La fabbricazione della carta a Battaglia

4. LA FABBRICAZIONE DELLA CARTA

Per molti secoli le cartiere costituirono una delle più interessanti applicazioni delle conoscenze tecnologiche trasmesse dall’età antica al medioevo. Come gli altri opifici che provvedevano a macinare i cereali, a “follare” la lana greggia, a battere i metalli o a segare i tronchi, anche i folli da carta sfruttavano l’energia idraulica, unica forza motrice non originata dal moto animale 53.

La ricchezza d’acqua della nostra provincia potrebbe far pensare ad uno sfruttamento intenso della preziosa fonte. In realtà non fu così. Il leggero dislivello del terreno e la lenta velocità delle correnti frenarono l’espansione di mulini, folli, magli e segherie tanto che la concentrazione degli opifici in alcuni borghi della città e in altri centri del territorio, finì per diventare una prerogativa della provincia Padovana, così come le soluzioni tecniche adottate, ad esempio per i mulini sul Bacchiglione, rimasero del tutto singolari nel panorama paleoindustriale Veneto.

Per la cartiera l’acqua aveva una duplice importanza: azionare la ruota dei folli e alimentare le diverse fasi di macerazione e lavorazione degli stracci e della carta. In questa seconda funzione era perciò necessario che l’acqua non fosse inquinata di terriccio o melma come spesso capitava durante la alluvioni o nei lunghi periodi di pioggia 54.

I folli da carta in concreto erano un’applicazione rivisitata dei più antichi folli ideati per la lavorazione dei panni di lana, e proprio per questa loro derivazione nei documenti medievali spesso troviamo, accanto al termine, la specificazione dell’uso. Il processo produttivo della carta era comunque più articolato e complesso di quanto si possa immaginare. Vediamolo in dettaglio con l’ausilio di due pubblicazioni del XVII e XVIII secolo 55 e con l’utilizzo di un interessante inventario della nostra cartiera redatto il 13 agosto 1621 dal marangon (falegname) Lodovico Spagnolo e dal cartaro di Campese nel Vicentino, Alvise Zanardi, entrambi originari della Riviera di Salò nel Bresciano 56.

Come abbiamo ricordato più volte la materia prima per la produzione della carta era costituita dagli stracci di cotone, canapa e lino opportunamente miscelati. Tra i tanti problemi che assillarono la cartiera durante la secolare esistenza, l’incetta di stracci costituì motivo di continua preoccupazione. Il divieto di esportazione venne più volte riconfermato dal senato Veneziano sulla scorta di quanto accadeva negli stati vicini 57. Uno dei ricordi più antichi sull’organizzazione della raccolta di stracci nel nostro territorio risale al 1399. L’episodio, già descritto dal Lazzarini nel suo lavoro 58, riguarda Antonio del fu Oliviero Mazucco da Galzignano, Galassino del fu Nicoluzzo da Fabriano e Nicolò Penacio. Dopo aver costituito una società della durata iniziale di quattro anni, finalizzata alla gestione dei fulos Riperie (cartiera) di Battaglia, i tre soci stipularono con Ottolino cartolaro un contratto affinché questi provvedesse sia alla raccolta degli stracci che alla vendita della carta per conto della società.

Il rastrellamento degli stracci era affidato in massima parte ai membri della fraglia degli “strazzaroli”. Occupati a commerciare abiti o prodotti tessili usati, erano i più idonei a rifornire l’opificio di Battaglia di tutto ciò che si rendeva inservibile all’abbigliamento o all’arredo delle abitazioni. Al trasporto dei cenci poi ci pensavano i barcaroli locali, il cui servizio veniva prestato anche per avviare la carta al mercato cittadino o a quello veneziano. La strategica posizione della cartiera del resto, al centro di un importante nodo idraulico, consentiva di ricevere strazze e inviare bombasina per buona parte del territorio Padovano.

Sin dalla vendita della cartiera nel 1406 furono proibiti l’incetta e il trasporto oltre confine degli stracci nonché l’introduzione della carta forestiera nel territorio. Pesanti pene erano comminate agli straccivendoli ed ai barcaioli inosservanti. Oltre alle sanzioni pecuniarie era prevista la carcerazione di tre, sei e diciotto mesi, quest’ultimi da trascorrere a bordo della “galea de condennati”. Ai recidivi, infine, era riservata la distruzione della barca. Nel proclama del podestà di Padova Giovan Battista Foscarini apparso nel 1613 leggiamo: “…sotto le medesime pene, non ardisca alcuno incanevar [ammassare], o logar [sistemare] strazze nè per se nè per altri, nè siano osti, nè altre persone, se non a quelli che suneranno [raccoglieranno] con licentia delli agenti di detti nobeli patroni; ma quelle havute debbano denontiar li contrafacienti alla giustizia…” 59. E che il controllo fosse rigido e continuo lo si evince da alcuni processi intentati a danni di barcaioli, colti in flagrante a trasportare carta prodotta fuori del territorio Padovano da palattieri e daziari locali 60, e a commercianti rei di aver incettato stracci destinati alle cartiere 61.

Padova, 1613. Proclama di Giovambattista Foscarini che riconferma i privilegi della cartiera di Battaglia.

Padova, 1613.
Proclama a stampa di Giovambattista Foscarini che riconferma i privilegi della cartiera di Battaglia, tra cui il trasporto e il commercio di stracci e fogli nel Padovano, e l’esenzione fiscale della carta in transito a Padova.
(A.S.P. – Cartiere e Stamperie, b. 1, c. 143)

Giunti a destinazione i cenci venivano depositati nei magazzini dove abili mani provvedevano alla cernita dei tessuti ed alla separazione di quelli bianchi dai neri. La selezione richiedeva una cura particolare in quanto dalla suddivisione degli stracci dipendeva molto la bontà della carta. La delicata operazione iniziale era riservata al proletariato femminile, notoriamente più abile del pari maschile a riconoscere la qualità dei tessuti. Per Battaglia non abbiamo prove certe di un’occupazione femminile ma la presenza di donne in tutte le cartiere venete ci induce a credere che la realtà del nostro opificio non fosse dissimile 62, se si considera inoltre che nel 1818 in 37 cartiere erano occupate 442 donne contro 351 uomini e che alcuni disegni dei secoli XVII e XVIII riproducono accanto ad ampi contenitori rettangolari solo unità femminili nell’atto di tagliare gli stracci 63.

Donne intente a tagliare gli stracci, che verranno poi macerati.

L’illustrazione mostra due donne mentre stanno tagliando gli stracci, che a quel tempo costituivano l’unica materia prima per la fabbricazione della carta. I diversi tessuti sono già stati  selezionati e opportunamente suddivisi.
Di Diderot et d’Alembert (Gallica) [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Nella fase preliminare era inoltre necessario controllare che i cenci non fossero bagnati, che le cuciture, gli orli fossero scuciti e puliti da eventuale immondizia. I tessuti dovevano essere poi suddivisi tra “fini, mediani ed infimi”, detti anche rispettivamente “primi, secondi e terzi”, destinati alla produzione di carta di prima qualità, come la reale, di carta ordinaria, mezana e cancelleresca, e di carta da strazzo, impiegata negli usi “più vili a comodo del commercio” 64. Bisognava inoltre depurare le pezze dai fili utilizzati nelle cuciture, spesso di natura diversa, più resistenti e di difficile macerazione. Gli stracci inoltre andavano opportunamente tagliati al fine di renderli il più possibile uniformi nelle dimensioni.

Preparata una quantità sufficiente di stracci si procedeva all’eventuale lavatura in appositi mastelli forati. Eseguita l’operazione i cenci venivano ammucchiati e compressi al fine di favorire la macerazione e la fermentazione per una settimana, un lasso di tempo tuttavia che poteva variare a seconda delle tecniche usate, della qualità degli stracci e del criterio adottato nel disporre le pezze all’interno delle vasche. Per accelerare il processo molto spesso i cartai spolveravano gli ammassi di calcina; in questo caso il dosaggio doveva avvenire con precisione, pena la corrosione delle strazze.

“La fermentazione viene considerata per una delle parti fondamentali della cartiera. Imperciocché da un ottimo fermento si giudica del buon esito delle manifatture” ammonivano i tecnici nel Settecento, aggiungendo come la mancata operazione non consentisse di “ digrassare” (ripulire di sporcizia) lo straccio. Il prodotto macerato, arrotolato a forma di salame veniva affettato in pezzi di pochi centimetri e, raccolto in una tinozza, riversato nei folli per la definitiva triturazione 65.

Il follo, detto anche posta, era costituito da una ruota a pale del diametro di alcuni metri e di ridotto spessore, calettata e coassiale ad un grosso albero cilindrico lungo diversi metri, chiamato fuso o mello 66. Ad intervalli regolari nel fuso erano innestate delle spine a sezione rettangolare (cavicchie) chiamate calettoni. Simile ad un odierno albero a camme agiva con cadenza regolare sull’estremità di lunghi assi di legno chiamati stanghe. Incernierate dalla parte opposta mediante zipade e o cipade ad una solida base chiamata cariega, le stanghe erano disposte in batteria ed alloggiate in apposite guide dette resteli. Il movimento del fuso e delle stanghe, per rendere comprensibile l’immagine, era identico al meccanismo del tradizionale carillon. All’interno delle stanghe erano perpendicolarmente agganciati con un perno i piloni, detti anche pestelli o mazzapicchi, liberi di oscillare e di mantenersi verticali nonostante il movimento alternato delle stanghe. L’estremità lignea del pilone poi era rivestita da una solida lamina in ferro oppure rinforzata da chiodi o da punte metalliche. All’interno di vasche ovali di duro legno o di pietra dette pile, il pilone pestava gli stracci spezzettati, fino a ridurli in pasta omogenea, resa ancora più “sottilissima e finissima” grazie alla continua azione di un rivolo d’acqua 67. Per una perfetta triturazione erano necessarie in media dalle 24 alle 30 ore di “martellamento” continuo, scrive l’anonimo autore delle “Osservazioni intorno all’arte di fabbricare la carta” 68.

Il "follo" da carta. Questo macchinario pestava gli stracci fino a ridurli in pasta omogenea.

FOLLO, O POSTA, DA CARTA CON OTTO PILONI
1) Ruota – 2) Fuso o mello – 3) Calettoni – 4) Stanghe – 5) Zipade – 6) Cariega – 7) Resteli – 8) Piloni, detti anche pestelli, pestoni o mazzapicchi – 9) Pile – 10) Riparo dall’acqua (Cason dala roda) – 11) Canale con sitela e smargon.

Disegno: S. Fallido.

Nel 1398 la cartiera di Battaglia era dotata essenzialmente di un follo che azionava sei pile e di un’unica tina per la lavorazione della pasta 69. Nel 1621 il patrimonio industriale comprendeva sette folli, identificati con i nomi de: Lalbara, Sotto il molin, Tridare, Risara, Fora sul canale dil molin, Soto la strada prima, Le tre pile, azionanti 119 piloni che a loro volta maceravano in ventinove pile. Le tine per la pasta erano diventate 4, denominate rispettivamente da strazo, di mezo, dinanzi, e di drio. Nel 1725 la dotazione risulta ulteriormente potenziata: otto folli muovevano 136 piloni; 5 le tine, insufficienti, a giudizio del Salieri, l’agente della cartiera ricordato in precedenza, a smaltire la quantità di stracci lavorati 70. La quantità d’acqua derivata dal canale Battaglia per le diverse fasi della lavorazione veniva regolata mediante tre acquedotti e riversata nei contenitori chiamati albioli. Le maestranze poi agivano sullo smargon o smergone (soglia) per mantenere costante il getto d’acqua sulle pale della ruota ed evitare così forti variazioni del numero di giri. Per chiudere le derivazioni e fermare le ruote infine si operava sulle portele da serare l’acqua 71.

Ma torniamo alla nostra pasta finissima che estratta dalla pila, oppure fatta colare attraverso un apposito condotto, veniva riversata dentro un capace recipiente. Per raccoglierla e per dare alla stessa la prima sembianza di foglio il cartaro utilizzava la forma, un apposito telaio rettangolare simile ad una graticola, costituito da una cornice di legno alla quale erano fissati e tesi sottili fili metallici detti vergelle, molto vicini tra loro e attraversati trasversalmente da altri fili, pure numerosi ma a distanza maggiore dei primi, detti filoni. Le vergelle metalliche per la loro delicatezza, facilmente spostabili lateralmente, venivano fermate con dei punti ai filoni, a loro volta sorretti, per evitare imbarcamenti tali da alterare lo spessore del foglio, da robuste barrette di legno (colonnelli) assottigliate nella zona di contatto con i filoni di cui ripetevano la disposizione 72. In alcuni casi al posto delle vergelle e dei filoni veniva fissata al telaio una rete dalla maglia molto fitta. L’orditura regolare (vergatura) delle linee parallele, ortogonali alle altre più rade e grosse, lasciava impressa sulla carta una ‘maglia’ ben visibile in controluce: da qui l’aggettivo vergata dato alla carta fabbricata a mano. La cornice del telaio, invece, costituito da un bordo mobile aveva lo scopo di formare un battente capace di trattenere la giusta quantità di pasta; la sua rimozione inoltre consentiva il facile trasferimento del foglio sul feltro.

Abili artigiani realizzano i telai, muniti di sottili fili metallici, chiamati forme.

Abili artigiani stanno realizzando le cosiddette forme, telai muniti di sottili fili metallici che consentiranno al cartaro di prelevare dall’apposita tinozza la giusta quantità di pasta e, con abile gesto, dare forma al foglio.
Di Daderot (Opera propria) [Public domain o CC0], attraverso Wikimedia Commons

Nel momento in cui il cartaro sollevava dalla vasca la forma e la scuoteva in posizione orizzontale per facilitare una omogenea distribuzione della pasta, l’acqua sgocciolava permettendo in tal modo alla pasta di consolidarsi – processo di feltratura – e di originare lentamente il foglio molle di carta. La delicata operazione doveva essere eseguita in tempi molto brevi e con estrema precisione: la qualità del foglio, la sua regolarità, lo spessore uniforme venivano acquisiti in questi brevi istanti. Scolata l’acqua il foglio veniva collocato sopra un feltro, panno di lana assorbente che accelerava ulteriormente l’asciugamento. Intercalando fogli e feltri per un numero variabile di pezzi, commisurati alla disponibilità di mezzi di ciascuna cartiera, si ottenevano piccole cataste, anche queste come i folli chiamate poste, che venivano poi pressate per mezzo di un apposito torcolo chiamato lissaro, molto simile ad un torchio da stampa.

Le diverse operazioni che consentono di produrre i fogli di carta.

L’immagine mostra, a sinistra, la figura professionale più significativa, quella del cartaro. Immergendo la forma nella tinozza, costui preleva la giusta quantità di materia prima; con gesto preciso, scuote la forma per ottenere una distribuzione omogenea della pasta. Vicino al cartaro, un aiutante prende la forma e la porta all’addetto che, separato il foglio dalla forma, lo impila. I diversi fogli sono intervallati da panni di feltro, che accelerano il processo di asciugamento. La pila verrà quindi  pressata con un apposito torchio (a destra), chiamato lissaro, in modo da togliere il più possibile la quantità d’acqua ancora presente.
Di Daderot (Opera propria) [Public domain o CC0], attraverso Wikimedia Commons

Schiacciati adeguatamente e tolti dalla pressa, i fogli venivano lentamente staccati dai feltri. Per eliminare la restante umidità presente nella carta si procedeva alla sistemazione dei fogli su appositi stenditoi detti tendadori. Uno ad uno, piegati a metà, i fogli venivano collocati su lunghi fili di canapa tesi tra una trave e l’altra di idonei cavalletti. Anche questa fase della lavorazione era riservata alle donne e si svolgeva di solito all’ultimo piano della cartiera, in luogo ben aerato per facilitarne il processo. Nella cartiera di Battaglia nel 1621 i tendadori erano tre, sistemati in altrettante stanze al primo piano dell’edificio.

I fogli vengono sistemati sugli stenditoi.

I fogli di carta vengono stesi uno ad uno nell’essicatoio, che è posto nella parte superiore dell’edificio ed è opportunamente aerato. I fogli sono sistemati con cura e precisione, partendo dall’alto. Quando i fogli saranno perfettamente asciutti verranno staccati, impaccati e preparati per il trasporto.
Di Daderot (Opera propria) [Public domain o CC0], attraverso Wikimedia Commons

Ultima operazione la collatura, trattamento necessario per dotare la carta del giusto equilibrio di assorbimento degli inchiostri impiegati nella scrittura o nella stampa 73. La colla si ricavava dalla cottura in apposite caldiere di rame di sostanze tolte alla parte interna delle pelli animali, scarti delle concerie. Fu chiamata garavella in età tardo medioevale e nei secoli successivi carnuzzo o carniccio. A macellai, calzolai e pellettièri il compito di rifornire i cartai. Anche per ottenere la colla si seguivano ferree ricette al fine di non rendere opaco il candore della carta.

Al termine della lunga lavorazione non restava altro che piegare, imballare e spedire il prodotto ai cartolai nonché, a partire dagli ultimi decenni del XV secolo, ai tipografi e agli stampatori della città e del territorio.

Claudio Grandis

1909, canale Sottobattaglia.

Battaglia, 1909. Altra veduta del canale Sottobattaglia.
Cartolina.

NOTE

53) M. BLOCH, Avvento e conquiste del mulino ad acqua, in Lavoro e tecnica nel Medioevo, Bari 1977, p. 73-110. Per il caso Padovano, circoscritto alla città, si veda la recente messa a punto di S. BORTOLAMI, Acque, mulini e folloni nella formazione del paesaggio urbano medievale (secoli XI-XIV): l’esempio di Padova, in Paesaggi urbani dell’Italia padana nei secoli VIII – XIV, Bologna 1988, p. 277-330. Scarse comunque rimangono le conoscenze squisitamente tecniche di mulini, folli, segherie, magli e di altri meccanismi azionati dall’energia idraulica, diffusi nel nostro territorio. Per i mulini di Battaglia, diversi per caratteristiche costruttive da quelli galleggianti del Bacchiglione, si veda il contributo di G. ANTONELLO in questa pubblicazione. Sull’evoluzione del follo da panni diventato da carta si veda G. CASTAGNARI, Il lungo viaggio della carta, p. 107.
54) Stampa del NH. s.Alvise Mocenigo, p. 76 e 79.
55) V. ZONCA, Novo teatro di machine et edifici. 1607, a cura di C. PONI, Milano 1985, p. 94-95; Osservazioni intorno all’arte di fabbricare la carta dedotte da vari autori dell’Accademia R. delle scienze per la maggior perfezione delle cartiere negli stati di S.A.R. il sig. infante d. Filippo, duca di Parma, Piacenza, Guastalla, a cura di A. GASPARINETTI, Milano 1962. L’incisione contenuta nell’opera dello Zonca è con molta probabilità fedele riproduzione di un follo di Battaglia. I volti di copertura al piano terra dell’edificio, in essa raffigurati, erano necessari a detta degli esperti settecenteschi per una migliore “difesa dalla varietà del clima” e per non esporre i “fabbricatori” all’inganno del tempo: solo così la fermentazione non veniva “precipitata, né interrotta” (Osservazioni intorno all’arte, p. 35).
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56) A.S.P., Cartiere e stamperie, b. 1, c. 149r-156r. Per la fabbricazione della carta rinvio a: E. GRANDIS, Le materie fibrose per carta. Torino, Assoc. Cult. “Progresso Grafico” 1963, p. 156-159.
57) Osservazioni intorno all’arte, p. 17.
58) LAZZARINI, L’industria della carta, p. 45 e doc. I p. 49-50.
59) A.S.P., Cartiere e stamperie, b. 1, c. 143.
60) Ibidem, c. 13r, 62v, 83r e v, 89r-90r, 140r.
61) Stampa del NH. s.Alvise Mocenigo, p. 79. Lo stesso opuscolo di S. Alvise Mocenigo venne stampato in occasione di una controversia sul commercio degli stracci nel Padovano. Nel 1765 risposero con analoga pubblicazione i concessionari della cartiera con la Stampa compatroni de folli da carta alla Battaglia (copia in A.S.V., Deputati ed aggiunti alla provvision del denaro pubblico, b. 684).
62) Osservazioni intorno all’arte, tav. I.
63) FEDRIGONI, L’industria veneta della carta, p. 123. Per Battaglia un rapido esame della documentazione anagrafica conservata presso l’archivio parrocchiale, limitatamente agli anni 1660 – 1675, non ha dato alcun frutto in proposito, attesa la stringata nota biografica redatta dal parroco sui defunti sepolti in paese. Dall’analisi degli atti di morte emerge tuttavia una realtà singolare costituita dalle numerose presenze straniere, segno della vivacità economica di Battaglia e della strategica posizione dell’abitato, lungo l’importante arteria Padova – Monselice quotidianamente percorsa da viandanti, pellegrini e viaggiatori.
64) Osservazioni intorno all’arte, p. 30.
65) Ibidem, p. 35.
66) ZONCA, Novo teatro, p. 95 ; A.S.P., Cartiere e stamperie, b. 1, c. 149r-151r. Con il medesimo termine si indicavano anche gli alberi delle ruote dei mulini galleggianti.
67) ZONCA, Novo teatro, incisione di p. 94.
68) Osservazioni intorno all’arte, p. 50.
69) LAZZARINI, L’industria della carta, p. 44.
70) Stampa del NH. s.Alvise Mocenigo, p. 75. Da un confronto con la realtà industriale cartaria veneta del primo Ottocento, Battaglia rientra tra gli opifici di maggior dimensione. Dal censimento del 1818 risulta infatti la seguente situazione: 2 cartiere a Verona per complessivi 4 tini; 16 a Vicenza con 38 tini; 17 a Treviso con 42 tini e 2 a Belluno con 6 tini (FEDRIGONI, L’industria veneta della carta, p. 123).
71) A.S.P., Cartiere e starnperie, b. 1, c. 152v. Lo smergone è un vocabolo tipicamente padovano che si ritrova soprattutto nelle stime dei mulini a proposito della regolazione del flusso d’acqua che agisce sulla ruota.
72) GALLO, Il libro, p. 56; G. CALABRO, Carta, cartoni, in La tutela del patrimonio bibliografico: norme, problemi e prospettive. Atti del convegno 21 – 23/9/1984, “Provincia di Padova. Informazioni”, A. XIV, n. 14 (maggio 1985 ), p. 84.
73) Sulla qualità della carta numerose sono le testimonianze “in negativo”. Ma la cattiva qualità non doveva essere prerogativa solo di Battaglia se il celebre tipografo Aldo Manuzio (1450-1515) per le sue edizioni utilizzava esclusivamente la carta prodotta a Fabriano (M. DAZZI, Aldo Manuzio e il dialogo veneziano di Erasmo, Vicenza 1969, p. 52) e non quella commerciata a Venezia proveniente dalle cartiere vicentine e trevigiane (ASP., Cartiere e stamperie, b. 1, c. 69r e v; 277r-279v e sopra alla nota 41). Per la colla si veda, a titolo d’esempio: Ibidem, b. 1, c. 160v- b 3, c. 536r e MATTOZZI, Produzione e commercio, p. 22 nota 41. Per la qualità della carta nel Settecento vedi invece alle p. 42-44, 47-49, 51 e 68 del medesimo studio.

Copertina del libro: Battaglia Terme. Originalità e passato di un paese del Padovano.Claudio GRANDIS, “La cartera di pubblica ragione nella villa della Battaggia”  in Battaglia Terme. Originalità e passato di un paese del Padovano, a cura di Pier Giovanni ZANETTI, Comune di Battaglia Terme, La Galiverna, 1989, p. 53-72.

Nell’ultima parte, in cui viene descritta la fabbricazione della carta, sono state aggiunte alcune figure e le relative didascalie.