Villa Selvatico a Battaglia Terme

Storia e descrizione della villa, antica proprietà della famiglia Selvatico, che sorge sulla sommità del “Colle della Stupa”, nel territorio di Battaglia Terme. Segue una nota inedita di don Guido Beltrame su Lorenzo Bedogni, che progettò la villa, e su Luca Ferrari, che ne decorò le pareti con pregevoli affreschi.

Villa Emo Selvatico
Iscrizioni all’interno della villa
Lorenzo Bedogni e Luca Ferrari

Colle S. Elena, anni Venti.

(foto Fiorentini – racc. D. Grossi)

VILLE VENETE A BATTAGLIA TERME

VILLA EMO SELVATICO

Della collinetta del Pignaro, nota come “la Stupa”, parlano le fonti fin dal XII secolo, allorché (1156) presso la sua cima esisteva una chiesetta intitolata a S. Eliseo: qui con un lascito di Speronella Delesmanini del 1199, venne costruito un ospizio di pellegrini che utilizzava evidentemente il bagno a vapore da cui deriva il nome “stupa” al piccolo monte. La chiesetta verso la metà del XV secolo aveva cambiato denominazione in S. Elena: con la caduta dei Carraresi la collinetta era stata venduta al capitano “della porta di Coalonga” Giovanni de’ Rossi al quale succedette nel 1414 Francesco Capodilista, in comproprietà con Marino Zabarella e un Verzelesi. Divenutone unico proprietario Marino Zabarella, il colle passò nella dote della figlia Agnese che andò sposa a Giacomo da Lion. Dai nipoti di questi, con atto del 25 febbraio 1561, la ricevono i fratelli Bartolomeo, Battista, Francesco e Girolamo Selvatico che così la uniscono alle proprietà già da tempo di loro dominio, le Valli di Lispida, a loro pervenute attraverso il lascito di Agnese Lanari vedova (1426) di Giovanni Alvise Selvatico. Una vasta proprietà di quasi quattrocento campi tra il canale Battaglia, il canale d’Arquà e i monticelli di Lispida e Galzignano, tenuti in precarie condizioni per problemi di drenaggio idrico, e solamente alla fine del Cinquecento oggetto di consistenti interventi grazie soprattutto alla costituzione del Retratto (consorzio) di Monselice. L’acquisizione della collinetta in certo qual modo riorganizzava la proprietà, accentrandola nella casa padronale che nel 1561 sappiamo circondata da “fabricis ruinosis” e “balneis tectis et apertis”, e che comunque era abitata, se in essa nel 1587 vi faceva testamento Francesco Selvatico: la collina venne visitata il 13 novembre 1580 da Michel de Montaigne, alla ricerca della sorgente termale da cui proveniva l’acqua utilizzata per i bagni che, in quei giorni; erano onorati dalla presenza del Cardinale d’Este “e della sua gotta” 1.
La ristrutturazione della collina e delle fabbriche ad essa pertinenti risale alla volontà di Bartolomeo Selvatico, avvocato fatto cavaliere dalla Repubblica Veneta nel 1585, quindi Consultore per i suoi meriti nei confronti della Serenissima. Con lui, nell’opera, s’era unito il fratello Gerolamo e lo stesso primogenito di Bartolomeo, arcidiacono del Duomo di Padova, al quale spetta la ristrutturazione della cappella inaugurata il 14 ottobre 1596. I lavori, a ben leggere quanto scrive Gerolamo Selvatico nel suo testamento, riguardano la sistemazione delle fabbriche esistenti – “miglioramenti necessari” – e la costruzione ex novo della casa padronale – “fabrica del montesello” – 2.
Tra il 1600 e il 1601 i lavori toccano la struttura stessa del monticello, con sbancamenti per creare una “piazza” più tardi decorata con pitture (marzo 1601), mentre procedono le rifiniture delle porte e delle finestre in pietra di Nanto e si procede alla realizzazione di una loggia, pagata il 23 novembre del 1601. Sempre in questi anni è documentata la presenza dell’orto con la pergola, della limonaia e di quattro campi attorno. Non è improbabile che la documentata accelerazione ai lavori in villa sia dovuta alle nozze del figlio Francesco con Giulia de Rossi: ma d’altronde questo periodo coincide con un’indubbia ascesa della famiglia che vede tra l’altro Benedetto Selvatico, già affermato medico, assumere il “Rettorato de l’Arte” a Padova. Si rende necessario anche l’affidamento della manutenzione del monte, per tenere pulite “le strade et piazza torno a casa da l’erba”, il “zardin di sopra”, “li pitari et casele di naranzari…dandoli da bevare ogni sera ali soi tempi”.
Il complesso sembrerebbe quindi impostato, almeno nella parte esterna del giardino e della terrazza superiore, ai primi del Seicento. Non ci è dato di sapere se i lavori per la loggia siano da riferirsi ad una delle attuali quattro loggette inserite tra i quattro corpi merlati a bugne angolari caratterizzanti all’esterno l’edificio impostato su di uno zoccolo anch’esso bugnato entro cui sono alloggiati i servizi della villa. Certamente l’organicità del complesso, pensato come un edificio unitariamente e simmetricamente distribuito attorno all’asse di rotazione dato dalla cupoletta che domina il salone a croce dell’ultimo piano, rimanda ad una concezione unitaria e architettonicamente attenta e non è improbabile pensare ad un completamento del complesso entro il quinto decennio, allorché la villa assiste ad una nuova fase, questa volta voluta e seguita da Benedetto Selvatico, medico e clinico famoso ai suoi tempi, subentrato nella conduzione delle proprietà al fratello Francesco, morto nel 1630. Ancora una volta è in primo luogo il monticello ad essere interessato ad una sistemazione, con la costruzione nel 1642 di una strada che portava le carrozze dal piano alla villa, e soprattutto con la realizzazione di uno degli elementi che caratterizzeranno in seguito l’edificio, la lunga scalinata che porta direttamente alle terrazze. Il progetto viene redatto dal tagliapietra, o capomastro, Tomio Sforzan nel 1645: prevede una scalinata che partendo da due rampe opposte, si riunisce in un’unica asta di 135 scalini scanditi da otto ripiani, nuovamente biforcantesi in prossimità della cima. Sforzan per quest’opera cura tutti i particolari, dal disegno delle colonnette al progetto di fontane che avrebbero dovuto incanalare l’acqua scaturente dal monte ad accompagnare la scalinata. La quale, iniziata, ebbe subito dei problemi statici: nel 1646 i ripiani vengono ridotti a sette e viene eliminata la doppia finale e ad opera finita cede uno dei rami: in quell’occasione Piero Selvatico, che seguiva i lavori per conto dello zio Benedetto, ci fa sapere che l’opera era costata fino ad allora la non indifferente cifra di 4000 ducati: altri documenti indicano un preventivo di 600 ducati per il lavoro, svolto da maestranze locali o provenienti da Pernumia e Monselice. Con i lavori di più vasto impegno, vanno assieme le sistemazioni decorative, in particolare le fontane e le statue. Il progetto della fontana che raccogliesse le acque dalla cima del monte e quindi le facesse cascare, venne inizialmente messo in dubbio dallo Sforzan (1645, 25 maggio) soprattutto perché avrebbe diminuito la portata di acqua termale agli stabilimenti ai piedi del colle; di fatto venne realizzata ai piedi della scalinata una fontana con un gruppo scultoreo raffigurante Nettuno che guida due cavalli marini, entro la nicchia “a grottesco” che chiudeva la testata della scalinata tra “prospettiva di colonnati” in pietra d’Istria. Per le statue invece ci si rivolse allo scultore vicentino Albanese, probabilmente quel Girolamo fratello del più famoso Giambattista al quale invece son state assegnate: Giambattista infatti morì nel corso della peste del 1630 e con ogni probabilità la realizzazione delle statue cade tra il 1645 e il 1657, anno in cui esce un fascicolo che le descrive. Contemporaneamente alla scalinata, Sforzan doveva aver ricevuto l’incarico di procedere all'”agrandimento” della “palazzina”: cioè al completamento forse del complesso sul monte al quale certamente si riferiscono una serie di annotazioni di Benedetto Selvatico verosimilmente di questi anni: vi si parla di “desfar muri; far muri e fondamenta; camini con le nappe di Nanto francese; merli un tanto l’uno stabelidi”; inoltre di “alzar la fabrica vecchia, colonnelle, basi e capitelli, veriade per le finestre, selese per la piazza, due statue” il tutto per L. 22.860 3. Il risultato di questo radicale intervento è fissato da un fascicolo già citato sopra, relativo ad un “Lotto” che Benedetto Selvatico ottiene di bandire da parte del Consiglio dei Dieci di Venezia 4. Al fascicolo andava unita una piantina del possedimento, che viene solitamente datata alla metà del XVIII secolo e alla maniera del Costa (M.C.C.V. Raccolta Gherro, voI. V, p. II, n. 2494), ma che di fatto fotografa la situazione subito dopo i lavori della metà Seicento. Il motivo di questo Lotto non è chiarito; comunque l’intera proprietà veniva stimata 52.747 ducati 5. Probabilmente le spese effettuate avevano creato problemi di liquidità e il Selvatico cercava in questo modo di recuperare una parte di capitale impegnato: gli estimi successivi, del 1668 ad esempio (Pietro Selvatico quondam Francesco) e ancora di Alvise Selvatico, parlano di “cortivo, barchessa di muro di 11 volti”; di “porzion del palazzo sopra il monte S. Elena, sive S. Eliseo, cioè la parte voda con metà de lochi per ordine familiare ed altro comodo”.
Nel 1657 Benedetto Selvatico faceva testamento con il notaio Pietro Savioli, e tra il 18 e 19 luglio del 1658 moriva. Una supplica di Pietro Selvatico contro il fratello Alvise, subito dopo la morte di Benedetto, fa riferimento al lotto “che doveva seguire del med.o palazzo e con tutti li mobili in esso esistenti”: evidentemente i due fratelli parteciparono anch’essi al lotto, per restare in possesso della proprietà: per volontà di Benedetto però la villa viene eretta in primogenitura e ad essa vengono annessi i Bagni e circa 150 campi. I fratelli decisero quindi di usufruirne un anno a testa, per evitare diatribe, le quali naturalmente non mancarono, soprattutto tra Pietro e Alvise.
Dalla descrizione citata possiamo farci un’idea anche dei lavori fatti all’interno, oggi non del tutto rimasti ma testimoniati però anche da documenti. Al maggio del 1646 la fabbrica doveva essere completata con il terzo solaio: si lavorava infatti attorno alla cupoletta che nell’aprile del 1647 aveva ricevuto la “stella” o rosa dei venti e le decorazioni a finta prospettiva. Nell’estate del 1647 tali lavori erano compiuti, e ad essi si susseguono le decorazioni di Pietro Liberi nel 1649 nella camera verso Monselice e quindi di Luca Ferrari nel salone del piano nobile del 1650. L’organismo era completo ed in questa forma è giunto, bene o male, a noi 6.
La villa “s’erge… nel mezzo d’una spaziosa Piazza in guisa di Rocca”; agli angoli sono quattro torri collegate da fronti animate da “collonati di rilievo e di vaghe cartelle ornati”. Fino al primo piano queste facciate sono “composte d’un ordine Rustico”, segue quindi l’ordine dorico nel mezzo e infine lo jonico nel superiore.

La villa Emo, ex Selvatico, in una foto degli anni '20 del secolo scorso.

La villa Emo, ex Selvatico.

(foto Fiorentini – racc. D. Grossi)

Al piano terra, voltato, sono collocate “stanze da letto, cucina, dispensa … per servitio della casa e per uso della famiglia”. Due scale coperte, una a volte ornate di cornici rilevate sul muro, una “secreta più ristretta… per cucina” portano al piano superiore al quale dall’esterno si accedeva soltanto attraverso due scalinate (è rimasta oggi solo quella meridionale) in pietra di Costozza, con colonnine e corrimano sul quale erano, nel fronte verso la scalinata monumentale, quattro Statue dell’Albanese. La scala a nord aveva invece il corrimano in ferro.
All’interno il “secondo solaio” era decorato, nella sala cruciforme, da “quadri figurati e colonne di rilievo” con storie di Antenore alle pareti; “sfondri con quadri a olio del Padovanino, Ruschi, Vandich” sul soffitto. Sulla sala aprono sei portoncini in pietra di cui due mettono a due anticamere dipinte da Pietro Liberi con storie degli Orazi e dei Curiazi; il Ratto delle Sabine; le Amazzoni che soccorrono i Troiani, e la “Difesa di Orazio contro i Toscani”: i soffitti presentano gli stessi elementi architettonici in scorcio che centrano altri dipinti ad olio. Dall’ anticamera si accedeva alle loggette aperte, oggi con balaustra in ferro battuto probabilmente settecentesca. A questo piano affacciavano ben sette stanze da letto, coperte da soffitti a travature” miniate di vari colori” sotto cui correvano i fregi a fresco ed olio di diversi pittori; alle pareti quadri ad olio di Padovanino, Luca da Reggio ed altri pittori di “honorato Grido”.
L’ultimo piano, il “terzo solaro”, era a volte in mattone decorate da fregi, cornicioni, profili e “sfondri” entro cui erano raffigurate Divinità “ed altri Simboli”, il tutto dipinto; come dipinte alle pareti erano le finte colonne che racchiudevano però soltanto “campi bianchi”. Il salone centrale, a croce come il sottostante, è dominato dalla “cuba in pietra dipinta a grottesche a fresco”, entro cui nella volta è una “figura mobile, che girandosi secondo i venti, artificiosamente mostra i venti, che spirano in quel punto”: la rosa dei venti appunto realizzata dallo Sforzan tra il 1646 e il 1647, dipinta da Lorenzo Bedogni da Reggio nello stesso arco di tempo con finte architetture da cui sporgono le rappresentazioni allegoriche delle quattro parti del mondo, o quattro punti cardinali. A questo piano affacciano otto stanze da letto “a’ quali servono d’ornamento vari pezzi di quadri di Paesi, e di Provincie”.
La descrizione concludeva il percorso all’interno ricordando che da questo si potevano ricavare circa “venti letti in stanze separate” utilizzando naturalmente gli oltre “duemila ducati di suppellettili” che l’inventario redatto in occasione del Lotto (e depositato presso i Provveditori di Comun a Venezia), elencava. Un altro inventario venne redatto nel 1658, evidentemente in occasione della morte di Benedetto Selvatico, dal pittore Francesco Maffei che segnalava l’ottagono con la “Gloria di Casa Selvatico” nel soffitto del piano nobile, ancora in loco fino a qualche decennio fa, opera del Padovanino; e tutta un’intera pinacoteca, oggi dispersa, in cui figuravano opere del Mantegna, del Ferrari, del Forabosco, del Loth e del Pellizzari, e così via. Non apparivano quattro grandi tele di Jacopo Bassano, collocate al terzo piano, probabilmente all’interno di quei campi rimasti bianchi, perché erano state trasportate a Padova in Palazzo Selvatico dopo la morte di Benedetto: gli erano state donate dalla Duchessa di Modena 7.

Villa Selvatico, Battaglia Terme: “La gloria di casa Selvatico”, tela centrale del soffitto, attribuita ad Alessandro Varotari detto il Padovanino (1588-1648).

Colle S. Elena (Battaglia).
“La gloria di casa Selvatico”, tela centrale del soffitto, attribuita ad Alessandro Varotari detto il Padovanino (1588-1648).

Parimenti, la descrizione citata s’occupa dei dintorni della villa, appoggiandosi in questo alla citata pianta, oggi nota da un esemplare al Museo Correr di Venezia. Dalla “piazza” selciata una scala in “macigno” conduceva alla chiesetta, con fronte timpanato su quattro colonne, dotata di propria sacrestia, dei paramenti dell’altare e della “Pala a oglio di buon Maestro”. Sotto ai piedi del monte era il complesso delle fabbriche per i Bagni “capaci d’alloggiare molta gente e diverse stanze”: dal canale vi si arrivava per una stradina che partiva dall’argine ov’era una gradinata d’accesso per le barche, ed ove iniziava, al di là di “Quattro Piastroni” con “carteloni dalli lati di rilievo”, il viale di cipressi che conduceva dritto alla scalinata della villa, dopo aver superato su di un ponte mobile di legno, un fiumiciattolo che finiva nei laghetti ai piedi del colle. Ai piedi della scalinata era il giardino all’italiana entro un muretto di cinta animato da piante d’aranci, suddiviso in due parti centrate da fontane a doppia vasca sormontate rispettivamente da una Sirena ed un Tritone, chiuso a nord dalla “prospettiva a colonnati” in stile corinzio e pietra d’Istria, entro cui era stato ricavato il “nicchio di Tuffi e Cappe a grottesco con due cavalli marini retti da un Nettuno”. Sopra la grotta, allineate lungo il corrimano della scala, erano le Quattro Stagioni dell’Albanese, che introducevano alla lunga scalinata di 108 gradini e 8 pianerottoli, ciascuno dotato di panchette in pietra per il riposo. In cima la scala terminava con due statue “in un solo pezzo” dell’Albanese, raffiguranti due giganti, oggi traslocate al posto delle “Quattro stagioni” ai piedi della scala. La quale al suo interno ospitava le stalle, la “teza”, le rimesse per le carrozze: non erano ancora stati realizzati gli edifici che già appaiono nella veduta del Montalegre del 1714, ai piedi del monte, e del tutto stabiliti alla fine del XVIII secolo, come indica la stampa di V. Orlandini e Giampiccoli.

Villa Selvatico con le pertinenze in primo piano e l'attiguo oratorio, in una incisione del Montalegre. Colle S. Elena (Battaglia), sec. XVIII.

Colle S. Elena (Battaglia), sec. XVIII.
Villa Selvatico con le pertinenze in primo piano e l’attiguo oratorio, in una incisione del Montalegre.
(J.C. Volkamer, Continuation…, 1714)

Altre trasformazioni nel corso del XVII e XVIII secolo non avvennero: nel 1689 una tromba d’aria scoperchiò il cupolino; nel 1703 ci furono interventi del pittore Antonio Garzadori sugli affreschi e i dipinti del palazzo per coprire le figure ignude (allora vi abitava il fratello canonico di Benedetto Selvatico); nel 1743 si fecero lavori di manutenzione in occasione del soggiorno del Duca di Modena e infine tra il 1791 e il 1793 Benedetto Pietro Selvatico Estense procede all’ammodernamento dei vecchi stabilimenti e alla costruzione di un nuovo albergo in riva al canale, nell’ambito di una rivitalizzazione delle terme realizzata con l’aiuto del professor Mandruzzato 8. In questo periodo sembra si facessero anche lavori di restauro alla villa, proseguiti dal 1794 fino al 1803: tra questi il consolidamento delle “sponde” della scalinata. Ma l’impresa non rende: nel catasto napoleonico le proprietà di Pietro Selvatico sono esattamente indicate con due edifici ad uso di bagni minerali, tre case d’affitto, una casa di villeggiatura con brolo, oratorio privato e sorgenti minerali, e saranno queste a passare di proprietà nel 1814, acquistate da Agostino Meneghini. Si conclude così la conduzione Selvatico, e il complesso diviene subito oggetto di una ristrutturazione affidata alle cure di Giuseppe Jappelli, incaricato dal Meneghini di trasformare il parco, parecchio in disordine, in giardino all’inglese. I lavori iniziano verso il 1816 e nel 1819 erano assai avanzati, stando a quanto scriveva quell’ anno l’Abate Barbieri in occasione delle nozze della figlia del proprietario. Venne riorganizzato il parco attorno ai tre principali laghetti, si costruiscono ex novo le rimesse, le serre e le vasche termali: viene ridisegnata la testata terrena della scala, che riceve un’impronta neogotica nelle arcate ogivali 9. I bagni, chiusi nel corso del 1817, riaprirono nel 1818 e il Meneghini ne curò la conduzione almeno fino al 1842 quando subentra nella proprietà la famiglia dei conti von Wimpffen che si dedica in particolare all’ingrandimento dell’albergo e degli annessi della villa, oggetto comunque di restauri e manutenzioni 10. Nel 1901 diventano proprietari Angelo Emo Capodilista e la moglie Emilia dei conti Barracco, e dopo la seconda guerra mondiale venne restaurata da Andrea Emo Capodilista e la moglie Giuseppina Pignatelli di Monteroduni. Gli stabilimenti nel frattempo erano passati verso gli anni Trenta con il parco alla Cassa Nazionale delle Assicurazioni Sociali che nel 1936 sul vecchio demolito albergo realizzarono il nuovo stabilimento oggi I.N.P.S., inizio di un progressivo e inarrestabile decadimento del complesso che oggi vive forse la sua peggiore stagione 11.

S. Elena, 1823.
Avviso di apertura dei bagni termali per il 3 maggio. Veduta del colle e del canale navigabile Padova-Monselice (p. 166).
(Biblioteca del Museo Civico di Padova)

Iscrizioni all’interno della villa:

BARTHOLOMAEUS SYLVATICUS SERENISS: REIP: VENETAE
I.C.ET EQU: GESTIS MAIORIB: OBSEQUIIS TUM PROFITENDO IN
PRAECIPUIS CAESAREAE AC PONTIFIC. FACULTATIS SEDIB: TU EI
DEM I PUBLICIS CAUSIS CONSULENDO NEGOTIUM Q: DE FI
NIB: IN AULA CAESAREA CUM ILLUSTRISS: PROCURATORIB.
PERTRACTANDO ANO CHRISTI M.DX.CIII.AETATIS SUAE LX
HOC DOMICILIUM CONSTRUENDUM CURAVIT QUO CU
HIEROMINO FRATRE ALTA MENTE PREDICTO ET OB ID
PATRIAE CUIUS ALTIORA MUNERA OBIVIT AC PRINCIPIB
TUM EXTERNIS TUM VENETIS QUIB: CUM VARIIS ILLUS
STRISS: LEGATIS HONESTISSIME SERVIVIT CARISS: ET CU FILLIIS
QUORUM UNUM ALOYSIUM ARCHIDIACONUM ALTERU
IO.BAPTISTAM I.C. TERTIU PAETRUM PRAEFECTUM MILITIAE
VIDIT ALIQUANDO EX LABORIB: ET VIGILIIS AD QUIETEM
SE RECIPERET.OBIIT XI.KAL.OCTOBRIS. M.D.C.III.
HANC FERE OBLITERATAM MEMORIAM IN SAXO SCUL
PENDAM SICQ: REFICIENDAM CURARUNT IO: BAPTIS
TA I.C. ET EQUES FRANCISCUS ET BENEDICTUS ART:ET MED
PROFESSOR FILII SUPERSTITES ANO D.NI M.D.C.XI.

BENEDICTUS SYLVATICUS EQUES BARTHOLOMAEI F.
IN PATRIO GYMN.PRIMARIUM MEDICI PROFESSORIS
MUNUS UNICO AD HANC DIEM EXEMPLO ADEPTUS
A CAESARE IN GERMANIAM, PER ITALIAM A PRINCI
PIBUS SUMMISQ. VIRIS SAEPE VOCATUS SEPTUAGENA
RIO MAIOR PATERNUM SUBURBANUM MODICO LA
RE AC TECTO ET ANGUSTO PER OBLIQUOS TRAMI
TES ACCESSU INCOMMODUM, LAXATIS VETERIBUS
NOVI ADIECTIS CUBICULIS PORRECTA FROTE SUR
GETIUM PINNARUM CORONAMENTO ANTIQUUM
THOLUM CINGENTE I AMPLIOREM ATQUE AU
GUSTIOREM HANC FORMAN REDEGIT, ET UT
MOLLIOR ADITUS ESSET COLLI DORSO CLEMEN
TER ACCLIVI SCALAS SUPINO ASENSU SUSPEN
DIT OBIACENTEM COLLI PLANITIEM DIRECTA A
REA EXPLICVIT ET HINC INDE DEDUCTISS RIVIS
PLACIDE ALLUENTIS FLUMINIS COMMERCIO
ADlTUM APERUIT
ANNO D. NI M.D.C. XLVIII

QUESTA VILLA COSTRUITA DA BARTOLOMEO SELVATICO NEL 1593
RIMASE AI SUOI DISCENDENTI
FINO AGLI ULTIMI DEL SECOLO XVIII
NELLA PRIMA METÀ DEL SEC. XIX
L’ARCHITETTO JAPPELLI MODIFICÒ LE
FORME DEL PARCO
E COSTRUÌ LE SERRE MONUMENTALI
I CONTI VON WIMPFEN
PROPRIETARI DELLA VILLA DAL 1842
VI DIMORARONO PER TUTTA LA SECONDA METÀ DEL SECOLO
ACQUISTATA NEL 1901 DAL CONTE N.H. ANGELO EMO CAPODILISTA
E DA SUA MOGLIE EMILIA DEI BARONI BARRACCO
QUESTA DIMORA EBBE NUOVO INCREMENTO
DI CURE E DI LAVORI
E FU ARICCHITA DI MOLTE OPERE D’ARTE

IL CONTE N.H. ANDREA EMO CAPODILISTA
E SUA MOGLIE GIUSEPPINA PIGNATELLI
DEI PRINCIPI DI MONTERODUNI
EREDI DI QUESTA VILLA
CON ASSIDUA OPERA E GRAVI SACRIFICI
RISARCENDO LE INGIURIE E I DANNI INFERTI
DALLE VICENDE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
E RESTITUENDO LA ORIGINARIA PUREZZA
ALLE LINEE INTERNE ED ESTERNE
DELL’ANTICA DIMORA
LE DIEDERO NUOVO SPLENDORE

NOTE

1 B. BRUNELLI, A. CALLEGARI, Ville del Brenta e degli Euganei, Milano 1931, p. 281, 282.
2 R. PIVA, Le “confortevolissime” terme, Battaglia Terme 1985, p. 13-15.
3 B. BRUNELLI, A. CALLEGARI, Ville cit., p. 284-286.
4 Descrittione delli Stabili del Sig. Cavaliere Benedetto Selvatico alla Battaglia nel Padovano, cioè del Colle di Sant’Elena, Palazzo fornito sopra di quello, Campi et Bagni. Esposti al Lotto con decreto dell’Eccelso Consiglio di X sotto la Direzione dell’Illustrissimi Signori Proveditori di Commun in Venetia, Venezia 1657.
5 Ordini et Regole stabilite, Dall’illustrissimi Signori Proveditori di Commune et confirmate nell’eccelso Conseglio de’ Dieci 1657 adi 19 novembre in materia di un lotto del Signor Cavaliere Benedetto Selvatico, Venezia s.d.
6 B. BRUNELLI, A. CALLEGARI, Ville, cit., p. 289 segg.
7 Le notizie sono ricavate da B. BRUNELLI, A. CALLEGARl, Le ville, cit., p. 278-299.
8 F. PIVA, Le “Confortevolissime”, cit., p. 37 segg.
9 Il Giardino veneto. Storia e conservazione, a cura di M. Azzi Visentini, Milano 1988, p. 292-294.
10 B. BRUNELLI, A. CALLEGARI, Le ville, cit., p. 299.
11 Ulteriore bibliografia si ha in:
V. CORONELLI, La Brenta quasi borgo della città di Venezia … , Venezia 1709.
J.C. VOLKAMER, Continuatiuon der Niirnbergischen Hesperidum, Nürnberg 1714.
Guida di Padova e della sua Provincia, Padova 1842, p. 504-505.
A. GLORIA, Il Territorio Padovano Illustrato, Padova 1862, III, p. 113-115.
L. PEZZOLO, Battaglia i suoi dintorni e le sue terme, Padova 1883.
E. CONCINA, Ville, giardini e paesaggi del Veneto nelle incisioni dell’opera di Johan Christoph Volkamer, 1714, Milano 1979.
B. MAZZA, Interventi di Giuseppe Jappelli ad Abano Terme, Abano Terme 1981, p. 22-27.
P. BUSSADORI, R. ROVERATO, Il giardino romantico e Jappelli, Padova 1983, p. 33-35.

Pier Luigi Fantelli   

Copertina del libro: Battaglia Terme. Originalità e passato di un paese del Padovano.

Testo e immagini tratti da: Pier Luigi FANTELLI, Ville venete a Battaglia Terme in Battaglia Terme. Originalità e passato di un paese del Padovano, a cura di Pier Giovanni ZANETTI, Comune di Battaglia Terme, La Galiverna, 1989, pagine 95-100 e 113.

L’incisione pubblicata in J.C. Volkamer, Continuation der Nürnbergischen Hesperidum…, 1714, è opera di Joseph de Montalegre (1696-1729).