L’economia di Battaglia T. tra le due guerre

L’economia di Battaglia Terme tra le due guerre, con una dettagliata analisi di tutte le attività presenti nel territorio. La crisi economica, la disoccupazione e la ripresa.

Qui tutti i capitoli pubblicati.

L’ECONOMIA

SOMMARIO: Introduzione – Le Officine di Battaglia – La Società Veneta di Macinazione – La Società Euganea di Elettricità – Industria di merletti e confezioni – Le Terme di Battaglia – L’agricoltura – Altre attività industriali, artigiane e commerciali alla fine degli anni Venti – L’apertura della cava di trachite nel Monte della Croce – Gli anni della crisi economica – Lavori a sollievo della disoccupazione – Aziende che erogano servizi pubblici e necessarie alla vita nazionale – La ripresa nel Padovano – Le Officine Galileo – Stato della disoccupazione a fine decennio – I pubblici esercizi nel 1940

Introduzione

Nel Veneto, come nel resto d’Italia, il vero decollo industriale avvenuto nel periodo a cavallo tra l’Ottocento ed il Novecento, coincise con l’avvento dell’energia idroelettrica. Nell’ultimo decennio del XIX secolo cominciarono ad essere attivate un po’ ovunque centrali mosse dalla forza idrica o dal vapore per l’illuminazione elettrica delle strade pubbliche 1.
“La svolta arrivò nel 1900, con la società anonima per la utilizzazione delle forze idrauliche del Veneto, costituita allo scopo di costruire una grande centrale sul torrente Cellina (Friuli) in grado di servire bacini d’utenza ben maggiori di quelli realizzati dai piccoli produttori locali.
Ma la presenza più significativa doveva realizzarsi quella di un giovane e promettente affarista veneziano: quel tal Giuseppe Volpi 2, poi Ministro delle Finanze di Mussolini, che fu il vero centro motore della strategia industriale veneta dei primi trent’anni del secolo 3, il quale nel 1905, […] riuscì a riunire un gruppo di capitalisti veneti […] attorno ad una nuova società, la Adriatica di Elettricità (SADE).
[…] Differentemente dalla Cellina, che si era impegnata in un pionieristico sforzo nei bacini montani, la SADE (il cui capitale iniziale di 300.000 lire 4 fu più volte aumentato fino a raggiungere, alle soglie della guerra, l’ammontare nominale di 22,5 milioni 5, con un valore a libro degli impianti di 30 milioni) nacque con una vocazione finanziaria e razionalizzatrice. Essa infatti più che alla costruzione di nuovi impianti si dedicò […] all’acquisizione della miriade di piccoli impianti, sorti a volte caoticamente […] nelle varie contrade del Veneto.
[…] Gli impianti vennero poi interconnessi tra loro, per rendere trasportabile, ove ve ne fosse una maggior domanda, la nuova energia” 6
.
La SADE divenne quindi una grossa holding, più che un azienda produttrice, che operava attraverso altre società e varie strategie: acquistava energia fornita dai produttori più grandi quando non riusciva a produrre in proprio; vendeva a piccoli produttori indipendenti in zone in cui non le conveniva ancora estendersi; si faceva promotrice di partecipazioni collegate per la costruzione di centrali ed entrava nelle più svariate attività produttrici del settore meccanico ed elettromeccanico. Come abbiamo già visto nel primo capitolo, la SADE acquistò nel 1905 dalla Società Industriale di Battaglia tutti gli impianti elettrici, la rete di distribuzione, le stazioni di trasformazione e tutti i contratti di appalto creando la Società Euganea di Elettricità e ricapitalizzò la ditta Officine Francesco Rinaldi, acquisendone poco dopo il controllo totale, ridenominandola Società Anonima Officine di Battaglia. Del gruppo facevano oramai parte le Officine Galileo di Firenze, la Società Veneta per Imprese e Costruzioni 7, Società Cantieri navali e acciaierie e Società veneta di beni immobiliari. Volpi fu inoltre il principale protagonista della nascita dell’insediamento industriale di Marghera 8.
In quel periodo Padova era diversa da altre province limitrofe che avevano iniziato la strada dello sviluppo industriale. La prevalenza di un’agricoltura patriarcalistica, con la diretta conseguenza di un forte potere nelle mani dei proprietari terrieri e di disagiate o disumane condizioni di vita dei contadini, non favoriva la nascita di grandi imprese. Risorse finanziarie ce n’erano, ma il ceto proprietario preferiva collocarle o in un reinvestimento nelle aziende agricole o nell’acquisto di nuove terre. Lo sviluppo avvenne quindi attraverso l’intermediazione commerciale e finanziaria che portò Padova a svolgere comunque un ruolo di primo piano nell’economia regionale.
Padova era del resto crocevia di alleanze, di partecipazioni incrociate di gruppi, secondo una concezione capitalistica tutt’altro che localistica. Essa venne concepita come una città di servizio al più complessivo sviluppo veneto.
Si spiega da questo punto di vista la presenza di molti personaggi della finanza laica padovana nelle imprese del gruppo Volpi, sia come componenti dei vari consigli di amministrazione sia come apportatori di capitali. In tale situazione un ruolo di punta venne svolto dalla finanza ebraica: ricordiamo qui Edoardo Corinaldi 9, presidente sia delle Officine di Battaglia che della Società Veneta di Macinazione, entrambe facenti capo alla SADE, ed il fratello di questi, Amedeo, che era stato presidente della Camera di Commercio all’inizio del Novecento e tra i fondatori della SADE 10.
Diamo ora uno sguardo a livello nazionale. È oramai un fatto storicamente assodato che la partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale costituì un irripetibile fattore di accelerazione nella sua precedente stentata industrializzazione. Solo che questo riguardò le aree che già nel paese avevano conosciuto un certo sviluppo: il triangolo industriale compreso tra Milano, Torino e Genova, l’area fiorentina e, per quanto riguarda il Veneto, il polo laniero vicentino e il porto industriale di Marghera.
Le zone prevalentemente agricole, ed erano la maggioranza, non ne avevano tratto alcun vantaggio 11.
Dopo l’avvento del fascismo al potere, ottobre 1922, le prime scelte programmatiche del governo Mussolini furono tutte rivolte ad ottenere il consenso e l’appoggio della classe dirigente, economica e politica.
Sul piano economico, la politica prese inizialmente un indirizzo liberista. L’intervento dello Stato venne ridimensionato e venne ridotto il peso fiscale sulle imprese. Si trattava di misure che miravano a rafforzare il consenso del mondo imprenditoriale al nuovo governo e che intendevano rilanciare l’economia attraverso l’iniziativa dei privati.
Venne comunque deciso il salvataggio dell’Ansaldo (grande azienda privata siderurgica) e del Banco di Roma. In questo caso l’interesse politico a consolidare i legami del fascismo con il potere economico prevalse sull’ideologia liberista.
Questa politica economica comunque ottenne dei buoni risultati: venne eliminato il disavanzo del bilancio statale, ci furono una maggiore stabilità monetaria e un consistente aumento della produzione sia agricola che industriale.
Dal 1926 si misero le basi del sistema corporativo delineato con la Carta del lavoro varata nel 1927 dal Gran Consiglio del Fascismo. L’obiettivo era quello di impedire alla radice i conflitti di lavoro (per questo riuniva insieme lavoratori e imprenditori) e di promuovere il massimo livello di produzione.
In concreto, il corporativismo si tradusse in un vantaggio per la classe imprenditoriale e, per contro, in un sostanziale peggioramento delle capacità contrattuali e delle stesse condizioni di vita dei lavoratori. Le corporazioni divennero una vera e propria burocrazia di Stato, composta da gruppi di dirigenti fortemente legati al Partito Nazionale Fascista e alla stessa classe imprenditoriale.
In quegli anni il regime realizzò inoltre una politica deflazionistica di rivalutazione della lira rispetto alle altre monete. Dopo che nel 1925 la speculazione dominava il mercato domestico e la lira si svalutava a 155 lire per sterlina, nel 1927 venne raggiunta “quota novanta” 12. Tale rivalutazione determinò il crescente consenso dei ceti medi al regime, da sempre preoccupati dell’inflazione, e si accompagnò ad una riduzione dei salari dei lavoratori. In effetti, le conseguenza congiunte del corporativismo e della rivalutazione diminuirono i salari reali, cioè quelli calcolati non sul valore nominale ma sull’effettivo potere d’acquisto. Nel novembre 1933, a circa sette anni di distanza dalla legislazione sindacale e corporativa del 1926, il Consiglio Nazionale delle Corporazioni fu chiamato a discutere sulla loro effettiva istituzione. Il 15 gennaio 1934 Mussolini presentò alla Camera il disegno di legge sulla costituzione e le funzioni delle corporazioni che, rapidamente approvato da quella e dal Senato, divenne la Legge 5 febbraio 1934, N.164. In base a questo sistema, esse erano istituite con decreto del capo del governo e presiedute da un ministro o un sottosegretario di Stato, o dal segretario del partito, nominati comunque sempre con decreto del capo del governo. Quanto alle attribuzioni, vennero sensibilmente aumentate rispetto a quanto previsto nel 1926. Venne infatti stabilito che le corporazioni, su proposta dei ministri competenti o a richiesta di una delle associazioni collegate, e con l’assenso del capo del governo, avessero facoltà di elaborare le norme per il regolamento dei rapporti economici e per la disciplina unitaria della produzione. Avevano inoltre la facoltà di stabilire le tariffe per le prestazioni ed i servizi economici, e quelle dei prezzi dei beni di consumo offerti al pubblico in condizioni di privilegio. Infine, erano attribuite funzioni consultive nelle questioni interessanti i rispettivi rami di attività economica e di conciliazione nelle controversie collettive di lavoro. Successivamente, con decreti del capo del governo del 29 maggio e del 9 e 23 giugno, fu approvata la costituzione di ventidue corporazioni, e precisamente: 8 a ciclo produttivo agricolo; 8 a ciclo produttivo industriale e commerciale; 6 per le attività produttrici di servizi 13.

Note
1 Per Battaglia vedere capitolo 2.
2 C’è uno studio monografico su Volpi: S. ROMANO, Giuseppe Volpi. Industria e finanze tra Giolitti e Mussolini, Milano, 1979.
3 Cfr., G. MONTELEONE, Industria e agricoltura nel Padovano durante l’età giolittiana, Venezia, 1973.
4 L. 1.963.207.200 nel 2001.
5 Alla stessa epoca la FIAT aveva un capitale di 17 milioni di lire.
6 G. ROVERATO, L’industria nel Veneto: storia economica di un “caso” regionale, Padova, Esedra editrice srl, 1996, p. 151-154.
7 Precedentemente fondata e di proprietà di Vincenzo Breda, altro protagonista dell’industrializzazione veneta.
8 L’atto di nascita di Porto Marghera risale al febbraio 1917, in pieno periodo bellico, quando Volpi costituì il Sindacato di studi per imprese elettro-metallurgiche e navali nel Porto di Venezia, con il concorso di un folto gruppo di imprese operanti in tal campo (tra cui le Officine di Battaglia). A. ROVERATO, L’industria nel Veneto, cit., p. 155-179.
9 Il conte Edoardo Corinaldi nacque il 23 novembre 1872 a Padova. Dottore in scienze, Cavaliere della Corona d’Italia, capitano di Artiglieria durante la prima guerra mondiale. Fu consigliere del Credito Industriale di Venezia e della Succursale di Padova, della Banca d’Italia, della Società Euganea di Elettricità, della Società Italiana Navigazione interna, della Unione Industriali della Provincia di Padova, dell’Istituto Autonomo delle case economiche e popolari di Padova. Fu consigliere della Camera di Commercio, del Comune di Padova e di quello di Battaglia.
10 A. ROVERATO, L’industria nel Veneto, cit., p.187-204. L’altro fratello, Leopoldo, fu sindaco di Battaglia dal 12.6.1926 al 17.6.1927.
11 Cfr., Padova tra le due guerre, a cura della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Padova, 1988, p. 19.
12 Ossia il valore di cambio di 90 lire per ogni sterlina, annunciato come obiettivo da Mussolini nel discorso di Pesaro del 18 agosto 1926.
13 Cfr., A. AQUARONE, L’organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi, 1965 e 1995, pp. 203-205.

Le Officine di Battaglia

“L’affermazione delle Officine, nate nel 1902, può ricondursi all’intraprendenza di singoli uomini, inseriti in quel fitto tessuto di rentiers 14, mercanti e vecchi ceti dominanti in grado di effettuare opportuni investimenti con lo scopo di riciclare anche antiche fortune familiari; mi riferisco in particolare al periodo 1913 – 1931 in cui le Officine sono assorbite dalla SADE” 15.
Nel suo saggio Mondo Operaio della Galileo, Antonio Napoli affronta nel dettaglio la storia degli operai delle Officine fino ai giorni nostri e mette in evidenza le peculiarità e le diversità di quest’azienda rispetto al modello Veneto, caratterizzato da industrializzazione diffusa e dall’economia sommersa. Esse assunsero una grande importanza strategica durante il primo conflitto mondiale, tanto che l’autorità militare, valutata la loro organizzazione finanziaria, tecnica, produttiva e la loro ubicazione alla confluenza di una rete di canali navigabili, le designò come centro di produzione bellica e raccolta di tutte le industrie militari del Veneto 16.
La crisi economica del primo dopoguerra non le risparmiò, mentre esse erano anche alle prese con le incertezze della riconversione.
Nonostante gli sforzi della SADE, che acquistò direttamente e detenne la maggioranza del pacchetto azionario espandendone le attività in tutta Italia, l’azienda fu costretta nel 1922 a ridurre il personale da 600 a 300 unità, impiegandolo anche con orario ridotto 17.
Il 21.12.1922 i soci ridussero il capitale sociale a L.1.000.000 18 ed in quel periodo vennero prodotti per l’esercito gru, ponti e sbarramenti per fiumi.
Nel 1923 il capitale sociale venne progressivamente reintegrato in L.4.000.000 19 e la produzione tornò ad essere di buon livello. Le Officine venivano anche coinvolte nella costruzione della Conca di navigazione di Battaglia.
Nel 1925 avevano di loro proprietà tre brevetti: il primo per una pressa, il secondo per le porte a vento delle conche di navigazione ed il terzo per i sostegni metallici delle linee elettriche in genere 20.
Nel 1926 il capitale sociale venne portato a L.6.000.000 21 e l’azienda ottenne di rappresentare la vendita dei prodotti delle società anonime Cantieri navali e Acciaierie di Venezia 22.
Nello stesso anno avvenne la ristrutturazione dei reparti forgia, serramenti, modellisti, falegnameria, carpenteria e costruzioni metalliche.
La produzione si ampliò ai trasportatori continui, ai serbatoi, ai gasometri, alle porte a vento, e beneficiò dei canali navigabili per i trasporti 23.
Dal punto di vista sociale, le Officine si caratterizzarono come una garanzia di stabilità dell’equilibrio del sistema sociale e politico di Battaglia.
“La sicurezza del posto lavoro, il parziale riconoscimento dei diritti sindacali, l’ampiezza dell’occupazione hanno integrato la fabbrica nel territorio, sicché tra mondo operaio e comunità di Battaglia una sinergia di relazioni costituisce la base della diversità rispetto ad altre grandi realtà industriali” 24.
Per quanto riguarda l’atteggiamento degli operai nei confronti del paese, questo è sempre stato caratterizzato dalla volontà di difendere il posto di lavoro. Gli interessi sindacali, quindi, sono sempre stati subordinati a quelli politico-locali. Di fatto, l’ambiente di fabbrica è stato luogo di formazione di molti protagonisti della vita politica locale, i quali sono stati in grado di guidare il consenso elettorale, di condizionare la giunta comunale e di farne parte. È stato il controllo del governo municipale l’obiettivo perseguito dall’ideologia operaia del luogo. Fin dall’avvento del fascismo, come abbiamo già visto, l’amministrazione comunale tentò di allargare e sviluppare il territorio quale sede di insediamenti produttivi e di dare risposta alle esigenze abitative degli occupati.
Se la proprietà dell’azienda, mai locale dopo il primo dopoguerra 25, ha avuto le caratteristiche prettamente finanziarie della grande industria (SADE, Montedison, Bastogi), l’interazione tra le Officine e l’ambiente immediatamente esterno è stata molto forte, influenzando il carattere socio-culturale della comunità di Battaglia.
La relativa prosperità salariale e la sicurezza del posto di lavoro non entrarono in contraddizione con le nuove tecnologie e la volontà di espansione dell’azienda, e meno forti, rispetto al resto delle grandi realtà aziendali, furono le ostilità verso la dirigenza industriale.
La comunità ha sempre conservato una tradizione di pacificità e di estraneità a lacerazioni violente del suo tessuto sociale. Anche le parole d’ordine più radicali venivano tradotte, a livello locale, in un linguaggio più moderato, impedendo una saldatura tra lotte operaie ed agrarie della zona circostante 26.
Il paese ha continuamente difeso tali prerogative sia per mantenere alto il livello occupazionale sia per garantire a se stesso un futuro.

Le Officine di Battaglia in una cartolina degli anni '20.

Officine di Battaglia (cartolina degli anni ’20).

Note
14 Redditieri, possidenti, benestanti.
15 A. ROVERATO, L’industria nel Veneto, cit., p. 201.
16 La Nuova Magrini Galileo di Battaglia Terme. Cento anni di storia di un’industria, a cura di ARRIGO PIZZOLON, Padova, Stampa “La Garangola”, 2002, p. 21.
17 Ivi, p.31.
18 L.1.445.276.900 nel 2001.
19 L.5.814.752.000 nel 2001.
20 P. CATTANI, Battaglia Terme. Storie, Industrie, cit., p. 82.
21 L.6.953.1 04.800 nel 2001.
22 Trattasi di società che facevano riferimento alla grande finanza che stava “dietro” alla SADE. Nel 1918 avevano anche acquistato una quota del capitale sociale delle Officine di Battaglia. A. NAPOLI, Mondo operaio della Galileo, cit., p. 212.
23 Cfr, A. NAPOLI, Mondo operaio della Galileo, cit., p. 213 e 214.
24 Ivi, p.207.
25 Dal 1913, a seguito della morte del cav. Rinaldi e dell’acquisto dell’azienda da parte della SADE.
26 Ivi, p. 201 e 202.

La Società Veneta di Macinazione

Il molino della Società Veneta di Macinazione di Battaglia era ubicato nel centro del paese, a est della strada Padova – Bologna e del canale Battaglia e a sud del canale Vigenzone 27.
L’attività era quella di curare l’alta macinazione, comprando il grano in bassa stagione e a costi limitati, lavorandolo, conservandolo nei sylos, per poi vendere cereali e farina a prezzo di mercato.
Negli anni Venti l’industria era molto attiva, con un buon andamento economico, e la sua produzione era di circa 800 – 900 quintali al giorno.
Il fabbricato dello stabilimento era costituito di 5 piani, divisi in reparti di lavorazione ed in deposito.
Presso la stazione ferroviaria del paese la società aveva un fabbricato adibito a deposito delle farine in partenza con una capienza di circa 9000 quintali.
Erano impiegati una quarantina di operai, una squadra di manovali addetti al carico e scarico e collaboravano in servizi esterni i carrettieri e i barcaioli.
L’opificio era azionato da forza propria in quanto dotato di una turbina e tutti i macchinari erano di tipo moderno.
Nel 1923 l’azienda acquistò alcuni immobili a Vicenza, tra cui un altro mulino ad acqua che venne destinato a servire quella zona. Nel 1925 vennero acquisiti i fabbricati dell’ex mulino Dei Sei, a nord del canale Vigenzone, che l’Opera Nazionale Combattenti, dopo averli espropriati agli austriaci Wimpffen, aveva posto in vendita. Si realizzò finalmente quella testa di ponte tra i due lati del Vigenzone, e venne anche acquistato, al 50% con la SADE, il salto d’acqua dell’ex mulino “per tenere lontani eventuali concorrenti e non menomare la propria utenza d’acqua” 28. L’attività andava molto bene e l’azienda decise anche di investire a favore dei propri operai: come abbiamo già visto 29, si fecero costruire in paese una casa per impiegati e due padiglioni per operai, in tutto 12 appartamenti.
Il mulino non riusciva a far fronte alla domanda, malgrado la completa utilizzazione degli impianti. Fu quindi deciso di riammodernare la fabbrica, vecchia di alcuni decenni, e, nel 1929, il nuovo mulino si presentava con un’immagine esterna più consona al livello della società 30.
La fabbrica disponeva di un immenso sylos che occupava una parte di tutti i cinque piani dell’immobile. AI piano sotterraneo funzionavano la turbina, i meccanismi per la lavatura e pulitura del grano e c’era la base del sylos. Qui il cereale subiva la prima vagliatura. Il piano terra ospitava i laminatoi Plansichter coi cilindri di ghisa. Il primo piano le semolatrici doppie, le insaccatrici delle farine e le bilance automatiche per il controllo della produzione e della resa; al secondo i buratti piani ed al terzo il deposito di grano pulito per la macinazione 31.
Il grano scaricato dai carri e dalle barche veniva immagazzinato nel sylos, la cui capacità era di 15000 quintali, costituito da 10 celle. Sul canale Vigenzone vi era poi il montacarichi o gru a forza elettrica per lo scarico e carico delle barche 32.

Il Mulino della Società Veneta di Macinazione in una cartolina degli anni '30.

Il Mulino della Soc. Veneta di Macinazione (cartolina degli anni ’30).

Note
27 L’antico molino detto “Dei Quattro”.
28 G. ANTONELLO, I mulini, in Battaglia Terme. Originalità, cit., p. 49.
29 Capitolo 4, paragrafo 4.
30 G. ANTONELLO, I mulini, in Battaglia Terme. Originalità, cit., p. 49.
31 Ivi.
32 Cfr, P. CATTANI, Battaglia Terme. Storie, cit., 85-87.

La Società Euganea di Elettricità

Il canale di Battaglia, completamente pensile, ha fin dalla sua costruzione scaricato parte delle sue acque nel canale di Sotto Battaglia, attraverso una cascata di un’altezza superiore ai sette metri.
Questa alimentava diverse prese d’acque aperte sulla sponda di levante: una di queste provvedeva alla forza motrice occorrente al molino a cilindri della Società Veneta di Macinazione; un’altra era di pertinenza dello stabilimento metallurgico della Società Anonima Officine di Battaglia; una terza alimentava una centrale di energia elettrica, sorta prima del 1898 e passata successivamente in conduzione alla SADE.
Quest’ultima presa d’acqua era la più importante sia per la massa d’acqua di cui disponeva per diritto di concessione, circa 7252 litri al minuto secondo, e sia per la potenza idraulica generata 33.
Essa era corredata di tre vecchie turbine ad asse verticale comandanti ciascuna un alternatore trifase. A questa presa d’acqua era annesso un importante fabbricato che serviva all’impianto termico di Battaglia e doveva alimentare di luce e forza Monselice, Este, Conselve e altri piccoli comuni circostanti 34.
Lo stabilimento produceva e distribuiva energia elettrica occupando circa 20 dipendenti.
L’importanza di tale industria si affievolì nel tempo a seguito dello sviluppo di forme alternative di energia e per lo sviluppo delle grandi centrali montane.

La cabina elettrica della SADE in una foto degli anni '20.

Cabina elettrica della SADE (foto degli anni ’20).

Note
33 Oltre 500 cavalli. Ivi, p. 90.
34 Cfr, P. CATTANI, Battaglia Terme. Storie, cit., p.90.

Industria di merletti e confezioni

Un laboratorio di merletti e confezioni era attivo a Battaglia fin dal 1891, dapprima sotto la ditta Jesurum e poi direttamente gestito dalla direttrice di questa, Carlotta Ciprian.
La produzione si specializzò in uno speciale e pregiato tipo di lavoro in stile Rinascimento, ricercato più volte anche da Mervil – Ziffer e da altre rinomate ditte di Venezia.
Questo laboratorio divenne tra i primi del genere in Italia e i suoi prodotti vennero commercializzati all’estero ai negozianti di Berlino, Francoforte, Colonia e Manchester.
Tutti i lavori venivano eseguiti a mano da circa 350 – 400 operaie. Le lavorazioni vennero diffuse a domicilio permettendo così una fonte di guadagno a quelle donne del paese che non potevano andare a lavorare nei campi.
Si confezionavano coperte, tende, tovaglie, forniture per salotto, centri, cuscini, biancheria, tutte eseguite alla perfezione.
Vasta era anche la clientela italiana: moltissimi acquirenti a Roma, Torino, Venezia, Firenze, Milano apprezzarono il prodotto della signora Ciprian, che fu iscritta fra le prime azioniste delle industrie femminili italiane.
Il 28 gennaio 1930 ella scriveva al comune di Battaglia per informarlo che le operaie che lavoravano presso il suo laboratorio erano 13 35. Nel 1935, e fino alla fine di quel decennio, queste divennero 50 36.
Nel periodo ci furono altri laboratori che aprirono sull’onda del successo di quello della signora Ciprian, beneficiando di una positiva espansione 37.

Note
35 A.C.B., Lettera della Ditta Ciprian del 28 gennaio 1930, cart. Archivio dalla cat. XIII alla XV – 1930, fasc. Pubblica sicurezza – esercizi pubblici.
36 A.C.B., Delibere del Podestà del 31 marzo 1935 e III° trimestre 1939, Registro delle Deliberazioni del Podestà dal 2.6.1933 al 30.12.1939.
37 Cfr, P. CATTANI, Battaglia Terme. Storie, cit., p.95 e 96.

Le Terme di Battaglia

Lo Stabilimento termale di Sant'Elena in una foto degli anni '20.

Stabilimento di S.Elena in una foto degli anni ’20.

Proprio nel decennio durante il quale Battaglia venne riconosciuto formalmente come paese termale (è stato infatti nel 1925 che divenne Battaglia Terme), l’industria del turismo sprofondò in una grave crisi e gli storici stabilimenti all’interno della tenuta dei conti Emo – Capodilista si avvicinarono alla fine della loro secolare storia.
Molteplici ne sono state le cause. Abbiamo già accennato a come la scoperta delle spiagge e delle cure idroterapiche marine avesse ridimensionato l’internazionale affluenza già dalla fine dell’Ottocento.
Dal 1893 gli stabilimenti erano stati dati in affitto dagli allora proprietari 38 al milanese Francesco Cirio. Lo scopo principale di tale contratto era la conservazione degli stabilimenti stessi ed il loro sviluppo in conformità con le esigenze moderne. Con l’inizio del nuovo secolo i nuovi proprietari, il barone Roberto Baracco che acquistò la tenuta per la figlia Emilia, moglie di Angelo Emo Capodilista, ereditarono l’affittanza. Pochi sono i documenti e le notizie di quel periodo: tra le carte di Andrea e Gabriele Emo 39 vennero trovati solo “accenni all’amministrazione delle terme, curata da Emilio Gibelli negli anni Venti con bilanci in attivo” 40, quasi a testimoniare una minore importanza data dallo stesso paese a questa realtà.
Nel 1923, come ci è già noto 41, cadeva nel vuoto il progetto di una convenzione tra il comune di Battaglia e gli Emo che prevedeva che il comune appoggiasse presso il governo e l’Opera Nazionale dei Combattenti il tentativo degli Emo di acquistare la tenuta Cataio in cambio della disponibilità ad entrare in trattative per la cessione delle terme a società o privati intenzionati a trasformare Battaglia in una importante stazione balneare. “Una serie di altri obblighi riguardava cessione di terreni, somme da pagare al comune, l’impegno ad assumere disoccupati per i lavori al castello e ad eseguire le bonifiche previste per rendere gradito il soggiorno ai curanti dello stabilimento. A tal fine il comune prometteva comunque dei impedire l’installazione di industrie emananti odori sgradevoli o che comunque recassero disturbo ai medesimi curanti” 42.
Sempre nel 1923, Emilio Gibelli, in qualità di amministratore degli stabilimenti termali di Battaglia, “assunse l’impegno di dare ospitalità ad una colonia di cure termali per operai ed impiegati (uomini e donne) assicurati obbligatoriamente per la invalidità e la vecchiaia o inscritti facoltativamente alla Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali” 43. Vennero messe a disposizione camere che facevano parte degli alberghi S. Elena e Grand Hotel, attigue e comunicanti fra loro, con l’obiettivo di tenere separati gli utenti della colonia dagli altri ospiti.
La retta, che comprendeva l’alloggio, il vitto e le cure, era di L. 200 44 per un periodo di cura di 12 giorni, L. 250 45 per 15 giorni e L.17 46 per ogni giornata aggiuntiva. Tale retta veniva poi corrisposta direttamente dalla Cassa Nazionale e il contratto fu sottoscritto alla presenza del sindaco di Battaglia che controfirmò l’accordo. Questa esperienza fu determinante: come vedremo poi influì direttamente ed in maniera irreversibile sul futuro del termalismo a Battaglia.
A conclusione del paragrafo estraiamo da una deliberazione del Podestà del 30 maggio 1928, ad oggetto Classifica Alberghi agli effetti della tassa di soggiorno, l’elenco di tutti gli esercizi pubblici che operavano nel settore:
il Grand Hotel Terme e l’Albergo Italia 47 che venivano classificati come Categoria prima; l’albergo di S. Elena, classificato come Categoria seconda; la trattoria con alloggio dalla Comare, di Cavalca Cesira, la trattoria ed alloggio dalla Nina, di Berretta Luigia, la trattoria con alloggio Spadina, di Carturan Giovanni, la trattoria con alloggio di Pizzeghello Ercole, il Caffè Roma con alloggio di Zodio Alessandro di Categoria terza. Erano inoltre nominati come pensioni e alloggi privati Roberti Clementina, Grossi Barbara, Vascellari Primo e Zaramella Pierina 48.

Battaglia, facciata del Grand Hotel lungo il canale (cartolina).

Facciata del Grand Hotel lungo il canale (cartolina).

Note
38 Vittorio Wimpffen. Vedere capitolo 2, paragrafo 2.
39 Gli eredi dei coniugi Angelo Emo Capodilista Maldura ed Emilia Baracco Emo Capodilista Maldura.
40 R. PIVA, Le terme, in Battaglia. Originalità, cit., p. 140.
41 Vedere capitolo 4, paragrafo 7.4.
42 R. PIVA, Le terme, in Battaglia. Originalità, cit., p. 140.
43 A.C.B., Copia della convenzione fra la Colonia di cure termali della Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali e le Terme di Battaglia del 1923, cart. Progetto tenuta Cataio – Sistemazione Traversa stradale 1924 – Costruzione ponte piazza e via Sega – Piano regolatore 1926 – Officina elettrica Wimpffen – Liquidazione pratica compressore stradale.
44 L.290.739,6 nel 2001.
45 L.363.424,5 nel 2001.
46 L.24. 712,87 nel 2001.
47 Situato su via Nazionale nell’angolo a sud con via della Sega.
48 A.C.B., Deliberazione del Podestà del 30 maggio 1928, cart. Delibere dal 1928 al 1936, fasc. Delibere 1922 – 1929.