Il trasporto lungo il naviglio euganeo

In questo articolo si ripercorrono le vicende del naviglio euganeo, via di trasporto di merci e persone, definita dall’autore antica “superstrada” dei colli.

IL NAVIGLIO EUGANEO,
ANTICA “SUPERSTRADA” DEI COLLI

PIER GIOVANNI ZANETTI

Vicende di un sistema di canali,
un tempo essenziale
per l’economia collinare,
che potrebbe ritrovare un suo
ruolo per la valorizzazione
del paesaggio.

Nessun legame sembrerebbe apparentemente esistere tra il sistema collinare euganeo e l’intreccio di fiumi e canali circostanti. A confronto con tanta ricchezza di corsi d’acqua superficiali che circondano i Colli Euganei, piuttosto povera è l’idrografia all’interno degli stessi. Si tratta, a parte i pochissimi stagni collinari ormai scomparsi, di calti (torrentelli) che nella maggior parte dell’arco dell’anno sono secchi. All’esterno, invece, si trovano alcuni laghetti e soprattutto una fitta rete di corsi d’acqua, i più importanti dei quali formano una sorta di anello fluviale; a nord il Bacchiglione, a ovest il Bisatto, a sud il canale Este e ad est i canali Monselice e Battaglia, tutti percorsi dalle acque del fiume Bacchiglione provenienti dal Vicentino, con la sola eccezione del canale Battaglia che riceve acque miste, del Bacchiglione e Brenta. Quest’ultimo, attraverso il Brentella, incrementa a Brusegana la portata del Bacchiglione (Tronco Comune) che, giunto a Bassanello, si dirama in canale Battaglia, Scaricatore e Tronco Maestro.
Tralasciando il ramo principale del Bacchiglione, relativamente lontano dai monti, questo complicato sistema idraulico è in gran parte costituito da alvei artificiali o comunque rettificati dall’uomo per scongiurare i pericoli delle inondazioni e favorire il trasporto fluviale. I canali che formano un semianello a sud dei Colli, da Vò a Battaglia Terme e Padova, sono poderosamente arginati per il pericolo delle piene e scorrono per un lungo tratto più alti del piano di campagna (pensili). Tutto ciò impedisce l’allontanamento delle acque piovane provenienti dal sistema montuoso. Queste, senza le botti (ponti-canale: una sorta di scarichi pluviali che passano sotto il canale principale) a Sostegno (Este), Rivella (Monselice) e Pigozzo (Battaglia) non troverebbero il modo di defluire verso il mare e ristagnerebbero nelle aree pericollinari, come è accaduto sino al XVI secolo, formando “valli” e paludi inadatte agli insediamenti e alla coltivazione. Con la costituzione dei primi retratti o ritratti (consorzi), si è provveduto a bonificare idraulicamente queste aree che presentano terreni torbosi di colore scuro, segno evidente della loro origine idromorfa 1.
La prima bonifica pericollinare d’epoca veneziana è stata proprio realizzata a seguito dell’istituzione del “retratto della valle de Moncelese” che attraverso la costruzione nel 1557 della botte di Rivella, ha consentito il deflusso per cadente naturale delle acque precedentemente stagnanti nell’area posta tra Battaglia, Monselice, Galzignano, Arquà ed Este. Sulla traccia di questa iniziativa sono stati istituiti successivamente nella Repubblica Veneta molti altri consorzi tra i proprietari terrieri per eseguire e mantenere in efficienza i manufatti di smaltimento dell’acqua superficiale in eccesso. Ma soltanto con il sollevamento e quindi con l’impiego delle pompe idrovore, prima a vapore e poi a combustione interna, installate a partire dalla fine dell’800 sino ai primi decenni del ‘900, si è potuto risolvere definitivamente questo problema garantendo l’allontanamento dell’acqua in ogni periodo dell’anno.
I corsi d’acqua che circondano i colli, e in particolare il tratto da Padova a Lozzo Atestino, chiamato Riviera Euganea (da non confondere con la Riviera Berica, costituita dal tratto iniziale del canale Bisatto, da Longare ad Albettone), hanno costituito la via principale di collegamento tra i Colli e Padova, e quindi Venezia, attraverso il Piovego, la Riviera del Brenta e tutto il complesso sistema fluviale bassopadano.
Questa importante comunicazione d’acqua fu resa possibile grazie allo scavo dei canali Battaglia e Monselice, lunghi complessivamente circa 18 km, realizzati tra il 1189 e il 1201 per iniziativa del podestà del Comune di Padova Guglielmo da Osa, che qualche anno prima aveva promosso la realizzazione dei primi tratti del naviglio milanese. Si tratta della prima opera idraulica del territorio padovano, una sorta di “superstrada” fluviale, realizzata per collegare Padova all’avamposto fortificato di Monselice. Questa nuova via d’acqua veniva saldata al tratto meridionale del Bisatto che, passando per Este, Lozzo e Vò, lambisce la parte occidentale degli Euganei. Si creò così un canale navigabile di complessivi 34 mila 750 metri 2, lungo il quale, nei successivi secoli, si moltiplicarono gli insediamenti e proliferarono diverse attività economiche: prestigiosi rustici e ville (villeggiature), molte delle quali rimangono ancora a testimonianza degli antichi splendori e del dinamismo della Serenissima, numerose ruote di mulini, magli e di altri opifici, fornaci di mattoni e calce e diverse cave a Monselice, Rivella, Battaglia, Lozzo Atestino, Cinto Euganeo e Vò.
Nel tempo si sviluppò un intenso traffico fluviale con tradizionali imbarcazioni, legni, di varia portata: sino ad un massimo di 60-80 tonnellate nel tratto rettilineo Padova-Monselice, di più modeste capacità quelle che percorrevano il Bisatto per le dimensioni e sinuosità di tale canale. Si trasportavano passeggeri, animali e merci. Queste ultime erano costituite sovente da materiali per l’edilizia: mattoni, laterizi e calce, prodotti dalle fornaci sorte appositamente lungo i canali; legname proveniente dai boschi; vini, cereali, canapa e altri prodotti agricoli: sabbia e ghiaia proveniente dai letti dei fiumi (Brenta, Piave, Adige, Bacchiglione). La trachite e riolite erano le pietre provenienti dai colli, che più frequentemente venivano trasportate sulla nostra Riviera dalle imbarcazioni da carico perché solo sui colli si possono trovare (circa 65.000 mc annui estratti verso la fine dell’800). Erano utilizzate sia come pietra da taglio o da opera per varie componenti costruttive degli edifici (masegne e selesi) sia come materiale vile, ora non più estraibile dalle cave, per sottofondi stradali e soprattutto per le difese marine e delle rive dei fiumi 3. Le piazze e i sottoporteghi padovani e le calli, campi, campielli e corti veneziane sono quasi tutte selciate con trachite euganea. L’alluvione del 1951, che provocò enormi danni nel Polesine, e il forte impulso nell’ultimo dopoguerra dato alla sistemazione delle strade, incrementarono fortemente l’estrazione e il trasporto fluviale del materiale vile negli anni successivi. Non era comunque infrequente anche il trasporto delle altre pietre vulcaniche e sedimentarie degli Euganei (latiti, scaglie).

Piccole burcee adibite al trasporto della sabbia sul Bacchiglione, a Bassanello.

Piccole burcee di sabbia sul Bacchiglione a Bassanello, all’altezza dell’incile del canale Battaglia (sulla destra).

Testimonianze dell’importante funzione di collegamento tra pianura e collina svolta dal naviglio euganeo durante i suoi otto secoli di funzionamento, si possono trovare tutt’oggi: via Squero a Battaglia e a Monselice 4, via Porto a Monselice sono solo alcuni esempi. Oltre ai toponimi esistono anche le lapidi murate in prossimità delle conche di navigazione (bacini o vasi) 5 dove furono incise le tariffe che i barcaroli e burchieri dovevano pagare per poter passare con le loro imbarcazioni. Se ne conservano a Padova, presso le Porte Contarine, a Dolo presso la vecchia conca ora interrata, alle porte di Moranzan, a Cortellazzo, a Portegrandi. Di alcune conosciamo soltanto il contenuto perché sono state rimosse, come nel caso di Stra. Le somme imposte per il passaggio, fissate dal Magistrato alle acque in epoca veneziana, napoleonica ed austriaca, dipendevano non solo dal tipo d’imbarcazione e dal carico ma anche dalla provenienza, come succede oggi per il pedaggio autostradale. Grazie proprio a quest’ultimo parametro legato alla lunghezza del percorso, possiamo avere un’idea dei traffici fluviali che si svolgevano sino alla prima metà dell’800.

Lapide con le tariffe per il transito delle imbarcazioni alle Porte Contarine (Padova).

Lapide con le tariffe per il transito delle imbarcazioni alle Porte Contarine, collocata su una parete della chiesetta adiacente.

Scorrendo le tariffe delle conche della Riviera del Brenta si può facilmente notare che, tra le varie possibilità previste, non mancavano mai le barche provenienti, oltre che da Padova, da “Monselese” ed Este. Nel tariffario, fissato con decreto del Senato veneto il 26 gennaio 1781 per la conca di Stra, è previsto anche il transito di barche provenienti da “Lozzo sopra Este”.
Un’ulteriore conferma dell’importanza della nostra Riviera nel trasporto fluviale l’abbiamo consultando il dettagliato manoscritto in tre volumi di Marcantonio Sanfermo, che descrisse le “Qualità, dimensioni e portata delle Barche” che navigavano sui nostri corsi d’acqua nel primo ‘800 6.
Nel “Prospetto delle qualità, dimensioni e portata ed immersione delle barche che navigano nei fiumi Brenta e Bacchiglione, loro influenti, e diramazioni” si trovano elencate, tra le altre, le “barche da Este, con tiemo nero circolare” che mantenevano il commercio fra Este, Padova e Venezia. Caricavano “grani, legna, frutta ed ogni sorta di mercanzie”. Una volta alla settimana “formavano la corriera regolare dei trasporti tra Este e Venezia”. Erano imbarcazioni mediamente lunghe una ventina di metri, larghe 4,30 ed avevano una portata media di poco inferiore a 50 tonnellate.
Quando le condizioni dei canali Este, Monselice e Battaglia non consentivano la navigazione di queste imbarcazioni, (nei periodi di magra estiva, per esempio), si ricorreva ai battelloni più piccoli che riuscivano normalmente, non solo a navigare sui canali suddetti, ma anche sul Frassine, verso Montagnana e Brancaglia, e sul canale di Sotto (Vigenzone), Verso Bovolenta, Pontelongo e Chioggia. Questi natanti erano lunghi mediamente 13 metri, larghi 2,8 e avevano una portata di 12 tonnellate. Venivano spesso impiegati per libare le barche più grosse, ad esempio i burci e le padovane, quando queste si trovavano nell’impossibilità di proseguire per mancanza di fondali.
Oltre alle imbarcazioni da carico, sull’asta fluviale che collega i colli con Padova e Venezia veniva effettuato regolarmente od occasionalmente il trasporto delle persone; spesso intere famiglie, comici e attori teatrali, villeggianti con bagagli voluminosi appresso si servivano di imbarcazioni per i loro spostamenti. Per questo servizio venivano utilizzati i burchielli a quattro o più spesso a tre balconi con “tiemo quadrilungo”. In sostanza si trattava dello stesso tipo d’imbarcazione impiegata per il trasporto delle merci, però con la stiva coperta ed attrezzata per la comodità dei passeggeri che, per la lentezza dei mezzi e la variabilità dello stato delle acque, erano costretti ad estenuanti ed avventurosi viaggi.
Con il miglioramento delle strade, realizzato nel primissimo ‘800, questo trasporto cominciava a diminuire. La costruzione delle ferrovie Padova-Mestre (1842), Padova-Bologna (1866) e della prima tratta Monselice-Montagnana della linea Monselice-Legnago (1885), segnò il declino del trasporto passeggeri per via d’acqua, mentre continuò, sia pure subendo modifiche e ridimensionamenti, quello delle merci. Trachite, scaglia, mattoni, laterizi, granaglie e, più recentemente, barbabietole, carbone, concimi e altri prodotti industriali furono le merci pesanti che maggiormente continuarono ad essere trasportate dalle imbarcazioni. Questi prodotti venivano smistati e caricati e/o scaricati soprattutto nei porti di Este, Monselice, Battaglia e Mezzavia.
Dai dati pubblicati in occasione del primo congresso nazionale della navigazione interna, risultano per il 1938 i seguenti movimenti di merci (in tonnellate) 7:

Porto di Monselice
Sasso trachitico 70.000 (imbarco)
Calce 300 (imbarco)
Legname 1.200 (imbarco)
Frumento 450 (sbarco)
Carbone 300 (sbarco)
Porto di Mezzavia
Sasso trachitico 75.000 (imbarco)

Il canale-porto di Monselice nei primi anni del '900.

Il canale-porto di Monselice nei primi anni del ‘900. Sullo sfondo si nota il torrazzo della fornace di calce.

Il movimento delle merci e delle persone non avveniva però soltanto lungo l’asta principale che collega Este a Padova; funzionava anche una fitta rete di canali minori che arrivava in diversi punti dell’area pericollinare meridionale, e proprio questa capillarità costituiva uno dei vantaggi delle vie d’acqua rispetto agli altri tipi di trasporto. Era attraverso questi canali, canaletti, fosse che i nobili veneziani e padovani, mercanti, diplomatici si spingevano nell’entroterra veneto e arrivavano in “montagna” con la barca, come è testimoniato dagli attracchi per imbarcazioni esistenti preso la villa Barbarigo a Valsanzibio, dal toponimo “Porto”, vicino al laghetto della Costa di Arquà 8, e dalle descrizioni dei viaggi effettuati da Francesco Petrarca e da vari altri noti personaggi.
Attraverso il canale costruito per la bonifica della vasta area sita tra Battaglia, Galzignano e Monselice venivano trasferite le “pietre di Lispida”. Il materiale, raccolto ai piedi dell’omonimo monte, passava sotto la botte di Rivella e arrivava ad Acquanera. Qui veniva scaricato dalle burchielle e caricato sui più grossi burci ormeggiati sul Vigenzone per il trasporto verso i “Pubblici lidi”.
Ovviamente nel tempo i mezzi e le tecniche di caricamento e scaricamento delle merci trasportate sulle vie d’acqua si evolsero. In varie località si costruirono attrezzate banchine per facilitare il trasporto fluviale che trovava, ciò nonostante, proprio nelle operazioni portuali (ormeggio, carico e scarico), uno dei suoi punti deboli. Nel 1931 per agevolare il trasferimento e il caricamento della pietra trachitica, e quindi per rendere più competitivo il trasporto fluviale, fu costruita una “ferrovia aerea”, una sorta di teleferica che consentiva il trasporto delle masegne dalla cava del Monte Oliveto, nel comune di Montegrotto, a Mezzavia, direttamente nella stiva dei barconi. L’opera, realizzata dal titolare della cava Edmondo Bonetti, funzionò sino al 1958 e fu demolita nel 1963, quando il trasporto fluviale era già praticamente cessato e sostituito da quello su strada 9. Dalle cave di Montemerlo, invece, si trasferiva la trachite grigia mediante carri che percorrevano la via Montanara, oggi Via dei Colli. Il materiale arrivava a Tencarola e qui veniva collocato tra l’alveo del Bacchiglione c l’argine destro, sull’ampia maresana (golena), per essere successivamente caricato nelle stive delle imbarcazioni. A volte i carri sì spingevano sino a Brentelle di Sotto dove venivano attesi dai barcari che vi erano giunti attraverso il canale Brentella.
Oggi tutti i prodotti dei Colli si trasportano su strada, compresa la trachite e il vino, quest’ultimo anche se facilmente deteriorabile con gli scotimenti 10.
La fitta rete di canali che arriva sino ai piedi dei Colli, e soprattutto la Riviera Euganea che semiavvolge il complesso montuoso, non servono più come mezzo di comunicazione. Le banchine di attracco sono sparite, gli alvei insabbiati; le numerose scalette di pietra trachitica, scalade, costruite soprattutto tra la fine dell’800 e l’inizio del nostro secolo, sono spesso avvolte da erbacce, se non interrate. Nemmeno a Battaglia, un tempo capitale del trasporto fluviale padovano, è facile approdare.
Eppure proprio a monte e a valle della conca di navigazione di questo singolare paese rivierasco, i burci sostavano numerosi in attesa di poter superare il bacino o riprendere il viaggio lunedì e/o venerdì, giorni delle butà 11. E proprio in questi parcheggi fluviali, chiamati mandraci, venivano ormeggiati, mentre le rive erano dotate di bitte e di ogni altra attrezzatura adatta a favorire la navigazione. La stessa conca di Battaglia, vanto dell’ingegneria idraulica del primo ‘900, che consentiva alle barche di superare il dislivello tra il canale di Sopra (Battaglia) e quello di Sotto (Vigenzone) di oltre 7 metri, è ferma da decenni e perciò inagibile.

Le imbarcazioni simbolo del trasporto fiuviale bassopadano, i burci, in attesa della butà. Canale di sopra, Battaglia Terme.

Burci in attesa della butà sul mandracio del canale di sopra, a Battaglia.

La stessa sorte hanno subìto i ponti mobili che attraversavano la Riviera Euganea: quello girevole di Rivella, sostituito da uno sollevabile in gestione all’A.N.A.S.; quello relativamente recente a Monselice, di fronte all’attuale cementificio, l’altro girevole pure a Monselice; questi ultimi due in concessione al locale Comune. La via brevis (Battaglia-Chioggia), aperta grazie alla costruzione della conca di Battaglia (1923) per collegare direttamente e velocemente i Colli con la laguna veneta senza passare per Padova, è interrotta appunto per l’inefficienza del bacino. I due ponti metallici di Monselice (uno girevole e l’altro sollevabile) non sono da decenni più movibili e perciò impediscono il transito sul canale Bisatto a qualsiasi tipo di natante.
Dopo tanta importanza e otto secoli di attività la Riviera Euganea è stato abbandonata. L’acqua continua a scorrere in un letto sempre più stretto e sempre più sporco: scanni di sabbia, tronchi d’albero, canneti, isole di immondizie galleggianti, rendono difficile la navigazione. Da quasi trent’anni la manutenzione è soltanto saltuaria e nessun burcio, imbarcazione simbolo del trasporto fiuviale bassopadano, scende più lungo la sua corrente. Il collegamento storicamente più importante dei Colli e della Bassa con Padova, equiparabile alle odierne superstrade, non funziona più da decenni. Infatti l’ultimo passaggio di un barcone carico attraverso la conca di Battaglia è avvenuto nel lontano 1965.
Il naviglio euganeo è relegato al solo ruolo di collettore d’acqua più o meno inquinata e, in qualche caso, di ostacolo all’espansione urbanistica dei paesi rivieraschi, che trovano nei ponti che lo attraversano una sorta di limitazione alla mobilità. Potrebbe invece ridiventare importante per l’economia, come lo è stato per secoli, avendo mosso le ruote degli opifici, garantito l’approvvigionamento idrico e il trasferimento di persone e merci, specie nei periodi di pioggia, durante i quali le strade diventavano impraticabili. Nel campo turistico, culturale e sportivo, non solo nel settore dell’energia “pulita” con il riutilizzo dei salti d’acqua, la Riviera Euganea potrebbe trovare nuove fonti di ricchezza.
Visto il livello di congestionamento delle strade, questa idrovia offre interessanti alternative non solo per gli indigeni, che spesso conoscono poco l’ambito in cui vivono, e per questo prediligono luoghi lontani ed esotici, ma anche per il grande bacino di utenza delle terme euganee e di Padova.
Si possono facilmente immaginare itinerari fluviali guidati che possono cogliere gli aspetti peculiari del territorio, come le stupende ville venete, l’archeologia industriale, l’architettura minore, l’idraulica e la bonifica, il trasporto fluviale, il paesaggio agrario e collinare. Per non parlare del tour d’acqua Padova-Venezia che con il ripristino della conca di Battaglia, si verrebbe a riformare: da una parte la Riviera Euganea, da Padova a Battaglia Terme, e il canale Vigenzone sino a Chioggia attraverso Cagnola, Bovolenta e Pontelongo; e dall’altra la Riviera del Brenta attraverso Noventa Padovana, Stra, Dolo, Mira, Due aste, con la diramazione per Monselice ed Este, che, saldate dal tratto meridionale della laguna (Fusina-Chioggia), potrebbero formare un circuito fluviale dal mare ai monti, ideale per vacanze sulle case-imbarcazioni (house boats), diffuse in altri paesi europei.
Ma per la fruibilità di questa via d’acqua è necessario realizzare idonei approdi nei centri storici attraversati, il restauro dei manufatti idraulici (chiuse, conche, chiaviche) e la creazione di punti di interesse culturale attrezzati, in analogia con quanto si è fatto sulla più nota Riviera del Brenta, grazie al funzionamento del “Burchiello”. Il Museo della navigazione 12 in corso di allestimento a Battaglia, integrato e collegato con lo squero Nicoletti di Bassanello e altri luoghi storicamente legati al trasporto fluviale, potrà richiamare l’attenzione che il naviglio euganeo merita.
L’Associazione “Lo Squero” ha già sperimentato questi itinerari con l’impiego del burcio “Nuova Maria”, recuperato in extremis e restaurato allo scopo, e ha potuto constatare le notevoli potenzialità di questo collegamento d’acqua con i colli. Una maggiore frequentazione dei fiumi e canali, non solo in occasione di particolari manifestazioni, come la “Remada a seconda” e le sagre di paese, darebbe notevoli vantaggi in termini di rispetto per questa peculiare componente del paesaggio basso-padano, la cui presenza non deve essere notata soltanto quando c’è il rischio di piene ed alluvioni o quando si formano le code per superare i ponti.

Il burcio Nuova Maria di ritorno da Chioggia, dopo il restauro. Il burcio è la tipica imbarcazione del trasporto fiuviale bassopadano.

Il Burcio “Nuova Maria” (50 ton. di portata) dell’Associazione “Lo squero”, di ritorno da Chioggia dopo il restauro.

Per nostra fortuna il naviglio euganeo, anche se malconcio e obsoleto, può ancora materialmente testimoniare la grandiosità degli antichi interventi idraulici sul territorio. Si tratta di riutilizzarlo e valorizzarlo intelligentemente.

Il video, realizzato da Giorgio Ferrato, racconta la XVIII edizione della Remada a seconda, svoltasi nel 1998. Questi primi minuti mostrano la conca di Battaglia in funzione.
Clicca qui per vedere l’intero video.

1) Il termine retratto o ritratto sembra derivato da “ritrazer”, cioè riscattare i terreni paludosi o acquitrinosi (C.Tarello, Ricordo di Agricoltura, 1772, p. 149). Per la presenza di torba e per i problemi idraulici rimando al mio contributo Una difficile regolazione delle acque, in La Riviera Euganea, acque e territorio del canale Battaglia, Padova 1989, p. 205.

2) E. Mattei, La navigazione interna in Italia, Venezia 1886, p. 76; cfr. F. Turola, La navigazione fluviale e la provincia di Padova, Padova 1889, p. 35.

3) M.C. Billanovich, Le “priare” di Ispida, in Monselice, storia, culture e arte di un centro “minore” del Veneto, Monselice 1994, p. 382. L’attività estrattiva ora è disciplinata dalla legge 29.11.1971 n. 1097 che prevede il rilascio di autorizzazioni quinquennali soltanto per materiale da taglio e calcareo per la produzione di calce e cemento (G. Sandon, Storia della legge che ha salvato i colli, Battaglia T. 1988).

4) I cantieri per la riparazione e costruzioni di barche vengono chiamati nel Padovano squari, variante del più noto veneziano squero (P.G. Zanetti. Bassanello tra acque e ponti, Battaglia T. 1986, p. 56).

5) Si tratta di una sorta di ascensore per imbarcazioni, costituita normalmente da due ordini di porte che, attraverso la loro manovra, consentono ai natanti di superare il dislivello di due tronchi di canale (cfr. P.G. Zanetti, La conca di Battaglia, “Padova e il suo territorio”, n. 47 (1994), p. 15.

6) Per gli altri dati contenuti nel prospetto si veda R. Pergolis, Il naviglio del “Canale della Battaglia”, in Riviera Euganea, acque e territorio…, cit., pp. 156-60.

7) Atti del I° Congresso nazionale della Navigazione interna, Padova 9-12 Giugno 1949, Padova 1955, pp. 269-70.

8) AA.VV., Canali e burci, Battaglia T. 1980, p. 29.

9) C. Grandis, Uomini e barche, navigazione e trasporto, in La Riviera Euganea, acque e territorio…, cit. p. 142.

10) Dalle vecchie varietà di uve si ottenevano vini meno alcoolici di quelli attuali. I vitigni attuali, derivati da quelli francesi, danno vini più facilmente conservabili anche per l’uso di sostanze chimiche.

11) Le butà o colmi si praticavano nelle vie d’acqua venete per assicurare un sufficiente fondale. Consistevano nel chiudere contemporaneamente tutte le bocche di scarico di un canale. L’acqua così accumulata veniva scaricata successivamente formando un’onda di piena artificiale, sulla cui cresta scendevano le imbarcazioni cariche.

12) Il Museo della Navigazione di Battaglia è stato inaugurato ufficialmente il 2 maggio 1999 (N.d.R.).

Copertina della rivista: Padova e il suo territorio, n. 52.

Questo articolo è stato pubblicato nel numero 52 (dicembre 1994) della Rivista di storia arte e cultura PADOVA e il suo territorio, alle pagine 29-33.

La foto di copertina è di Paolo Marin.