Ricordi di guerra dei soldati battagliensi (2)

Seconda parte delle interviste effettuate da Bruno Savin ai soldati battagliensi che hanno combattuto durante la seconda guerra mondiale. Le interviste qui pubblicate riguardano i soldati nati nel 1919. Insieme a ogni intervista, la scheda relativa al servizio militare prestato da ciascun soldato.

Qui la prima parte.

Menato Antonio
Momoli Bruno
Piovan Giuseppe
Piva Ottorino
Sambo Giuseppe

Sigle e abbreviazioni
Btg Battaglione; Comp. Compagnia; FF.AA. Forze Armate; Ftr. Fanteria; O.M. Ospedale Militare; O.M.M. Ospedale Militare Marittimo; P.M. o PM Posta Militare; R.N. Regia Nave; Rgt Reggimento; t.o. titolo onorifico; Z.A.T. Zona Aerea Territoriale.

MENATO ANTONIO

Intervista al Maresciallo Maggiore Fanteria MENATO ANTONIO, classe 1919 –
12 dicembre 2003

1941, il Sergente Maggiore Menato Antonio.

1941 – Il Sergente Maggiore Menato Antonio.

Come avvenne la scelta di partire come allievo sottufficiale nel 1938?

Avevo 19 anni e in quei tempi c’erano molti giovani che tentavano di migliorare la propria posizione inserendosi nei ruoli dell’Esercito come sottufficiali; allora il soldato era sentito come un portatore di valori sostenitore dell’amore di Patria. Nel 1938 non erano molti quelli che ritenevano possibile una guerra mondiale.

Superato il corso dove fu mandato?

Io avevo chiesto una sede vicina a Padova e mi mandarono al 55° Rgt Fanteria di Treviso. La caserma era in centro città; si trattava di un vecchio convento ben tenuto. Noi sergenti fummo alloggiati in due per camera. Il nostro servizio era quello di “sergente di giornata” e quello di “sergente di ispezione” nella caserma durante la guardia. Passai anche circa sei mesi come comandante della guardia alla polveriera di Castagnole, in provincia di Treviso. La paga era di Lire 9,80 al giorno. Però se ne andavano Lire 4,80 per la mensa. Insomma ci restavano 5 lire in tasca al giorno.

Come apprese la notizia dell’entrata in guerra dell’Italia?

La notizia era attesa da qualche mese; se ne sentiva l’aria in giro. Comunque il 10 giugno del 1940 io mi trovavo al campo col reggimento a Carzano, in Valsugana, vicino a Borgo. E là fui informato della dichiarazione di guerra, ascoltandola per radio, come del resto si fece in tutti i paesi d’Italia. Dopo qualche mese fui trasferito al 41° Reggimento Fanteria della Divisione “Modena” per reintegrare e rafforzare i quadri, dopo che il Reggimento era tornato dal fronte francese.

Vuole raccontare come avvenne il suo ferimento in guerra?

Guerra in Grecia ed Albania, la spidocchiatura.

Un compito delicato fra Grecia e Albania: la spidocchiatura.

Di quel fatto ho un ricordo ancora vivo, anche nei particolari, perché le conseguenze di quella ferita me le sono portate addosso per 40 anni. Mi trovavo in Albania col secondo battaglione del reggimento. Dovevamo entrare in Grecia; invece i Greci ci fermarono e ci costrinsero a ritirarci. Durante le battaglie di ripiegamento, iniziato il 9 gennaio 1941, il battaglione, che era costituito da circa 700 soldati, era rimasto con soli 80 uomini, al comando di un tenente e di un altro sergente, oltre a me. Dovevamo appostarci sulle pendici del M. Panarit e per arrivarci dovevamo attraversare il fiume Vojussa. Ci togliemmo le scarpe e i pantaloni e affrontammo il freddo di quell’acqua, tenendo il fucile e lo zaino sopra la testa. Sempre sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche giungemmo al riparo il giorno 13 gennaio, portandoci dietro anche i feriti. Mi ricordo che aiutai nella marcia un soldato ferito che abitava a Mezzavia, il sig. Simonato, quello che nel dopoguerra aprì le serre di fiori. Finalmente trovammo un riparo, anche se dalle cime sopra di noi, i Greci continuavano a tenerci sotto tiro. Il 15 gennaio, mentre mi proteggevo dietro un masso, fui bersagliato da una serie di colpi di mitragliatrice. Le pallottole saltavano sulla roccia e mi fischiavano tutto intorno. Una pallottola mi entrò sotto il ginocchio e si fermò alla coscia sinistra. Accanto a me un amico fu preso in piena faccia e si accasciò sulla mia spalla. Sul momento non feci caso alla fitta di dolore: ma, terminato lo scontro, mi accorsi che il sangue scendeva lungo la gamba.
Erano le tre del pomeriggio: tagliai i pantaloni e mi fasciai usando il pacchetto di medicazione individuale. Verso sera calò la nebbia e così riuscii, aiutato dal mio amico Ferrario, a raggiungere il Comando Tappa dove doveva arrivare l’ambulanza. Fummo caricati e stipati come sardine. Ricordo che durante il viaggio, durato 5-6 ore, ebbi sempre davanti al viso un braccio di un Tenente degli Alpini che penzolava inerte. Quel tenente sarebbe morto prima di arrivare all’ospedale da campo. L’ospedale si trovava a Berat e non era altro che un capannone; sul pavimento era stata stesa della paglia che ormai era ridotta a frantumi e abitata da migliaia di pidocchi.
Eravamo in 500-600; cure non ne avevamo; i medici erano occupati nell’operare i più gravi: tagliavano e segavano braccia e gambe come fossero dei pali di legno, fra le urla dei disperati che poi in gran parte morivano. Rimasi là per tre giorni, disteso sulla barella, come ero stato scaricato dall’ambulanza. Al mattino passava un carrettino per raccogliere i morti della notte. Fra l’altro io ero rimasto anche senza gavetta e così non mi consegnavano nemmeno le razioni che venivano distribuite. Finalmente riuscii a recuperare una scatola di carne vuota che usai per mangiare e per bere. Ricordo che alla fine del secondo giorno chiesi ad un aiutante di sanità un po’ d’acqua per bere. Quello mi rispose: “Se vuoi l’acqua mi devi dare un lek.” Il lek era la moneta degli Albanesi. A quelle parole non riuscii a trattenermi: mi sollevai tenendomi al portante di una branda e mollai un ceffone a quel soldato che subito si mise a gridare come un ossesso.
Accorsero i medici che, sentito il motivo di quelle grida, mi dissero: “Hai fatto bene!” Il quarto giorno fui prelevato e portato in un ospedale più attrezzato. Intanto la ferita si era chiusa e la pallottola era rimasta nella coscia senza provocare infezione. Me la tenni fino al 1982, quando fui ricoverato in ospedale per un’altra operazione ed il chirurgo mi consigliò di levarla. Ecco questa è la pallottola: vede? È lunga più di tre centimetri ed è ben conservata. Per questo le dicevo prima che i ricordi della ferita sono ancora nitidi.

Il monumento ai caduti in guerra eretto nel 1941 a Klisura (Albania).

Il monumento ai caduti eretto nel 1941 al Bivio di Klisura (Albania).

Ma è sempre vivo anche il ricordo della fucilazione di un sergente del mio battaglione. Durante il ripiegamento di cui parlavo prima, il battaglione si era disperso in vari gruppetti di soldati. Uno di questi era costituito da 4-5 fanti ed un sergente. Questi se ne stavano nascosti nella boscaglia: o si erano persi oppure attendevano il momento propizio per unirsi al grosso del Reparto. Furono rintracciati dal Comandante del Reggimento che stava perlustrando la zona il 13 gennaio e accompagnati al nostro gruppo. Durante la notte mi sentii chiamare: era il portaordini del Reggimento che mi informò di presentarmi subito al Comando. In piena notte raggiunsi la tenda del Comando e trovai l’aiutante maggiore. Egli mi disse di tenermi pronto con altri due fanti per il mattino dopo perché il sergente …… era stato condannato a morte per diserzione. Alle sette mi presentai e trovai già pronti un capitano, un tenente medico, il cappellano militare e due carabinieri. Ci recammo nel recinto dove era custodito il sergente che era custodito da altri due carabinieri. Tutti ci incamminammo nella neve in mezzo al bosco finché giungemmo ad una piccola radura. Durante il percorso il sergente condannato si guardava attorno, non capiva bene cosa gli stesse capitando, era irrequieto. Poi fu lasciato solo. Gli si avvicinò il cappellano militare che lo informò della condanna a morte. Le urla di quel poveretto, le invocazioni di quel ragazzo di 23 anni le ho ancora nelle orecchie. Fu bendato e i quattro carabinieri provvidero alla fucilazione. Io e i due soldati fungemmo da testimoni. Fu una scena atroce che non dimenticherò mai. Questi fatti crudeli ti insegnano a ricercare sempre la pace.

Ottobre 1941, il Sergente Menato al Cimitero di Guerra di Konitza.

Ottobre 1941 – Il Sergente Menato al Cimitero di Guerra di Konitza (fra Albania e Grecia).

Come visse la data dell’8 settembre 1943?

Quel giorno io mi trovavo sull’Altipiano di Asiago, a Stoner. Siccome mi ero ammalato seriamente di pleurite, mi mandarono in licenza di convalescenza, consigliandomi di passare molto tempo in montagna. Per evitare i rastrellamenti dei Tedeschi che cercavano i soldati italiani dappertutto, mi nascosi per alcuni giorni alla Marcesina, una località isolata dell’Altopiano. Durante quel soggiorno mi capitò di trovare diversi reperti e residuati della Prima Guerra Mondiale e diventai un appassionato della storia di quella guerra. Poi tornai a casa. Intanto a Galzignano, per iniziativa del Comandante della Stazione dei Carabinieri, il maresciallo Dalla Costa, si era costituito un piccolo nucleo di partigiani.
Anch’io entrai in questa squadra di 10-15 elementi. Facemmo capo alla formazione partigiana “Italia libera” che era apolitica e che aveva il solo scopo di accelerare l’abbandono del suolo italiano da parte dei Tedeschi. Una mattina fui svegliato dai militi della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana della Repubblica di Salò) che mi ordinarono di seguirli perché sospettavano di me. Riuscii a fuggire dalla finestra e a far perdere le mie tracce, nascondendomi con altri sui monti sopra Valsanzibio e sul Roccolo. Le guardie presero mio padre e lo arrestarono, sperando che io mi presentassi spontaneamente. Visto che io non mi facevo vivo, alla sera rilasciarono mio padre che aveva allora 74 anni. Il compito della nostra squadra fu quello di dare aiuto agli sbandati.

E dopo la guerra?

Io ero stato congedato nell’agosto del 1943, in attesa di pensione per invalidità di guerra. Mi misi allora a studiare privatamente e in due anni riuscii a prepararmi per gli esami di maturità. Nell’estate del 1945 presi i diploma di geometra. Nel 1947 entrai a lavorare alla Galileo: la fabbrica era semidistrutta e io lavorai con le imprese Ceccarello, Salce e Grassetto.

MENATO ANTONIO di Luigi e di Zambotti Emilia nato l’8-6-1919 a Galzignano, ivi residente in Via Cingolina ed in seguito a Battaglia T. -Matricola n.14535/2418- Lavoro: agricoltore – Scuola: cl.5^ elementare.
Altezza cm 178 Torace cm 89 Capelli castani ondulati – occhi castani.
Visita leva il 14-5-1938.
Il 15-5-1938 giunge alla Scuola di Rieti quale allievo sottufficiale con la ferma di 2 anni ed è inquadrato nel 51° Rgt Ftr. Diventa Sergente il 15-3-1939 e la settimana dopo è assegnato al 55° Rgt Ftr “Marche” in Treviso. L’11 settembre è ricoverato all’O.M.M. di Venezia; dopo un mese di degenza, è inviato in licenza di convalescenza di gg. 100.
Rientra al Corpo l’8-2-1940. Il 26 ottobre è trasferito al 41° Rgt Ftr II Btg Divisione “Modena” XI Armata in Vittorio Veneto PM37. Il 18 novembre parte per l’Albania: si imbarca a Bari e il giorno dopo sbarca a Valona. Raggiunge poi le località di Badalonia, Cucirai e Gianina. Il 15-1-1941 viene ferito da arma da fuoco alla coscia sinistra sul M.Panarit in Albania ed è ricoverato all’O.M. di Berat. È promosso Sergente Maggiore il 14 agosto. Svolge l’incarico di Sottufficiale di contabilità presso la Compagna Comando del II Btg in Gianina (Grecia). Il 20 agosto va in licenza di gg. 10+viaggio. Il 18 settembre è a Bari per rientrare al Reparto e si imbarca sulla R.N. “Donizzetti”; a causa delle difficoltà in territorio greco giunge in ritardo. Il 20-9-1942 si ammala di pleurite ed entra all’Ospedale da Campo n.20. Il 30 ottobre riparte per l’Italia: si imbarca a Corinto sulla nave ospedale “Piemonte”, lasciando così la zona di guerra. Sbarca due giorni dopo a Bari ed è ricoverato nel locale policlinico. Il 21 novembre è trasferito col treno ospedale n.32 all’O.M. di Cortona; passa così in forza al deposito del 41° Rgt Ftr di Imperia. Viene dimesso il 21-1-1943 e mandato in licenza di convalescenza di gg. 90. Al termine entra all’O.M. di Padova. In data 6-8-1943 viene dimesso e congedato per invalidità causata dalla guerra.
Dal 1°-1-1944 entra nella formazione partigiana “Italia libera” operante nel territorio della provincia di Padova (Galzignano sui Colli Euganei). Dal 1° di giugno assume l’incarico di Comandante di Distaccamento.
Cessa l’attività di partigiano il 1°-5-1945. Con decreto n.14535 della Presidenza del Consiglio dei Ministri viene riconosciuto “Partigiano Combattente” nella guerra di liberazione. Con decreto ministeriale n.55/1979 del 7-12-1979 è promosso Maresciallo Ordinario, Maresciallo Capo e Maresciallo Maggiore del Ruolo d’Onore.
Operazioni di guerra: con il 41° Rgt Ftr dal 19-11-40 al 23-4-41 alla frontiera greco-albanese e dal 24-4-41 al 30-10-42 in Balcania (territori ex jugoslavi). Ha partecipato dall’1-1-44 all’1-5-45 alla “Guerra di Liberazione” nella formazione partigiana “Italia Libera” nel territorio padovano. Campagne di guerra 1941-1942-1944-1945. Croci al Merito di Guerra n.8664 il 24-6-67 e n.8665 per attività partigiana il 24-6-67.

MOMOLI BRUNO

Intervista al Sergente Fanteria MOMOLI BRUNO, classe 1919 – 19 novembre 2003

1942, il Sergente Momoli Bruno.

1942 – Il Sergente Momoli.

Quasi tutti i giovani di Battaglia Terme che facevano i barcaioli, quando venivano chiamati alle armi erano assegnati al Genio pontieri o lagunari. Lei invece andò in fanteria. Come mai?

A dire il vero io avevo chiesto di essere assegnato agli Alpini ed al Distretto Militare mi avevano predesignato per raggiungere un reggimento alpini a Cuneo. Invece, all’ultimo momento, fui assegnato ad un reggimento di fanteria che si trovava nei pressi di Treviso, dove abitava l’allora mia fidanzata. Di questo devo ringraziare qualche persona che mi voleva bene. Ma anche in fanteria mi toccherà conoscere ogni tipo di esperienza militare: dalle fatiche alle marce, dalle amicizie ai soprusi, dalle paure agli atti di coraggio, dall’azione di comando all’obbedienza cieca, dai sacrifici del soldato ai dolorosi patimenti del prigioniero, dalla schiavitù alla libertà. Insomma gli anni passati con la divisa mi hanno lasciato il segno per tutta la vita.

1941, squadra di calcio reggimentale durante la guerra. Bruno Momoli è l primo accosciato a partire da destra.

1941 – Squadra di calcio reggimentale. Il primo accosciato da destra è Bruno Momoli, che gioca da terzino.

Cosa ricorda del fatto d’arme per il quale le fu concesso l’encomio solenne?

Ricordo quasi tutto perché fu una tremenda lotta per la salvezza della vita mia e dei dodici soldati della mia squadra fucilieri. Si era nel mese di marzo del 1943 ed eravamo stati aggregati alla Divisione “Taurinense”. Ero tornato da poco dalla licenza matrimoniale ed ero stato inviato a sostituire un collega ucciso, al comando di una posizione avanzata a cavallo del fiume Narenta, vicino alla cittadina di Stolac. Ad un certo punto tutta la compagnia si trovò attaccata da forti gruppi di partigiani titini.
La mia squadra ebbe il compito di affrontare il nemico per dare il tempo al resto della compagnia di posizionarsi su alcune alture da dove operare meglio. Intanto era scesa la notte e mi trovai con la squadra sotto un’altura occupata dai partigiani. Tutto intorno eravamo assediati da gruppi nemici. La conquista di quella cima ci avrebbe consentito di tenere a bada i titini e nello stesso tempo di aprirci la strada verso la salvezza. Eravamo anche rimasti quasi senza armi e munizioni.
Per ben quattro volte contrattaccammo il nemico che voleva sterminarci e, alla fine, riuscimmo a raggiungere la cima dell’altura e sottrarci a morte sicura. Io fui anche ferito alla mano destra da una scheggia di granata. Ma continuai a combattere ugualmente. Durante tutte quelle ore di estremo pericolo e tensione mi affidai alla protezione di S. Giuseppe e ancor oggi sono un suo devoto: penso che senza l’aiuto di qualche Santo non sarei riuscito a portare fuori la pelle. In quell’azione morirono alcuni dei miei amici più cari. Devo dire che nella squadra tutti ci volevamo bene, ci stimavamo e ci aiutavamo. Dopo quattro giorni riuscimmo a raggiungere Mostar; mi presentai all’ospedale da campo per farmi togliere la scheggia dalla mano. Questa è la cicatrice che mi restò.

Banconota jugoslava in uso nel 1941: 2 Lek. Banconota jugoslava in uso nel 1941: 20 Dinara (1). Banconota jugoslava in uso nel 1941: 20 Dinara (2).
Banconote in uso nel 1941 nella Jugoslavia. 1: 2 Lek. 2: 20 Dinara. 3: 20 Dinara.

Cosa avvenne nel suo reparto l’8 settembre 1943?

Noi ci trovavamo fra le montagne del Montenegro, della Croazia e dell’Erzegovina. Durante la notte fra l’8 e il 9 settembre sentimmo i partigiani gridare in continuazione: “Italiani kaputt!!!” Al mattino fummo informati dell’armistizio e nessuno sapeva prendere una decisione: passare con i partigiani oppure arrenderci ai Tedeschi o cercare di raggiungere il mare? Alla fine gli Ufficiali decisero di portarci verso Ragusa (Dubrovnik) per poi poterci imbarcare e raggiungere l’Italia meridionale. Nelle vicinanze di Ragusa vedemmo alcuni reparti di Alpini decimati dalle forze tedesche e capimmo che la nostra situazione era disperata. Gli ordini e i contrordini intanto si susseguivano in una confusione tremenda. Alla fine giunse la decisione del Generale Cavallero di consegnarsi ai Tedeschi. Allora la Divisione Taurinense si spaccò in due: una parte decise di passare coi partigiani di Tito e l’altra parte si consegnò alle truppe tedesche che sbarravano la strada verso il mare. La mia compagnia fu caricata in carri bestiame (in ogni carro eravamo in settanta) e portata in un campo di lavoro nei pressi di Francoforte in Germania.

Quali ricordi ha della prigionia?

Ricordo che la mia baracca aveva il numero 29. Là patimmo la grande fame, le più grosse umiliazioni e fummo ridotti a bestie. Spesse volte, di nascosto, riuscivo a sottrarre al cane dei guardiani una parte del suo pasto; lo mangiavo anche se dentro magari c’era la bava di quell’animale. Molti non ce la fecero. Ricordo che assistei un amico moribondo fino alla fine per poi impadronirmi del suo pane che più non gli occorreva. Cercavamo disperatamente qualcosa da mangiare anche fra le immondizie con il rischio di essere visti e puniti. Con altri sei tentammo di fuggire; ma ci andò male e cominciarono ad inasprirsi le angherie nei nostri confronti.
Un giorno nella fabbrica dove lavoravo, fui spinto in malo modo da una sentinella e caddi dall’impalcatura dove mi trovavo. Mi ferii ad una gamba e ad un braccio e si lesionarono alcune vertebre. Fui portato all’ospedale di Francoforte e poi, a causa dei bombardamenti alleati, a quello di Kleinzinner dove mi ingessarono.

Quando ritornò a casa?

Verso la fine di aprile del 1945 le sentinelle tedesche del campo ci ordinarono di lasciare tutto per trasferirci in un altro lager. Con altri cinque amici riuscimmo ad inoltrarci in un bosco e a nasconderci sotto il mascheramento di una postazione contraerea abbandonata. Là aspettammo l’arrivo dei soldati americani.
Dopo qualche giorno riuscimmo ad impossessarci di alcune biciclette e partimmo prendendo la direzione del Brennero. Ci arrivammo in sei giorni percorrendo circa cento chilometri al giorno. A Bolzano incontrai un altro soldato che rientrava dalla prigionia e che allora abitava a Mezzavia: era Giuseppe Piovan che ora abita a Battaglia Terme. Insieme salimmo su un vecchio camion che ci portò fino a casa. Quando mi presentai alla porta ero irriconoscibile; ma mia madre mi abbracciò subito.
I primi tempi del dopoguerra non furono facili anche perché non si trovava facilmente lavoro. Prima di partire per la guerra facevo il barcaiolo; ma ormai la barca non c’era più. Riuscii qualche tempo dopo ad entrare alle Officine Galileo.

2004. L'attestato con cui Bruno Momoli è stato promosso a titolo onorifico Sergente Maggiore dell’Esercito.

2004 – Bruno Momoli promosso a titolo onorifico Sergente Maggiore dell’Esercito.

MOMOLI BRUNO di Pietro Eugenio e di Giacometti Amalia nato il 15-10-1919 a Battaglia Terme ed ivi residente in Via Ortazzo 99 -Matricola n.15343- Lavoro: barcaiolo – Scuola: cl.5^ elementare.
Altezza cm 167 Torace cm 88 – Capelli castani lisci – Occhi castani.
Visita di leva l’11-3-1939.
È chiamato alle armi il 12-3-1940 e si presenta al 55° Rgt Ftr II Btg 6^ Comp. Divisione “Marche” a Dosson di Treviso. Diventa Fante scelto il 23 maggio. L’11 giugno viene mobilitato. Parte per l’Albania il 7-4-1941: si imbarca a Bari sul mercantile “Milano” e sbarca a Durazzo il giorno dopo, in zona di guerra. È nominato Caporale il 19 aprile. Il 15 settembre viene trasferito e raggiunge a piedi, attraversando tutto il territorio della ex Jugoslavia, il Campo addestramento armi in Clana (Fiume PM 32). Il 29 ottobre passa al Deposito ed il giorno 31 è promosso Caporale Maggiore.
In data 1-7-1942 è promosso Sergente. Il 29-7-1942 è aggregato al 72° Rgt Ftr in Vittorio Veneto per frequentare il corso mortaisti da 81. Rientra al Corpo il 3 settembre. Il 19 settembre ritorna in zona di guerra col 55° Rgt Ftr a Trebinje (Croazia) e nella zona di Podgorica e Niksic (Montenegro).
Col 1° dicembre gli viene affidato l’incarico di Comandate di Squadra fucilieri combattente (sergente con incarico speciale). L’11-1-1943 ottiene la licenza matrimoniale di gg.30+6. Prima di rientrare in Italia passa per l’ospedale da campo n.62 (Campo contumaciale) di Otocco di Postumia. Ritorna al Reparto il 23-2-1943 e viene inviato con la sua squadra a presidiare due posti di blocco a Stolac, fra le montagne della Erzegovina. È ferito ad una mano in un combattimento a Kljuni (Croazia). Per questa azione gli viene conferito un encomio solenne con la seguente motivazione: “Comandante di squadra fucilieri portava per ben tre volte la sua squadra al contrassalto. Incurante del pericolo continuo a cui si esponeva, si batteva leoninamente in estenuanti ore di combattimento per respingere il nemico. Contribuiva così a contenere la forte pressione avversaria permettendo alla compagnia di poter ripiegare in posizioni migliori. Kljuni (Croazia) 20/3/1943”.
Il 12-9-1943 viene catturato dalle truppe tedesche a Ragusa e portato al lager IX B di Francoforte con matricola di prigioniero n.9902. Al termine della guerra, in data 29-5-46 il sig. Agostini Italo di Gaetano dichiara al D.M. di Padova: “Nel periodo maggio-giugno 1944 durante il trasferimento dal campo di prigionia Stammlager IX A al campo IX B per ragioni di lavoro, ebbi la gioia di trovare un mio paesano: il sergente Momoli Bruno, ricoverato nell’infermeria del suddetto Campo IX B, soggetto a continue febbri per circa due giorni. Fu, dopo poco tempo, inviato al lavoro e, dato il suo deperimento, fu inviato alla cucina addetto ai lavori leggeri.”
Viene liberato dagli Anglo-americani il 3-6-1945 e rimpatriato. È mandato in licenza di rimpatrio di gg. 60 con assegni. Al termine della licenza di rimpatrio, è lasciato in licenza illimitata senza assegni in attesa di disposizioni. Viene congedato il 1°-11-1945. Il 19-3-2004, con Decreto del Min. della Difesa n.III/8/325/0181 R-E 6554, è promosso Sergente Maggiore a titolo onorifico.
Operazioni di guerra: col 55° Rgt Ftr “Marche”: dal 7 al 18/4/41 alla frontiera italo-jugoslava; dal 19/4 al 15/9/41 e dal 19/9/42 all’8/9/43 in Balcania. Campagne di guerra: 1941-1942-1943-1944-1945. Croci al Merito di Guerra n.8669, 8670 e 8671 il 24/6/1967. Brevetto” Volontari Libertà” n.432 del 15/2/80. Ha titolo all’attribuzione dei benefici di legge per essere stato prigioniero dei Tedeschi dall’8/9/43 all’8/5/45 e trattenuto dalle FF.AA. delle Nazioni Unite fino al 3/6/45.

PIOVAN GIUSEPPE

Intervista al Caporale Maggiore Fanteria PIOVAN GIUSEPPE, classe 1919 –
10 marzo 2004

Piovan Giuseppe nel dopoguerra.

Piovan Giuseppe nel dopoguerra.

Dove lavorava prima di essere chiamato per il servizio militare?

Lavoravo come barbiere in un esercizio di Abano Terme. Ci andavo al mercoledì, al venerdì, al sabato e alla domenica mattina. Allora avevo le gambe buone e me la facevo in bicicletta, ogni volta, partendo da Terradura, dove abitava allora la mia famiglia.

Come fu il suo primo periodo da recluta?

Non ebbi nemmeno il tempo di vedere bene la caserma “Gotti” di Vittorio Veneto dove fui mandato, perché dovemmo prepararci per il campo estivo. L’addestramento era molto intenso e le fatiche non ci furono risparmiate. Noi capivamo che la guerra non poteva essere lontana anche per l’Italia. Infatti scoppiò qualche settimana dopo, mentre eravamo al campo nella zona del Bellunese. Ricordo che quasi ogni giorno ci facemmo a piedi una marcia di 20 km fra Busche, Lentiai e Mel. Tornammo in caserma a novembre e vi trovammo i richiamati delle classi 1915 e 1916. Gli addestramenti ripresero subito assieme a loro. Io fui assegnato alla Compagnia Reggimento Armi Ac.

Piovan Giuseppe nel 1941, prima di prendere parte alla guerra al campo a Mel. Piovan è disteso in primo piano, con l'elmetto.

1941 – Il fante Piovan Giuseppe (disteso in primo piano con l’elmetto) al campo a Mel.

Dove avvenne il primo scontro a fuoco?

Noi fummo inquadrati nella Divisione “Puglie”. Fummo mandati in Albania dove era in corso la guerra con la Grecia. Vi furono dei combattimenti sanguinosi nella zona di Berat e diversi miei amici del Reggimento ci lasciarono la vita. Ricordo in modo particolare la quota 731 dove le canne delle armi della nostra compagnia diventarono rosse per i continui scontri. Risolto il problema Grecia, ci trasferirono al confine con la Jugoslavia, nella zona del fiume Drin. Qui fummo impiegati in attività di presidio e controllo del territorio.

La sua arte di barbiere le servì durante la guerra?

Devo dire proprio di sì. Nel novembre del 1941 fui mandato a frequentare il corso per l’impiego dei mortai. Non saprei dire perché mi scelsero per quel corso: probabilmente ai frequentatori occorreva anche un barbiere. Ma l’arte del barbiere, come la chiama lei, mi servì anche dopo.

Cosa avvenne al suo Reparto il giorno dell’armistizio, l’8 settembre del 1943?

È una cosa alquanto penosa da raccontare perché ci trovammo nel giro di poche ore in una situazione incomprensibile e pericolosa, entusiasmante e demoralizzante allo stesso tempo. La nostra Compagnia, col III Battaglione, si trovava a Kuken (Kossovo), mentre il Comando del Reggimento era a Prizern. Alla notizia dell’armistizio tutti pensammo alla fine della guerra e al nostro ritorno a casa. Nello stesso tempo dovemmo considerare come nemici gli ex alleati tedeschi coi quali, fino al giorno prima avevamo giocato, scherzato e combattuto assieme. Perciò non capivamo la situazione. Anzi, ce la fecero capire i partigiani di Tito. Questi ci circondarono e pretesero che consegnassimo a loro le nostre armi. I Tedeschi arrivarono subito dopo e ci promisero di lasciarci rientrare in Italia, ma disarmati. Cosa potevamo scegliere? Per capire la nostra situazione, come quella di tanti altri Reparti italiani, bisognava avere vissuto quei momenti. Comunque partimmo fiduciosi verso l’Italia, protetti dalle armi dei Tedeschi. Percorremmo a piedi i 40 km fino a Prizern e poi a Pec, dove c’era la ferrovia. Ci dissero che le comunicazioni erano interrotte. Perciò dovemmo seguire un lungo percorso attraverso l’Ungheria e l’Austria. Le soste erano frequenti; noi riuscimmo a sopravvivere perché, durante le fermate, potevamo scendere, fare scambi con i civili, cedere una maglia per una pagnotta, ecc. Non c’erano sentinelle: insomma sembrava una tradotta in un normale viaggio di trasferimento verso l’Italia. La musica cambiò in Austria. Non ci dirigemmo più verso il Tarvisio, ma ci portarono a Monaco. I vagoni non si aprirono più, le sentinelle cominciarono a sparare su quelli che tentavano di scendere.
Allora capimmo la nostra sorte. Giungemmo in un campo di concentramento nei pressi di Dilinger, al confine con la Francia, nella zona della Saar. In 200 fummo mandati a lavorare in una fonderia. Un lavoro non certo leggero per un barbiere. C’era con noi una squadra di sentinelle tedesche: tutti soldati che ritornavano dal fronte russo. Queste cambiavano ogni 15 giorni. Dopo circa sei mesi fui ricoverato nell’infermeria del campo perché mi ero ferito ad una gamba durante il lavoro. Negli stessi giorni si era ammalato il prigioniero che tagliava barba e capelli alle sentinelle. Fu così che ebbi la fortuna di cominciare ad esercitare la mia professione anche nel campo di prigionia, come le ho detto prima. Fui chiamato a sostituire il prigioniero ammalato e poi continuai fino alla fine della prigionia. Ebbi dei vantaggi da questa situazione: in primo luogo faticavo di meno, in secondo luogo ricevevo qualche marco di mancia. Inoltre mi fu consegnato un permesso per uscire dal campo e andare a tagliare i capelli nelle case delle sentinelle tedesche. In cambio ricevevo qualche pezzo di pane e qualche patata. Al mio rientro al campo venivo accolto dai miei compagni di sventura a braccia aperte e distribuivo quello che avevo raccolto. Quei momenti erano veramente di gioia per tutti noi. Ai primi di aprile le sentinelle tedesche sparirono e ci trovammo liberi. Arrivarono le truppe americane e cominciammo a respirare un’aria nuova.

E finalmente giunse a casa. Riprese subito a lavorare?

Non c’era tempo per riposare. Dopo i due mesi di licenza che mi fu concessa dal Distretto Militare mi guardai attorno. Tutti cercavano un lavoro. Venni a sapere che qui a Battaglia Terme il Sig. Sanavio, detto “Magni”, stava cedendo il suo laboratorio di barbiere in Via Terme. Infatti lui era stato ferito in guerra e, non potendo più esercitare, aveva avuto la licenza di un’edicola di giornali.
Così mi presentai io e continuai il mio lavoro di prima, ma esercitando in proprio.

Da anni lei ha assunto la carica di Presidente della Sezione di Battaglia Terme dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci: in quanti siete rimasti?

Siamo sempre meno, purtroppo. Però quei pochi che ci sono avrebbero un grande desiderio: non essere dimenticati!
Vorremmo che le nostre esperienze dolorose insegnassero ai giovani a volersi bene e rispettarsi. Auspico che tutti i giovani d’Europa capiscano queste cose. Un modo per raggiungere questi scopi fu il gemellaggio iniziato dal Sindaco Salvan nel 1956 con il Comune tedesco di Möhringen; ed un altro modo è quello di mettere per scritto le nostre memorie.

PIOVAN GIUSEPPE di Antonio e di Trescato Elena nato il 15-9-919 a Carrara S. Giorgio, ivi residente e poi a Battaglia T. -Matricola n.15188- Lavoro: barbiere – Scuola: cl.5^ elementare.
Altezza cm 171 Torace cm 91 – Capelli: castani ondulati – Occhi castani.
Visita di leva il 2-3-1939.
Il 18-3-1940 è chiamato alle armi e si presenta al 72° Rgt Ftr Comp. Mortai da 81 in Vittorio Veneto. L’11 giugno è mobilitato col Reggimento inquadrato nella Divisione “Puglie”, mentre si trova al campo estivo nella zona di Mel-Busche (Bl).
Il 13-2-1941 entra in zona di guerra. Parte per l’Albania il 15 febbraio: si imbarca a Bari e il giorno dopo sbarca a Durazzo.
Col reparto raggiunge Berat – q.731. In aprile viene spostato a Scutari e a Kuken. Il 1°-9-1941 è nominato Caporale. Il 18 settembre è mandato a frequentare il Corso Mortaisti a Skhoplije (Macedonia). È promosso Caporale Maggiore il 1° novembre ed assume l’incarico di Comandante di Squadra Mortai da 81. Viene impiegato fra Prizern e Pristina. Va in licenza straordinaria di gg.30 il 26 dicembre. Dopo varie peripezie e rinvii per mancanza di vie libere, riesce a rientrare al Corpo il 20-3-1942.
L’8-9-1943, all’annuncio dell’armistizio tenta di rientrare in Patria col Reggimento. Si trova a Kuken (Kossovo), circondato da forze partigiane che chiedono la resa del Reggimento. Il giorno 19 settembre giungono le truppe tedesche che catturano tutti. Viene condotto a piedi a Prizern. Poi raggiunge la linea ferroviaria a Pec in Montenegro e con la tradotta è portato, attraverso l’Ungheria e l’Austria, a Monaco e nella Saar, nei pressi della linea Maginot. È mandato a lavorare in una fonderia di Dilinger dipendendo dal lager XII D con matricola di prigioniero n.38719. Dopo sei mesi di fonderia, viene scelto per fare il barbiere delle baracche. Viene liberato dagli Alleati mentre si trova a Francoforte sul Meno e portato a Coblenza. Da qui parte per rientrare in Italia; giunge a Verona il 4-7-1945. Va in licenza di rimpatrio di gg. 60 con assegni. Al termine dei sessanta giorni è lasciato in licenza illimitata senza assegni e l’1-11 è congedato. Con decreto n.III/8/325/0222 del 30-3-2005 il Ministero della Difesa gli conferisce la promozione a Sergente a t.o.
Operazioni di guerra: col 72°Rgt Ftr dal 16/2 al 5/4/41 alla frontiera greco-albanese; dal 6/4 al 10/5/41 alla frontiera italo-jugoslava; dal 20/3/42 all’8/9/43 in Balcania.
Campagne di guerra: 1941-1942-1943-1944-1945. Conferito Distintivo d’onore di “Volontario della libertà” n.99 il 10/12/72. Ha titolo all’attribuzione dei benefici di legge per essere stato prigioniero dei Tedeschi dal 19/9/43 all’8/5/45 e trattenuto dalle FF.AA. delle Nazioni Unite fino al 4/7/45.
Qui un’altra testimonianza sulle vicissitudini di guerra del Caporale Maggiore Fanteria Giuseppe Piovan (N.d.R.).

PIVA OTTORINO

Intervista al Primo Aviere PIVA OTTORINO, classe 1919 – 6 febbraio 2004

1940: l'aviere Piva Ottorino a Pola.

1940: l’aviere Piva Ottorino a Pola.

Quale lavoro svolgeva prima della chiamata alle armi?

Facevo il barcaiolo con mio padre. Avevamo alcune barche che conducevamo noi di famiglia di cui ricordo qualche nome: la S. Giuseppe, la Nuova Ottorino, la Fulvio, ecc. Altre barche le davamo al quarto: si dava il burcio ad altri barcaioli col patto che ai proprietari andava un quarto del ricavo. Partivamo carichi di trachite o altro sasso che veniva impiegato a Venezia o nella laguna o lungo gli argini del Po. Caricavamo anche farine varie che erano prodotte dai mulini della Società Veneta di Macinazione. Non era un mestiere facile. Allora non c’erano i motori. Si usavano i remi, i cavalli per il traino e tante volte anche le vele.

Il suo servizio militare fu alquanto particolare; fu arruolato in Aeronautica, ma fece servizio sempre in acqua. Vuole spiegare come si svolse il suo servizio?

In effetti il mio servizio militare si svolse quasi per intero nell’acqua. Infatti facevano parte dell’Aeronautica anche quegli aerei che collegavano le località situate lungo le coste delle piccole isole e dei laghi dove le piste di decollo ed atterraggio erano costituite dagli specchi d’acqua e cioè dagli idroscali. Dopo un primo addestramento al “Lingotto” di Torino Mirafiori, fui mandato all’idroscalo di Pola. Diventai guidatore di motoscafi negli idroscali; questi motoscafi erano impiegati per rimorchiare gli idrovolanti dentro e fuori dei porti, dopo l’ammaraggio o prima del decollo. Mi fu molto utile la mia esperienza di barcaiolo. Il nostro impiego non fu mai in vicinanza del fronte; comunque anche noi fummo soggetti ai mitragliamenti e bombardamenti. Durante gli allarmi aerei il nostro compito era quello di lasciare in tutta fretta l’idroscalo per rifugiarci con i motoscafi in qualche insenatura, nascosti alla vista dei piloti nemici.

Permesso di condurre automezzi militari rilasciato a Piva Ottorino nel 1941.

1941 – Permesso di condurre automezzi militari rilasciato a Piva Ottorino.

Dove si trovava l’8 settembre 1943 e come se la cavò?

Ai primi di agosto del ’43 passai dall’idroscalo di Sesto Calende, sul lago Maggiore, all’aeroporto di Genova per essere trasferito in Sardegna.
La mattina del 9 settembre trovammo due soldati tedeschi con due mitragliatrici all’ingresso dell’aeroporto. Ci ordinarono di consegnare le armi e di andarcene dalla caserma. In quei primi momenti non ci fu alcuna reazione da parte nostra; eppure eravamo in tanti e potevamo sopraffare i due tedeschi. Forse non capimmo la situazione, ordini non ne arrivarono e soprattutto pensammo che la guerra fosse finita. Ma, poco dopo aver lasciato la caserma, cominciarono i rastrellamenti. Io ed altri due amici, uno di Padova e uno di Trieste, decidemmo di inoltrarci fuori Genova. Raggiungemmo una casa di contadini che ci consegnarono alcuni abiti civili e ci ospitarono per alcuni giorni, in attesa di studiare la situazione. Poi ci accompagnarono di nascosto alla stazione ferroviaria. Salimmo su un treno in partenza per Milano e Padova. Intanto i controlli si facevano sempre più severi. In abiti civili e con un bel po’ di fortuna riuscimmo a giungere tutti a tre a Battaglia verso la fine di settembre. Qui rifornii i due amici di altri vestiti, in sostituzione di quelli abbastanza vecchi e lisi che avevamo ricevuto dai contadini genovesi. Poi essi proseguirono verso le loro case.

Riprese il suo lavoro di barcaiolo?

Sì, ma sotto gli ordini dei Comandi tedeschi. Le nostre barche furono requisite e noi fummo militarizzati e comandati al trasporto di materiali per conto delle forze armate tedesche e della R.S.I. In ogni barca c’era una sentinella tedesca che stava con noi giorno e notte. Queste guardie erano molto sospettose; non si fidavano nemmeno del cibo che dovevamo preparare in barca anche per loro. Mangiavano e bevevano dopo di noi, anche se alla stessa tavola. Una volta fui costretto a scendere a terra per cercare una bottiglia di acqua per una guardia perché non si fidava di quella che avevamo in barca.
Comunque anche durante questi viaggi eravamo in continuo pericolo dei mitragliamenti aerei. Verso la fine della guerra poi temevamo che i soldati tedeschi ci danneggiassero le barche per renderle inservibili. Invece le nostre barche affondarono nei pressi di Porto Tolle a seguito dei mitragliamenti. Comunque, finita la guerra, riuscimmo a ripararle e riportarcele a casa. Dopo la Liberazione riprendemmo subito il nostro lavoro. E molto presto montammo il motore ai nostri burci.

PIVA OTTORINO di Cesare e di Cappellozza Maria nato il 10-2-1919 a Battaglia Terme ed ivi residente in Via Terme -Matricola n.45036- Lavoro: barcaiolo – Scuola: cl.5^ elementare.
Altezza cm 164 Torace cm 85 – Capelli neri lisci – Occhi celesti.
Visita di leva il 23-6-1939.
Chiamato alle armi il 16-1-1940, si presenta al Centro Affluenza della 2^ Z.A.T. di Padova che lo manda al Centro Istruzione del R. Aeroporto “Lingotto” di Torino Mirafiori. È trasferito il 1° marzo all’aeroporto-idroscalo di Puntisella (Pola) per frequentare il 7° Corso per Aiuto motoscafisti addetti ai rimorchiatori di aerei. Al termine del Corso Motoscafisti risulta idoneo con punti 13,11/20 classificandosi 12° su 17 idonei. Il 27 giugno passa al R. Aerop.-idroscalo di Sesto Calende (Lago Maggiore) in zona di guerra. Il 16 ottobre è nominato Aviere scelto con l’incarico di aiuto autista conduttore imbarcazioni a motore. Va in licenza straordinaria di gg. 30 il 17 novembre 1941. Trascorre la licenza presso l’idroscalo, esonerato dal servizio; ma non può tornare a casa. Il 17-12-1941 rientra al Reparto. Il 1°-8-1943 è trasferito al R.Aeroporto di Genova n.110 (PM 3200) perché destinato alla Sardegna. A causa dei continui bombardamenti non parte per l’isola. Il 9 settembre sbanda per gli eventi seguiti all’armistizio.Il 19 ottobre è requisito dalle truppe tedesche per fare il barcaiolo. È obbligato a lavorare alle loro dipendenze nel tratto Venezia-Treviso e Ferrara-Mantova lungo il fiume Po. Il 1°-5-1945 gli viene considerato come servizio il periodo dall’8/9/43 al 28/4/45 e poi è congedato col grado di Primo Aviere.

SAMBO GIUSEPPE

Intervista al Marinaio di I^ Classe Cannoniere Armaiolo SAMBO GIUSEPPE,
classe 1919 – 6 febbraio 2004

1939 - Il cannoniere armaiolo Sambo Giuseppe.

1939 – Il cannoniere armaiolo Sambo Giuseppe.

Quale lavoro faceva prima di essere chiamato in Marina?

Ho cominciato a lavorare alle Officine Galileo di Battaglia Terme dall’età di 15 anni; facevo il saldatore elettrico assieme ad Ettore Savin che era esperto nella saldatura autogena. Molti dei dipendenti della Galileo furono arruolati in Marina. Quando partii io non si parlava ancora di guerra ed ero convinto di cavarmela col solito periodo di leva. Invece feci il marinaio per 6 anni, con esperienze più pericolose e dolorose.

Come si svolse il suo addestramento prima dell’inizio della guerra?

Arrivai al deposito della Marina di Venezia il 15 giugno del 1939 con la qualifica di allievo cannoniere armaiolo. Feci appena in tempo a prestare il giuramento a Venezia e poi mi spedirono alla base navale di La Spezia, dove fui imbarcato sull’incrociatore pesante “Trento”. Su questa nave feci il primo addestramento e acquisii la specializzazione di “cannoniere armaiolo” con la promozione a marinaio di prima classe. Cominciai anche a riscuotere una paga di £. 220 al mese e, per quei tempi, non era proprio male.
Intanto la nave si era trasferita alla base di Messina; da questo porto partimmo per una lunga crociera nel Mediterraneo. Toccammo Tripoli, Tobruck, Rodi, Lero, Portolago e rientrammo a La Spezia. Si era in tempo di pace, ma la seconda guerra mondiale era già cominciata.
La navigazione fu molto interessante, ma l’addestramento fu intenso. Io fui assegnato alla torre 1 con i cannoni da 152, con l’incarico di azionare l’otturatore di dritta (destra). In genere il caricamento dei cannoni avveniva meccanicamente; ma dovevamo essere in grado di operare anche manualmente e questa manovra non era proprio semplice e facile.

Gruppo di Veneti sull'Incrociatore "Trento" nel 1942, poco prima di essere affondato in guerra. Sambo Giuseppe è il primo in piedi da sinistra.

1942 – Gruppo di Veneti sull’Incrociatore “Trento”; Sambo Giuseppe è il primo in piedi da sinistra.

Come foste informati dell’ inizio della guerra anche per l’Italia?

Eravamo di stanza a Messina già da dieci giorni. Nel pomeriggio del giorno 10 giugno 1940 fu suonata l’adunata in coperta di tutto l’equipaggio. Tutti ascoltammo la dichiarazione di guerra in silenzio. Alla fine un aspirante guardiamarina issò sul pennone dell’incrociatore la bandiera da combattimento. Capimmo che per noi erano terminati i giorni tranquilli. Per noi tutti del Trento cominciò una vera e propria odissea. Partecipammo a tutte le più importanti battaglie navali nel Mediterraneo fino all’affondamento della nostra bella nave.

Vuole ricordare qualcosa di queste battaglie?

Cominciammo subito il nostro lavoro di scorta ai convogli. Era il 9 luglio e stavamo tornando dalla Libia quando incontrammo la flotta inglese al largo di Punta Stilo, a sud-est della Calabria. Lo scontro durò circa un’ora e mezza e ci andò bene. Fu colpito un altro incrociatore (il Pola) e una nave da battaglia (la Giulio Cesare); la nostra nave non fu colpita. Ce la cavammo senza perdite anche la notte dell’11 novembre del 1940 quando fu attaccato da aerosiluranti inglesi il porto di Taranto, dove il “Trento” era alla fonda. Dopo due settimane, il 27 novembre, fummo coinvolti nella battaglia navale di Capo Teulada a sud della Sardegna. La buona sorte ci sorrise nuovamente.
Tremenda fu la giornata del 28 marzo 1941. Noi ci trovavamo di scorta alla nave da battaglia Vittorio Veneto al largo di Capo Matapan, fra la Grecia e l’isola di Creta. Lo scontro con le navi inglesi durò tutta la giornata, dalle otto del mattino fino alle cinque del mattino dopo. Fu una strage per le nostre navi: furono affondati gli incrociatori Fiume, Pola e Zara e i cacciatorpediniere Carducci e Alfieri. Noi del Trento corremmo grossi pericoli ma il Padreterno ci protesse.
Il nostro incrociatore partecipò anche alla seconda battaglia della Sirte, a sud di Malta e davanti alla Libia. Partimmo da Messina la notte fra il 21 e il 22 marzo del 1942. Alle prime ore del pomeriggio iniziò la battaglia che durò fino alle otto di sera. Intanto si era scatenata una tremenda burrasca e faticammo parecchio per restare a galla in mezzo ad ondate enormi. Riportammo a casa la pelle anche quella volta.

Cosa ricorda del suo naufragio?

Ricordo tutto, direi! Ricordo come si svolsero i fatti; purtroppo non ricordo i pensieri che mi passarono per la mente in quei momenti. L’unica cosa a cui pensi è di salvare la vita tua e, se possibile, anche quella di qualche tuo amico che ti trovi vicino. Purtroppo si avvicinava anche per noi il giorno della paura e della tragedia.
Ancora una volta ci trovavamo nel Mediterraneo, fra la Sicilia e l’isola di Creta. Era il 15 giugno 1942 ed erano passati esattamente tre anni da quando mi ero presentato al deposito della Marina di Venezia nel 1939. Eravamo partiti da Taranto la mattina del giorno 14 giugno per intercettare un convoglio inglese proveniente da Alessandria d’Egitto. Con noi del Trento c’erano le corazzate Littorio e Vittorio Veneto e gli incrociatori Garibaldi, Duca d’Aosta e Gorizia, oltre a 12 cacciatorpediniere. Nelle stesse ore proveniva da Gibilterra un altro convoglio inglese. Le due formazioni inglesi si incontrarono all’alba del 15 giugno nel Canale di Sicilia. E proprio alle 5.00 del mattino cominciò la battaglia navale. Noi corremmo a tutta velocità contro la flotta che proveniva da Alessandria, mentre le nostre navi che erano partite da Messina andavano incontro alle navi inglesi che giungevano da Gibilterra. Sparavamo con tutte le artiglierie che avevamo.
Purtroppo quando le prime luci dell’alba illuminarono il mare, fummo attaccati di sorpresa da un gruppo di aerosiluranti. Un siluro, lanciato dalla distanza di soli 200 metri, ci colpì in pieno, immobilizzandoci. I due cacciatorpediniere che ci accompagnavano, il Saetta e il Pigafetta, cercarono di nasconderci al nemico con i nebbiogeni per darci il tempo di riparare i danni. Io mi trovavo al mio posto di combattimento e venni sbalzato sotto un tettuccio di protezione. Cominciammo subito a lavorare come infuriati e alle 10 del mattino eravamo quasi pronti per essere rimorchiati dai cacciatorpediniere. Avevamo rimesso in funzione i nostri cannoni. Ma proprio in quei minuti giunse un sommergibile che ci lanciò contro due siluri: questi scoppiarono nei depositi n.1 e n.2 delle torrette che erano le riserve di munizioni della nostra nave. Fu la fine! Non ci fu nemmeno il tempo di predisporre i mezzi di salvataggio. Ognuno aveva il solo salvagente di sughero. A stento mi alzai dalla paratia contro la quale ero stato scagliato. Mi rimisi in piedi e con orrore constatai che già la nave stava affondando di prua. Morti ce n’erano dappertutto!
Urla, grida, pianti, richiami: un inferno! Cosa fare? Gettarsi in acqua, prima di essere risucchiati in fondo al mare con la nave. Mi tolsi le scarpe e mi lanciai. Mi ritrovai, in mezzo a mille detriti, fra corpi mutilati che galleggiavano, in acqua; mi tolsi subito i pantaloni e mi misi a nuotare. Ma in quale direzione? I nebbiogeni impedivano alquanto la vista. Nel frattempo i marinai delle due cacciatorpediniere ci vennero in aiuto. Allora avevo buone braccia e mi diressi verso una di esse. Incontrai un mio amico: galleggiava ma non si muoveva. Aveva il viso sott’acqua. Per un attimo lo spinsi; il corpo si girò. Era morto. Ripresi a nuotare. Ogni tanto mi giravo verso la mia nave. L’elica apparve fra sbuffi d’acqua e sibili d’aria che uscivano dai boccaporti e dagli oblò. Poi scomparve con tutti nostri ricordi di tanti giorni passati nelle sue cabine, nella buona e nella cattiva sorte portandosi dietro nelle profondità del mare 650 ragazzi come me. Era la fine di un pezzo della nostre giovani vite! Come potrei dimenticare la mia nave? Finalmente, dopo una nuotata di 400 metri, dal Pigafetta mi fu lanciata una corda; mi aggrappai con la forza della disperazione e fui tirato a bordo. Ero nudo, sporco di nafta, dolorante, infreddolito e disperato per la perdita di così tanti amici. Mi gettarono una coperta sulle spalle e mi fecero bere qualcosa di caldo. Facemmo rotta verso Messina; poco prima dell’arrivo in porto riuscimmo a sfuggire al lancio di due siluri. Si fece sera e mi addormentai.
Continuai a fare servizio, ma non più a bordo. Dicono gli psicologi che uno che si salva da un naufragio non è più in grado di salire su un’altra nave. Ricordo che al deposito di Messina mi consegnarono £.151= quale indennità per la perdita del vestiario a causa del naufragio. Devo ringraziare qualche Santo: anche quella volta ebbi salva la vita.

SAMBO GIUSEPPE di Gaetano e di Perdon Ildegonda nato il 10-7-1919 a Battaglia Terme ed ivi residente in Via Androna 79 -Matr. n.17977/78927- Lavoro: saldatore elettrico – Scuola: cl.5^ elementare.
Altezza cm169 Torace cm = Capelli castani lisci – occhi castani.
Visita di leva il 19-9-1938.
Il 15-6-1939 giunge al deposito della Marina di Venezia quale allievo cannoniere armaiolo. Dopo una settimana viene mandato a La Spezia e sale a bordo del R. Incrociatore “Trento”. Parte subito per la base di Messina. Poi compie una crociera di addestramento nel Mediterraneo toccando Tripoli, Tobruk. Rodi, Lero, Portolago e rientrando infine a La Spezia. Il 10 giugno 1940, allo scoppio della guerra, si trova a Messina. Viene mandato in licenza di gg. 10+2 dalla Sanità della Marina di La Spezia mentre si trova sempre in servizio sulla R.N. “Trento” con l’incarico di cannoniere armaiolo. Il 15-6-1942 riesce a salvarsi dal naugrafio dell’incrociatore “Trento”. Riceve £.151 quale indennità per la perdita del corredo. Il 24 giugno è mandato in licenza di gg. 20+2 dal Deposito della Marina di Messina, presso il quale è stato trasferito. Al termine della licenza si presenta alla Marina di Venezia dove rimane per tre mesi. Il 29 settembre 1942 è trasferito al Distretto della Marina di Taranto Buffolotto con servizio presso la polveriera della Marina. Da questa data presta servizio a terra. L’8-9-1943 viene fatto prigioniero dagli Alleati e presta servizio come collaboratore.
Viene congedato il 22-5-1945. Croci al Merito di Guerra n.155028 e 155029 e Croce al Merito di Guerra per naufragio n.155030 il 20-7-77.

Interviste di Bruno Savin

E noi... chi siamo!? 1939-1946, Battaglia Terme nella 2a Guerra Mondiale, copertina.

Le interviste ai soldati e le schede relative al loro servizio militare sono tratte da: Bruno Savin, “E noi… chi siamo!?” 1939-1946, Battaglia Terme nella 2a Guerra Mondiale, Battaglia Terme, 2006, alle pagine 116-118, 126-129, 266-268 e 271-274. Sono inoltre qui pubblicate le relative immagini.