La navigazione interna e i barcari

Canali e burci. Premessa, presentazione e due relazioni: la prima sugli aspetti economici della navigazione interna, la seconda sul corso delle 150 ore e la scoperta dei barcari. Lo spunto per la realizzazione del libro è stato dato proprio dal corso delle 150 ore.

Il mandraccio superiore della conca di navigazione di Battaglia Terme negli anni '50.

Battaglia Terme, anni ’50 (foto G. Milani).

Premessa
Presentazione
Aspetti economici della navigazione interna
Il corso delle 150 ore e la scoperta dei barcari

PREMESSA ALLA TERZA RISTAMPA

Può essere legittimo motivo d’orgoglio per autore, editore e per l’intera comunità di Battaglia, vedere l’uscita di questa ristampa del volume Canali e burci, pubblicato per la prima volta nel 1980.
I motivi di soddisfazione mi pare riguardino tre ordini di aspetti: il meritorio carattere pionieristico che il volume ebbe al momento della prima pubblicazione; la risonanza anche internazionale che l’ha accompagnato; la posizione di rilievo che la ricerca condotta a Battaglia ha tuttora nel quadro degli studi sulla navigazione interna.
Quando uscì Canali e burci, erano pochi i libri che si erano occupati della navigazione interna e, soprattutto, della cultura degli uomini che, per tanti anni si erano guadagnati la vita nelle vie d’acqua del Veneto: per quanto, soprattutto negli anni immediatamente precedenti all’uscita del volume, fossero apparsi libri sulle imbarcazioni, la loro tipologia e le tecniche costruttive, la parte del leone l’aveva fatta, ancora una volta, la dominante Venezia. Usciva dall’ambito veneziano ed esulava dal campo delle imbarcazioni in senso stretto solo la descrizione dei mulini natanti dell’Adige cui si era dedicato lo scomparso G. Beggio.

L'ultimo mulino dell'Adige all'altezza di Badia Polesine. La foto è degli anni '30.

Anni ’30, ultimo mulino dell’Adige all’altezza di Badia Polesine.

È probabile che gli autori di Canali e burci non prevedessero, nel confezionare il loro libro, che sarebbero stati i battistrada, i veri e propri apripista, di quel più ampio interesse per i problemi della navigazione interna, che nel corso degli ultimi anni ha dato i suoi frutti tanto nel campo degli studi (con ricerche storico-culturali relative, oltre all’area imperniata su Battaglia, all’Adige, al Sile, alla laguna), quanto nella riutilizzazione in chiave economico-turistica e ricreativa delle vie fluviali (si pensi alle iniziative di viaggi in battello lungo le vie interne, o a manifestazioni come la remada a seconda che si tiene ogni anno tra Battaglia e Pontelongo, ora anche con un preludio dal Bassanello a Battaglia). È probabile anche che gli autori di Canali e burci non fossero consapevoli che la loro idea di incentrare gran parte del volume sul lessico, visto come deposito della cultura e della sapienza dei barcari, avrebbe inserito la loro opera in un filone di ricerca in pieno sviluppo in tutta Italia proprio nel campo delle acque interne, come dimostra, ad es., il progetto di un Atlante Linguistico dei Laghi Italiani (ALLI), in corso di elaborazione da parte di una équipe interuniversitaria che fa capo all’Università di Perugia. È infine probabile che gli autori non si aspettassero una risonanza internazionale del loro lavoro, che è stato segnalato in Inghilterra (da Lucien Bash nel “Mariner’s Mirror”, vol. 67, n. 4, del 1981), in Germania (da Günter Holtus nella “Zeitschrift für romanische Philologie”, val. 97, n. 5/6 del 1981), negli Stati Uniti (da Edward F. Tuttle in “Romance Philology” vol. 41, n. 2, del 1987), mentre il materiale lessicale raccolto nel libro è entrato a far parte del corpus utilizzato nella redazione del grande Lessico Etimologico Italiano diretto da Max Pfister e stampato a Wiesbaden (un’opera grandiosa la cui pubblicazione, iniziata nel 1979, e giunta finora, dopo più di trenta fascicoli, alla fine della lettera A!).
Ma, che se lo aspettassero o meno, tutto questo è successo; ed è riprova della serietà e soprattutto dell’originalità dell’opera: non si dovrà mai dimenticare, in un periodo in cui spesso le iniziative culturali nascono in serie, stereotipe, che la ricerca sui barcari di Battaglia è nata da un’idea, per quei tempi nuova. Ed è giusto ricordare, qui, Elio Franzin, l’insegnante che per primo, nel 1978-79, vide il peculiare interesse del passato “barcaro” di Battaglia e tutti gli ex-barcari che hanno concretamente dimostrato, con la loro intensa cooperazione alla ricostruzione della vita passata della propria categoria, la ricchezza di materiali, spunti, temi che poteva scaturire dalla realizzazione dell’idea di quell’insegnante.
Nonostante il tempo che è passato, e nonostante le opere che negli ultimi anni hanno ulteriormente sondato i caratteri della estinta navigazione interna, Canali e burci è un’opera che mantiene intatta la sua validità, come mostra, fra l’altro, il confronto con le imitazioni (almeno in parte tale deve essere considerato, ad es., il volume L’Adige. Arti e mestieri sul fiume, di Dino Coltro, Venezia, Arsenale, 1989, il cui glossario è in gran misura esemplato, come ho dimostrato in altra sede, proprio sul dizionario di Turato e Sandon pubblicato in questo volume).
In tempi di grandi libri fotografici a colori, mi sia consentito sottolineare, fra i tanti aspetti positivi del libro, il fascino esercitato dalla presenza esclusiva di fotografie in bianco e nero: una caratteristica che contribuisce a restituire l’aria dei tempi a cui le immagini si riferiscono, e più in generale provoca l’emozione dei ricordi in quelle generazioni nelle quali la familiarità con l’immagine riprodotta si è esercitata sul bianco e nero.
Certo, affermare che Canali e burci è un’opera ancora valida vuole essere un complimento, segno della vitalità dell’idea originaria; ma può anche essere visto come un segnale negativo, sintomo del fatto che non sono state sfruttate fino in fondo tutte le potenzialità insite nell’idea di partenza. In particolare è motivo di rammarico che non abbia ancora visto la luce quel “Museo della navigazione interna1 di cui si parla da tempo, e di cui hanno anche scritto Franco Sandon e Riccardo Pergolis negli atti del convegno Albaredo d’Adige: un museo da costruire, a cura di G. Volpato e P. Piazzola, Comune di Albaredo d’Adige 1984. L’augurio è che, fra molto meno di dieci anni, si possa tornare a scrivere della navigazione e di Battaglia, non per salutare una nuova ristampa di questo benemerito libro, ma per introdurre una guida al Museo della navigazione interna, finalmente passato dal mondo dei desideri e delle speranze a quello della realtà. E mi sia concesso insistere, riprendendo un tema già toccato nella presentazione della prima edizione, sulla necessità, finché si è in tempo, di raccogliere, in cassetta o videocassetta, i ricordi, le testimonianze, le rievocazioni dei protagonisti della vita sui canali, in modo da affiancare alla raccolta di reperti materiali e di riproduzioni fotografiche, un Archivio sonoro o visivo-sonoro. Non si deve dimenticare un fatto: le cose si perdono, ma si possono ritrovare (come ha dimostrato l’alacre attività di qualche ex-barcaro, soprattutto di Riccardo Cappellozza, efficientissimo ritrovatore di reperti materiali e fotografici), oppure si deteriorano, ma si possono restaurare; ma gli uomini, ahimè, vivono, operano, creano, ma poi scompaiono, e con essi scompare, se non si fa niente per strapparlo all’oblio, anche il ricordo delle loro esperienze; quelle esperienze che sono state la vita delle generazioni passate, ma appartengono più al vissuto di quelle attuali.

Michele A. Cortelazzo

1 Il Museo della Navigazione Fluviale è stato inaugurato ufficialmente il 2 maggio 1999. Si trova a Battaglia, in Via Ortazzo.  [N.d.R.]

Riccardo Cappellozza mentre lancia una "sima" in una foto degli anni ‘50.

Battaglia Terme, anni ’50. Foto ricordo di Riccardo Cappellozza mentre lancia una sima.

PRESENTAZIONE

Una delle aspirazioni ricorrenti in ogni piccola città e in ogni paese è quella di vedere scritta la propria storia. A questa meta spingono spesso vanità campanilistiche, ma anche desiderio e necessità di affidare a qualcosa di più concreto e duraturo del ricordo i dati delle vicende storiche attraverso le quali si è formata l’identità della propria comunità. Diligenti frequentatori di biblioteche e di archivi, parroci eruditi, cittadini appassionati e curiosi si sono dati da fare con visibile piacere, nel corso degli ultimi secoli, per assecondare i desideri diffusi della propria comunità, ricercando nei documenti il riflesso nel proprio paese dei grandi fatti storici l’attestazione del fortuito passaggio di qualche grande uomo, la testimonianza di opere più o meno notevoli compiute da qualche concittadino.
Negli ultimi anni l’aspirazione alla ricostruzione del passato del proprio paese, lungi dal diminuire, ha trovato nuovo vigore, ma ha anche modificato i contorni del proprio oggetto e la fisionomia dei suoi esecutori. Parallelamente a quanto è avvenuto almeno in certi ambienti della storiografia ‘maggiore’ si è sviluppata la coscienza che storia – tanto più la storia locale, e soprattutto la più recente – non è solo quella ricavabile dalle fonti tradizionali (fondamentalmente carte e documenti d’archivio) ma anche quella rappresentata da altre forme di documentazione, non necessariamente di tipo scritto, come fotografie, ma anche reperti di cultura materiale (attrezzi di lavoro, resti di insediamenti industriali e così via) fino alle testimonianze orali dei membri stessi della comunità, preziosi depositari di una memoria collettiva che permette di scandagliare aspetti della storia, dei quali (per motivi casuali o no) non ci sono rimasti altri documenti. Un’estensione quindi delle fonti su cui basare la ricostruzione del passato, cui corrisponde un’estensione degli strumenti metodologici con i quali condurre tale ricostruzione.
A questo si aggiunge la consapevolezza che fare storia di un paese non significa ricercare il riflesso locale di quello che la storiografia ufficiale ricostruisce su un piano più vasto, nazionale o internazionale (non è di per sé molto significativo moltiplicare per ogni paese la cronaca dei fatti risorgimentali o di quelli della resistenza) tanto per fare degli esempi se questi fatti sono stati marginali nella coscienza e nella vita del paese) ma significa scoprire e descrivere quei fatti e quei rapporti che hanno costituito lo specifico dell’evoluzione della comunità in esame, quello che ha individuato e caratterizzato il paese rispetto ai paesi vicini e/o rispetto al contesto nazionale.
Ed infine, conseguenza quasi naturale della plurivocità derivante dalle prese di posizione precedenti, la necessità che a ricomporre un quadro storico che diventa così multiforme non sia più il singolo intellettuale di buona volontà, ma un gruppo di lavoro, un collettivo, meglio se composto (nel caso della storia più recente) anche dagli stessi protagonisti dei fatti trattati.

* * *

Anche il gruppo di autori di questo volume – non so dire se consapevolmente – si inserisce nel movimento di sviluppo degli studi di storia locale che si basa sui presupposti appena enunciati.
La scelta del tema è nata dal riconoscimento di una peculiarità di Battaglia Terme (“Battaglia è un paese di ex-barcari” è una affermazione tanto netta quanto condivisa da tutti in paese) e non da un tentativo di riproporre in piccolo tematiche nazionali. È vero, la scomparsa dei barcari da Battaglia va di pari passo con la politica di incentivazione dei trasporti su strada affermatasi in Italia fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, oppure la difficoltà di rapporti fra la gente da sempre occupata “in officina”, nella fabbrica e quella neo-industriale, di provenienza ‘barcara’, non è che un caso specifico delle tensioni che si verificano costantemente nei rapidi processi di industrializzazione e di improvvisa coesistenza, nel medesimo luogo di lavoro, di culture di origine diversa, (e non potrebbe essere diversamente giacché Battaglia non è un’isola, felice o infelice che sia, senza rapporti con l’ambiente circostante); ma quel che importa è che la ricerca sia consistita semmai nel rapportare la tipicità della situazione locale al contesto generale, piuttosto che nel cercare rispecchiamenti locali di problemi generali.
A differenza di altre iniziative simili (e viene in mente, per il successo che meritatamente ha avuto, il volume Civiltà rurale di una valle veneta. La Val Leogra, promosso, voluto e guidato fino alla pubblicazione da Terenzio Sartore), questa nostra non ha un promotore, ma piuttosto dei promotori. Con questo non si vuole sottovalutare il peso del primo impulso dato al lavoro da Elio Franzin (e ne parla lui stesso in alcune delle pagine seguenti), ma si vuole ricordare che poi a tenere in piedi l’iniziativa e a far andare avanti la ricerca sono stati altri, molti altri; ed è notevole che in essa siano state coinvolte due strutture istituite di recente in Italia, ma già culturalmente molto produttive se animate con capacità ed impegno, come i corsi 150 ore e i centri culturali di enti locali. Il coinvolgimento di questi centri collettivi produttori di cultura (così come del gruppo spontaneo formato dagli ex-barcari) ci mostra in concreto a quali risultati positivi può portare l’allargamento dell’impegno culturale a strati più vasti di un tempo. Ma non bisogna dimenticare l’intervento degli ‘intellettuali’ del paese, i redattori effettivi delle pagine seguenti, al cui lavoro personale si deve alla fin fine l’uscita del volume.

* * *

L’intervento di diversi autori ha portato nel libro diversi punti di vista e ha permesso di illuminare diversi aspetti della questione (da quello storico-economico a quello linguistico-culturale). Dispiace solo che non siano stati riportati interi brani di storie personali, rievocazioni dirette della vita e delle conoscenze del barcaro, che avrebbero mostrato per così dire ‘dall’interno’ quei fenomeni che il libro analizza dall’esterno, spesso con dovuto distacco (qualcosa in questo senso è stato pubblicato nella pagina del manifesto del 16 giugno 1979 dedicata alla mostra da cui questo volume prende l’avvio).
In mancanza di questo, il vocabolario viene a costituire il fulcro del volume: è dalle sue pagine che il lettore può ricavare le informazioni principali sulla tipologia delle imbarcazioni usate nel bacino percorso dai barcari di Battaglia, sulle tecniche di navigazione, sulla nomenclatura delle parti della barca. Attraverso la sua lettura (piana, per lo sforzo dei curatori di mantenersi sempre su un livello di facile comprensione, e dilettevole, nonostante l’apparente aridità di una lista alfabetica di termini) si può ricomporre sia l’esperienza di vita dei barcari, sia la loro ‘enciclopedia’, cioè l’insieme delle loro conoscenze tecniche, ma anche di quelle non tecniche, che traspaiono dai proverbi o modi di dire che accompagnano molte voci del dizionario. Basti vedere il lemma navegare, parola-chiave come è immediatamente comprensibile, che riunisce sotto di sè oltre alle denominazioni di diversi tipi di navigazioni (a velo seco, a seconda, soto vapore, soto cavai, fvelefà, a sengia), anche detti ed espressioni sulla navigazione che con la parola navegare non hanno nulla a che fare (il che sarebbe in sè un limite del vocabolario), ma che permettono di illustrare in modo più completo anche le espressioni precedenti, più direttamente pertinenti al lemma in questione; oppure i diversi modi di dire riguardanti le avventure galanti o amorose che si possono recuperare qua e là nel vocabolario (come ciapare a lai na tofa, barca ligà morofa catà) e così via.
Il vocabolario ha una sua ragione di interesse anche per un gruppo di lettori diversi dal pubblico di appassionati della storia locale al quale è principalmente rivolto l’intero volume: gli studiosi di dialetti (non solo veneti), ai quali offre una raccolta originale di circa 500 vocaboli dialettali, trascritti in forma rigorosa e nello stesso tempo leggibile anche per il non specialista e opportunamente privi di indicazioni etimologiche, molto difficili in un ambito lessicale particolare come quello in esame: la modestia dei curatori ha evitato che una buona raccolta venisse rovinata – come stoltamente spesso avviene – da tentativi di etimologia fantasiosi, perché non sorretti dalle complesse nozioni storico-linguistiche e dalle esperienze indispensabili per ripercorrere con sicurezza di risultati la storia di una parola. Turato e Sandon hanno dato così il loro contributo alla conoscenza del lessico di un’area tutto sommato poco esplorata quale il Padovano e in un campo terminologico irrimediabilmente sulla via della sparizione quale questo della navigazione interna (per il quale conosco, per l’area veneta, solo i lavori di Beggio sui navigli ed i mulini natanti dell’Adige, al quale sarebbe stato opportuno far riferimento voce per voce, per avere un primo abbozzo della diffusione areale dei termini).
È infine di una certa soddisfazione notare che questo lavoro è stato effettuato proprio nella biblioteca di Battaglia Terme, all’interno della quale si sta costituendo (con una decisione di qualche anno fa, che oggi mostra la sua validità) un Archivio Bibliografico dei Dialetti Veneti, che vuole essere prima di tutto uno strumento per lo sviluppo degli studi non accademici sui dialetti veneti.

* * *

Con questo sono tre i libri su Battaglia di cui, in meno di cinque anni dalla sua costituzione, la Biblioteca-centro culturale “C. Marchesi” ha promosso la pubblicazione (gli altri due sono l’indagine sociologica di P. De Gregoris, Battaglia Terme: una comunità in transizione, sulle cui corrette possibilità di utilizzazione rimando al giudizio equilibrato di A. Napoli in Atheste del giugno 1980, e il profilo su un aspetto particolare della storia di Battaglia, quello postale, curato da A. Ferrazzi). Non so quante siano le comunità venete che possono vantare un eguale sviluppo di attività editoriali in direzione della ricostruzione della propria storia (di cui anche a Battaglia c’è una grande richiesta), un egual numero di attività di altro genere sulla realtà locale (oltre alla mostra sulla navigazione interna, ricordo solo la mostra su Villa Selvatico), una eguale capacità di coinvolgimento di studiosi e appassionati sia locali sia esterni (storici, storici dell’arte, linguisti, naturalisti, economisti, sociologi e così via). I tempi sono probabilmente maturi perché il Comune di Battaglia Terme, direttamente o attraverso il suo centro culturale, promuova la costituzione di un gruppo di lavoro permanente per lo studio della storia di Battaglia che coinvolga tutte le forze che in un’occasione o in un’altra hanno mostrato la loro disponibilità e il loro interesse in questa direzione. Tutta la storia della ricerca sugli ex barcari indica qual è la strada da percorrere; la riuscita del progetto di lavoro, documentata proprio da questo libro, mostra che con passione e pazienza si possono realizzare ottimi risultati. L’auspicio è che questo non sia che l’inizio.

Michele A. Cortelazzo

Burcio in navigazione, illustrazione.

Burcio in navigazione, illustrazione (retro di copertina).