In trincea con il conforto della fede

Nel suo diario di guerra Bodon Domenico racconta la drammatica esperienza vissuta in trincea nel corso della Quarta battaglia dell’Isonzo. Le memorie del fante battagliense iniziano il 5 novembre 1915, giorno della partenza da Ravenna, e si concludono il 5 febbraio 1916.
La redazione del testo è stata curata da Bruno Savin, autore del libro In guerra con il coraggio della fede, ove questo diario è stato pubblicato.

L’AUTORE DEL DIARIO: BODON DOMENICO

Il fante Bodon Domenico, autore del diario.

Il fante Bodon Domenico, autore del diario.

Bodon Domenico di Enrico Antonio e di Berengan Amalia, nacque a Battaglia il 05/05/1881.
I nonni si chiamavano Bodon Domenico e Vendramin Maddalena e forse erano i gestori (non i proprietari) dello Stabilimento Termale di Sant’Elena di Battaglia.
I genitori si erano sposati il 30/04/1880 e il primo figlio fu Domenico Luigi Antonio, autore del diario. Dopo di lui nacquero: Giovanna (1882), Luigi (1883), Beniamino (1885), Beniamina (1887), Giovanni (1888), Antonio (1890), Olivo (1893), Antonio Giovanni (1895), Maria Giovanna (1897), Fineej Giovanni (1899).
Il padre Enrico, che svolse le mansioni di sagrestano della Chiesa di Battaglia per 50 anni, nacque il 13/11/1847 e morì il 22/12/1914.
Le mansioni di sagrestano o campanaro le svolsero anche gli zii Bodon Luigi dal 1887 al 1892 e Bodon Antonio dal 1896 al 1900, il fratello Bodon Luigi fino al 22/05/1929 e un altro fratello, Bodon Olivo, fino al secondo dopoguerra.
Frequentò la scuola fino alla 5^ classe delle elementari.
Poi lavorò come garzone nel negozio di alimentari del Sig. Muneratti Odoardo (attuale Lombello in via Maggiore).
Fu chiamato alla visita di leva nel 1901 e nel 1902 e dichiarato rivedibile. Fu dichiarato abile di 1^ cat. il 16/07/1903.
Il 24/10/1915 fu chiamato in guerra e fu congedato il 31/12/1920. Gli fu assegnata la medaglia interalleata della vittoria, coniata nel bronzo nemico, il 10/03/1921; la Croce al merito di guerra il 06/06/1930 e la medaglia del cinquantenario.
Qualche anno dopo la guerra decise di lavorare in proprio. Con la liquidazione di Lire 1.000 avuta dal suo datore di lavoro prese in affitto un locale in Via Maggiore (a sinistra dell’attuale Cassa di Risparmio) e aprì un negozio di generi alimentari. Dopo la 2^ guerra mondiale passò in Via Terme.
Sposò Bacci Emma il 22/11/1920 ed ebbe 5 figli: Antonietta nel 1921, morta dopo pochi giorni, Enrica Elsa nel 1922, Bianca Maria nel 1924, morta a sei mesi, Virgilio Enrico nel 1926 e Giuliano nel 1928. Fu sempre iscritto all’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci.
La moglie, nata nel 1889, morì nel 1962; Bodon Domenico morì il 28/01/1968.

Il servizio militare di Bodon Domenico nella guerra 1915/18
BODON DOMENICO
di Enrico e di Berengan Amalia
NATO A: Battaglia il: 05/05/81
RESIDENTE A: Battaglia
MATR. 17250
LAVORO :Pizzicagnolo
STATURA IN CM: 159
TORACE IN CM.:
CAPELLI: Neri lisci
OCCHI: Castani
LEGGE E SCRIVE: Sì
NOTE: È l’autore del diario. Sposa Bacci Emma il 22/11/1920.
Presente nella foto del Gruppo Reduci.
27/04/1904 Deposito Reggimento Fanteria in Padova.
14/09/1904 Congedato.
24/10/1915 124° Reggimento Fanteria (Dep. del 13°) Brigata “Chieti”.
06/11/1915 In zona di guerra a 34 anni.
30/11/1915 Nominato Caporale.
03/04/1917 265° Reggimento Fanteria Brigata “Lecce”.
30/04/1917 Promosso Caporale Maggiore.
15/11/1917 16° Reggimento Fanteria Brigata “Savona”.
01/12/1917 60° Reggimento Fanteria Brigata “Calabria”.
10/01/1918 85° Reggimento Fanteria Brigata “Verona”.
06/06/1918 217° Reggimento Fanteria Brigata “Volturno”.
24/12/1918 Lascia la zona di guerra.
15/08/1919 In licenza illimitata e congedato.
DURANTE LA GUERRA
1915 NOVEMBRE-DICEMBRE Partecipa ai combattimenti oltre l’Isonzo a q. 118 e q. 100 di Polazzo in prima linea.
1916 GENNAIO-LUGLIO Sempre in prima linea a Redipuglia.
1916 AGOSTO Prende parte alla battaglia di Gorizia (Doberdò – Hrib).
1916 SETTEMBRE Combatte a q. 238 M. Lukatic.
1916 OTTOBRE Partecipa agli scontri di M.Melina – Cima Palone nella Valle Giudicarie (Trentino) dove rimane fino all’aprile del 1917.
1917 APRILE-MAGGIO Passa alla Brigata “Lecce” sul fronte del Carso e partecipa ai combattimenti sul M. Faiti – Volkovniak (10^ Battaglia dell’Isonzo).
1917 GIUGNO-OTTOBRE Combatte durante l’11^ Battaglia dell’Isonzo sulla Bainsizza.
1917-1918 Passa in diversi Reggimenti impiegato nei posti Comando, nelle furerie e nell’addestramento delle reclute, sempre in zona di guerra, nelle seconde linee.
Cartina con i luoghi ove si sono svolte nove delle dodici battaglie dell'Isonzo.

Bruno Savin

N.d.R: Nel ricopiare il Diario, il Redattore ha aggiunto delle parole per facilitarne la comprensione. Queste aggiunte sono riportate in corsivo e tra parentesi.

DIARIO AUTOGRAFO DEL FANTE BODON DOMENICO

Memorie della mia vita riassunte giornalmente, minuziosamente augurandomi di giungere alla fine e poterle portare a casa come ricordo perenne.
Cominciato ai 5-11-1915.
Fante Bodon Domenico. (1)

5 novembre 1915 -venerdì- : Partenza da Ravenna.

Alle ore 6 della mattina abbiamo avuto l’avviso per la partenza; tutti al lavoro per preparare lo zaino. Io, dopo il rancio, feci una colazione nella darsena mangiando uno scievolo (cefalo) arrosto. Verso le ore 11 mi recai al Comando per ricevere (la) cinquina (2) e paga pel viaggio; poi libera uscita fino alle 4 di sera, ora in cui fummo tutti equipaggiati (3) ricevendo il vitto pel domani costituito da pane, salame e formaggio.
Alle ore 6 di sera io ero già sul treno dove acquistai con un compagno 1 fiasco di vino. Il treno contava 70 vagoni tutti pieni del 58°-57°-6°. (4)
Al momento della partenza il treno si mosse al suono della marcia reale e si mise in viaggio salutato da tutte le Autorità militari.
Arrivai a Ferrara alle ore 9 e mezza (di sera) dove il treno fece una piccola sosta. Il fante non fece a meno di discendere: chi per bere, chi per trovare l’amico, ecc. Dopo pochi minuti (il treno) si rimise in movimento e partì; si sentiva, con quanto era lungo il treno tutto un cantare e arrivammo a Rovigo alle ore 10 e mezza (di sera). (5)
Anche qui come sopra (come a Ferrara); in più successe che il sergente della mia Compagnia, trovando la moglie in stazione, sostò lì e perdette il treno.
Partenza di nuovo con “Evviva!”. Passammo Monselice e arrivai a Battaglia alle ore 11 e tre quarti (di notte); gettai una lettera a Giuseppe Gati che la raccolse e la passò al suo indirizzo.
Arrivai a Padova. Anche costì una tappa di 40 minuti. Visto gran concorso di famigliari. Ore una di notte: partenza.

Stazione ferroviaria di Padova (1917).

La stazione ferroviaria di Padova in una foto del 1917.

Di Anonimo – [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Note

1 – Il Fante Bodon Domenico partì per il servizio di leva nel 1904 assegnato al Reggimento di Fanteria di Padova nell’Esercito Permanente e cioè a un reggimento che, in caso di guerra, era inviato in 1^ linea. Dopo il congedo si restava iscritti all’Esercito Permanente per circa 8-9 anni. Poi si passava all’Esercito di Milizia Mobile e cioè di 2^ linea, quali rincalzi della 1^ linea. Dopo 12 anni dal congedo, adempiuto l’obbligo di leva, si veniva inseriti nell’ Esercito di Milizia Territoriale e cioè di 3^ linea con compiti di sorveglianza del territorio, svolgimento di lavori, presidio, collegamenti, rifornimenti, ecc. Però anche questi soldati, in tempo di guerra, si trovavano spesso in 1^ linea e coinvolti nei combattimenti. In sostanza i soldati dai 19-20 anni ai 29-30 anni costituivano l’Esercito permanente (1^ linea); i soldati dai 30 ai 33 anni costituivano l’Esercito di Milizia Mobile (2^ linea) e i soldati dai 34 ai 40-42 anni costituivano l’Esercito di Milizia Territoriale. Perciò quando il Bodon fu richiamato nel 1915, fu inquadrato in un Reggimento di Milizia Mobile (il 124° Reggimento Fanteria che, assieme al 123°, formò la Brigata “Chieti”) con compiti di 2^ linea. Ma vedremo che sarà inviato subito di rincalzo alla 1^ linea. Il 124° rgt. Ftr. era stato formato dal Deposito del 13° Rgt. Ftr. della Brigata “Pinerolo”.

Mostrina 123°-124° Reggimento fanteria Brigata Chieti.

Mostrina 123°-124° Reggimento fanteria del Regio Esercito Italiano Brigata “Chieti”.

Arturolorioli [CC BY-SA 4.0], da Wikimedia Commons

2 – La Cinquina era il compenso spettante al soldato per 5 giorni di servizio militare: 1 lira circa al giorno.

3 – Il soldato di fanteria in tenuta da combattimento indossava l’uniforme grigio-verde con giubba a un petto, chiusa da cinque bottoni di cartone pressato nascosti da una sovra bottoniera, e priva di tasche esterne. Sul bavero in piedi portava cucite le mostrine della Brigata di appartenenza, di forma rettangolare completate da una stelletta e da un bottoncino metallico piatto. All’attaccatura delle maniche erano cuciti gli spallini a salsicciotto che avevano lo scopo di impedire agli spallacci dello zaino o alla cinghia del fucile di scivolare dalle spalle. L’interno era foderato in tela di cotone e aveva due tasche a toppa all’altezza del petto e un taschino sulla falda posteriore, chiuso da un bottone, destinato a contenere il pacchetto di medicazione. I pantaloni erano lunghi, stretti alle caviglie da due laccetti e ricoperti nella parte inferiore dalla fasce mollettiere, avvolte fin sotto il ginocchio. Calzava stivaletti in cuoio naturale, scuriti dalle frequenti ingrassature.
Portava l’elmetto metallico, ricoperto da una foderina antiriflesso. L’elmetto portava il fregio del reggimento.
Era armato di fucile mod.1891 e della relativa baionetta, infilata nel fodero di cuoio nero con fornimenti di ottone e sospesa al cinturino. Al cinturino erano appese anche le due coppie di giberne, contenenti 16 caricatori da 6 cartucce cal 6,5 mm per il fucile, agganciate alla bretella di sospensione che contribuiva a ripartire meglio il peso notevole delle munizioni. Dentro al tascapane, portato a tracolla con la borraccia di legno, agganciata all’esterno, conservava le razioni viveri per il combattimento, il gavettino e il cucchiaio. Con un cordone di traverso sul petto era appesa la scatola di latta che conteneva la maschera antigas. Questa scatola riportava questa scritta: “Chi si leva la maschera muore – Tenetela sempre con voi”.

Soldati di fanteria della Prima Guerra Mondiale.

Albertomos [Public domain], via Wikimedia Commons

Ogni soldato portava sempre un piastrino di riconoscimento o tessera militare. In un primo momento il piastrino, di lamiera di zinco rettangolare, era cucito all’interno della bottoniera. Portava scritti ad inchiostro zincografico indelebile il cognome e nome del soldato, il distretto di reclutamento, il numero di matricola, la categoria e l’anno di nascita. Questa piastrina fu sostituita nel 1916 dalla “tessera militare”. Era una custodia apribile in latta cromata, che si portava appesa al collo con un cordoncino; conteneva una striscia di carta ripiegata più volte che riportava il cognome, nome e grado del militare, il luogo e la data di nascita, il cognome e nome dei genitori, la classe di leva, il numero di matricola ed altri dati medici. Probabilmente questo tipo di piastrino è stato la causa di molti mancati riconoscimenti di caduti, poiché la striscia di carta, se esposta all’umidità, si macerava dopo poco tempo.


Tessera militare di Bodon Domenico.

La tessera militare del fante Bodon Domenico.

4 – I Reggimenti di Fanteria 57° e 58° appartenevano alla Brigata “Abruzzi” di stanza a Padova. Il 6° Reggimento Fanteria apparteneva alla Brigata “Aosta”. Nella Brigata “Abruzzi” erano arruolati soldati di origine veneta e del Distretto Militare di Padova. All’atto della Mobilitazione i soldati in congedo della Milizia Mobile di questa Brigata vennero concentrati a Ravenna da dove partirono per il fronte ed assegnati ai nuovi reggimenti e alle nuove Brigate.

5 – Molti erano i canti dei soldati chiamati al fronte. Fanti, Alpini, Bersaglieri, Artiglieri ne avevano anche di propri, specifici dell’Arma o del Reparto di appartenenza. […]

6 novembre (sabato):

Dopo mezz’ora di corsa il treno si fece silenzioso e tutti dormirono.
Passai tutta la notte in uno scompartimento di II^ classe assieme a 7 compagni. Passammo Mestre senza accorgerci e ci svegliammo a Ceggia. Piove a dirotto. Si prese il “grappino” in ferrovia e alle ore 7 e mezza si partì per Portogruaro.
Strada facendo ci fu la I^ colazione con pane, mortadella e vino nero. Giunti (a Portogruaro), tappa di mezz’ora. Arrivammo alle 10 e mezza a Fossalta (di Piave) con tappa di 1 ora, ripartendo alle 11 e mezza.
Strada facendo trovai Alessandro Zodio su un palo ferroviario e ci salutammo (6).
Arrivammo ad una stazione sostando 1 ora; poi partenza e si arrivò ad una seconda (stazione) ove ci aspettava un’altra tappa. Nel qual tempo (durante questa tappa) feci acquisto di un secondo fiasco di vino.
Ore 4 (pomeridiane): tempo variabile. Partenza dopo poco per S. Giorgio di Nogaro dove arrivai già sera. Lì una piccola cena: formaggio, pane e vino. Partenza da lì per Cervignano; ma ormai la notte calava e non si poteva più sortire (uscire) dal vagone; non si vedeva altro che un gran deposito di treni tutti pieni di soldati. Erano le 9 (di sera) che ormai il sonno cominciava. Si dormì e non si seppe più cosa succedesse attorno a noi.
Alle 12 di notte (mezzanotte) essendo fermi in una piccola fermata (stazione) alla vecchia frontiera (7), venni giù per un bisogno corporale e sentii il primo colpo di cannone che mi fece impressione di molto. Tornato in vagone, presi il sonno e mi trovai a Cervignano alla mattina del 7-11-1915.

Fossalta di Piave in una cartolina del 1917.

Lalupa [CC BY-SA 4.0], da Wikimedia Commons con modifiche.

La stazione ferroviaria di Cervignano del Friuli in una foto del 1906.

sconosciutoUnknown author [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Note

6 – Zodio Alessandro di Alessandro e Sammartinaro Maria nato a Pernumia il 9-12-1885, residente a Battaglia. Faceva il guardafili dal 1908. Fu chiamato alle armi il 14-11-1915; fu militarizzato e dispensato con l’obbligo di continuare a prestare servizio nell’Amministrazione postelegrafica.

7 – I vecchi confini tra Italia e Impero austro-ungarico.

Confine nord-orientale tra Italia e Impero austro-ungarico nel 1914.

Confine nord-orientale tra Italia e Impero austro-ungarico nel 1914.

7 novembre (domenica):

Fui svegliato alle 4, il tempo bello. Venni giù (dal treno) assieme a dei compagni a sentire il cannone che ripetutamente tuonava. Tornato in vagone si stette fino alle 7 perché faceva fresco; solo una piccola sortita sopra il tetto del carro (vagone) per vedere un pallone frenato. (8) Ore 9 e mezza: il treno è fermo, poi parte all’improvviso con un tempo splendido, camminando a passo di lumaca. (9)
Uno spettacolo vedere i soldati correrci dietro. (10) Fermata alle 10 in mezzo ai campi e da qui il cannone si sente benissimo.
Sopra il treno passa un aeroplano salutato da tutti i soldati. (11) Vista di scoppi di granate aeree, accampamenti da ogni parte della ferrovia dove corriamo noi, palloni frenati continuamente e aeroplani.
Nota speciale: in una casa il reclam dei Bagni di Battaglia. (12)
Siamo vicinissimi al fronte, tutto intorno case distrutte.
In un paese dove il treno è costretto a fermarsi, c’è un accampamento grandissimo e nel mezzo la bandiera italiana. Ore 11 antim. Il paese si chiama Villa Vicentina, ultimissima stazione che (oltre la quale) il treno non può più continuare, perché in vista al nemico; sono ancora in treno senza cibo da ieri sera. Si smonta e si fa l’appello vicino alla stessa (stazione). Tempo bello. Il cannone tuona continuamente. Si parte alle 11 e un quarto.
All’una e mezza siamo di fronte al nemico sul punto ove questa mattina gli shrapnel scoppiavano. (13) Si vedono le buche fatte senza (provocare) disgrazie. Ancora da mangiare e mi trovo in un campo tutto fango. Dopo 2 ore di aspettativa ci venne l’ordine di attendarsi.
Oh Dio! In quel fango, ove, ormai pestato da altri soldati, ti affondavi tutta la scarpa. Pazienza! Piantammo la tenda e intanto chi di noi 5, destinati a questo lavoro, era libero, andava in cerca di canne, di qualcosa insomma per posare le nostre povere ossa. Alla fine si giunse tutti sudati e allora si andò a prendersi la paglia ottenendone 4 chili per ogni uno.
Ore 5 di sera. Siamo alla fine. Intanto si parla con diversi compagni che ci dicono il nome della località (dell’accampamento) cioè Ruda (fra Cervignano e Gradisca). Giunge la notte e alle 7 di sera il rancio venne: poca pasta e un bel pezzo di carne, cruda quasi; ma fame è sì grande che dovemmo inghiottirla a pezzi. (14) Terminato (il rancio), cominciò la sete; e dove nella notte trovar l’acqua?
Un compagno ci indicò il punto e allora partimmo pestando fra le pozzanghere. Giungemmo alla fontana e si bevve a sazietà. E poi una gavetta me la portai sotto la tenda.
Dunque eccoci a notte alta ormai, prepararsi il letto, diremo, senza accendere fiammiferi, tutto a tastoni. Nel frattempo che uno preparava, l’altro aspettava, finché giungesse l’ultimo per chiudere (la tenda). lo fui l’ultimo.
In quel tempo che aspettavo, uno spettacolo dei più raccapriccianti mi si presenta all’occhio. Sul fronte dell’Isonzo si vedono continuamente dei gran riflettori, ma tanti, che corrono (battono) con la loro traiettoria dei pezzi (tratti) lunghi, in modo che i nostri, sotto quel forte chiaro, potevano vedere i pezzi nemici; e allora il cannone che era pronto sparava con un tumulto che in mezzo alla notte faceva ribrezzo.
Noto fra l’altro che siamo attendati vicino ad un cimitero. Contemporaneamente si vedono anche gli shrapnel spaccarsi in aria e poi forse far danni che ora non posso spiegare. Insomma mi impressionai tanto che mi coricai subito con l’idea che forse fra quei 4 teli di restare al sicuro. (15)
Erano le 8 di sera e cominciò un cannoneggiamento d’inferno. Le palle fischiavano e poi si chiudeva con un rombo che (faceva) tremare la terra. Ma già la stanchezza mi prese, il sonno mi portò via e mi svegliai alle due che battevano (bombardavano) il paese.

Chiesa di Villa Vicentina in una foto austriaca del 1918.

La chiesa di Villa Vicentina in una foto austriaca del 1918.

Deutsch: K.u.k. Kriegspressequartier, Lichtbildstelle – Wien [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Note

8 – L’Italia entrò in guerra con 7 dirigibili (4 a Campalto di Mestre e 1 ciascuna delle seguenti località: Boscomantico, Ferrara, Iesi, Vigna di Valle di Bracciano, Torino Mirafiori, Baggio Milano). Furono soprattutto gli Austriaci ad utilizzare in larga misura i dirigibili per portare l’offesa aerea anche in zone lontane dalle retrovie del fronte. Così il Veneto fu la regione che dovette subire maggiormente i bombardamenti aerei. Anche le città dell’Italia meridionale vennero colpite più volte dai “draken” austriaci e tedeschi nel corso di raid notturni, come Napoli nel marzo del 1918. I dirigibili italiani erano di due tipi. Il tipo denominato P. (piccolo) era lungo 83 metri con un diametro di 12 m e, spinto da un motore da 110 HP, poteva raggiungere i 32 km orari. Il tipo M (medio) era lungo 83 metri con un diametro di 17 m e, spinto da due motori di 180 HP, raggiungeva la velocità di 70 km orari. Vennero usati ancora i “palloni frenati” della Sezione aerostieri del Genio (3° Reggimento) con compiti di osservatori. Secondo la testimonianza del sig. Orlando Catterino (classe 1910) di Battaglia, registrata nel marzo del 1998, i dirigibili si alzavano anche dal campo di aviazione di S. Pelagio, almeno nel 1918.
Alla fine del 1916 i dirigibili italiani saranno 14.

9 – Coloro che lavoravano alle dipendenze dell’Amministrazione Ferroviaria vennero in parte arruolati nel 6° Reggimento Genio Ferrovieri per la guida dei treni armati e la manutenzione della rete ferroviaria militare. Gli altri vennero militarizzati e lasciati a continuare il loro lavoro. I soldati del 6° Rgt. Genio Ferr., inquadrati in 23 Compagnie, furono largamente impiegati per incrementare la potenzialità delle strade ferrate del Veneto e consentirono il rapido spostamento di ingenti quantità di uomini, mezzi e materiali dal fronte trentino a quello dell’Isonzo. Inoltre gestirono direttamente la linea Torino-Chivasso-Aosta.

10 – I soldati della Milizia Territoriale erano quelli impiegati in 3^ linea ed avevano un’età superiore ai 33-34 anni; ma ce n’erano anche di più giovani come, ad esempio, quelli della 3^ Categoria, non idonei fisicamente alla 1^ linea.
Quelli della Milizia Territoriale ( chiamata dai più giovani “la Terribile”), presenti in tutte e armi e specialità, erano preziosi in tantissimi impieghi; ma soprattutto rendevano disponibili per il combattimento tutti quei soldati dell’Esercito Permanente che, in tempo di pace, erano impiegati nei compiti di presidio e sorveglianza. Tuttavia moltissimi soldati della Territoriale furono impiegati anche nei combattimenti in 1^ linea quando l’andamento della battaglia non era favorevole. Questo accadde in particolare modo fra i Battaglioni Alpini.

11 – L’Italia entrò in guerra con 58 aerei, suddivisi in 14 Squadriglie. Queste erano dislocate nell’alta Italia (Portogruaro, Motta di Livenza, Campoformido, Venezia, Verona, Piacenza). Dopo Caporetto, venne usato anche il campo di aviazione di S. Pelagio, da dove, nell’agosto del 1918, Gabriele D’Annunzio partì per il volo propagandistico su Vienna. In un primo momento gli aerei erano impiegati per l’osservazione dei tiri di artiglieria; ma ben presto molti aerei diventarono anche bombardieri.
Pochi mesi dopo l’entrata in guerra le Squadriglie di aerei saliranno a 25 e alla fine del 1916 saranno 44 con 370 apparecchi. Erano tutte inquadrate nell’Esercito. L’Aviazione diventerà Arma autonoma nel 1923.

Il pilota aviatore Girolamo "Gino" Allegri in una foto del 1918, ultimo anno della sua vita.

Il veneziano Girolamo “Gino” Allegri, pilota aviatore dal 1916. Svolse 119 missioni aeree e il 9 agosto 1918 partecipò al volo su Vienna insieme a Gabriele d’Annunzio. La foto è stata scattata in occasione di tale impresa. Morì due mesi dopo, il 5 ottobre 1918, per un incidente di volo a San Pelagio (Due Carrare, PD). Ad Allegri è stato intitolato l’aeroporto di Padova, la cui struttura è stata costruita proprio nel corso della prima guerra mondiale.

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12 – Questo Albergo Termale sorgeva in Via Terme, verso l’attuale ponte in ferro, e fu demolito nel 1936-37 quando fu costruito lo Stabilimento Termale dell’I.N.P.S. Adiacente all’albergo sorgeva lo Stabilimento Balneo Termale Militare.

13 – SHRAPNEL: questo proietto fu così chiamato dal nome del suo inventore Gen. Enrico Shrapnell dell’artiglieria inglese, nato nel 1761 e morto nel 1842. Era di forma oblunga, quasi sferica, caricato di polvere nera e pallette di piombo. Esplodeva lungo la traiettoria, ad una certa altezza da terra, lanciando intorno le pallette in un ampio raggio.

14 – Il rancio della prima guerra mondiale era il risultato del cambiamento già operato con la guerra di Libia (1911) quando dalle 2850 calorie si passò a 4085. Le razioni erano di tre tipi e variavano dal fronte a retrovie, dove si consumava la razione territoriale modificata che contemplava meno calorie, mentre al fronte venivano distribuite: la razione normale di guerra e la razione invernale di guerra. Esisteva anche una razione di riserva che era composta da 400 gr di galletta e 220 gr di bue in conserva.
Naturalmente la razione, che all’inizio consisteva in 750 gr di pane, 375 di carne, 200 di pasta, oltre a cioccolato, caffè, formaggio, cambiò a seconda della disponibilità di viveri che nel corso della guerra variò sensibilmente, ma anche in relazione alla località. In alta montagna venivano distribuiti supplementi di lardo, pancetta, latte condensato, mentre nel servizio in trincea erano contemplati alcolici, del resto segno inequivocabile di imminente assalto. Nel dicembre 1916 la razione diminuì per i problemi alimentari di cui soffriva tutta l’Italia, passando a 3000 calorie, cioè 600 gr di pane e 250 gr di carne, spesso sostituita da pesce poiché la carne bovina era in larga parte di importazione.
Dopo Caporetto, gli Italiani chiesero insistentemente più grano agli Alleati, ma a quel punto la strettoia era diventata la marina mercantile, falcidiata dagli affondamenti, che poneva il drammatico dilemma: far arrivare carbone o grano? In ogni caso nel giugno 1918, la razione, che nel novembre 1917 era ancora di 3067 calorie, venne aumentata a 3580 per sorreggere lo spirito dei combattenti. Gli avversari austriaci pativano invece duramente la fame. A gennaio 1918 la razione di pane diminuì da 200 gr a 165 per i lavoratori austriaci, con la distribuzione di un’oncia di carne al giorno, provocando così il crollo della produzione bellica. È certamente fatto riconosciuto che buona parte della sconfitta austro-ungarica nell’ottobre-novembre 1918 va addebitata al miserabile trattamento alimentare del soldato imperial-regio.

15 – I tiri di artiglieria avvenivano anche di notte. Per poter consentirne l’osservazione essi venivano preceduti da lanci di razzi illuminanti. Il terreno poteva essere illuminato anche da riflettori potenti (fotoelettriche). Quando si tiravano granate-shrapnel si usavano spolette a tempo, cioè che facevano scoppiare le granate ad una certa altezza da terra.

I luoghi del diario di Bodon Ferdinando.

I luoghi del diario di Bodon Domenico.

Mappa della linea ferroviaria Cervignano-Aquileia-Grado, 1915.

Mappa della linea ferroviaria Cervignano-Aquileia-Grado, 1915. Anche da questa immagine si possono rilevare i luoghi descritti nel diario.

3rd Military Mapping Survey of Austria-Hungary – Triest [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

8 novembre (lunedì):

Proprio allora una cannonata fu così forte da far tremare; ciononostante mi riaddormentai e mi svegliai poi alle 4, poi alle 6 e il cannone continua(va). Venni fuori dal mio giaciglio dunque alla mattina del giorno 8-11.
Appena fuori uno stormo di corvi passava sopra di noi e il cannone taceva; solo di tanto in tanto qualche colpo.
Alle 7, dopo preso un poco di caffè, andai a lavarmi in una fossa vicina. lo mi lavavo e vicino a me (c’era) un Tenente che faceva i suoi bisogni e si parlò del più, del meno. Tornato all’accampamento, il cannone tace; ma si sta a malincuore forse aspettando la visita di qualche aeroplano nemico (sono le ore 9).
Ore 10: Ordine improvviso; partenza dopo mangiato il rancio. Arrivammo a Torre, paesello ameno pieno di soldati con grande deposito di cannoni e bossoli vuoti. Lì incontro automobili, camions, truppa che ritornava dalle linee.
Passiamo il fiume Torre su un ponte di legno fatto dal Genio (16) e in marcia di nuovo si arriva a Villesse. (Facciamo) tappa e là si vedono i primi campi di battaglia, trincee distrutte, reticolati divelti, militari, poi un gran deposito.
Eccoci di nuovo in marcia protetti da un aeroplano e da un pallone frenato. Si comincia ad essere bene in vista al nemico.
Finché arrivammo vicino al ponte dell’Isonzo, lungo 300 metri, fatto anche quello dal Genio. Lì si videro (dei) Carabinieri che attendevano il passaggio di truppe per chiudere; (17) poi trincee per tutto, ben lavorate dal Genio nostro che, ad un caso di ritirata, servono a noi. (18)
In marcia si giunse fino a un fabbricato, ossia un gruppo di case abitate da borghesi (civili). Poveri disgraziati: avevano due ore prima distrutto col cannone due di queste case e si vedevano, poverini, da quel mucchio di macerie portar fuori quelle poche suppellettili che restavano. (19)
Domandai (delle informazioni) e mi dissero chi era morto e che avevano appena portato via un Maresciallo, dei soldati nonché dei borghesi.
Si cammina ancora un altro poco e si arriva a Cassegliano, via (per) Monfalcone. Ci si vide la “macelleria” pel fronte. (20) Si fece tappa con la raccomandazione di stare coperti per il rischio di qualche granata. Ci fu dato un sighero (sigaro) per uno. Già cominciava a calare la sera.
Ore 6 (di sera): si sperava forse di fermarci lì; ma no, il dovere ci chiama più lontano; e difatti dopo 10 minuti, zaino in spalla e via. Dunque si va per una via coperta di alberi, in riva all’Isonzo, per uno.
Ma disgrazia volle che ci siamo raggrumati (raggruppati) tutti su un piccolo ponte sopra uno scolo (consorziale); ci incalzavano loro per camminare per uno, ma (era) impossibile.
Tutto d’un tratto una granata passa sopra la nostra testa fischiando. Allora (ci sparpagliammo) chi per una parte, chi per l’altra. Io, per esempio, mi inginocchiai dietro un piccolo argine sotto il peso dello zaino, nel fango alto (come) le scarpe e in quella posizione feci una preghiera.
Intanto la notte calava e con la protezione dell’oscurità, scivolando, si arrivò ad un paese chiamato Fogliano, sulla strada di Monfalcone (21), stanchi, bagnati di sudore, paura addosso, freddo alle gambe, i piedi bagnati. Lì ci hanno tutti raggruppati in un cortile al coperto dalle palle nemiche che ci fioccavano attorno.
Fecero l’appello. Ogni tanto un riflettore si alzava e ci si vedeva in faccia tutti. lo mi sedetti sfinito sul mio zaino e lì, nella notte, giacché ormai saranno state le 9 di sera, dissi il … (Rosario?) … (22)
Poi ci divisero. A me toccò la 10^ Compagnia del 124° Reggimento. (23) Fui contento quando seppi di essere assieme al Sergente Bellini, unica faccia da vero amico.
Poi di lì si passò dove era in trincea la nostra compagnia. Appena arrivati, che saranno state le 10 di notte, ci fu dato il rancio, anche buono; ma per la paura e l’impressione, non poteva passare per lo stomaco. Intanto attorno a noi le palle di fucile fischiavano e ad ogni fischio, in ginocchio!
Ora cosa succede?! … Passiamo in mezzo alle trincee, (che) spettacolo, scavate nel monte, fatte in tutte le maniere, in mezzo al fango, ai piedi del famoso Carso, di una terra così rossa! Io andai in cerca e ne trovai una che proprio raffigurava (somigliava) ad una tomba formata da una parte da monte scavato e dall’altra (da) una vecchia inferriata che potei distinguere dalla (luce di una) candela di due (soldati) che sotto dormivano.
Chiesi posto e i due Napoletani mi accettarono. Mi coricai, si fecero due parole e poi ci si mise a dormire.
Ma che sonno! Il cannone ogni tanto mi faceva tremare, le palle di fucile fischiavano sopra la trincea; anzi una cadde sopra la nostra. Grazie ad un telo tenda che c’era sopra, scivolò via.
Nonostante (tutto) ciò presi il sonno; mi svegliavo ogni tanto per qualche cannonata, finché giunse la mattina del giorno 9.

Posizione italiana a Fogliano in una foto austriaca del 1917.

Posizione italiana a Fogliano Redipuglia in una foto austriaca del 1917.

Deutsch: K.u.k. Kriegspressequartier, Lichtbildstelle – Wien [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Note

16 – All’inizio della prima guerra mondiale l’Arma del Genio è inquadrata in 6 Reggimenti: 1° Rgt. Genio Zappatori (21 Compagnie), 2° Rgt. Genio Zappatori (21 Compagnie), 3° Rgt. Genio Telegrafisti (24 Compagnie), 4° Rgt. Genio Pontieri (15 Compagnie), 5° Rgt. Genio Minatori (21 Compagnie), 6° Rgt. Genio Ferrovieri (12 Compagnie) .
Alla fine del 1916 le Compagnie Zappatori arriveranno a 204. Vengono create nuove specialità: pompieri, lanciafiamme, lagunari, teleferisti. Inoltre vengono organizzati 600 gruppi perforatori, 64 sezioni telefonisti e, dal Reggimento Ferrovieri, 540 stazioni fotoelettriche.

Soldati del Genio Telegrafisti.

Soldati del Genio Telegrafisti.

17 – I Carabinieri, oltre ai compiti di istituto (sorveglianza, presidio, controllo, ordine pubblico), furono anche impiegati in azioni di guerra inquadrati nel Gruppo Squadroni alla dipendenze del Comando Supremo.

18 – Nel gennaio 1916 con gli uomini della 3^ Categoria della classe 1881, furono costituite 160 Centurie Lavoratori, assegnate alla 2^ e 3^ Armata. Alla fine del 1916 le Centurie Lavoratori arrivarono a 821, con uomini di altre classi.
Queste operavano generalmente con i Reparti del Genio. Durante la guerra il Genio e le Centurie Lavoratori costruirono 3000 km di strade rotabili, 1000 km di strade carrarecce, 1000 km di mulattiere, 800 km di teleferiche.
Nel 1917 per costruire la Strada del Pasubio operarono la 33^ Compagnia del Reggimento Genio Minatori con le Centurie n.349-523-621-630-765-776.

19 – I profughi, in un primo momento, erano dei civili allontanati dalle zone teatro dei combattimenti nei territori occupati dagli Italiani. Dopo Caporetto, i profughi erano civili italiani fuggiti dai territori invasi dagli Austriaci, dall’Isonzo al Piave. I registri di morte della Parrocchia riportano i nomi di alcuni di essi: Mazzoleni Celestina di Giuseppe profuga da Montebelluna morta il 19-8-1918 a 17 anni; Darin Mario fu Giovanni profugo da Conegliano morto il 28-1-1919 a 3 anni; Fassinelli Emma di Pietro profuga morta il 4-2-1919 a 41 anni; Tessariol Teresa vedova Bortolan profuga da Montebelluna morta il 10-2-1916; Tesolin Agnese fu Agostino profuga da Cismon morta l’8-12-1917 a 30 anni; Perissinotto Giovanni profugo da Noventa di Piave morto il 5-8-1921 a 56 anni.

20 – All’inizio della guerra erano pronte 57 Sezioni di Sussistenza; 65 Sezioni Panettieri, 14 Parchi Viveri e 3 Colonne Viveri per Gruppi Alpini. Alla fine del 1916 le Sezioni di Sussistenza saranno 70, le Sezioni Panettieri 132 e i Parchi Viveri 17. Molti furono i panifici mobili chiamati Forni Weiss.
Ogni giorno per i soldati alle armi si impiegavano: 14500 q. di grano, 7500 q. di carne, 3000 q. di pasta, 1000 q. di formaggio, 1500 q. di frutta, 2000 hl di vino, 6000 q. di paglia, 38000 q. di foraggio per quadrupedi, ecc.
Il sig. Caterino Orlando, nella intervista citata, ricorda che una Sezione di Sussistenza era sistemata in Contrada della Sega (attualmente nell’area delle Officine Magrini-Galileo). Questa Sezione doveva provvedere anche per il rancio dei militari in servizio presso Villa Italia (nella zona di Lispida), dove aveva preso sede il re Vittorio Emanuele III, dopo i fatti di Caporetto. A quel tempo il sig. Orlando aveva 7-8 anni e spesso riceveva qualcosa da mangiare da quei soldati della Sussistenza. Infatti in quegli anni egli abitava in Via della Sega, poco lontano dalle cucine militari.

21 – La zona in cui si svolgono i fatti raccontati è quella dell’attuale Sacrario di Redipuglia.

22 – La corona del Rosario era un oggetto che molti soldati portavano nella tasca della giubba. Era come un “porta fortuna” per tanti; ma molto spesso recitare il Rosario era chiedere la protezione della Vergine nei pericoli imminenti. Costituiva anche un legame con la Fede nata, vissuta e cresciuta nella Parrocchia del paese natale e lontano. Più avanti si vedrà come il fante Bodon, con la recita del Rosario, riuscirà a infondere serenità e coraggio a sé e ai suoi commilitoni al fronte.

23 – Questo è il momento in cui i soldati della Milizia Mobile vengono assegnati ai Reggimenti di nuova costituzione, come era il 124° Rgt. Ftr. della Brigata “Chieti”. Assegnati al Reggimento i “complementi”, cioè i soldati richiamati dal congedo per colmare le perdite o per la costituzione delle nuove unità, questi venivano suddivisi in battaglioni e compagnie.

9 novembre (martedì):

Venni fuori dalla trincea e vedendo che tutti prendevano le cose filosoficamente, (mi) feci coraggio anch’io. Si bevve il caffè e, ora che scrivo, sono le 8 di mattina. Il cannone tuona da tutte le parti. Il tempo è bello e noi siamo al sole, vedendo però i feriti che portavano giù dalle prime trincee.
Era momento di adunata. Eccoci alla presenza di una degradazione di un Caporale. (24) Nel mentre che il Maggiore parlava, una palla nemica manca poco che lo ferisca; ma impavido (egli) continuò.
Poi il rancio: bocconi amari, fra il rombo continuo del cannone e diversi scoppi di granata sul nostro posto, avvistato prima da un aeroplano nemico.
Ore 10: gran vista di aeroplani italiani sopra il nemico. (Sono) perseguitati da bombe (contr)aeree ma loro impavidi continuano il loro volo sicuro.
Ore 12: sono seduto sopra (il ricovero) della fureria della mia Compagnia. Il cannone fa l’inferno, le palle fischiano sopra, ma ormai ci siamo abituati. Proprio in questo momento una cannonata nostra fece tremare la terra. Tempo bello.
Ore 1 (pom.): momenti di riposo per tutto il fronte dei “Tre Busi” (si tratta del M. Sei Busi) finché si giunse a sera.
Ecco che al calar della notte (scoppia) una fucileria d’inferno.
Comincia a piovere e per mia disgrazia dovetti stare tutta la notte seduto sullo zaino. Che martirio! Piansi, pregai e le palle fischiavano attorno a noi e non si poteva uscire dal covo.
Finché venne mattina: un bombardamento per tutto, cannonate, shrapnel, bombe urlavano! Ci si preparava per un’avanzata.

Monte Sei Busi, trincea italiana della Grande Guerra.

Monte Sei Busi, trincea italiana della Grande Guerra come appare oggi.

Kevin1971 [CC BY-SA 4.0], da Wikimedia Commons con modifiche.

Note

24 – Le degradazioni costituivano una delle punizioni più gravi che erano inflitte ad un soldato graduato e precedeva, in genere, la condanna all’ergastolo. Era inflitta per motivi vari: ammutinamento, rifiuto di obbedienza, abbandono del posto di vedetta, ecc. La perdita del grado invece consisteva nel ritorno a soldato semplice. Si incorreva in questa punizione per ubriachezza, lite, comportamenti immorali, cattivo esempio ai militari semplici; il grado si poteva riacquistare dopo un periodo di servizio esemplare o con lo svolgimento di azioni pericolose.
Un Caporale o un Caporale Maggiore o anche un Ufficiale perdeva i gradi ritornando semplice soldato. La degradazione avveniva alla presenza di tutto il Reggimento; generalmente il degradato cambiava Reparto e finiva per qualche tempo nella Compagnie di disciplina.
Nei casi più gravi (collaborazione col nemico) si perdeva anche la qualifica di soldato (venivano tolte le stellette) e rinchiusi in un carcere militare.

10 novembre (mercoledì):

Spaventoso! Eccolo! È mio desiderio scrivere a Beniamino Tasinato che in caso di mia morte faccia celebrare 24 messe per me, più un’aggiunta pel papà e la mamma. Direzione (indirizzo): Beniamino Tasinato Battaglia Prov.Padova. Scrive (mittente) Bodon Domenico soldato 124°Fanteria 10^ Compagnia.
Si giunse a sera, non si partì; nello stesso tempo, continuando a piovere, chiesi alloggio al mio caro amico Bellini e la notte la passai con lui abbastanza bene.
Nel mentre si dormiva, chiamiamolo dormire, un compagno del 121° (Fanteria), toscano, venne alle 2 di notte chiedere un posto, essendosi smarrito. Fu accolto, poverino, tutto bagnato, pieno di fame, senza berretto sotto alla mantellina.

11 novembre (giovedì):

Al mattino, nel momento che scrivo gli shrapnel urlano dappertutto e da sotto la nostra capanna, dove piove a dirotto, si vede, si sente di tutto. Da invocare Iddio che metta un freno a questo disastro. Per ora è quieto, ma si è sempre col cuore in angoscia per aspettare da un momento all’altro il nostro turno. Speriamo nel buon Dio!
Poi si uscì e chiesi (al toscano del 121°) cosa gli occorresse e gli diedi il mio berretto da riposo; un mio amico gli diede del pane, e un po’ di cioccolata che tenevo gliela passai; lui la divorò; poi feci parte del mio caffè e lo condussi nella cantina da campo, gli feci prendere due bicchieri di anice per dargli coraggio; poi si consegnò ai Carabinieri (25) per essere portato al suo posto.
Sono le 2 dopo pranzo, si mangia il rancio e poi: eccoci chiamati a partire.
Dico il vero: la morte subito mi sarebbe stata buona (sarebbe stata preferibile). Difatti alle 5 di sera ci si arma e, dopo una raccomandazione di silenzio, ci si avvia. Oh, Dio! Che Calvario! Questo stuolo (di soldati) viaggiava silenzioso sotto le palle nemiche finché si arrivò alla terza linea. (26)
Sono le 8 (di sera): un’oscurità spaventosa; ogni tanto si alzavano dei loro (del nemico) raggi e allora a terra tutti, in mezzo al fango. Poi su e avanti. Guardai da sopra e vidi il mare. Continuando il nostro passo ci si bagnava fino alle ginocchia di un fango rosso, lo vidi poi (anche in seguito), e si giunse fra i primi trinceramenti avanzati.
Disgrazia volle di essere veduti (dal nemico) e allora cominciarono al nostro indirizzo le granate, gli shrapnel. Che spavento! Tutti a terra. Io, per grazia di Dio, mi trovai in una pozzanghera e mi gettai in quell’acqua e fango. Stemmo lì un’ora.
Quante cose mi passarono per la mente!
Da un momento all’altro una bomba-granata mi cadde vicino. Sentii solo un piccolo sasso venirmi addosso; un mio compagno fu gravemente ferito; ma poverino, (egli) dovette lo stesso venirci dietro.
Intanto dal canto nostro (dalla parte italiana) si levarono i riflettori. Che impressione! Parevamo tanti fantasmi che viaggiassero per il cielo. Questi (riflettori) segnavano alle nostre artiglieria il punto da colpire. Difatti il cannone cominciò; e allora avanti! Sarà stata mezzanotte. Le palle fischiavano. Avanti lo stesso! lo perdetti tanta della mia roba, ma il tempo non mi permetteva di fermarmi (per recuperarla).
Finché si arrivò sul punto avanzato. Mi coricai nel fango assieme ad un compagno delle Marche e si stette ad aspettare la mattina.

Note

25 – Ogni Divisione aveva a disposizione Plotoni e Sezioni di Carabinieri che erano impiegati con compiti di Polizia Militare: controllo ordine pubblico, ricerca di eventuali disertori e renitenti.

26 – In 1^ linea erano schierati i soldati dell’Esercito Permanente (da 20 a 28-30 anni).
In 2^ linea erano schierati i soldati della Milizia Mobile (da 29 a 33-34 anni).
In 3^ linea erano schierati i soldati della Milizia Territoriale (da 34 a 40 anni).
Le trincee erano costruite con modalità diverse in relazione al diverso impiego. I soldati di 2^ linea, oltre ad essere impiegati come rincalzi, effettuavano tutti i servizi di rifornimento. I soldati erano comunque sottoposti ad addestramento. In 3^ linea i soldati erano impiegati per tutti i servizi di controllo del territorio, dei depositi e dei magazzini. In questa zona si passavano i pochi giorni di riposo, dopo essere stati in 1^ linea. In pratica i soldati della prima e della seconda linea erano intercambiabili. Quelli della terza linea vennero spesso coinvolti in combattimenti specialmente quando erano di corvè per il trasporto di viveri e munizioni.

12 novembre (venerdì):

Detti un’occhiata attorno senza muovermi per paura delle palle. Eravamo in una buca (avvallamento) raffigurante (somigliante a) un’arena. Nel mezzo di questa il cimitero e le trincee che guardavano verso il nemico erano tutti (costruite) di sacchi di terra che facevano breccia (riparo) al tiro nemico. Il fango poi, l’odore erano spaventosi!
Verso le 10 circa ci fu portato il rancio freddo. lo non mangiai, (solo) altro che bevetti una tazza di caffè e un po’ di marsala. Poi in atto (azione), ci siamo messi per prepararci una trincea per la notte. Ne presi una del centro e dentro trovammo di tutto: palle nemiche, nostre, coperte, mantelline che, solo a muoverle di lì, (mandavano) un odore da morire asfissiati. Nonostante ciò: avanti! E si giunse alla fine (della pulizia della trincea). Per buona sorte trovai una tavola: era infangata sì, ma piuttosto che nel fango puro, mi servì da letto.
In che stati (eravamo)! Tutti infangati, parevamo, e sembriamo, tanti spazzacamini appena venuti giù dal camino.
Mi coricai insomma e non venni fuori che alla sera.
In tutto il giorno un (solo) bombardamento; poi, a sera, il finimondo. Proprio sopra alla mia tana passavano le palle di cannone della nostra artiglieria. Quanto spavento sentirle scoppiare; al di là tremava la terra. Il nemico rispondeva con le granate che per la maggior parte andavano a vuoto, scoppiando dalla parte opposta della nostra buca alzando sassi, terra, alberi. Continua questo lavoro (scontro di artiglierie) fino a sera.
lo con i miei compagni di “tana” si disse il Rosario, poi tante altre orazioni finché venne scuro.
Che impressione dentro di me! Cominciò la fucileria del nemico e più pericoloso era uscire dalla trincea. Mangiai un poca di insalata e mi avvolsi nei panni infangati per dormire. Ma il sonno ormai mi ha abbandonato.
A mezzanotte cominciò a piovere e di conseguenza bisognava star fermi e silenziosi. Ce la siamo presa tutta tanto che alla mattina del 13 ognuno si può immaginare il nostro stato.

13 novembre (sabato):

Ora che scrivo sono appena uscito per prendere il rancio costituito di caffè e carne. Le artiglierie nostre cominciano la musica di ieri, e noi siamo in questa tana sotto alla piova, per forse aspettare il momento dell’avanzata. Per ora nessuna novità. Sarà per le 9, mai per le 12.
L’inferno regna per tutto. Ogni qualità di espedienti è in opera; la terra trema, le granate scoppiano vicino alle nostre trincee con un fragore che pare che schianti lo stomaco, alzano sassi e terra che poi cadono sopra le trincee, granate aeree che si schiudono con un urlo che fa rabbrividire! (27) E benché (ci sia) il sole, si vede lo scoppio; gli shrapnel si succedono uno dietro l’altro che paiono saette; i nostri cannoni ci passano sopra le trincee col loro tiro giusto. La velocità del proiettile fende l’aria d’un fischio terribile. Qualche granata nemica si affonda in qualche sacco (di sabbia) delle nostre trincee e di conseguenza non scoppia; si spegne così l’urlo terribile.
Ore 2 (pomeridiane): Ecco il Capitano che ci chiama. Tenersi pronti per l’assalto, ma per ora restiamo in trincea. Intanto mangiamo un po’ di pane, duro; una sete che dovetti bere l’acqua che si trovava raggrumata (raccolta) sopra un telo da tenda. Intanto dalle nostre feritoie ogni tanto davo un’occhiata a vedere. Che macabro spettacolo: feriti, morti da tutte le parti. (28) Dal lato nostro poi i feriti venivano governati (curati) alla meno peggio per poi aspettare la notte e portarli giù. (29)
Venne intanto la sera, si quietarono le artiglierie. Allora si poté stare un po’ quieti nel nostro fango.
Alla notte poi il rancio di caffè e carne. Non mangiai, ma mi addormentai. Però alle 11 (di notte) mi svegliai per uno scoppio di granata vicino alla mia tenda che ci fece saltare da terra; per grazia di Dio nessuna vittima! (30) Mi venne nuovamente il sonno, ma non potevo dormire a causa di un dolore al piede così forte che perfino piansi. Per di più cominciò a piovere e mi bagnai ancora di più. Finché venne la mattina.

Note

27 – Le granate aeree erano quelle lanciate dagli aeroplani.

28 – Le trincee in fronte al nemico erano molto spesso coperte, fiancheggiate sul davanti da un camminamento aperto, protetto da muretti a secco e sacchi di terra.
Le vedette erano dislocate in questo camminamento in slarghi coperti, a distanze variabili. Per l’osservazione ci si servivano di apposite feritoie, quasi sempre protette da scudi in ferro per ripararsi dai cecchini. Durante il servizio di vedetta, di certo il soldato non cantava; i canti si intonavano in 2^ linea o nelle serate dei turni di riposo. Infatti non era consigliabile farsi individuare dal nemico, specie quando le trincee nemiche distavano solo una ventina di metri come nel caso del fronte del Carso, dove si trova il fante Bodon.

Trincea italiana di prima linea.

Trincea italiana di prima linea.

29 – Nel maggio del 1915 erano costituite 12 Compagnie di Sanità con 53 Sezioni, 126 Ospedaletti da 50 letti (78 carreggiati e 48 someggiati), 82 Ospedali da 100 letti e 42 Ospedali da 200 letti.
A fine guerra si raggiunse la seguente situazione: Sezioni di Sanità 93, Autoambulanze normali 954, Ambulanze chirurgiche 9, autoambulanze radiologiche 17, Gruppi chirurgici 3, Ambulanze C.R.I. da montagna 10, Ambulanze C.R.I. lagunari 1, Autoclavi sterilizzatori n.200, Pompe di disinfezione n.2000, Lavanderie da campo n. 200, Ospedali da campo da 50 letti n.223, Ospedali da campo da 100 letti n.174, Ospedali da 200 letti n. 46, Ospedali di tappa n.27, Ospedali C.R.I. n.39, Treni per lo sgombero dei feriti n.59 dell’Esercito, n.24 della C.R.I., n. 4 dell’Ordine militare di Malta per un totale di 29640 posti letto.
Per i quadrupedi furono istituite 53 infermerie dove vennero curati, durante la guerra, circa 260.000 capi. Gli aiutanti di sanità e i portaferiti portavano un bracciale con la Croce Rossa. Quando incontravano i feriti sul campo di battaglia, applicavano un cartellino verde sulla giacca di quelli trasportabili e uno rosso sulla giacca dei non trasportabili.

Monfalcone, 1916. Trasporto di soldati italiani feriti.

Monfalcone, 1916. Trasporto di soldati italiani feriti.

Ugo Ojetti [Public domain], da Wikimedia Commons

30 – Il soldato è proprio come lo vide il poeta Giuseppe Ungaretti, classe 1888, fante dell 19° Rgt. Ftr. Brigata “Brescia” nella guerra 1915-18 nella sua poesia: -Soldati- Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie … (Come le foglie in autunno si staccano facilmente, da un momento all’altro, dall’albero, così il soldato è esposto alla morte che può avvenire in qualsiasi momento).

14 novembre (domenica):

Sortii (uscii) che era ancora scuro. Le palle di fucile fischiavano da per tutto, ma ormai a quelle non si bada più. Scivolando da trincea in trincea mi imbattei in un fustino di vino. Pensai di bere, ma come? Presi un pezzo di cartone che tenevo in tasca e feci come una canna. La introdussi nel cocchiume (foro del tappo della botticella) e succhiai. Che ristoro! Ritornai poi al mio covo e ne sortii ancora per prendere il rancio di carne e pane. Vidi, proprio vicino a questa dispensa, preparato il lanciabombe con i relativi proiettili (mortaio). Tornato alla mia tana mangiai e poi bevetti la mia parte di vino.
Sono ora le 9; la fucileria è incominciata e le nostre mitragliatrici fanno un lavoro continuo. Novità non ve ne sono; ma sempre pronti perché una parte del nostro Battaglione (le Compagnie avanzate) è già sotto il fuoco.
A mezzogiorno poi comincia il cannoneggiamento. Spiegare è cosa incredibile. Già diverse trincee nemiche, a quanto si vede dalle nostre feritoie, sono saltate; i morti e i feriti loro (nemici) sono moltissimi.
Ore 2 (pomerid.): vengo fuori dalla trincea e strisciando poi nel fango mi porto a quella del mio Caposquadra chiamato Censorio. Gli chiesi se vi sono novità e mi disse: “Nulla per ora, non c’è altro che stare sempre in aspettativa”.
Tornato nella mia (trincea) strisciando sempre, pioveva. Mi venne la sete, unica cosa che patisco. E allora che feci con la gavetta? La misi sotto diverse gocce che mi venivano addosso; e quando fu piena bevetti. Pensando a quanto era grande la sete, ognuno può immaginare con che gusto bevetti. Ma quell’acqua passata per quei teli da tenda aveva il vero gusto del catrame.
Piove continuamente, sono tutto bagnato, sporco la faccia e le mani perché (sono) senza lavarmi da 3 giorni; e forse qualche pido… non vorrei avere intorno perché tutti ne hanno.
Sono le 4 e tre quarti; vengo fuori dalla trincea; le mitragliatrici paiono un ingranaggio e dire che a ogni colpo è una palla a mitraglia che sorte (esce). Il cannone ha scavato delle buche; le granate, dove scoppiano, fanno come uno strato di terra arato di una circonferenza di 20 metri (di diametro).
Strisciando sempre, vado dal mio capo e intanto vedo soldati che, in mezzo a quella fanghiglia, raccolgono coperte, giberne, mantelline. Domandai il perché sempre a bassa voce e mi fu risposto che il 124° torna di nuovo giù dal Carso per poi tornare in Patria. (31) Tornato dai compagni glielo dissi e ora che scrivo la cosa è certa.
Oh, Dio! Quanto il cuore mi si aprì e proprio devo dire fu una grazia.
Sono le 5 e un quarto (pomerid.); da sotto la trincea ci si prepara per la notte, non sapendo l’ora della partenza. Novità nessuna. Giunse la notte, si dormì sempre fra l’acqua e il fango. A una certa ora si mette a piovere e la pioggia ci rinfresca di nuovo. Ciononostante presi il sonno e dormii fino a questa mattina.

Note

31 – Quando i turni di riposo erano più lunghi (dieci, quindici giorni) i soldati erano sostituiti in trincea da altri Reggimenti o Brigate ed erano trasferiti nelle retrovie. In questo caso tornare “in Patria” vuol dire nel territorio italiano entro i vecchi confini.

15 novembre (lunedì):

Mi svegliai tutto bagnato e sporco. Uscii perché le granate ci giravano intorno con fracasso. E sempre con la paura addosso si va a prendere il rancio di caffè e carne. La sete era grande, enorme e che fare? Raggrumai (raccolsi) nella borraccia un poco di acqua piovana e col caffè feci la bibita; quanto buona! E vicino me la tengo bevendone qualche sorso come (fosse) un cordiale.
Al momento che scrivo sono le 12 e le granate nemiche su di noi fanno il terrore. Ciononostante certi soldati coraggiosi le vedono arrivare e le aspettano con “evviva”. Un odore di polvere per tutto. Passai il rimanente della giornata, ché per grazia di Dio c’era il sole, seduto su un sasso al sole attendendo alla mia unica mantellina che avevo stesa ad asciugare.
Verso sera (arrivano) i primi sintomi per andare sotto il fuoco. Che spavento! Quante preghiere! Ma grazie al cielo si stette in trincea.
Intanto a notte cominciò a piovere e da qui sotto si provano tutti i tormenti; mi raggomitolai nei miei panni ancora bagnati e feci per dormire. Macché! Le granate scoppiavano vicine a noi; a ogni colpo era un tremore. Dunque il sonno non venne.
Nello stesso tempo vennero dentro due compagni che domandarono di venire al coperto. Entrarono, poverini, tutti bagnati, pieni di freddo e dovettero restare seduti per tutta la notte.
Verso mattina mi svegliai da quel dormiveglia. Aveva fatto sereno e c’era un freddo che tremavo.

16 novembre (martedì):

Sortii dalla tana. Mi portai dal mio caposquadra che mi dette pane, carne e caffè tutto freddo. Ritomato sotto (la trincea) avevo il sangue ghiacciato, un dolore ai piedi, alle ossa! Fuori c’è il ghiaccio.
Ora che scrivo sono le ore 8. Per tutto il fronte della nostra zona regna un silenzio di cannoni e di fucileria, e a noi, che da qui sotto commentiamo questo con piacere, piace un paradiso. E quanto durerà?
Passa intanto una Squadra della mia Compagnia. È ordinata di corvè per raccogliere tanti indumenti dispersi in questa linea; un gran numero di mantelline, coperte, fucili, munizioni!
Lungo il camminamento c’è un cadavere coperto con un sacco e nessuno può avvicinarsi perché esposto (al fuoco nemico) nella trincea. Se ti vedono, tirano.
Dopo un’ora ritorna (la squadra di corvè) e già comincia a nevicare; sono tutti bagnati, infangati fino alle ginocchia, pieni di freddo e di fame. lo che avevo del pane glielo diedi benché avessi fame anch’io. Lo divorarono. Poi venne la sete. Allora uno sortì (uscì) assieme ad un compagno. Non fece ora e prendere una gavetta di neve che una fucilata lo prese nel di dietro. Corsi allora per (cercare) un portaferiti. Trovatolo, lo medicò alla meno peggio e poi lo portò via.
Si ritorna sotto la trincea con spavento. Intanto è notte ormai fatta.
Cominciano i cannoni; una fucileria tremenda si sentiva far eco nelle nostre trincee. Insomma, acquietato tutto, ci si mise a dormire; ma impossibile: un freddo!
In questi stati (condizioni) nessuno parlava. Solo ogni tanto qualcuno si lagnava per i dolori per il corpo.
(Eravamo) Sempre attenti con l’orecchio per paura sempre di qualche ordine improvviso. Infatti, verso le 11 di notte venne il nostro Tenente per ogni tenda a dirci che domani mattina alle 4 dobbiamo tenerci pronti per portarsi in prima linea.
Che ferita al cuore! lo non feci altro allora che dire il Rosario. Gli altri: chi pregava, chi piangeva la moglie e i loro cari bambini. Cose che, se uno non è presente, non può farsene un’idea!
Vennero, fra questi tormenti, le 4 del mattino.