semine di gennaio e febbraio riguardavano miglio, piselli, lenticchie, meloni e cetrioli)

La vendemmia in un antico mosaico romano.

La vendemmia in un antico mosaico romano.

JPS68 via photoshop, Public domain, attraverso Wikimedia Commons, con modifiche.