I nomi delle acque, piccolo glossario

Navigazione

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A

A seconda, è l’atto di navigare in favore di corrente; l’inverso è a contraria, controcorrente.

Abbrivo, abbrivio, inerzia della barca che ha acquisito una certa velocità.

Alare, portare in secco o all’asciutto, tirare a terra con argani una barca mediante uno o più cavi; il contrario di “varare” (v.) che vuol dire mettere in acqua. Tradizionalmente l’alaggio e il varo si compiono mediante un piano inclinato (v. Scalo). Più in generale alare significa tirare.

Alzaia (via), cavallatico, v. Alzana.

Alzana, alsàna, 1. complesso di funi usate per il tiro di natanti dalla riva o dalla sommità arginale (attiraglio o alaggio v.), effettuato da animali o anche da uomini che si mettevano di traverso il petto una fascia di tela o pelle (sengia); 2. restàra o anche “via alzaia”, passaggio o sentiero sulla sommità arginale o sulla golena riservato agli animali per il tiro delle barche da terra.

Argano, v. Verna.

Attiraglio, tiro dei barconi da terra; può avvenire mediante l’impiego di uno o più cavalli, buoi o altri quadrupedi oppure può essere effettuato dagli stessi barcaioli a mezzo di una lunga fune chiamata alsàna (alzana); questa veniva legata ad un màncoło (specie di bitta) di poppa e doveva essere tenuta alta (forse da qui il suo nome) dall’albero di prua, per evitare i possibili ostacoli costituiti da cespugli, paracarri, ecc.

Attiraglio dei barconi sull'argine del Piovego al ponte dei Graissi, Padova, in una foto degli anni '30 del '900.

Attiraglio dei barconi sul Piovego al ponte dei Graissi, Padova (anni ’30 del ‘900).

(Racc. dell’autore)

Attracco, l’atto di attraccare, ormeggiare la barca alla banchina o pontile (v.) o anche manufatto idoneo a tale operazione.

B

Bacino, v. Conca.

Banchina, manufatto che serve a rendere facile l’accostamento delle barche a riva; si tratta normalmente di un tratto con muro o palificata verticale munito di bitte (v.), brìcołe (v.) o pali per dar volta i cavi d’ormeggio.

Barca a remi, piccola b. spinta mediante remi appoggiati alle fórcołe (v.), es. mascaréte, gòndołe, sàndołi, caorlìne.

Barca, un tempo si diceva anche “naviglio” o semplicemente “legno” perché totalmente costruita con questo materiale. Termine generico per indicare qualsiasi mezzo di trasporto acqueo, ma più frequentemente di piccole dimensioni. I comandanti, tuttavia, chiamano “barche” anche le grandi navi. Le barche fluviali e lagunari hanno tutte rigorosamente il fondo piatto a differenza di quelle marittime che presentano il fondo a forma di chiglia.

I vecchi barconi da carico
Sino all’entrata in vigore, ne1 1942, del Codice della Navigazione e, nel 1949, del relativo Regolamento, per le imbarcazioni fluviali non esiste un registro navale. I Comuni tenevano eventualmente l’elenco dei barcaioli che esercitavano questo mestiere, ma solo in quanto esercenti di un’attività commerciale. Tra il 1950 e il 1952, entrano in funzione gli Ispettorati di Porto previsti dal nuovo Codice e tutte le barche, i natanti e i galleggianti vengono iscritti in appositi registri riportandone i dati tecnici e quelli sulla proprietà. Attraverso questi nuovi enti si realizza il primo vera ‘censimento’ della flotta di acqua dolce in circolazione.
Tra le imbarcazioni da carico tradizionali, immatricolate nei registri navali, sono stati selezionati i dati, sotto riportati, di quelle con attracco sul fiume Bacchiglione e sulle sue diramazioni nonché di quelle appartenenti ad armatori operanti sulle stesse acque. Si tratta di 71 barche a propulsione remo-velica o motorizzate entrobordo, con scafo in legno e fondo piatto, come tutti i natanti fluvio-lagunari: tre
burcèe o burchielle (piccoli burci poco pontati e con fianchi bassi per agevolare il carico e lo scarico di sabbia e ghiaia dalla stiva), una padovàna (simile al bùrcio ma un poco più piccola e con poppa arrotondata), tre burcéti o barchéti marinanti (del tutto simili al bùrcio, ma più piccoli e senza boccaporti, sempre per il trasporto di inerti per l’edilizia) e 63 burci veri e propri. Quest’ ultimo tipo, di gran lunga il più comune, ha la caratteristica prua piatta come prolungamento del fondo; è facilmente motorizzabile, piuttosto robusto e adatto alla navigazione fluviale.
La maggior parte dei natanti sono stati varati negli squeri di Benedetto Schiavon di San Pietro in Volta (Ve) e dei Fratelli Cobelli di Pescantina (Vr), mentre la
padovàna poteva essere costruita soltanto nel cantiere di Limena della famiglia Nicoletti, trasferitasi nel primo ‘900 a Bassanello. Nell’ambito dei burci si possono distinguere due sottotipi: quello così detto padovano che, dovendo passare per la seicentesca conca di navigazione di Moranzani sul Naviglio Brenta, non poteva andare oltre i 28 m di lunghezza e i 5,20 m di larghezza con una portata massima di 160 tonnellate e un rapporto lunghezza/larghezza di 5,3; l’altro tipo, che solcava prevalentemente le acque del Vigenzone, poteva raggiungere la lunghezza di 32 m e una larghezza di 6,70 con una portata di oltre 200 tonnellate e con un rapporto lunghezza/larghezza di 4,9. Quest’ultimo quindi risulta meno affusolato del precedente.
Di tutta questa flotta e di quella circolante negli altri corsi d’acqua padovani non è rimasto più nemmeno un esemplare funzionante: il
bùrcio “Maria II” è conservato in un parco pubblico di Cesenatico; i resti del “Berto”  si trovano sulla maresàna del Piovego, a fianco dell’Istituto d’Arte “Pietro Selvatico”, quelli di “Airone” e di “Adriana”  sono immersi nel Piovego, di fronte all’ex gasometro di via Corrado a Padova. L’ultimo esemplare tradizionale ancora attivo, di legno e da carico, è il “Nuova Maria”, recuperato nel 1991 dall’Associazione Lo Squero di Padova allo scopo di effettuare escursioni fluviali guidate. Ora è stato dotato anche di apparato velico.

Elenco delle imbarcazioni da carico con attracco sul fiume Bacchiglione e sulle sue diramazioni, nonché di quelle appartenenti ad armatori operanti sulle stesse acque - Parte prima.Elenco delle imbarcazioni da carico con attracco sul fiume Bacchiglione e sulle sue diramazioni, nonché di quelle appartenenti ad armatori operanti sulle stesse acque - Parte seconda.

Elenco delle imbarcazioni da carico tradizionali immatricolate nei registri navali, con attracco sul fiume Bacchiglione e sulle sue diramazioni, nonché di quelle appartenenti ad armatori operanti sulle stesse acque (prima e seconda parte).

Barcàro, barcaiolo, conducente e proprietario di barche da carico alla stessa stregua dell’attuale padroncino di camion.

Barcaróło, conducente di barche.

Barchéto marinante, v. Burcéto.

Battello, batèło, piccola barca di servizio sempre legata a poppa del barcone da carico, per assicurare al barcaiolo il raggiungimento della riva o l’effettuazione delle operazioni di verifica dello scafo e dei necessari lavori di riparazione.

Biconca, triconca, conca a due o tre bacini con tre o quattro ordini di porte per far superare alle barche forti dislivelli, es. a Pavia. Ne doveva sorgere una anche a Battaglia, ma poi la conca è stata realizzata nel 1923 con un solo bacino.

Bitta, colonnetta metallica o di pietra a forma di fungo, presente lungo le banchine per dar volta i cavi d’ormeggio, come ad es. a Monselice, a Este e lungo i bacini delle conche. A volte la b. è sostituita dalla s’ciona (v.).

Brìcoła, meda, tre o più pali piantati leggermente obliqui nel fondo dello specchio d’acqua e legati con una riga o catena metallica, posti solitamente in prossimità di conche, ponti o mandràci per l’ormeggio temporaneo delle barche in attesa di poter superare l’ostacolo. In altri casi, come in laguna, seguono i vari canali e quindi segnalano la rotta da seguire (l’equivalente dei paracarri stradali). La dama è una particolare b. posta all’incrocio di canali e serve ad indicare la possibilità di prendere più direzioni. Si distingue perché presenta il palo centrale più alto degli altri che compongono la dama stessa.

Burcéto, barchéto marinante, piccolo bùrcio (v.) sprovvisto di boccaporti, adatto al trasporto di sabbia e altri materiali per l’edilizia (es. il “Nuova Maria” recuperato dall’Associazione Lo Squero di Padova).

Burcièła, piccolo bùrcio (v.), poco pontato e con fianchi bassi, adatto a navigare sui tratti alti dei fiumi con poco fondale (v. Tirante d’acqua) per trasportare sabbia e ghiaia.

Bùrcio, burchio, antico barcone da carico, tipicamente veneto e padovano in particolare, un tempo molto diffuso anche in altri ambiti regionali per la sua robustezza e comodità di manovra. Presenta la prua piatta, come prolungamento del fondo, che consente l’accostamento alle rive in terra senza alcun rischio per il natante.

Burci sulle acque del Piovego.

Burci sul Piovego, di fronte al Gasometro di via Corrado (anni ’60 del ‘900).

(Racc. dell’autore)

Butà, tecnica con la quale si riusciva a creare l’innalzamento dell’acqua per avere un maggiore tirante d’acqua (v.) dapprima mediante la chiusura dei canali a monte invasando il più possibile, poi attraverso l’apertura di regolatori nei due giorni stabiliti della settimana per formare un’ondata di “piena artificiale”.

Le Butà
Il termine butà probabilmente deriva da “buttata” o “gittata “, d’acqua naturalmente.
Le
butà sono artifici, non imposti da leggi o regolamenti bensì dalla consuetudine, di cui si ha notizia nel Padovano e nel Veneziano, adottati per rendere possibile la navigazione a pieno carico di barconi, anche quando l’altezza dell’acqua non lo consentirebbe naturalmente. Si tratta in sostanza di elevare ‘artificialmente’ il livello dei corsi d’acqua due volte la settimana nei giorni riservati alla grossa navigazione. Questi non sono gli stessi per tutte le idrovie, ma variano da canale a canale per esigenze operative. Quindi durante questi giorni e sospesa l’utilizzazione dell’acqua per muovere le ruote idrauliche, come i mulini, i magli, ecc.; si chiudono i sostegni e le bocche di presa per accumulare più acqua possibile nei canali alti (il Battaglia, il Monselice, lo Scaricatore ed altri) per poi riaprirli nei giorni stabiliti, con orari e modalità opportuni al fine di creare un rialzo del livello, una sorta di ondata di piena artificiale. Mercoledì e sabato sono le giornate destinate alla navigazione per il naviglio Brenta da Mira Porte a Moranzani; in tali giorni si deriva acqua dal canale di Mirano attraverso il sostegno dei Mulinetti in Tergola Serraglio. Giovedì e domenica è il turno nei canali di Battaglia, nel fiume Bacchiglione da Tencarola a Brusegana, nel Tronco Comune, nel Naviglio Interno e Piovego di Padova, nel naviglio Brenta da Stra a Mira, nel canale di Mirano e nel Novissimo da Mira a Conche. In questi giorni appunto vengono chiusi l’Arco di Mezzo a Battaglia e le chiaviche dei canali Acquette e Alicorno a Padova. Lunedì e venerdì è consentita la navigazione nel canale Roncajette da Padova a Bovolenta, nel Vigenzone e nei canali Cagnola e Pontelongo e a questo scopo nei medesimi giorni viene aperto il sostegno (pescaja) di San Massimo a Padova.
Accanto alle
butà ordinarie, i manovratori dei manufatti idraulici possono, su speciali disposizioni, crearne di straordinarie, per esempio per far transitare truppe o convogli di barche al servizio di famiglie patrizie in trasferta per villeggiare in campagna.
La tecnica delle
butà, oltre a consentire l’aumento artificiale di quello che in gergo tecnico si chiama “tirante d’acqua”, assicura una sorta di autopulitura delle vie d’acqua trascinando a valle gli eventuali sedimenti sabbiosi o limosi accumulatisi sul fondo. Viene abbandonata nei primi anni ’70 del ‘900 dopo la fine del trasporto su barca.

C

Calafati, addetti al calafataggio negli squeri (v.). L’operazione consiste dapprima nel calcare la stoppa nelle commessure dello scafo e poi nello spalmare a caldo uno strato di pegola (pece navale) per impermeabilizzarlo.

Canoa (canadese), barca leggera generalmente aperta, spinta da uno o più canoisti che, stando seduti o in ginocchio, usano remi corti ad una sola pala (pagaie) non appoggiati a scalmi (v. anche Kayak).

Caorlìna, barca di medio carico, ora utilizzata, nella versione più piccola e leggera, nelle manifestazioni remiere. Originariamente serviva per il trasporto degli ortaggi dai luoghi di produzione (Treporti, Jesolo, Chioggia e anche Caorle) al mercato di Rialto a Venezia.

Carro, lizza (= slitta), manufatto che, prima del perfezionamento della moderna conca di navigazione, consentiva il transito delle imbarcazioni attraverso i sostegni. Era formato da un piano inclinato sul quale si facevano scorrere le barche con l’aiuto di argani, operazione analoga a quella che si effettua oggi negli squeri (alaggio e varo). Il più famoso c. era quello di Lizza Fusina lungo il naviglio Brenta, attualmente sostituito dalla conca di Moranzani.

Cavałànte, tirante, colui che mette a disposizione e accompagna uno o più cavalli od altri quadrupedi per il tiro da terra dei barconi. Figura professionale scomparsa a seguito dell’installazione di motori a combustione interna entrobordo, avvenuta nell’ultimo dopoguerra.

Cavàna, spazio acqueo, spesso coperto, idoneo al ricovero e alla rimessa delle barche (es. a Bassanello e a Battaglia T., quest’ultima recentemente realizzata dal Genio Civile). Il nome forse deriva da “capanna”.

Comacìna, barcone da carico tipico del Ferrarese simile al bùrcio (v.), ma con la prua “in asta”, cioè a cuneo fendente.

Conca di navigazione, vaso, porte, sostegno a porte che consente il transito dei natanti nel punto in cui viene creato un dislivello (caduta) per migliorare la navigabilità di un’idrovia. Funziona come una sorta di ascensore idraulico con due ordini di porte all’interno dei quali (cratere o vaso) il livello dell’acqua si alza o si abbassa a seconda se il natante in transito scende a valle oppure si dirige a monte. Il sistema e stato inventato verso la meta del ‘400 e poco dopo migliorato con l’impiego delle porte “vinciane”, a doppio battente (v.). La c. andò a sostituire gli arcaici carri o lizze (v.).

I sostegni a porte
Il termine conca è diventato d’uso corrente soltanto a partire dalla fine dell’800, in precedenza veniva usato il termine “sostegno a porte” o semplicemente porte, bacino. La conca di navigazione è un manufatto che consente alle barche di superare un certo dislivello o caduta, come una sorta di ascensore idraulico. I corsi d’acqua naturali tendono per loro natura a seguire la linea di massima pendenza nella corsa verso il mare, imprimendo velocità allo scorrimento e creando esigui spessori d’acqua, situazioni queste assolutamente contrarie alla navigazione. Per favorire la navigabilità e l’utilizzo dell’acqua a scopi energetici ed irrigui si ricorre agli sbarramenti, dagli idraulici chiamati sostegni, che hanno appunto la funzione di elevare artificialmente il livello. Questi manufatti, però, creando dei salti, impediscono il passaggio delle imbarcazioni. Se si tratta di piccole cadute, create per il miglior funzionamento delle ruote dei mulini, si ricorre a sbarramenti mobili lasciando dei varchi per il transito dei natanti, e all’aiuto degli argani posti a terra per tirare controcorrente le barche che devono superare queste aperture. Nel caso di barriere stabili il transito viene garantito erigendo i carri o lizze, vale a dire una sorta di piani inclinati sui quali, con l’aiuto di funi ed argani, si fanno scorrere i natanti in basso o in alto, come nei cantieri per l’alaggio o il varo delle imbarcazioni. Famoso era il carro di Lizzafusina posto lungo la gronda Lagunare a Fusina. Il sistema risultava però faticoso e pericoloso: si dovevano scaricare e ricaricare ogni volta le barche rischiando di danneggiarle; queste, in ogni caso, non potevano essere di grandi dimensioni.
Le conche, invece, sono costituite da un bacino o cratere e da due ordini di porte. Il livello dell’acqua all’interno del bacino viene portato alla quota del canale più alto o di quello più basso, a seconda se si procede verso valle oppure verso monte, aprendo e chiudendo speciali portelli d’acqua. Nel caso di una barca che va a
seconda, cioè in favore di corrente, il funzionamento si può così descrivere: il livello all’interno della conca viene innalzato sino a quello del canale alto; si aprono le porte di monte (portesine) mentre quelle di valle rimangono chiuse; la barca così entra nel bacino, si chiudono le portesine, si aprono gli scarichi in modo che il livello all’interno si porti a quello del canale basso (legge fisica dei vasi comunicanti) abbassando conseguentemente anche la barca che vi galleggia; una volta pareggiato il livello interno con quello del canale più basso, si aprono le porte di valle e il natante può proseguire il cammino. L’inverso succede alle imbarcazioni in risalita. In ogni caso gli ordini di porte si aprono uno alla volta, mai contemporaneamente.
II perfezionamento delle conche, avvenuto nella seconda metà del ‘400, rappresenta un grosso incentivo alla navigazione fluviale, quasi una rivoluzione delle vie di comunicazione che sono appunto costituite principalmente dai corsi d’acqua. Un progresso ulteriore si è registrato con l’impiego delle porte a battente ad angolo o a vento, comunemente chiamate
vinciane, da Leonardo da Vinci che le ha disegnate per primo. Si tratta di porte a due battenti di larghezza abbondante rispetto all’apertura da chiudere, esse quindi serrandosi formano un angolo di 20-25°. La pressione dell’acqua fa in modo che i battenti si spingano l’uno contro l’altro assicurando robustezza e tenuta stagna alla struttura. Un ulteriore progresso si ha applicando gli scarichi (acquedotti) da sotto anziché dai lati, per non sballottare i galleggianti all’interno del vaso, e sostituendo i verricelli manuali con pistoncini idraulici per muovere le porte. A parte questi ed altri miglioramenti apportati nel tempo, l’impostazione della conca di navigazione rimane ancora oggi quella inventata alla fine del ‘400 e questo manufatto idraulico è tuttora imprescindibile per la navigazione fluviale.

Schema di funzionamento di una conca di navigazione. Passaggio in discesa.

Schema di funzionamento di una conca di navigazione. Passaggio in discesa.
Fasi: A – riempimento del cratere e apertura delle porte di monte (portesine); B – entrata della barca nel cratere della conca; C – chiusura delle porte di monte, apertura delle valvole per lo sca­rico dell’acqua ed abbassamento del livello all’interno della conca; D – apertura delle porte di valle (portoni) e uscita della barca dalla conca.

(Disegno di Luca Buson)

D

Dama, v. Brìcoła.

F

Fluitazione, trasporto del legname in tronchi galleggianti, sciolti o raccolti in zattere (v.), trascinati dalla corrente. Si poteva effettuare ottenendo speciali concessioni rilasciate dal Magistrato alle Acque. Famosa era la f. sul fiume Piave e anche sul Brenta.

Fluitazione del legname sulle acque del canale Brentella.

Fluitazione del legname sul canale Brentella.

(Racc. G. Mazzuccato, in “Conche e Navigli…”. P.G. Zanetti, 1999)

Fórcoła, scalmo, appoggio del remo che nella tradizione veneta presenta vari morsi, incavature per le possibili varie manovre, ivi compresa la ‘marcia indietro’.

Fraglia, confraternita di devozione o corporazione di mestiere che garantiva agli associati (fradelli) una forma di assistenza previdenziale e sociale; era regolata da una sorta di statuto o mariegola che stabiliva, tra l’altro, il numero delle libertà (licenze). A Padova c’erano, sino al primo ‘800, moltissime fraglie; quelle dei barcaioli, chiamate anche Traghetti, erano due: quella del Portello, che provvedeva ad assicurare i collegamenti con la capitale Venezia, e quella di San Giovanni delle Navi che gestiva il trasporto acqueo verso Vicenza, i Colli Euganei e Chioggia. Inoltre nel Padovano esistevano le fraglie di Monselice (patrono S. Giovanni), di Este (S. Nicolò) e di Piove di Sacco (S. Baseggio).

La Madonna dei Barcàri, seicentesco bassorilievo che si trova sulla facciata della canonica di Bassanello.

La Madonna dei Barcàri: seicentesco bassorilievo posto sulla facciata della canonica di Bassanello.

(Foto dell’autore)

G

Gabàra (dal fr. gabare), tipo di barcone da carico relativamente recente, simile al bùrcio (v.), ma semplificato e con la prua “in asta” (v. Comacìna).

Galleggiante, qualsiasi manufatto che rimane a galla sprovvisto di mezzo di propulsione propria e non adibito a trasporto (es. ponte di barche e sandon/arca dei mulini galleggianti).

Gondola, góndoła, elegante e famosa barca veneziana, unico tipo lagunare con propulsione a remi ancora destinato ad attività commerciale, al piccolo trasporto passeggeri. È caratterizzata da una vistosa insellatura longitudinale e da un’insolita asimmetria (la metà destra e più stretta della sinistra di 24 mm). Contrariamente a quanto normalmente si crede, la gondola raggiungeva anche l’entroterra padovano per condurre i nobili veneziani alle loro villeggiature.

Grossa navigazione, trasporto acqueo con imbarcazioni di notevoli portata e dimensioni, come ad esempio i burci da 120-200 tonnellate di portata.

I

Idrovia, corso d’acqua navigabile.

Imbarcadero, v. Pontile.

Imbarcazione, per la normativa italiana s’intende ogni unità di stazza lorda inferiore alle 50 tonnellate, ma non rientrante nella categoria natanti (v.).

Ispettorato di Porto, ufficio pubblico, ora regionale, che conserva e aggiorna i registri delle navi, imbarcazioni, barche, galleggianti e natanti di acque interne; e un’istituzione nata a seguito dell’entrata in vigore del Codice della Navigazione del 1942 e del successivo Regolamento per la Navigazione Interna del 1949. L’I. di P. di Padova, che era stato in origine istituito, ora è sostituito da quello di Venezia.

K

Kayak, piccola barca leggera chiusa e spinta con remi corti a doppia pala larga (pagaia) non appoggiati allo scalmo. Si manovra stando seduti.

L

Legno, qualsiasi barca o natante, così chiamato perché un tempo costruito esclusivamente in legno, come i carri e le carrozze.

Lizza, v. Carro.

M

Mandràcio, mandracchio, spazio acqueo di sosta momentanea delle imbarcazioni. Solitamente e dotato di più bricołe (v.) per l’ormeggio ed e presente in prossimità di conche (v.) o di ponti mobili per agevolare la sosta in attesa del superamento del manufatto.

Manichèła, ombrinale, foro o apertura sui bordo di coperta di un’imbarcazione per consentire l’allontanamento dell’acqua piovana o di lavaggio. “Cargo fin ae manichee”, essere carichi sino al limite, in altre parole quando l’acqua tende ad entrare attraverso questi fori e coprire la coperta.

Marinanti, abitanti di Sottomarina, un tempo perlopiù dediti all’escavazione e al trasporto della sabbia del Brenta.

Marinèro, marinaio, aiutante del capo barca responsabile della conduzione.

Mascaréta, piccola barca da passeggio molto comune non solo in laguna, ma anche nell’entroterra veneto, per la semplicità costruttiva.

Meatore, meadóre, segnalatore, scandagliatore, addetto alla verifica dei fondali e alla collocazione di appositi segnali (mee) per garantire la navigabilità nei fiumi con ampi alvei, come il Po. Il servizio è effettuato dall’Azienda Regionale per la Navigazione Interna (ARNI) con sede a Boreno (RE).

Morè, mozzo, ragazzo di bordo.

Morsi, incavature della fórcoła (v.) per l’appoggio del remo.

N

Natante, ufficialmente è una barca di piccole dimensioni. Rientrano in questa categoria le barche non superiori a 6 m. di lunghezza, 3 tonnellate di stazza e con un eventuale motore sino a 25 cv di potenza.

Natante per il diserbo dell'alveo dei canali, all'opera sulle acque del Frassine nel 1930.

Natante per il diserbo dell’alveo dei canali, all’opera sul Frassine nel 1930.

(Racc. dell’autore)

Navigazione, viaggiare in una barca a motore oppure in una tradizionalmente spinta a vela, tirata da cavalli o parata con i remi.

P

Padovàna, particolare tipo di bùrcio (v.) con poppa arrotondata e adatto a navigare nel Naviglio Interno di Padova, stretto e tortuoso (ora tombinato).

Pagaia, remo a una o due larghe pale usato senza fórcoła (v. anche Canoa e Kayak).

Paradello, lunga asta di legno per spingere la barca, puntandola sul fondo (parando), tecnica alternativa alla voga con i remi. Si può paràre (v.) anche con i remi, ma non appoggiandoli alle fórcołe (v. anche Vogare).

Paràre, atto di spingere la barca o barcone, poggiando il remo o il paradello (v.) sul fondo del canale e l’altra estremità sul petto del barcaiolo che cammina lungo il bordo da prua a poppa.

Parón de barca, colui che concede la propria barca mediante una sorta di compartecipazione con il conducente, chiamata “al quarto”; il contratto prevede che il barcaiolo ceda al proprietario il 25% del proprio incasso e con il rimanente provveda a remunerare l’equipaggio e a sostenere qualsiasi altra spesa.

Passo, v. Traghetto.

Peàta, barcone da carico tipico veneziano spinto con remi e sprovvisto di qualunque altro mezzo di propulsione. Uno dei tre esemplari rimasti si trova al Museo della Navigazione Fluviale di Battaglia T.

Peòta, 1. pilota, esperto conoscitore di un determinato corso d’acqua o porto, al quale i barcaioli ricorrevano per evitare eventuali ostacoli; 2. barca tipica veneziana di media grandezza, vagamente somigliante alla caorlìna, oggi scomparsa.

Pescaggio della barca, immersione a vuoto e a pieno carico di una barca, misurata dal pelo dell’acqua al fondo o sottochiglia.

Pontile, imbarcadero, manufatto normalmente di legno costituito da un ripiano che si protende dalla riva verso lo specchio d’acqua e favorisce la salita a bordo o la discesa a terra dei passeggeri; può essere fisso, piantato stabilmente su pali, oppure galleggiante per seguire le possibili variazioni di livello dell’acqua.

Portata, peso massimo trasportabile da un’imbarcazione espresso in quintali o tonnellate. Non va confusa con la stazza (v.).

Porte. v. Conca.

Puparìn, barca veneziana molto elegante ed elaborata che presenta una caratteristica in comune con la gondola (v.), l’asimmetria.

R

Remo, lungo bastone di legno che ad un estremo s’allarga a guisa di pala; appoggiato alla fórcoła (v.) è usato per imprimere a piccole barche il movimento sull’acqua. Funziona come leva di II grado: il vogatore costituisce la forza, l’acqua il fulcro e la fórcoła il centro di resistenza. È composto dall’impugnatura, dal girone, a sezione circolare, e dalla pala che viene immersa nell’acqua.

Restàra, 1. sinonimo di via alzaia (v.); 2. luogo dove i cavałànti o tiranti mettevano a disposizione i propri animali per l’attiraglio dei barconi. Famose erano le r. di Brondolo, Pontelongo, Mira, Boara Pisani. Ce n’era una anche a Mezzavia.

S

Scalette, scale solitamente di pietra che collegano la sommità arginale con lo specchio d’acqua o la golena; sono spesso presenti nei punti di ormeggio delle barche, come nella zona porto di Monselice o nel mandracchio di Porte Contarine a Padova. Lungo i muraglioni, che sostituiscono le scarpe inclinate degli argini o all’interno delle conche, si trovano in qualche caso scalette a pioli metallici detti “alla marinara”.

Scalo, scivolo, piano inclinato che congiunge lo specchio d’acqua alla terra. È presente negli squeri e anche lungo i corsi d’acqua per consentire di tirare in terra (alaggio) o di rimettere in acqua (varo) le barche. Lungo il nostro percorso se ne incontrano a Voltabarozzo e a Monselice.

S’ciona, anello metallico pendente incernierato su un anello più piccolo fisso per dar volta ad un cavo. Se ne trovavano soprattutto in prossimità dei ponti; uno di questi, fissato sul ponte della Pescheria a Monselice, fungeva da idrometro (spia) per disporre l’apertura o la chiusura delle porte dell’Arco di Mezzo (Battaglia).

Sengia, sana, specie di tracolla che serviva al barcaiolo per tirare da terra con una lunga fune (v. Alzana) i barconi, al posto dei cavalli o altri animali.

Squerarółi, maestri d’ascia, costruttori di barche nei cantieri navali tradizionali (squeri). All’interno del cantiere i vari addetti si specializzavano nelle diverse operazioni di calafataggio (calafati), di taglio del legname (segantini), nel costruire cavi, vele, forcole e remi (canevìni, velai, remèri), nel realizzare le componenti di ferro (fabbri o fàvari).

Squeraróli nello squero Nicoletti a Bassanello in una foto degli anni '40 del '900.

Squeraróli nello squero Nicoletti a Bassanello (anni ’40 del ‘900).

(Racc. E. Nicoletti)

Squero, variante padovana squaro, cantiere per la costruzione e riparazione delle barche, munito di scalo (v.) e spesso anche di teza (tettoia). L’unico coperto, presente nella provincia di Padova, anche se non più attivo, è sito a Bassanello. Il cantiere pubblico per la costruzione di navi da guerra e l’arsenale (arzanà).

Stazza, volume di un’imbarcazione delimitato dallo scafo, espresso in tonnellate di stazza (1 tonn.=100 piedi cubi inglesi pari a metri cubi 2,8315): s. lorda, tutto il volume disponibile; s. netta, solo quello destinato al carico (esclusi il vano motore e gli altri vani accessori).

Strada Alzaia, o anche restàra, strada carrareccia o sentiero percorso dagli animali che tiravano i barconi da terra.

T

Tiradóri, v. Cavałanti.

Tirante d’acqua, fondale, spessore d’acqua, distanza misurata verticalmente tra il pelo d’acqua e il fondo del canale o fiume. È un dato molto utile per la navigazione perché va messo a confronto con il pescaggio delle barche (v.).

Tirante d’aria, distanza misurata dal pelo dell’acqua all’intradosso dell’arco di un ponte o di qualsiasi altro manufatto fisso che scavalca una via d’acqua.

Traghettatore, passatore, colui che effettua il servizio di traghetto (v.) con una speciale imbarcazione.

Traghetto, 1. passo, servizio di trasporto in barca da una riva all’altra di un fiume o canale, oggi normalmente sostituito dai ponti o passerelle. Si può anche intendere il particolare natante con cui si esegue il tragitto; 2. fraglia o corporazione del mestiere di barcaiolo o barcaróło (v.).

Triconca, v. Biconca.

V

Valesàna, 1. modo di vogare alla veneta con due remi incrociati; 2. tipo di barca a fonda piatto.

Varare, butàre in aqua, operazione mediante la quale le barche vengono fatte scendere in acqua facendole scivolare su un piano inclinato (il contrario di “alare” v.).

Veneta, tipo di barca leggera sulla quale si rema in piedi e guardando avanti, come nella voga alla veneta, ma con scalmi fissi, come in quella all’inglese (v.).

Verna, argano a terra per alare le barche, ad esempio a Bassanello per sottopassare il ponte sul canale Battaglia.

Voga alla valesana, modo particolare di voga alla veneta che consiste nel remare con due remi incrociati.

Voga alla veneta, sistema per spingere la barca utilizzando i remi appoggiati alla fórcoła (v.) stando in piedi e guardando avanti, usando la pala del remo come mezzo direzionale (es. i gondolieri veneziani). Si contrappone alla “voga all’inglese” (v.) che si esercita stando seduti e rivolti verso poppa.

Voga alla veneta
Consiste nel manovrare il remo per fare avanzare la barca stando in piedi, guardando avanti e utilizzando lo stesso anche per dirigerla. Quest’antica pratica si contrappone alla voga così detta all’inglese con vogatori seduti e rivolti all’indietro, verso poppa; tecnica quest’ultima più veloce ed annoverata tra le discipline olimpioniche e proprio per questo normalmente preferita dai giovani atleti.
La voga alla veneta non è solo una pratica sportiva, è anche un’espressione culturale profondamente radicata nel popolo veneto ed acquisita anche in ambiti limitrofi al Veneto, come in Emilia, Lombardia e Friuli. È stata utilizzata per secoli a causa delle numerose insidie che presentano i nostri corsi d’acqua lagunari e dell’entroterra, per cui è necessario vedere avanti per poterle evitare.
Si può praticare con uno, due o più remi. Ad un solo remo è la voga tipica per antonomasia dei gondolieri: un vogatore non si può dire tale se non è in grado di praticarla. In ogni caso i remi funzionano come leva di II° grado dove il vogatore è la forza, l’acqua il fulcro e la
fórcoła (scalmo) è il centro di resistenza. I remi sono appoggiati (non legati) alla fórcoła, vera opera d’arte, che solitamente presenta varie incavature (morsi) per consentire altrettante posizioni del remo e conseguentemente le varie manovre necessarie, compresa quella dell’andare indietro.
Nel caso di più vogatori (10 nella
diesóna, 12 nella dodesóna, 18 nella disdottóna e un numero vario nelle bissóne), e quello che sta a poppa (pope, poppiere) che utilizza la pala del remo come mezzo direzionale (timone). Un particolare tipo di voga alla veneta è quella “alla valesàna” (da valle), praticata da un solo vogatore con due remi ad impugnatura incrociata. Le barche più comuni impiegate per la voga tradizionale, oltre a quelle già citate, sono il sàndoło, la mascaréta, il puparìn. Quest’ultimo, unitamente alla gondola, è l’unico tipo di barca asimmetrica.
Se non ci fosse stata la tenacia di alcuni anziani delle ‘storiche’ società remiere padovane (Canottieri e Rari Nantes), affiancate da altre di recente fondazione (El Bisato e Amissi del Piovego), che cercano tuttora di tramandare la nostra voga ai giovani, questa pratica a Padova sarebbe scomparsa da parecchio tempo. Il rischio di sparire l’ha corso anche la gondola per l’insensata corsa alla motorizzazione che tanta responsabilità ha nel degrado di Venezia. Come potremmo immaginare questa città senza le gondole e i gondolieri? E a Padova come non conservare, oltre alle barche a remi, anche un
bùrcio, simbolo della navigazione fluviale da carico, per i sempre più numerosi turisti nautici?

Voga alla veneta a Bassanello in una foto degli anni '20 del '900.

Voga alla veneta a Bassanello (anni ’20 del ‘900).

(Racc. autore)

Voga all’inglese, alternativa a quella veneta, trova riscontro nelle discipline olimpioniche; si effettua stando seduti guardando all’indietro. Le barche per il canottaggio possono essere munite di sedile (carrello) mobile, come per il singolo, doppio, quattro e otto con o senza timoniere, oppure con sedile fisso, come nel caso della Jole.

Vogare, atto che imprime il moto a una barca mediante spinta facendo forza sui remi.

Z

Zattera, dal lat. “ratis”, un insieme di tronchi o tavole legate tra loro per galleggiare e per essere trascinate a valle dalla corrente sotto forma di vero e proprio convoglio guidato dagli zattieri. È il primo natante costruito dall’uomo; originariamente serviva per il trasporto delle persone e delle merci. Dopo il perfezionamento della barca costruita con il guscio di tavole (fasciame), più veloce e pratica, la z. diventa una merce (legno) che trasporta se stessa; arrivata a destinazione, viene scomposta.

Bonifica e irrigazione

ABCDEFGILMPQRSTV

A

Acquaiolo, addetto alla distribuzione di acqua irrigua o al prosciugamento manuale con il pałoto (v.) degli scavi di cantiere.

Acquedotto, conduttura entro la quale scorre l’acqua a superficie libera o in pressione. L’a. della conca di navigazione (v. in Navigazione) collega l’interno della conca (vaso) con il canale alto e quello basso per il riempimento e lo scarico dello stesso vaso.

Acquedotto romano recuperato nel 1915.

Acquedotto romano recuperato nel 1915.

(Foto tratta da “Aqua atestina, aqua patavina…”, P. Zanovello, 1997)

Acquitrino, terreno che viene coperto d’acqua in determinati periodi o momenti dell’anno e perciò poco adatto alla coltivazione. A seguito del sollevamento meccanico dell’acqua, le plaghe paludose e acquitrinose sono state bonificate. Oggi rimangono soltanto piccole aree sotto la quota di bonifica (depressione idraulica), come ad es. quella a quota 4 m. sul medio mare chiamata Sbianso in prossimità di Bovolenta, nel comprensorio del Consorzio Bacchiglione Brenta. Queste zone sono interessanti per la biodiversità.

Affossatura, cavità lineare per raccogliere e allontanare le acque che scorrono superficialmente; si distingue in fossi, scoline e solchi acquai (v. Fosso).

Albio, abbeveratoio per animali, tradizionalmente scavato in un unico blocco di pietra trachitica euganea.

B

Bacino di recapito, recipiente, qualsiasi contenitore, fiume, canale, laguna o lago verso il quale viene fatta defluire l’acqua. Se il livello idrometrico del recapito è più basso di quello di provenienza, generalmente lo scarico avviene per gravità, in caso contrario e necessario il sollevamento con apposite pompe. Nel caso in cui il livello del b. di recapito sia variabile (per es. per effetto delle alte e basse maree in laguna o delle magre e piene nei fiumi) può essere possibile il deflusso intermittente, frapponendo, tra il b. di recapito e il canale di arrivo, le porte a vento o vinciane (v. in Corsi d’acqua) che, con la spinta dell’acqua si aprono e si chiudono naturalmente, impedendo il rigurgito.

Bacino imbrifero (o idrografico), superficie dalla quale le acque affluiscono ad un fiume o canale. Es. b. del canale Rialto che raccoglie le acque di tutta l’area termale, dal Bacchiglione al canale Battaglia e da Mandria (Padova) al versante nord orientale dei Colli Euganei.

Beveràra, riva dal pendio dolce che consentiva agli animali di accostarsi facilmente all’acqua per bere. Alcuni esempi si trovano soprattutto lungo il canale Bisatto, ma anche a Padova, presso l’attuale ponte dei Cavai, il quale ha preso forse questo nome, proprio perché era il luogo dove venivano rifocillati i cavalli del vicino tram.

Biodo, Butomus umbellatus o anche altre specie, giunco palustre maggiore, erba palustre utilizzata per confezionare panieri e attrezzi per la pesca e con le foglie, per impagliare sedie, fiaschi e damigiane.

Bonifica, dal lat. “bonum facere”, complesso di opere tendenti a rendere possibile la coltivazione di terreni altrimenti sofferenti di eccesso d’acqua. Sino a meta ‘800 si costruivano soltanto canali e varie affossature per il deflusso naturale; successivamente sono state installate macchine per il sollevamento dell’acqua, come le ruote idrofore (v.) e le pompe idrovore, che hanno permesso di prosciugare terreni particolarmente bassi.

Botte a sifone, v. Botte.

Botte, tromba sotterranea, tomba, manufatto che consente ad un canale di intersecare un altro corso d’acqua senza confondere le acque (es. a Rivella, Pigozzo), come il ponte-canale (v. in Macchine ed altri manufatti). Il canale che passa sopra, solitamente più importante, e arginato. Sotto questo argine passa il canale inferiore attraverso la b. che consiste in una o più canne o gallerie. Queste possono avere il fondo piano (b. piana o retta), sul quale scorre l’acqua a pelo libero (v. in Corsi d’acqua) oppure concavo (b. a sifone), rimanendo costantemente invasa dall’acqua. Si costruisce la b. a sifone quando la differenza di livello tra i due corsi è relativamente lieve (es. a Lozzo). Il nome b. potrebbe derivare dalla “volta a botte” con cui veniva realizzato il manufatto, cioè una volta il cui intradosso e a superficie cilindrica, oppure dal lat. tardo “buttem”, canale coperto o sotterraneo.

Botte piana e a sifone.

Botte piana e a sifone.

Bottesina, piccola botte (v.), come ad es. a Battaglia T. a fianco della vecchia chiesa di San Giacomo.

C

Campatico, vecchio contributo obbligatorio per l’effettuazione di opere pubbliche e in particolare di bonifiche.

Campo padovano, antica unità di misura della superficie; un c. corrisponde a 3.856,57 metri quadrati del Sistema Metrico Decimale.

Canna palustre, canèła, Arundo phragmites, erba palustre molto comune impiegata per formare stuoie, arelle (grisòłe) per soffittature, per il manto di copertura dei casóni e come combustibile.

Erbe palustri
Prima delle bonifiche idrauliche della seconda metà dell’800, rese possibili dall’applicazione del sollevamento meccanico dell’acqua (v. scheda Pionieri della bonifica meccanica), in tutta la Riviera Euganea e nella Bassa padovana in genere abbondavano le acque stagnanti che favorivano la crescita delle erbe palustri. Raccogliere queste erbe fino ai primi decenni del ‘900 era un vero e proprio mestiere, come pure le lavorazioni e applicazioni dei careghéta o di altri artigiani delle grisiołe (arelle) e dei tetti di ‘paglia’ dei casóni (casonieri), mestieri oggi quasi del tutto scomparsi.
La gamma di erbe, ora ristretta a causa dell’inquinamento delle acque, era piuttosto ampia. Innanzitutto comprendeva la canna palustre, cannuccia o
canèła che non va confusa con la cana vera (Arundo donax), comune nei pressi dei casolari. A seconda delle dimensioni più o meno grandi, si distingueva in: cana da fassón, impiegata per confezionare le arelle adatte a formare soffitti, schermi parasole e a delimitare gli orti o a produrre graticci per i bachi da seta; canna per la copertura dei casóni e fienili; canna combustibile (segoni) per le fornaci e gli squeri. La pannocchia apicale, invece, poteva servire per produrre spazzole.
Un’altra specie che presenta più varietà è l’erba
caresìna, carice o sala palustre che però cresce assieme ad altre erbe. Quando era molto mista veniva falciata e adoperata come lettiera degli animali al posto della paglia di frumento o di altri cereali. Ma i suoi impieghi principali, unitamente al caresinón (alto sino a 2 m), riguardavano l’impagliatura delle carèghe (sedie) e la produzione di sbalsi, legacci per mannelli di frumento. Con il caretón, altro tipo, si rivestivano i fiaschi e le damigiane e, in qualche caso, veniva usato anche nelle coperture dei casolari.
La
pàvera o tifa o mazzasorda si trova sparsa qua e là in mezzo a strame e canne; termina con una falsa spiga a clava (infiorescenza cilindrica che diventa di colore bruno), ripiena di semi adorni di pappi. Ai tempi dei Romani la peluria o lanigine serviva per fare una sorta di materasso. Le sue lunghe e strette foglie erano utilizzate per confezionare stuoie o anche a ‘vestire’ i fiaschi e riparare le botti.
Gli
onsini (onzini, genere botanico Juncus), tagliati con il messòra (falcetto dalla lunga impugnatura) si usavano per tenere unite le canne delle arelle. Oggi sono stati sostituiti da sottili fili di ferro.
Nei pascoli abbandonati, sparsa in cespugli, si trovava la
brula, giunco comune impiegato per legare la bocca di sacchi e l’insalata negli orti, per infilare i pesci e gli uccelli e per realizzare piccole stuoie. Simile alle brule è il giunco palustre maggiore, biodo (Butomus umbellatus) con lo stelo più lungo e midolloso; con quest’ultima erba i pescatori producevano delle corde chiamate libani, attrezzi per la pesca, stuoie e panieri.

Erbe palustri.

Erbe palustri (M. Zanetti).

Capofosso, fosso di raccolta di una rete scolante di un fondo.

Captazione, attingimento delle acque sotterranee. V. anche Falde acquifere.

Caresìna, caresìn, caresinón, carice, sala palustre, erba palustre adoperata soprattutto nell’impagliatura delle sedie e nella produzione di legacci (sbalsi) per mannelli (piccoli fasci) di frumento.

Chiavica, ciàvega, opera posta lungo un corso d’acqua per la regolazione del deflusso in uscita (es. derivazione per irrigazione) oppure in entrata (es. l’immissione di rii o scoli di bonifica) per semplice gravità (a pelo libero). Consiste in una soglia compresa tra due spalle, piedritti, accompagnate spesso da muri d’ala, e dal volto architravato o archivoltato. Sui fianchi delle spalle sono incavati i gargami sui quali si fa scorrere una saracinesca o paratoia in legno o in ferro che si alza e si abbassa (a ghigliottina), il cui movimento verticale un tempo era effettuato con una sorta di molinello (v.) e ora con una vite di manovra.

Chiavicante, addetto alla manovra di chiaviche (v.) o di altri manufatti idraulici di bonifica.

Colaticce (acque), acque di falda o di superficie che si riversano su un canale scolatore.

Collettore, qualsiasi condotto in cui confluiscono altri fossi o canaletti di minore importanza.

Comprensorio di bonifica, territorio oggetto di interventi idraulici, i cui limiti sono determinati dai bacini di raccolta dell’acqua meteorica.

Comuna, collettore principale, nome generico di canale di gronda, come il Cornio nel Piovese.

Consorzio di bonifica, retratto, retràto, unione legalmente riconosciuta di proprietari di fondi originariamente interessati alla bonifica e alla valorizzazione di terreni improduttivi; oggi l’ente provvede all’esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere necessarie per garantire lo smaltimento delle acque superficiali. Il contributo richiesto ai proprietari, un tempo chiamato campatico (v.), e obbligatorio, come qualsiasi altro tributo. Il primo c. di bonifica risale al 1557 (v. scheda Retratto di Monselice).

Link

D

Drenaggio, tecnica di prosciugamento di terreni ristagnanti d’acqua, mediante una rete di affossature o di tubi forati che convogliano le acque in speciali bacini di raccolta.

E

Erbe acquatiche, piante idrofile (che vivono nell’acqua) ed elofile (negli acquitrini o terreni umidi); tra le prime sono comuni la canna palustre (v.), il nannufero (Nuphar luteum) e il ceratofillo (Ceratophyllum demersum); tra le elofile la pavèra (v.) e la caresìna (v.)..

Le piante d’acqua
La flora dell’ambiente fluviale, oltre a risentire fortemente della presenza dell’acqua, è condizionata anche dai periodici interventi dell’uomo che tendono, tra l’altro, a garantire la sicurezza idraulica in caso di piene e la navigabilità nei corsi d’acqua classificati navigabili, come il Naviglio Euganeo da Padova ad Albettone. Per quest’ultimo aspetto veniva vietato l’impianto di alberi lungo le rive e gli argini. Sul lato dove c’era la restàra, percorsa dai cavalli che tiravano le barche, si eliminavano anche gli arbusti e qualsiasi altro ostacolo che potesse essere d’intralcio alla lunga fune di traino. Inoltre gli argini inerbiti erano dati in concessione per il periodico sfalcio dell’erba, spesso agli stessi proprietari dei terreni contigui all’argine.
L’ambito in cui vivono le specie vegetali nell’area delimitata dagli argini, comprende lo specchio d’acqua, le rive, le golene e gli argini stessi. Le aggregazioni vegetazionali negli alvei navigabili si limitano ad idrofile, come il
botón zalo (nannufero o ninfea gialla), erroneamente chiamato anche “fior di loto” (questa pianta invece si trova nel Lago Superiore di Mantova), e la canna palustre. Questa un tempo era utilizzata nella copertura dei casóni e come combustibile nelle fornaci, negli squeri e nelle botteghe artigiane in genere, dove si piegavano con acqua e fuoco le tavole del fasciame delle barche e i pezzi di legno per formare le ruote dei carri (cana da bruso). La ninfeacea dai fiori gialli, la cui espansione risulta direttamente correlata con i processi di eutrofizzazione delle acque, si insedia là dove l’acqua è pressoché ferma, come all’incile del canale Scaricatore a Bassanello o in prossimità del sostegno a Voltabarozzo. Le canne provocano il rallentamento della corrente favorendo la sedimentazione e quindi l’interramento dell’alveo. Per contro creano un prezioso habitat soprattutto per numerose specie di uccelli, come la gallinella d’acqua (v. scheda Un po’ di fauna).
Nei canali minori o tranquilli di bonifica si trovano: l’elofita mazzasorda (tifa) (v. scheda Erbe palustri) e altre idrofile, come la lenticchia d’acqua che riveste lo specchio d’acqua di un bel manto verde, la vallisneria e la coda di cavallo acquatica
(Hippuris v.); nelle acque correnti: la peste d’acqua con formazioni tappezzanti prossime alle sponde e il ceratofillo, sommerso con fusti e rami cilindrici e ramosissimi.
Più numerose sono le specie spondicole, sia arboree che erbacee, che svolgono l’importante ruolo di difesa delle rive dalle erosioni provocate dal moto ondoso: la salcerella con le sue belle infiorescenze violacee; il senecione palustre, simile al topinambur ma con fiori più piccoli; il giaggiolo acquatico, tipica elofita di sponda; l’ontano comune
(onàro), che cresce proprio lungo le rive e la cui chioma supera i 20 metri di altezza; la sanguinella (sànƶena) con i rami della quale venivano realizzate le cannucce delle pipe di terracotta e le fionde, queste ultime grazie alla perfetta biforcazione dei rami di eguale spessore. Inoltre, sia sulle rive che sulle golene, si possono trovare numerosi esemplari di pioppo bianco e nero, di salgàro, di salice comune, bianco e piangente, di moràro (gelso) e di robinia. Quest’ultima, se non proprio infestante, è da considerarsi almeno invadente; proviene dall’America nordorientale e la sua introduzione in Europa risale al 1601 ad opera del giardiniere di Enrico IV di Francia, Jean Robin, da cui deriva il nome. Altri esempi di specie in grado di alterare i consorzi arborei naturali sono l’ailanto, volgarmente chiamato albero del paradiso, introdotto dalla Cina per scopi ornamentali, e il moro mato (falso) o della Cina (Broussonetia papyrifera) importato per produrre alimento per il baco da seta in alternativa al gelso, ma con risultati deludenti, e già utilizzato nella fabbricazione della carta. A questi si aggiungono: il pruno domestico, amołàro, dal cui fusto si otteneva la sóca (ceppo) per spaccare la legna o fare la punta ai pali; l’acero negundo, proveniente dall’America settentrionale e introdotto a scopo ornamentale e poi spontanealizzato ed inselvatichito; il platano comune; il pioppo del Canada distinguibile dagli altri pioppi per il colore cupreo· delle giovani foglie. Gli alberi sono spesso associati ad una serie di specie arbustive ed erbacee. Tra gli altri si ricorda il noseàro (nocciolo), il sanbugàro (sambuco), e i salgàri. Lungo le sponde è diffuso anche il falso indaco, della famiglia delle leguminose originario del Nord America, dal quale si otteneva ottimo materiale per la fabbricazione delle ceste.
Le piante erbacee sono rappresentate sovente dal topinambur con i suoi caratteristici fiori gialli autunnali e i suoi tuberi carnosi ed eduli dal particolare sapore di patata e carciofo, consigliati ai diabetici. La presenza del rovo, purtroppo molto frequente, è indice di degrado e di abbandono.
Nelle
maresàne di una certa ampiezza, che troviamo risalendo il Bacchiglione, si incontrano pioppeti (pioppo del Canada) o anche terreni coltivati a seminativo, con tutte le insidie che ciò comporta (diserbanti, concimi chimici, arature sino a ridosso delle rive, ecc.). Le golene più ridotte, comuni lungo il nostro itinerario, e gli argini sono di norma inerbiti stabilmente e in primavera ingialliscono per la fioritura dei ranuncoli accompagnati dal blu della salvia, dall’azzurro delle veroniche e dal candore delle margherite. Non mancano le tradizionali erbe della cucina povera: i scrissiółi (carletti), i bruscàndołi (germogli dei luppoli), i brusaòci o pissacàni (tarassachi), cui si associano numerose altre specie variamente colorate come l’achillea millefoglie, la centaurea o fiordaliso, i trifogli, la veccia ed altre.
Infine si segnalano altre due specie erbacee idrofile diventate rare e che tuttavia possiamo ancora incontrare sui fossi di Val Calaona; si tratta dell’erba scopina
(Hottonia palustris) e dell’erba vescica (Utricularia vulgaris). Quest’ultima è una pianta natante e carnivora; è infatti sprovvista di radici e sulle foglie presenta delle vescichette che, oltre a garantire il galleggiamento (funzione idrostatica), catturano piccoli animali, poi digeriti attraverso la secrezione di particolari enzimi.

Distribuzione della flora e fauna nelle varie parti di un canale o fosso (M. Zanetti).

Distribuzione della flora e fauna nelle varie parti di un canale o fosso (M. Zanetti).

Un po’ di fauna
L’itinerario proposto passa dall’ambiente fortemente cementificato della città ad ambiti via via sempre meno antropizzati. Lungo il corso dei vari navigli e nei territori limitrofi, l’aspetto faunistico preponderante è caratterizzato dalla presenza di pesci, anfibi e uccelli che prediligono gli ambienti umidi. Illimitato numero di mammiferi deriva dal fatto che questi animali sono racchiusi in un ambiente ristretto, circondato spesso da insediamenti umani. Gli uccelli, viceversa, godono di una maggiore libertà di spostamento. L’ecosistema, sempre più urbanizzato, ha determinato un processo di spontanea ricomposizione della fauna autoctona, penalizzata dalla caccia, dalla pesca e dagli inquinanti agricoli, industriali e domestici; si nota inoltre un incremento di nuove specie a causa dell’immissione di elementi faunistici alloctoni, come il cigno reale, il gabbiano comune e reale e le nutrie, negli ambiti urbani, e il siluro, nei più ampi corsi d’acqua.
Le specie di uccelli più comuni, che nidificano e vivono in permanenza nell’ambiente acquatico, sono la gallinella d’acqua, il tuffetto, il tarabusino, la folaga, il germano reale e il porciglione. L’airone rosso e cinerino, la nitticora e il tarabusino, pur ricercando le prede in ambiente acquatico, nidificano sugli alberi; inoltre, particolarmente lungo il fiume Bacchiglione, si incontrano lo splendido martin pescatore e la garzetta. A monte di Selvazzano ci sono lunghi tratti di alte rive crollate a strapiombo, che ricordano i canyon americani, inaccessibili ai predatori e per questo adatte alla nidificazione di una particolare specie di rondine
(topino). Tra i rapaci diurni si osservano la poiana, il ghebbio, l’albarella minore, il falco cuculo e il lodaiolo. Le sere d’estate sono rallegrate dal canto melodioso dell’usignolo di fiume. I terreni scoperti ospitano le allodole e d’inverno, sui campi arati, pascolano gruppi di pavoncelle.
I pesci sono poco presenti nelle acque inquinate come quelle del Piovego. In altri ambiti troviamo specie che prediligono acque tranquille o stagnanti:
tenca (tinca), squalo (cavedano), scardola, persico trota, girasole (persico sole), pesce gatto, carpa, carassio e luccio; per quest’ultimo da qualche tempo sono stati posti dei limiti alla pesca a causa della rarefazione della specie. Gli anfibi vivono prevalentemente nei corsi d’acqua minori. Comuni sono la rana verde, la raganella e il rospo comune. Quest’ultimo all’inizio della primavera migra in massa verso le aree riproduttive, costituite dalla rete di fossi e da altre zone umide, attraversando anche strade trafficate. In queste circostanze si verificano delle vere e proprie decimazioni provocate dal passaggio dei veicoli stradali. Il fenomeno è noto per esempio a Valsanzibio, a Luvigliano e anche lungo la strada provinciale 21 che collega Valle San Giorgio a Cinto (via Prossima), in località La Boariola.
Nelle acque limpide di alcuni
rii o calti di monte, si può vedere qualche esemplare di gambero di fiume, come nel caso del gorgo dell’ex mulino Ambrosi di Cinto; sempre nella zona collinare si incontra spesso il ramarro, sorta di lucertola di colore verde e, lungo le rive dei canali e fossi, la biscia d’acqua, lo scarbonasso (saettone nero), grossa biscia di colore scuro.
Tra i mammiferi si osservano topi di campagna e nutrie, la sempre più rara donnola, la faina e molto più spesso il riccio (assunto come simbolo dell’Ente Parco Colli Euganei), animali che trovano rifugio prevalentemente nei macchioni lungo le rive, spesso infestate di rovi.

Fauna ittica dei fossi e scoli (M. Zanetti).

Fauna ittica dei fossi e scoli (M. Zanetti).

Espurgo, rimozione periodica dei materiali di sedimentazione nel fondo dei canali o fossi. La melma veniva dapprima rimossa con la vanga e poi, mediante. il pałòto (v.) veniva stesa ai lati del canale con uno o più ribracci (passamano).

F

Falda acquifera, acqua penetrata nel sottosuolo per imbibizione di terreni permeabili all’acqua piovana e trattenuta nel sottosuolo da strati impermeabili, come l’argilla. Nella f. artesiana, racchiusa tra due strati argillosi, l’acqua proviene da infiltrazioni pedemontane ed è solitamente in pressione, quindi tende a salire quando si fora la strato superiore con un pozzo; nella f. freatica l’acqua si accumula semplicemente sopra lo strato impermeabile. I pozzi che si scavano prendono il nome dal tipo di f. a cui si collegano.

Falsìn, falce con lungo manico senza maniglie per lo sfalcio delle scarpate.

Falsón, Ferro a forma di U con lama d’acciaio affilata e allungabile per lo sfalcio delle erbe acquatiche nel fondo dei canali. Veniva trainata dai bordi del canale per mezzo di funi da due o più addetti che tiravano alternativamente l’attrezzo per tagliare le erbe.

Fango termale, fango, proveniente dai vari laghetti pericollinari, messo a ‘maturare’ per circa un anno in vasche d’acqua termale a circa 70°C. Viene steso sulla pelle per trattamenti terapeutici. Si estraeva dai laghetti di S. Elena, Lispida e Arquà.

Fossa, 1. vallo riempito d’acqua, canaletto scavata lungo le cortine murarie delle città fortificate per rendere difficoltoso un eventuale attacco militare; 2. canale di bonifica.

Fosso, incavatura lineare nel terreno per la raccolta delle acque piovane; è un’opera fissa, come la scolina che delimita i campi, ma di dimensioni più grandi. I solchi acquai invece sono affossature (v.) che devono essere ripristinate ogni volta che si ara il terreno.

G

Gattello, v. Investitura d’acqua (v. in Macchine ed altri manufatti).

Grapa, manopola di legno posta a capo della fune che serviva a tirare più comodamente il falsòn (v.).

I

Invaso di sedimentazione, grandi vasche di decantazione del materiale solido in sospensione nell’acqua (sabbia, limo, argilla), ad es. a Lozzo, dove serve anche come riserva idrica in caso di incendio boschivo.

Irrigazione, apporto artificiale di acqua al terreno agrario. Tradizionalmente l’i. avviene per sommersione, nel caso delle risaie e per scorrimento (v.); a questi metodi si sono aggiunti, più o meno recentemente, quelli a pioggia (aspersione) e localizzati (a goccia).

Irrigazione per scorrimento, impianto per l’apporto di acqua sul terreno mediante la tracimazione di canalette adacquatrici; in questo modo si forma una lamina d’acqua superficiale che bagna e scorre su appezzamenti leggermente pendenti. Adatto specialmente alle colture foraggiere, come nel caso dell’Alta padovana o delle marcite lombarde. Oggi il più comune sistema d’i. risulta però quello per aspersione o a pioggia.

L

Laghetti, v. Stagni.

M

Martìn, battipalo a mano per rinforzo delle sponde; è un grosso mazzuolo in legno con doppia cerchiatura metallica a due o quattro maniglie.

Modulo idraulico, unità di misura per le concessioni d’acqua; un modulo corrisponde a 100 litri/secondo. Un’antica unità di misura della portata d’acqua era il quadretto veneto corrispondente a 7074 pollici cubici/sec. (140 litri/sec.).

Molinello, mulinello, 1. semplice macchina che serviva ad alzare o abbassare una paratoia (bova del mulino o saracinesca di una chiavica). È costituita da un fuso in legno che gira mediante manovelle e avvolge la catena collegata alla paratoia. 2. strumento per misurare la velocità dell’acqua.

P

Pałòto, pala in legno utilizzata per evacuare il materiale d’escavo a uno o più ribracci (passamano), oppure per piccoli prosciugamenti di cantiere.

Palù, 1. palude, estensione di terreno ricoperto di acqua stagnante e poco profonda su cui si sviluppano la flora e la fauna tipica; 2. carice (Carex sp.), erba palustre che, dopo essere stata essiccata, viene usata per impagliare le sedie; 3. al plurale indica paesaggi caratterizzati da risorgenze d’acqua, colture prative circondate da siepi e da piccoli boschi (es. lungo il fiume Livenza).

Palude, valle, terreno permanentemente sommerso d’acqua poco profonda e perciò assolutamente inadatto alla coltivazione, ma dove trovano l’habitat ideale la flora e la fauna tipica delle zone umide. Quasi tutte le zone paludose sono state bonificate a partire dal XV sec.

Pavèra, tifa, mazzasorda, Typha latifolia, erba palustre tipica dei fossi dalla inconfondibile infiorescenza a forma di cilindro che a maturità imbrunisce. Le foglie venivano usate per rivestire i fiaschi e le damigiane.

Pozza, póssa, punto in cui un fosso si allarga formando un piccolo stagno dal quale veniva attinta acqua per scopi irrigui, prima manualmente e poi con pompe. Era presente quasi in ogni fondo agricolo, specialmente in quelli destinati ad orto.

Pozzo, manufatto costruito per prelevare acqua dalle falde sotterranee. Può essere chiuso (tubo metallico e pompa) o aperto; quest’ultimo è costituito da una canna di muratura o cemento più o meno profonda e può essere di tipo artesiano o freatico. Quello artesiano raggiunge una falda in cui l’acqua è in pressione perché è chiusa tra due strati impermeabili e perciò tende a salire in superficie (es. nelle zone delle risorgive a nord di Vicenza e Cittadella); il pozzo freatico è invece quello che troviamo frequentemente in pianura e richiede il totale sollevamento dell’acqua (v. Falda acquifera).

Pozzo “alla veneziana”, utilizza l’acqua piovana anziché quella di falda. È di solito posto al centro di uno spazio lastricato (campo o campiello) al di sotto del quale si apre un’ampia vasca riempita di sabbia, delimitata da pareti di argilla. L’acqua entra in questa sorta di cisterna attraverso delle speciali caditoie, poste ai quattro angoli del selciato, e da lì penetra nella canna del pozzo, opportunamente filtrata dalla sabbia, per poi essere attinta. Questi pozzi li possiamo trovare anche sulle sommità di alcuni colli (es. Monte Gemola, Monte Ricco).

Q

Quadretto veneto, V. Modulo idraulico.

R

Retratto, retràto, ritratto (da “ritrazer”, riscattare), consorzio di bonifica, unione di più proprietari per rendere possibile la coltivazione delle terre ristagnanti d’acqua. Il primo esempio del genere è quello di Monselice (1557).

Roncola, falcetto con punta a guisa di uncino per il taglio degli arbusti.

Rostinaggio, evacuazione di erbe acquatiche falciate o estirpate dal fondo del canale, operazione che si esegue mediante la forca rampina.

S

Scarico “a pelo libero”, v. Bacino di recapito.

Scarico intermittente, v. Bacino di recapito.

Scolo, fossato, normalmente consorziale, per la raccolta e il convogliamento delle acque piovane provenienti da più fossi privati.

Sifone, 1. condotto, solitamente metallico ad U rovescio, per travasare acqua da un canale più alto a uno più basso; passa sopra l’argine, senza attraversarlo, e perciò non provoca nessun rischio in caso di piena. Il passaggio del liquido avviene per la diversa quota tra i due specchi d’acqua (per gravità) a condizione che il tubo venga riempito totalmente d’acqua (adescamento); 2. tubo o canna ad U dritto (con i due rami rivolti verso l’alto) di collegamento tra due tratti di uno stesso canale intersecato da un secondo posto più o meno allo stesso livello del primo (es. Botte a sifone). Il passaggio dell’acqua anche in questo caso avviene come in due vasi comunicanti.

Sistemazione idraulico-agraria, complesso di opere che hanno lo scopo di regolare la presenza d’acqua sul terreno e di rendere più efficace la coltivazione. È caratterizzata dalle affossature (v.), dalle baulature (convessità), dalle dimensioni dei campi e dalle capezzagne (stradicciole campestri). Nei terreni pianeggianti situati lungo il Naviglio Euganeo sono presenti due tipi di S.: alla padovana e alla ferrarese (v. schede Le tradizionali forme della campagna padovana e Il paesaggio di bonifica).

Sgarbo, taglio periodico delle erbe acquatiche.

Solco acquaio, v. Fosso.

Stagno, valle, superficie coperta d’acqua poco profonda e senza ricambio (stagnante). È prodotto dalla pioggia e d’estate si può asciugare. V. anche Acquitrino.

T

Terreno cuoroso, t. torboso ottenuto dal prosciugamento di zone paludose, “aggregato spugnoso e nerastro di piante acquatiche e animali in decomposizione, con miscuglio di terre depositate dalle alluvioni dei fiumi” (Boerio).

Terreno sortumoso, t. umido, fresco, dovuto alla falda acquifera il cui livello superiore è molto vicino alla superficie; anche se il t. non è sommerso dall’acqua e poco adatto alla coltivazione perché asfittico per le radici delle piante.

V

Valle, area quasi permanentemente invasa da acqua stagnante dove si esercitava la caccia e si raccoglieva la canna palustre da bruso o come manto di copertura dei casóni. È frequente soprattutto nella zona pericollinare, prima delle sistematiche bonifiche cinquecentesche.

Vipera, fascinotto di ramaglie utilizzato nel ripristino delle frane e nelle rotture degli argini. Viene infissa longitudinalmente all’unghia della scarpata mediante pali di legno appuntiti (tolpi). Altri fascinotti di erbe palustri (volparotti) vengono posti in senso ortogonale per assicurare il drenaggio.

Volparotto, Volpare, Volparone, v. Vipera.