In trincea con il conforto della fede

23 dicembre -giovedì- :

Appena fuori, la luna ancora risplendeva; si ebbe caffè, pane, carne, formaggio, cioccolata e vino; tutto assieme.
Poi alle 2 si partì per la prima linea. Si fece la solita strada che si faceva quando si portava l’acqua, senza incorrere in disgrazie.
Giungemmo al comando 1^ buca della croda 146, così (è) nominata la posizione. Da lì cominciarono a scoprirci i razzi austriaci. Allora bombe a mano e fucileria. Si dovette stare a terra fino alle 3.
Un freddo terribile: chetato il fuoco, a carponi ci si portò in 1^ linea che era ancora notte. Ma (non ebbi) nemmeno la metà della paura dell’altra volta.
Mi cercai una buca scavata nel sasso da una parte. Dalla parte del fronte una muraglia di sacchetti di terra ancora (in mano) degli austriaci. Depositai tutta la mia roba dentro; fra l’altro avevo anche un litro di vermout. Poi mi ci sedetti sopra; dissi un poche di orazioni e aspettai il giorno; che venne bello: un sole! Uscii sempre a schiena bassa per paura di qualche palla.
Dico il vero: all’occhio non si poteva presentare panorama migliore, da quei colli che sono inzuppati di sangue e pieni di cimiteri.
Si vede benissimo Monfalcone, si vede l’Isonzo che parte da montagne cariche di neve e va al mare e anche questo (fiume) col sole risplende. Il colle poi non è tanto alto ,ha la terra rossa come il 6 Busi, ma ha degli scogli, sassi grandissimi, bianchi come latte. Dalle trincee nemiche poi siamo lontani venti metri, tanto che le vedette devono presentarsi alle feritoie con lo scudo.
Le trincee loro sono precise delle nostre, fornite di potenti reticolati davanti che se, ma speriamo che non succeda, si volesse andare alla presa di queste ci vuole la gelatina.
Ora sono le 10 e sono nella mia trincea a scrivere il presente (diario). Fra due ore monto di vedetta. Passai il rimanente della giornata al sole, girando di trincea in trincea.
Da una feritoia vidi un austriaco morto, proprio vicino al buco (di osservazione). Delle altre cose poi ne vidi, (ma) da non poter scrivere.
Montai di vedetta dalle 5 alle 7 (pomeridiane). Si spararono, ma in aria, 3 caricatori, poi ritornai in trincea.
Noto che è coperta di lamierino, tutto bucato dagli shrapnel. Dunque (è) pericoloso per la notte dormirci: ma (sarà) come piacerà a Dio!
Ogni tanto piovevano sopra sassi, pallottole. Ci si consigliò di mettere un riparo di sacchetti di terra. Intanto alle 2 di notte venne il rancio.

24 dicembre -venerdì- :

Fu distribuito il rancio, ma io non mangiai né la carne né il formaggio sapendo che era il venerdì, vigilia di Natale. Più tardi, cioè alle 5 di mattina, montai come mio turno di vedetta. Stetti fino alle 7. Poi presi un po’ di caffè al ghiaccio con pagnotta e niente altro. Il rimanente della giornata (lo passammo) a riempire sacchetti di terra per metterli sopra il lamierino e già alle 3 dopo pranzo finimmo.
Ora sono le 4. Mangiai pagnotta e un pezzetto di cioccolata, presi un po’ di vermout, me ne ero portato un litro, e basta. Ora aspetto per montare (di vedetta).
Intanto ricevo una lettera da Beniamino con le cartoline del paese e bolli: mi diverto proprio a guardarle.
Il vestiario, quando si monta di vedetta, è una cosa che fa anche da ridere. Ci si mette un cappotto pesantissimo (da scolta), gli occhiali per i gas asfissianti, la maschera per gli stessi gas e così si va davanti allo scudo. (53) Oggi (sono stati) uccisi 10 austriaci che mangiavano.
Attorno alla mia schiena vidi, in questi posti, 3 Generali. Ora monto di vedetta: sono le 5. Passai 2 ore anche bene al mio posto.
Finché attendevo al buio dissi il Rosario. Ritornato in trincea alle 7, trovai 4 compagni che mi aspettavano per dire il Rosario, se ero contento. E festeggiai nella nostra “tomba” la notte di Natale. Fui contento. Abbiamo acceso una candela e, (dopo averla) internata in un buco, prendemmo in mano tutti la corona e la si disse completa, cioè tutti i 15 misteri, con la novena alla Madonna di Pompei, poi la tredicina a S. Antonio.
Poi venne l’ordine di lavorare giacché l’oscurità lo permetteva. A me per ora non toccava perchè appena smontato (di vedetta); però non dormii dallo sfinimento che avevo. Alle 2 poi sentii un compagno lagnarsi e lo vidi sorretto da due: era ferito a una spalla, ma leggermente. Fu poi condotto al posto vicino di medicazione. Alle 3 venne il rancio.

Note

53 – La prima guerra mondiale porta con sé la responsabilità di aver adottato su larga scala una delle più mostruose forme di conflitto mai apparse nella storia umana: l’aggressione con i gas asfissianti. Il primo attacco avvenne sul fronte occidentale il 22 aprile 1915 e provocò 5000 vittime fra i soldati francesi. Il 29-7-1916 il lancio di gas fosgene sul S. Michele e al Bosco Cappuccio (S. Martino del Carso) provocò 3000 morti e 4000 ricoverati fra i soldati delle Brigate “Regina” e “Pisa”. Un altro lancio di gas su Tolmino-Plezzo il 24-10-1917 fece 600 morti nella Brigata “Friuli”. Durante l’attacco sul S. Michele apparvero anche mazze ferrate che vennero usate per finire i nemici agonizzanti per effetto dei gas asfissianti.
Durante la guerra furono distribuite 7 milioni di maschere antigas di produzione nazionale (scarsamente efficaci) e 2 milioni di respiratori inglesi, molto più idonei alla difesa dai vari tipi di gas. Verso la fine della guerra venivano prodotte in Italia circa 30.000 maschere antigas al giorno.

Fante con maschera antigas.

Fante con maschera antigas.

25 dicembre -sabato- :

Io continuai a riposare fino alle 5, ora di montare di vedetta. Piove a dirotto, un’acqua pei camminamenti fino sopra le scarpe. Ci fu dato un cappotto impermeabile e tornai alla vedetta. Stetti 2 ore (durante le quali) credetti di svenire.
Appena ritornato in buca presi la carne di ieri e il pane, tutto al ghiaccio, e li divorai. Poi, col favore di due pezzetti di scaldarancio, mi scaldai una tazza di caffè, ci misi dentro della cioccolata e lo consumai con piacere.
Poi uscii e andai dal mio Tenente per augurargli le buone feste. Mi offrì un bel bicchierino di “Strega”. Ora mi sento benissimo; peccato che piova perché avevo già il permesso di andare a Messa alla Cava.
Ora sono in trincea col Caporale col quale abbiamo trovato 4 sacchetti di bossoli ormai consumati. Li abbiamo puliti e con quelli ho la speranza di avere presto una licenza. Oggi in tutto il fronte c’è un silenzio che pare un paradiso. Nemmeno una fucileria. Venne però ordine di stare attenti per le vedette perché da uno dei nostri ospedali da campo era fuggito un austriaco ferito che potrebbe saltare le trincee.
A sera però cominciò una fucileria indiavolata. Io montai di vedetta proprio in un momento terribile. Le bombe a mano facevano tremare la terra. (54) Questo durò mezz’ora sotto la luce dei razzi che pareva ci fosse il sole. Poi tornò la calma. Continuò sempre qualche colpo.
Tornai in trincea alle 11 di notte. Non potei dormire dai pidocchi che mi tormentavano e la pioggia che mi bagnava tutte le coperte. Così stetti fino alla mattina.

Santa Messa celebrata al campo.

Una Santa Messa celebrata al campo.

Note

54 – Le bombe a mano si suddividevano in offensive e difensive.
Le offensive erano quelle granate che esigevano la protezione del lanciatore dietro un qualsiasi riparo o in trincea, a causa del fatto che le schegge da esse prodotte si irraggiavano a distanza maggiore di quella alla quale l’ordigno poteva essere gettato.
Erano considerate difensive quelle granate, denominate anche “petardi”, che potevano essere utilizzate rimanendo allo scoperto (ad esempio avanzando di corso contro le posizioni avversarie), dato che lo scoppio immediato al momento dell’urto e le poche e leggere schegge generate non rappresentavano di solito un pericolo per chi le adoperava: queste bombe contavano più sull’effetto stordente che non sul potere lesivo dei frammenti ed erano usate di frequente per “ripulire” le posizioni avversarie da ogni resistenza nelle drammatiche sequenze del combattimento a corpo a corpo.

Bomba a mano difensiva e bomba a mano offensiva.

Bomba a mano offensiva (a sinistra) e bomba a mano difensiva.

26 dicembre -domenica- :

Alle 8 rimontai di nuovo. Proprio in quelle due ore l’artiglieria nostra prese a far saltare la trincea nemica, lontana da noi venti metri. Contai venti granate che vedevo benissimo piombare dalla feritoia. Spiegare il disastro che facevano è cosa impossibile. Tremava tutta la collina e ai nostri orecchi, dopo ogni colpo, restava un sibilo che poi non si sentiva niente (ci assordava). Ritornato in trincea trovai il caffè freddo e con lo scadarancio lo feci bollire.
Vi immersi della cioccolata e mi mangiai mezza pagnotta.
Intanto venne fuori il sole e noi, sempre a vita curva, siamo fuori a prenderlo e nello stesso tempo cacciamo i pidocchi. Ne presi intorno (addosso) a me 18.
Nel più bello cominciò una tempesta di granate austriache sulla nostra 2^ linea che faceva saltare per aria sacchi di terra, sassi. Di conseguenza dovemmo ritirarci al sicuro, cioè in trincea.
Ora sono le 3; il tempo comincia ad annuvolarsi e da dentro la nostra trincea parliamo del più e del meno sulla pace augurandoci che presto questa parola venga nella bocca di tutti.
Tutto il rimanente della giornata le granate volarono da tutte le parti.
A sera, alle ore 8, montai di vedetta fino alle 10. Una fucileria nemica e noi rispondevamo alla stessa maniera. Poi andai a dormire; ma i soliti cimici mi tormentavano. Pazienza!
Venne intanto mattina.

27 dicembre -lunedì- :

Alle 8 montai di vedetta e si sparava. Che fossimo stati scoperti? Cominciarono a cadere vicino al nostro posto delle bombe a mano che facevano tremare la trincea. Allora facemmo silenzio fino all’ora del cambio.
Ritornato nella trincea coperta abbiamo acceso uno scaldarancio e abbiamo fatto bollire il caffè. Lo prendemmo con sommo piacere dato il freddo e il tempo nebbioso che ci copre.
Più tardi, cioè alle 11, cominciò il 149 a parlare. (55) Il monte tremava e noi siamo al nostro posto.
Più tardi fu processato al vicino Comando un soldato perché durante l’altro periodo passato in trincea, era scappato al momento dell’assalto. Si prese la degradazione, ossia levate le stellette, e condannato all’ergastolo. (56)
Il rimanente della giornata (passa) è calmo; ma ci tocca lavorare per alzare certi punti di trincea pericolosi pei passaggi.
Alle 6 (di sera) ormai è notte. Montai come al solito di vedetta e ci stetti fino alle 8, ora in cui (potevo) tornare a dormire. Però il mio compagno che dorme proprio nella buca mia e doveva darmi il cambio, non (lo) si vede. Ne arriva un altro. lo non domandai il perché. Sinceramente non sono luoghi da complimenti.
Quando ritornai, come dissi, stava facendosi medicare dal nostro Caporale perché proprio mentre usciva dal buco (per venire a darmi il cambio) una pallottola a mitraglia gli aveva gettato delle schegge in un occhio; per fortuna ebbe un danno relativo.
Dormii fino alle due, ma martire dai… e mi svegliai quando venne la corvè per portare il rancio. Intanto continuava una fucileria tremenda che quasi si temeva un contrattacco. Ma poi cessò e dormii fino alle 6 del mattino.

Note

55 – Del calibro 149 durante la guerra furono usati: obici da 149/A, obici da 149/G, cannoni da 149/A, cannoni da 149/G, mortai da 149. Queste erano le loro caratteristiche: Obice da 149/A per artiglieria pesante campale: calibro 149, lunghezza bocca da fuoco in acciaio 14 cal (mm 2.090), affusto a deformazione, peso 2344 kg, granata (anche a shrapnel) di 41 kg, gittata: da 3.100 a 6.900 m a seconda della carica.

Obice da 149/12 mod. 14 del Regio Esercito in azione, 1917.

Obice da 149/12 Mod. 14 del Regio Esercito in azione, 1917.

Regio Esercito [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Obice da 149/G per artiglieria d’assedio (fortificazioni): calibro 149, lunghezza bocca da fuoco in ghisa 14 cal (mm 2111), affusto rigido, granate da 30,420 a 37,600 kg; gittata da 2.400 a 6.400 m a seconda della carica e del tipo di proietto.
Cannone da 149/A per artiglieria da campagna: calibro 149, lunghezza bocca da fuoco in acciaio 36 cal (mm 5.464), affusto rigido con ruote e cunei, peso 8200 kg, granata (anche shrapnel) in acciaio del peso di 4344 kg, gittata da 3.400 a 12.400 m.

Cannone da 149/35 Mod. 1901, chiamato inizialmente cannone da 149A, esposto a Redipuglia.

Johann Jaritz [GFDL o CC-BY-SA-3.0] attraverso Wikimedia Commons con modifiche.

Cannone da 149/35 Mod. 1901 in batteria, in una foto del 1917.

Pubblico dominio, attraverso Wikimedia Commons

Cannone da 149/G per artiglieria da campagna: calibro 149, lunghezza bocca da fuoco in ghisa 23 cal (mm 3.438), affusto come il precedente, proietto in ghisa o acciaio da 30,420 a 37.590 kg (anche a shrapnel), gittata da 2.800 a 9.300 m.

Cannone da 149/23 (prima chiamato 149G).

Cannone da 149/23, prima chiamato 149G.

Snowdog [Public domain], da Wikimedia Commons

Mortaio da 149 per artiglieria da fortezza o da costa: calibro 149, lunghezza bocca da fuoco in acciaio 6 cal (mm 950), peso 2.190 kg, granate anche a shrapnel di vario peso (da 30,420 a 41 kg), gittata da 100 a 3350 m. Esistevano anche cannoni da 149 B e 149 C della Regia Marina e cannoni da 149 S.
Quelli che sentiva l’autore del diario erano i cannoni e gli obici da 149 schierati a Palazzo, Fogliano, S. Pietro Isonzo (43° e 35° Rgt. Art. Campagna – 1° e 2° Rgt. Art. pesante campale). In quella fase della battaglia erano schierati 156 pezzi su un fronte di 7 km; densità ritenuta modesta.

56 – Durante la guerra si verificarono casi di: renitenza, ammutinamento, diserzione.
I renitenti erano coloro che non si presentavano alla visita di leva o alla chiamata alle armi. Se si presentavano in ritardo venivano puntiti dal Comandante del Reparto. Se non si presentavano o si presentavano passati i 5 giorni, venivano denunciati al Tribunale Militare. A queste denunce seguivano delle condanne che venivano subito sospese e rinviate al termine della guerra.
L’ammutinamento è il rifiuto di andare in prima linea. Numerosi casi si verificarono in Francia nel 1917 con la conseguenza di 386 condanne a morte. Nell’esercito italiano questo fenomeno fu circoscritto a pochi reparti. Il 30-31 ottobre 1916 nella Brigata “Napoli” nel 6° Rgt. Bersaglieri (10 fucilati); nel marzo 1917 un Battaglione del 38° Rgt. Ftr. della Brigata “Ravenna” rifiutò di andare in linea, ma poco dopo obbedì (18 fucilati); nel maggio 1917 alla Brigata “Lombardia”(10 fucilati) e un Battaglione del 4° Rgt. Bersaglieri (2 fucilati); 16 luglio 1917 alla Brigata “Catanzaro” (28 fucilati); 15 agosto 1917 ad una Compagnia del 228° Rgt. Ftr. della Brigata “Rovigo” (4 fucilati); sempre nel 1917 risulta un ammutinamento nella Brigata “Padova” al 117° Rgt. Ftr. (11 fucilati).
Le diserzioni di Italiani verso le linee austriache e viceversa, avvennero un po’ dovunque; ma il fenomeno fu assai grave da parte austriaca, specialmente per la diserzione di numerosi Ufficiali
In sintesi: le sentenze di morte in tutta la guerra furono 1.069 di cui 792 eseguite e 277 commutate. Molti furono i soldati considerati disertori a seguito della rotta di Caporetto e furono denunciati al Tribunale di Guerra. Di essi la grande maggioranza fece ritorno spontaneamente ai propri Reparti, appena fu loro possibile, anche perché non si sapeva più dove fossero dislocati i Comandi. Una piccola parte fu invece rintracciata dai Carabinieri e ricondotta alle Unità che si erano nel frattempo ricostituite. Questi ultimi furono denunciati al Tribunale di Guerra. Al termine della guerra il Governo concesse l’amnistia a quasi tutti i condannati per diserzione, renitenza, ammutinamento. In carcere rimasero circa 20.000 uomini per scontare la pena.

28 dicembre -martedì- :

Rimontai (di vedetta) fino alle 8. Attorno alla nostra trincea le bombe a mano ce le dirigevano accompagnate coi razzi. Quando scoppiavano ci facevano saltare dal nostro posto. Noi, poiché si monta in due, facevamo silenzio col nostro fucile, ma la paura era grandissima.
Sono le 12; silenzio dappertutto. Solo qualche granata nemica tirata sulla nostra 2^ linea rompe questa pace. Ma (queste granate) non hanno successo perché il tiro non è regolato giusto e si piantano nella terra, fischiando che pare si lagnino per non avere adempiuto al loro dovere.
Il tempo è nebbioso, umido e noi fra mezz’ora dobbiamo continuare il lavoro di ieri, già fatto in gran parte.
Ore 2: rimonto di vedetta. Non ricorderò mai più momenti più terribili. Oh Dio! Tremo ancora nello scriverne, tanto che mi fa paura riscrivere di ciò. Per grazia smontai; corsi in trincea perché ormai ero perfino ebete, come il mio compagno di posto. Avevo la testa che mi doleva dai rintroni sentiti; mi misi a dormire e stetti quieto fino alle 12 di notte, ora in cui rimontai.
Le ore di notte sono lo stesso pericolose per la fucileria; ma restando guardinghi non c’è pericolo.

29 dicembre -mercoledì- :

Alle 2 smontai e tornai a dormire fino alle 8 di mattina; avendo fame mi scaldai il caffè in un modo curioso… Poi montai di vedetta alle 10.
Ora sono al posto e sto scrivendo. Dalle nostre feritoie si vede benissimo Doberdò e si sente una lotta di artiglieria. I proiettili passano sopra di noi incontrandosi. Dal punto poi dove ci troviamo c’è l’osservatorio di artiglieria. Vicino qui c’è un Capitano della medesima che regola col telefono improvvisato (da campo) i tiri del nostro 149. Si vedono i colpi cadere sul paese facendo un fumo che offusca tutto. Al momento che scrivo sono partiti da qui gli artiglieri, ma le bombe a mano ci tengono svegliati; conoscendo ormai quando partono, dove vanno e se sono nemiche o nostre.
Per oggi termino essendo avvenuto uno scoppio tanto vicino che ormai credevo essere già spedito (colpito). Fui coperto di terra, sassi e schegge. Mi mancò il fiato, la vista. Ricorsi subito alla maschera. Grazia volle che passarono queste 2 ore e tornai in trincea.
Da lì sentii una bomba vicina, vicina. Mi raggomitolai coi compagni e, passato lo spavento, vidi passare una vedetta che stava lontana da me 10 metri. Aveva una gamba sfracellata, il viso sanguinante che faceva compassione.
Appena fui entrato in buca, uno aspettava che entrassi io per venirmi dietro. Ecco che una bomba cade davanti all’entrata della nostra buca. Facemmo ora (in tempo) a ripararci alla meno peggio che poi scoppiò gettando dentro pezzi di macigni e fango. Fece tremare la trincea. Lo spavento fu al massimo. Poi per grazia cessò.
Si disse il Rosario in 4; poi ci si mise a dormire ma coi fucili carichi, anche in trincea.
Montai alle 8 fino alle 10 (di notte). Ma in tutta la zona silenzio. Si temeva un contrattacco. In mezzo a un po’ di tutto venne la mattina.

30 dicembre -giovedì- :

Sono le 12 e per ora esiste un silenzio che pare un paradiso; già cominciano a ritirarci gli indumenti da trincea per mandarci al riposo. Che gioia! Ma il pensiero di tornare (ancora qui) lascia sempre in un mare di pensieri.
Circa alle 2 muori dallo spavento delle bombe. Un povero compagno rimase ferito alla faccia, uno perse una gamba. Uno era di vedetta a stretto contatto col nemico e di conseguenza al coperto: una bomba scoppiò sopra alla sua trincea e (lui) restò sepolto sotto sacchi di terra e travi. Per fortuna se la cavò con una buona pacca (botta) al braccio; ma (rimase) salvo.
Uno invece, mentre sparava una fucilata, una bomba lo prese in testa fracassandola. Poverino! Lascia moglie e 3 bambini. Fu sepolto vicino ad un austriaco che era lì vicino insepolto. (57)
A sera finì per grazia (l’artiglieria) e cominciò la fucileria. Ma a causa sua in questa trincea si ebbe solo un ferito. Venne notte, si stava nella nostra buca.
Ecco che arriva il Sergente con l’ordine che domani il Reggimento avrà il cambio. Per quella notte non si dormì per la contentezza. Venne mattina.

Note

57 – Durante i combattimenti e gli assalti venivano raccolti i feriti con grave pericolo dei soccorritori che non erano protetti per niente dal bracciale con la Croce Rossa che portavano. I morti invece dovevano attendere il buio della notte. Perciò spesso si trovavano vicini soldati caduti delle due parti. Se la situazione lo permetteva le vittime venivano trasportate nella retrovie e tumulati in cimiteri di guerra; altrimenti erano sepolte nei pressi delle trincee e segnalati con delle croci di legno e una scritta di vernice. Prima della sepoltura veniva tolta la piastrina di riconoscimento e veniva redatto un verbale dal reparto di appartenenza. Molto spesso questi compiti li svolgevano i Cappellani Militari della cui opera si dirà più avanti.
Tante volte la piastrina veniva distrutta dalle granate e perciò il caduto rimaneva ignoto. Altre volte i caduti venivano sepolti dal nemico che toglieva le piastrine per consegnarle ai propri centri di informazione. Così moltissimi caduti, sparsi nei vari fronti, furono dichiarati irreperibili. Al termine della guerra oltre 6.000 soldati e 200 Ufficiali e Cappellani militari furono incaricati della ricerca del soldati caduti e rimasti ignoti o addirittura insepolti. Questa opera durò due anni e le salme ritrovate furono o consegnate ai famigliari (se c’era stato il riconoscimento) o inumate nei Sacrari e cimiteri militari. Questa attività durò quasi tre anni. Quando fu deciso di portare un soldato ignoto a Roma, fu costituita una Commissione per la scelta di 11 soldati sconosciuti caduti. La commissione era composta da un generale, un colonnello, un tenente, un sergente, un soldato tutti decorati al valor militare. Questi si recarono nei cimiteri militari delle varie zone del fronte: Rovereto, Dolomiti, Altipiani, M. Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, S. Michele, Castagnevizza. In ognuno di questi luoghi scelsero la salma di un caduto ignoto e tutte 11 furono trasportate nella chiesa di S. Ignazio a Gorizia. Da qui furono traslate nel Duomo di Aquileia dove il 26-10-1921 Maria Bergamas, triestina, madre di un caduto ignoto, scelse fra le 11 presenti, quella che doveva essere portata a Roma. La salma del Milite Ignoto arrivò a Roma il 10 Novembre 1921 e fu sepolta all’Altare della Patria il 4 novembre 1921.

31 dicembre -venerdì- :

Giorno di fitta nebbia. Unica nostra speranza è di fare l’operazione (di cambio) senza essere veduti dal nemico. Infatti alle 8 ecco arrivare il 138° (Reggimento Fanteria) a darci il cambio…
Poverini: arrivavano nei nostri posti tremanti, pallidi, curvi.
Appena lì, sempre a bassa voce, domandarono se era un punto pericoloso.
Noi, per dare coraggio, rispondevamo di sì, ma…
Intanto si cambiarono le vedette e io, per sorte, ero su. Strisciando si arriva alla buca del Comando.
Da lì si partì per squadre e poi, ad un certo punto, tutti per proprio conto. Allora io mi misi di corsa di trincea in trincea dentro nel fango, pozzanghere di acqua fin sopra le scarpe, sassi che mi facevano male ai piedi e carico le spalle come un somaro.
Arrivai a una buca di granata che mi sentivo sfinire. (Vi) andai dentro e riposai 5 minuti. Poi via di corsa; arrivai giù da quel Calvario a mezzogiorno e subito cominciai a rifocillarmi.
Mi bevetti mezzo litro di vermout. Poi si partì alla volta del riposo compiendo una marcia di 20 Km.
Si passò il paese di S.Pietro all’Isonzo ove vidi per primo una granata nespolata (spolettata) non scoppiata, poi l’Isonzo. Poi a Villesse dove arrivai stanchissimo. Da lì seppi che si andava ad Ajello e bisognava allora passare per Campolongo. Io, in un momento di riposo, mi allontanai dalle file e proseguii lungo il fianco della strada.
Intanto passò, ossia mi raggiunse, una carretta tirata da due buoi. Montai e venni a Campolongo dove mangiai qualche cosa. Intanto mi raggiunse a notte la truppa; mi ficcai in mezzo e si continuò la marcia fino al paese nominato.
Subito ci accantonarono in un granaio e su poca paglia. Riposai le ossa che non ne potevo più. Tuttavia dormii fino a mattina.

1 gennaio 1916 -sabato- :

Appena svegliato andai a lavarmi perché il fango lo avevo dalle mani ai gomiti e dai piedi alle ginocchia. Poi, bevuto il caffè buono e caldo, uscii per vedere il paese, bello con tutte le comodità. Notai un monumento eretto il 23 maggio in onore dell’Italia.
Fatto un giro, tornai all’accantonamento e da lì, insieme a 9 compagni di Padova e Venezia, ci disponemmo per un desinare. Infatti comprammo 1 Kg di vitello, 3 Kg di spaghetti e si dispose che in una locanda per le 3 dopo pranzo fosse pronto. Infatti tutto era in ordine quando ci siamo seduti. Mangiammo e bevemmo in allegria alzandosi da lì (da tavola) alle 5 e mezza. Poi, preso il caffè con la grappina, si andò sulla paglia e dormii di gusto.

2 gennaio -domenica – :

Alzato, si cominciò a mettere a posto per squadre. lo intanto andai a Messa. Ora sono le 12 e siamo dispersi per un cortile a discorrere.
A sera si tornò pel paese fino alle 7.

3 gennaio -lunedì- :

Rivista e pulizia alle armi, poi di nuovo pulizia al vestiario.
Il tempo è nebbioso. Alla notte (fa) freddo. Si dorme su poca paglia. Il rimanente della giornata a riposo. A sera feci una buona cenetta. Poi si organizzò un coro per cantare in chiesa e già si cominciarono le prove.

4 gennaio -martedì- :

Continuazione delle pulizie. Più tardi rivista degli oggetti di corredo, più rifornimento di munizioni.
Alla sera in chiesa si cantò in orchestra (accompagnati dagli strumenti musicali). Poi una cenetta in 3. Alle 8 in granaio e riposo. La notte la passai bene; ma siccome dormo vicino ad un balcone, (sentivo) un’aria! Tanto più che c’è la brina e bisogna che mi copra testa e tutto.

5 gennaio -mercoledì- :

Sveglia alle 6. Poi, fatta l’adunata, si andò in piazza d’armi.
Un freddo, una nebbia che era impossibile resistere. Ma già alle 7 e mezza eravamo (tornati) in granaio. Dopo il rancio si fece una distribuzione di oggetti di corredo.
Alle 12 si andò al bagno (docce) a Campolongo e al ritorno eravamo (già all’ora) del secondo rancio. Poi libera uscita e tornai come ieri sera.
La notte la passai in continua veglia, sentendo sempre, per quanto durò, il cannone e la fucileria. Verso mattina avrei preso il sonno.

6 gennaio -giovedì- :

Alle 7 sveglia. Si andò in piazza d’armi ove si fece (una) parte di istruzione. Più tardi, ossia dopo il primo rancio, potei andare a Messa col relativo permesso. Godei nel sentirla cantata in “Miter”.
Poi zaino in spalla, alle ore 12, e si fece una marcia: Aiello, Visco, Alture, Romans, Crauglio, Aiello dove si arrivò all’ora del secondo rancio. Poi libera uscita.
Durante la marcia, a Visco si fece una tappa e potei sentire, dopo quasi 3 mesi, le campane suonare con sommo piacere. Poi a Romans vidi i cannoni pronti per tirare agli aeroplani. Non mi metto a spiegare. Lo farò a voce.

La piazza principale di Romans d’Isonzo in una foto austriaca del 1917.

Deutsch: K.u.k. Kriegspressequartier, Lichtbildstelle – Wien [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

7 gennaio -venerdì- :

Alla mattina istruzione secondaria; al pomeriggio (istruzione) principale.

8 gennaio -sabato- :

Sveglia alle 4. Fu distribuito il caffè. Alle 5 rancio di carne, pane e vino e già alle 6 in marcia; zaino affardellato e partenza per Aquileia. Da Aiello ad Aquileia sono Km 28. Si passò per Crauglio, poi Scodavacca, poi Villa Vicentina dove vidi il treno che fu preso da tutto il Reggimento con un evviva. Poi (arrivammo) al Ponte Filtz, poi a Terzo e poi ad Aquileia. Arrivammo alle 11.
lo potei resistere alla marcia fino alla fine; ma ora sono sfinito, con dolori alle spalle, seduto in un prato vicino a Grado. Alle 2 si ripartì per giungere al tiro a segno che distava da Aquileia km 2.
Si partì e si giunse in località Belvedere, vicino al mare. Anzi i bersagli erano proprio in riva (tanto) che le pallottole morivano in acqua. Il posto meritava proprio il nome che porta.
A sera si finirono le prime lezioni e poi si fece ritorno ad Aquileia per pernottare. (Siamo) giunti a un baraccamento non chiuso, perché ancora da ultimare, c’era solo il coperto; insomma assomigliava a una barchessa.
La notte era serena. Ognuno si arrangiò con tavole da lavoro per farsi il letto. lo feci la mia parte e su quelle 2 tavole, ravvolto in una coperta e telo da tenda, mi riposai.
Stando in quella posizione vedevo ogni tanto il riflettore della Marina. Intanto diversi della Compagnia accesero un fuoco e lo tennero acceso fino alla mattina.

9 gennaio -domenica – :

Mi sveglia alle 7 per il freddo. Non ne parlo; corsi al fuoco e mi riscaldai. Poi, essendo una giornata discreta, andai fuori. La bellezza di questi luoghi è impossibile spiegare.
Ora sono le 10. Si ritorna ad Aiello. Rifacemmo la strada. Però io a Terzo mi fermai dal male ai piedi. Così colsi quell’occasione per fare una merendina. Intanto passò un camion e montai fino a Scodavacca ove aspettai la Compagnia.
Quando mi raggiunse mi presentai al Tenente Medico e chiesi di (poter) caricare lo zaino. Mi fu concesso; così venni fino ad Aiello. Ma stanchezza era grandissima che dovetti subito mettermi in paglia. Passai così la notte sempre dormendo.

10 gennaio -lunedì – :

Mi svegliai alla mattina all’ora del caffè. Poi si andò di corvè alla disinfezione.
Ora si sta preparando lo zaino per andare in piazza d’armi.
Alle ore 12 si deve partire. Ci si ferma per la dispensa dei doni natalizi ai soldati; consistenti per ogni soldato in 5 gr di cioccolata, 10 gr di mandorlato, 1 salamella, 1 biscottino. Dopo pranzo in piazza d’armi. A sera mi giunse il pacco da casa.

11 gennaio -martedì- :

Giornata come ieri. (Durante) le istruzioni pomeridiane, in un momento di riposo, vidi sopra S.Pietro (d’Isonzo) un aeroplano nemico alle prese con le nostre artiglierie antiaeree e lo vidi, dato che il sole si rifletteva su di esso, calarsi colpito.
Ritornati al nostro accantonamento ad Aiello, appena in camerata, cominciò di nuovo il cannone a sparare. Fummo subito avvertiti di uscire e disperderci pei campi perché un aeroplano nemico era tornato. Corsi fuori come gli altri e lo (l’aereo) si vedeva gettar bombe che però andavano a vuoto. (Arrivato) un nostro aeroplano armato, lo mise in fuga accompagnato anche dai nostri cannoni. Ma finché guardai io, non fu preso.
Questa sera feci la cena con la lingua. (Non è chiara la frase: forse si trattava di un pezzo di lingua salmistrata inviatogli da casa.)

12 gennaio -mercoledì- :

Alla mattina istruzione in piazza d’armi. Nel ritorno all’accantonamento vidi la caccia ad un aeroplano tedesco, ma (fu) infruttuosa perché riuscì a fuggire.
Alle istruzioni del dopo pranzo assistei alle prove delle bombe a mano in piazza d’armi. Il rimanente della giornata si svolse come al solito.

13 gennaio -giovedì- :

Giornata di riposo. Il tempo (è) sempre un po’ nebbioso. Alla mattina alle 7 si andò in piazza d’armi e (si fece) poca istruzione; ossia giocare come i ragazzi.
Poi il rancio a mezzogiorno. Ci fu dato il cappotto. Questo vuol dire essere vicini ad andare sul colle (in prima linea). Verso sera però fui cercato per andare in fureria come aiutante. Spero intanto di essere esentato (dal sevizio) di vedetta. Domani vedremo.

14 gennaio -venerdì- :

(Da questo punto in avanti il diario non è più scritto a matita copiativa, ma con penna ed inchiostro nero.)

Alla mattina fui cercato per essere passato in fureria. Non poteva essere una grazia migliore. Andai subito e passai tutta la giornata a preparare i ruolini tascabili. (58)
A sera tardi uscii col Sergente furiere.

Note

58 – I ruolini erano dei taccuini tascabili che ogni graduato, dal Caporale al Capitano della Compagnia, portava con sé; riportavano i nomi e i compiti di ogni militare alle sue dipendenze. In essi venivano registrati: arrivi, partenze, incarichi, combattimenti, ferite, ecc. di ciascun soldato.

15 gennaio -sabato- :

Ritornai al mio ufficio, ma a ora tarda perché ci fu una Messa per la Compagnia alla quale volli volentieri assistere.

16 gennaio -domenica – :

Appena alzato andai in fureria dove fui occupato fino alle 12.
Dagli Ufficiali seppi che ieri notte gli aeroplani avevano bombardato Aquileia e la stazione di Cervignano. Il rimanente della giornata fu occupato a prelevare indumenti da trincea.

Fronte italiano, aereo austriaco abbattuto presso Alture (Cervignano).

Fronte italiano, aereo austriaco abbattuto presso Alture di Ruda, non molto lontano da Cervignano.

Université de Caen Normandie [No restrictions], attraverso Wikimedia Commons

17 gennaio -lunedì- :

Dalla mattina alla sera fui occupato in fureria (per sistemare) l’ambiente.
Mi accattivai la simpatia del Sergente che mi prese in buona considerazione.
Ora che scrivo sono le 8 di sera, appena uscito per un bisogno. Dovetti fermarmi per vedere lo spettacolo dei fari che spaziano per il firmamento per attendere gli aeroplani.

18 gennaio -martedì- :

Appena alzato mi portai al mio posto. Feci le mie operazioni, dato che ormai ha preso un po’ di pratica.
Verso mezzogiorno si spianta (smonta) la fureria per recarsi a Redipuglia per dove si partirà questa notte alle 12. Il rimanente della giornata feci riposo.

19 gennaio -mercoledì- :

La sveglia fu all’una di notte. Si partì da Aiello carichi con un peso sempre tanto. lo intanto lasciai per strada vanghetta e due pacchi di caricatori.
Si passò Crauglio, Tapogliano, poi Campolongo e poi al Torre dove si cominciava a sentire benissimo la fucileria. Lì si fece una piccola tappa.
Si ripartì dopo 10 minuti con un chiaro di luna e ci si portò verso S.Pietro dell’Isonzo. Prima si passò il gran ponte, di nuovo riparato perché le granate lo avevano rovinato. Dunque a S.Pietro si arrivò che saranno state le 3 o più. Ci internarono (deviarono) in un campo fangoso. La stanchezza era grandissima e ci dovemmo gettare in quella poltiglia: il cielo per tetto e la terra per letto. Presi sonno. Mi svegliai alla portata del rancio freddo ghiacciato. Mi mossi e non spiego in quali condizioni.
Dopo il rancio ci si mise in marcia silenziosi. Giunti al punto, (sulla) Via Monfalcone, tutto ad un tratto sei colpi di cannone vicini alla strada furono tirati contro il nemico. Ci fecero tremare tutti. Più avanti un poco le pallottole cominciavano ad accompagnarci. Anzi ci fu un ferito alla testa, ma leggero.
Finalmente si giunse alle Cave di Redipuglia che cominciava ad albeggiare. Ci alloggiarono in belle baracche con brande come a Campolongo. Appena arrivato mi buttai subito e feci un sonno di un’ora. Poi fui svegliato per andare in fureria, comodissima, alla baracca.
E ora che scrivo è già notte. Mi mossi solo due ore fa perché le granate ci passavano sopra.
E a chi tiravano?… Sortii e potei vedere che una funicolare partiva da qui (dalla Cava) e andava in l^linea. (Era stata) fatta dal Genio in 15 giorni. Splendido lavoro! Si capisce che questa (teleferica) fu avvistata dagli aeroplani nemici e (ora) le tirano (addosso) a piacere; ma con tiri sbagliati tanto che è pericolosissimo per tutti (stare nelle vicinanze). Vidi anche tirare su per la collina un mortaio da 305 (59), splendido, d’una forma colossale; (osservai) anche lo studio (le modalità) per tirarlo sopra.

Note

59 – L’Artiglieria italiana aveva in dotazione l’obice da 305/17; mentre quella austriaca aveva il mortaio da 305. Il pezzo visto dal fante Bodon o era un cannone italiano o era un mortaio austriaco, preda bellica durante il primo avanzamento del mese di maggio.
Caratteristiche:
Cannone italiano da 305/17: Bocca da fuoco lunga 5606 mm (calibri 18); peso del cannone circa 35.480 kg; possibilità di tiro a 3600, granate in acciaio del peso da 328 a 370 kg, gittata da 1.900 a 14.600 m a seconda della carica e del tipo di granata.

Obice da 305/17 del Regio Esercito, 1917.

Obice da 305/17 del Regio Esercito, 1917.

Regio Esercito [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Mortaio austriaco da 305: Lunghezza 10 calibri; peso circa 20.000 kg; granate del peso di 383 kg, gittata 11.000 m.

Obice Skoda da 305 mm in dotazione all’esercito austriaco in una foto del 1915.

anonymous photographer during World War I [Public domain o Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Mortaio austriaco Skoda in azione. La foto è del 1915.

National Museum of the U.S. Navy [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

20 gennaio -giovedì- :

Passai tutta la giornata a scrivere per la Compagnia.
Solo a sera tarda sortii per le mie cose. Mi avvicinai al punto della funicolare, punto pericoloso perché le pallottole fischiavano dappertutto. Mi riparai dietro un sasso con la voglia (la speranza) di vederla funzionare. Infatti potei bene osservare. Notai quanto bravi misti (fossero stati quelli) del genio nostro per arrivare al punto di fermata (arrivo) della funicolare. (Essa) deve passare sopra 3 colline nominate Y -Ipsilon- e siccome (il terreno) è scoperto, questa passa sotto dei tunnel ben fatti e coperti di sacchi di terra. Poi sopra questi, la terra con l’erba (tanto) che anche dagli aeroplani non può essere vista.

21 gennaio -venerdì- :

Passai tutta la giornata occupato al mio posto. Uscii solo verso sera e il tramonto era bello sereno, in confronto alla giornata (che era stata) nebbiosa.
Dalla Cava mi portai giù a Redipuglia per lavarmi la faccia, sporca ancora dal 17 mattina.
Nel ritorno vidi i nuovi camminamenti per l’artiglieria e il posto d’imbocco della strada, gli appiattamenti in trincea di cemento armato per le mitragliatrici (piazzole e postazioni). A sera tornai su (alla Cava) che ormai le pallottole fischiavano dappertutto. La notte la passai bene e dormii fino a mattina. Solo qualche colpo di cannone (ogni tanto) mi svegliava.

22 gennaio -sabato- :

Mi alzai all’ora del rancio: intanto i miei compagni erano andati di corvè al trincerone.
Saranno state le 7 che uscii per lavarmi le mani e mangiare un po’ di caffè col pane.
Ma non potevo vedere di peggio! Un povero soldato di artiglieria aveva preso una pallottola in una spalla che gli era uscita dal collo. Era steso nella barella tutto insanguinato e, a calcolo mio, dico che era morto. Appena passato quello, ecco un secondo ferito al petto da una bomba. Era sorretto da due, ma camminava e discorreva. Segno che non era grave.
Ora sono le 12; appena riscaldato il rancio mi riscaldai lo stomaco.
Fuori la nebbia è fitta e gli shrapnel ci vengono a trovare lasciando cadere il loro deposito di palle. Non succede alcuna disgrazia, ma a ogni arrivo, lo si sente fischiare prima e (così) si fa a tempo a ripararsi. Il dopo pranzo lo passai in fureria, seduto al mio tavolo, a tracciare specchi (prospetti).

23 gennaio -domenica- :

Anche questa mattina, appena partito, una nebbia fittissima.
Le sentinelle sono coperte (eppure) sopra il cappotto hanno la brina. Mi portai adagio, adagio vicino alla strada coperta, ma le pallottole mi circondavano con tutti i fischi e i lamenti tanto che feci subito il “caval di ritorno”.
Mi imbattei in 3 prigionieri, fatti (catturati) nella notte sulla dolina Carfaj. (60) Erano fra due Carabinieri; (erano disarmati) e parlavano fra di loro. Vedendoli in faccia lasciavano capire che erano contenti. Li seguii per un poco; ma giunto al punto dove non potevo più continuare la strada, perché altrimenti potevo andare incontro a guai, ritornai alla baracca dove presi il rancio tutto assieme.
Poi passai in fureria e feci una buona merendina col mio Sergente.
Più tardi venne il sole ed ecco i cannoni che ci stordiscono. Poi gli aeroplani ci tenevano occupati (perché) volevamo vedere se (era) quello italiano a restare al posto ove si trova o se è (quello) austriaco (che) viene avanti: e in questo caso fuggire in baracca oppure gettarsi a terra e non muoversi. (Che) spettacolo vedere tutto ad un tratto un fuggi fuggi dentro in baracca!
Che c’è? … Un aeroplano austriaco ci batteva con bombe, ma infruttuose. Invece i nostri cannoni antiaerei lo accompagnavano con tiri abbastanza precisi. Ma è difficile colpirlo, data la velocità che ha. Ad ogni modo non può mai fare quel lavoro che forse aveva ideato prima di partire. Lo si vede ritornare (indietro).
Ma poi c’è sempre qualche shrapnel o granata che ci viene a trovare. Ma il riparo che ci difende non lascia passaggio a questi maledetti proiettili; ossia, anche se passano, vanno a finire pei campi di Redipuglia. Scoppiano anche, ma danni niente.

Note

60 – I prigionieri austriaci, dopo gli interrogatori da parte degli Ufficiali alle Informazioni, venivano avviati nelle retrovie ed internati in varie località, facilmente sorvegliabili (ad esempio isola dell’Asinara, isola d’Elba). Altri venivano avviati nell’Italia meridionale per lavorare nelle aziende agricole. I prigionieri italiani in Austria e in Germania erano avviati nei campi di concentramento. Si possono immaginare le loro condizioni, specie nel 1917 e 1918, quando mancò il cibo perfino ai soldati al fronte. Non mancarono tuttavia, grazie alla Croce Rossa, scambi di prigionieri gravemente feriti o malati, comunque inabili a ogni servizio armato. I prigionieri italiani furono trattati dagli Austriaci in maniera peggiore di quelli di altre nazionalità perché venivano considerati soldati di una nazione traditrice. Non furono liberati subito dopo il 4 novembre 1918, ma parecchie settimane dopo. Molti di questi ex prigionieri, arrivati in Italia, non furono subito mandati a casa; furono inquadrati in speciali Reggimenti sia per i controlli medici, sia per un periodo di ricostituzione delle condizioni fisiche e sia per poter individuare eventuali disertori o renitenti infiltrati.

24 gennaio -lunedì-:

Giorno nebbioso. Di novità nulla benché tutti (siano) in riposo (per) tutta la giornata.
Per questo mi potevo assentare qualche minuto dal mio ufficio.
Andai per un tratto su per la cava a vedere i nuovi lavori per l’appostamento dei pezzi di artiglieria. Dopo il rancio feci ritorno in baracca al mio posto e lì trovai che il furiere aveva acquistato un pezzo di manzo senza…
Lo fece cucinare in un fornello vicino alle baracche e a sera si fece una cenetta. Faccio notare questo: che mangiare costì carne arrosta è una cosa impossibile. (L’autore non ne spiega il motivo.)

25 gennaio -martedì-

Da ieri sera, circa alle 9, che eravamo già in branda, cominciò un cannoneggiamento, mai sentito tanto. A una certa ora, dato il rombo continuo, dovemmo turarci le orecchie col cotone e in più assicurare gli oggetti che erano appesi alla baracca perché a ogni colpo (di cannone) cadevano.
Così si passò tutta la notte. Si sapeva però che oggi si deve dare il cambio al II Battaglione; ma già si pensava a qualche avanzata a destra o a sinistra.
Questa mattina poi ci svegliamo alla solita ora e là sopra continuavano ancora. Ma non ci si badava, tanto che ogni soldato fece il solito degli altri giorni.
Vennero le 10: una nebbia fitta! Ecco un ciclista con un telegramma. Non seppi cosa contenesse. Solo che dopo pochi minuti ecco raccogliere tutti i soldati dispersi nei lavori con l’ordine di armarsi, mettere occhiali e preparare la maschera.
C’è l’ordine di una avanzata. lo feci come gli altri; ma il mio furiere mi disse di aspettare. Non spiego l’impressione (l’ansia) dei soldati. Fecero un rigoroso appello e poi fu messa una riga di Carabinieri perché qualcuno non scappasse. Si stette fino alle 12 sempre pronti in assetto di guerra.
Poi giunse un altro ordine e cioè di ritornare pure in baracca. Ora sono in fureria che scrivo, ma si è sempre pronti. Il cannone non tace ancora; noi però si è abbastanza allegri sentendo gli Ufficiali contenti.
Or ora vidi un ferito in barella portato al posto di medicazione.
A sera calma; ma venne l’ordine per il domani e cioè: se il tempo è nebbioso andare a dare il cambio alla 5^ Compagnia.

26 gennaio -mercoledì- :

Alle 4 venne brodo, carne, vino, caffè, cioccolata, zucchero, pane; tutto unito (tutto in una sola volta). Poi ci fu subito l’ordine di armarsi completamente. Siccome i soldati avevano ancora in saccoccia la cinquina, dato che prima non ci avevano pensato, tutti si dispersero a gruppi e acquistarono fiaschi di vino. Tanti lo bevettero, tanti se lo portarono in trincea.
Io pure ne presi uno.
Alle 12 adunata, la nebbia era fittissima e si partì. Io però restai col furiere e si andò su con nostra comodità e ci si portò alla trincea sinistra a Y (ipsilon).
La forma di questa è a ferro di cavallo. All’intorno tutte trincee ben costruite; ma un freddo, un’umidità incredibili. La mia (trincea) dove c’è anche la fureria, è piccola; ma per fortuna ha tre tavoli e ci dormo sopra col furiere. Così (avremo) meno umido. Ma, data la stagione, ognuno può immaginare (la nostra situazione). Nel centro poi di questo ferro di cavallo c’è un cimitero, tutto pieno di tombe e attorno vi sono ancora trincee. E queste (sono) piene di soldati. Da qui vi è un camminamento scoperto che va di fronte al nemico.
Io, per ora, non ci andai; ma il mio furiere ci è già stato e mi disse che i cadaveri, in quel punto, sono a mucchi come montagnole, tutti coperti di calce perché non si può andare a sotterrarli, essendo sotto (esposti) al fuoco.
Ora sono le 4; già comincia a far sera. Le bombe a mano ci suonano la solita musica, la fucileria lo stesso. A notte mi prese una sete terribile tanto che, esponendomi al pericolo delle pallottole, andai fuori e leccai con la lingua un sacchetto pieno di terra coperto di brina. Poi corsi dentro una trincea.
A mezzanotte avevo preso un po’ di sonno. Venne il Tenente con l’ordine di stare attenti per un contrattacco. Infatti ci siamo armati. Intanto fuori fucileria, bombe, cannone facevano il demonio. Uscimmo con la baionetta innestata e ci potemmo vedere benissimo in faccia l’uno con l’altro alla luce dei razzi nemici. Stemmo fermi lì un’ora. Intanto la fucileria cessò e allora si tornò in trincea perché il freddo ci aveva ghiacciati.
lo mi raggomitolai nelle mie coperte e mi riscaldai. Stetti fino alle 4, ora in cui venne il rancio.

27 gennaio -giovedì- :

Alle 4 il rancio fu depositato nella nostra trincea. Io, col permesso del furiere, bevetti del cognac e mi riscaldai. Poi si stette a chiacchierare.
Più tardi venni fuori e vidi portare da 4 soldati sopra un telo da tenda un cadavere tedesco. Lo seppellirono nel cimitero; era deformato. A sera tutto era quieto e si cenò, bene anche! Poi si dormì quasi tutta la notte fino alle 3 quando venne il rancio.

28 gennaio -venerdì- :

Giornata nebbiosa; noi non vogliamo di meglio. Stetti in trincea fino a mezzogiorno ove si imbastì un buon pranzetto preparato da noi col fuoco.
A sera, dopo una buona cenetta, si prese il cognac e si fece una partita a carte. Poi dormii.
Oggi all’11^ Compagnia, mentre passava il Comandante del Reggimento con il suo Tenente Aiutante e due soldati ciclisti, una bomba scoppiò loro vicina uccidendo il Tenente sul colpo e ferendo il Colonnello e i due ciclisti.

29 gennaio -sabato- :

Mi svegliai alle 2; una fucileria che pareva una continua tempesta. Venni fuori che era arrivata la corvè col rancio. Un sereno splendido, ma è buio.
Non appena fuori, un razzo austriaco venne in mezzo a noi che ci obbligò tutti a terra. Poi si spense e si poté continuare la distribuzione, sotto le pallottole.
Rientrato, feci per 5 una gavetta di caffè caldo con cioccolata e ci si ristorò. Più tardi un cucchiaio di cognac e poi la merendina; a dire il vero, se non fossi in 1^ linea, resterei (qui) per il mangiare. Ma gli spaventi che continuamente ti fanno passare è una cosa incredibile.
Infatti alle 12 cominciò un tiro di granate alle nostre linee che tremava il colle. Tante scoppiavano lontane, ma tante vicine in modo che ci toccava fuggire a destra e a sinistra come i matti, lanciandoci addosso terra, sassi, ecc. (Però) senza pericolo perché sapevamo scansarle. Ma nei punti ove battevano era un vero inferno. Oggi si ebbe un ferito, ma guai nessuno.

30 gennaio -domenica- :

Mi alzai come ieri mattina e feci le stesse operazioni. Il tempo, per nostra disgrazia, è sereno. Subito alzato, mi portai sulla linea del fuoco e osservai per le feritoie la linea nemica.
I loro reticolati sono fitti e i nostri morti insepolti moltissimi. Poverini! Sarà un mese che sono là, neri come carboni in tutti gli atteggiamenti. Nulla altro dico.
Ritornai di corsa, inseguito dalle palle, alla seconda linea. Cominciò un tiro di granate che durò fino a sera. Noi intanto ci mettemmo nella nostra trincea e si fece una buona cenetta; ma già, contenti non si era essendo giunto l’ordine di stare attenti che probabilmente avremo un contrattacco. Così per quella note non si dormì.
Alle 11 e mezza cominciò il lancio delle bombe. Poi seguì una notte di sangue…

31 gennaio -lunedì- :

Alla mattina si constatarono le vittime. Finora abbiamo una giornata calma; un sole, per nostra disgrazia, bello. Potei assistere ad una lotta di aeroplani.
Ora sono le 12 e vidi (assistetti alla) la sepoltura dei morti. A sera altro ordine di stare attenti per la stessa improvvisata. Non spiego la paura che mi venne addosso. Anzi rinforzarono la linea con truppa che era a riposo a Redipuglia.
Invece la notte passò calma e ci si riposò fino alla mattina.

1 febbraio -martedì- :

Alle ore due di notte venne il rancio; mi presi la mia parte. Poi, ritornato in trincea, feci la cioccolata.
Venne il chiaro. Il tempo però è nuvoloso; ma la nebbia non si vede.
Uscii e andai dal Capitano che mi diede l’ordine del giorno. Lo lessi lungo il camminamento e trovai (scritto) che oggi abbiamo il cambio se la nebbia cala, altrimenti (lo avremo) questa notte.
Ora sono le 11. I cannoni si parlano con terrore e noi ci stiamo preparando per la partenza.
Alle 12 siamo già alle Cave, ma il tragitto per arrivare là fu tutta una corsa fra quei monti. Si arrivò tutti sudati perché adagio non si poteva camminare, data la bella giornata. Là il Reggimento sostò per non arrivare al ponte sull’Isonzo col chiaro.
Io intanto, col furiere, si venne avanti e si camminò fino a S.Pietro dove vidi la chiesa alla quale il giorno prima una bomba aveva rotto mezzo coperto. In che condizioni! Poi, preso un camion, ci si portò a Campolongo. Poi facemmo 2 Km a piedi e si arrivò ad Aiello dove, preso l’alloggiamento per la fureria, si andò a fare una buona cenetta.
Poi si andò a dormire, per terra senza un filo di paglia. Ma la stanchezza era così grande che si dormì fino alla mattina.

2 febbraio -mercoledì- :

Oggi si passò una giornata di vero riposo e di mezzo lutto per la morte del Tenente successa a Turriaco, a causa (dei fatti) della notte dal 30 al 31 (gennaio). A sera andai fuori.

3 febbraio -giovedì- :

Riposo. In Compagnia pulizia delle armi.

4 febbraio -venerdì- :

Riposo, giornata splendida e ci si potè godere il sole.

5 febbraio -sabato- :

Riposo per la Compagnia; non per quelli però che sono in fureria perché il Capitano ci mette al lavoro dalla mattina alla sera.
Questa mattina grande ufficio funebre ai due Tenenti della Compagnia con rappresentanza della stessa. (61)
Preparare pel Capitano specchio Compagnia indicante i morti, i presenti e gli assenti; gli assenti dove sono. Dei presenti indicare le cariche, i servizi che occupano, i nominativi; e degli assenti dove sono. Fare un ruolino per il Capitano, diviso per plotone e per squadra, mettendo classe e categoria.

(il diario si interrompe; ci sono alcune paginette bianche e in una, scritte con un pastello blu, le seguenti parole:)
Congedato nel BATTAGLIONE COMPLEMENTARE 10^ COMPAGNIA della Brigata “TARO” il 24 – 12 – 18.

Note

61 – Le funzioni religiose per i caduti in combattimento erano celebrate dai Cappellani militari; lo stesso facevano i Cappellani assegnati agli Ospedali da campo o militari. Nei registri della Parrocchia di Battaglia, quando viene annotata la morte di un soldato del locale ospedale da campo, viene anche indicata la presenza del Cappellano militare.
I Cappellani Militari erano sempre stati presenti negli eserciti degli Stati dell’Italia preunitaria (Regno delle due Sicilie, Ducato di Modena, Regno Lombardo-Veneto, Granducato di Toscana, Regno di Piemonte, ecc.). Dal 1867 al 1878 nel neonato esercito italiano i Cappellani militari, a poco a poco, scomparirono e nel 1878 fu soppresso il servizio religioso nelle forze armate. Dei Cappellani ne ebbero anche i “Mille” di Garibaldi. Fra questi viene ricordato in particolare don Angelo Arboit, un prete di Rocca d’Arsiè, che Garibaldi definì “mio fratello d’armi”. Era l’Arboit un uomo inquieto, frutto del tempo in cui visse. Nel 1848 si arruolò nei Cacciatori delle Alpi, combatté qua e là per l’Italia percorsa da fremiti di rivolta restando ferito, si congedò per riprendere gli studi. Dopo la laurea conseguita a Padova, fu ordinato sacerdote e cominciò una sorta di carriera da pedagogo fintanto che nel luglio del 1860 piantò tutto per raggiungere le truppe in camicia rossa a Genova, preso d’entusiasmo per le vittoriose imprese di Garibaldi in Sicilia. Dal capoluogo ligure s’imbarcò con altri duemila volontari del Veneto e della Lombardia, diretti in Campania, dove incontrò Garibaldi in persona che lo nominò “Cappellano dei Mille”. Conclusa l’esperienza di sacerdote-garibaldino, l’Arboit tornò al paese natio dove morì il 19 marzo 1897.
Nel 1915 il Parlamento italiano votò con la legge sulla mobilitazione, anche il ripristino dell’assistenza religiosa. Nel marzo del 1915 il Ministero della Guerra disponeva la chiamata dei ministri del culto, regolandola nel modo seguente: “Gli insigniti degli Ordini maggiori da suddiacono in su, devono essere trasferiti effettivi alle Compagnie di Sanità del proprio Corpo d’Armata e sono di preferenza impiegati, come ecclesiastici, nelle sezioni di Sanità, negli ospedaletti e negli ospedali da campo, se appartengono a classi e categorie dell’Esercito Permanente e della Milizia Mobile; sono impiegati, come ecclesiastici, negli ospedali militari territoriali o nei reparti di Sanità addetti alle fortezze e nei treni attrezzati a trasporto feriti o ammalati, se appartengono a classi o categorie della Milizia Territoriale.” Il 12 aprile 1915 il Capo di Stato Maggiore Gen. Cadorna diramava una disposizione con la quale si estendeva l’assegnazione di un ecclesiastico ad ogni unità dell’Esercito. Quando fu decretata la mobilitazione generale il 22 maggio 1915, furono automaticamente chiamati alle armi i 10.000 ecclesiastici previsti, fra i quali Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII (dapprima come sergente-prete di Sanità e poi in qualità di Cappellano Militare col grado di tenente). Don Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, in divisa militare.

Angelo Giuseppe Roncalli,futuro papa Giovanni XXIII, sacerdote e sergente durante la prima guerra mondiale.

In genere i Cappellani Militari erano reclutati fra i sacerdoti che non erano direttamente impegnati nella “cura d’anime”, cioè a dire che non avevano un ufficio parrocchiale; ma erano docenti di Seminario, religiosi dei vari Ordini, professori di scuola.
Nel corso della guerra i Cappellani Militari arruolati furono 2.070. Di essi 93 caddero in combattimento, 546 vennero decorati, 110 furono fatti prigionieri con i reparti presso i quali prestavano assistenza spirituale. Questi ultimi, al loro rientro dalla prigionia, furono assegnati ai vari centri di raccolta affinché cooperassero all’opera davvero non facile del reinserimento nella vita militare normale prima e in quella civile poi, dei soldati italiani ex prigionieri.

San Pier d’Isonzo (GO), Monumento a ricordo della Grande Guerra.

Salvadi83 [CC BY 4.0], da Wikimedia Commons con modifiche.

Domenico Bodon
a cura di Bruno Savin

In guerra con il coraggio della fede, copertina.

Bruno Savin, In guerra con il coraggio della fede. Diario di 100 giorni sul Carso del fante Domenico Bodon e vicende di altri 600 soldati battagliensi nella Grande Guerra, a cura di: Parrocchia di Battaglia Terme : Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia – Sezione di Battaglia Terme, 1999, pp. 2-59 e 161.

Le foto che non sono accompagnate dall’attribuzione dell’autore sono pubblicate nel libro di B. Savin, da cui è tratto il diario.