La fabbricazione della carta a Battaglia

L’avvento della bombasina sugli scrittoi di amanuensi e copisti del XV secolo costituisce sicuramente uno degli aspetti di maggior fascino nella storia della carta, atteso che proprio in questo secolo la stampa tipografica trovò in essa il mezzo migliore per un rapido progresso. Fino a che punto la carta soppiantò la pergamena nella redazione di testi scolastici, manuali e classici della letteratura? Studi dedicati alle biblioteche di giuristi, medici e vescovi, ci consentono di quantificare tale realtà 28. Dall’esame di alcuni di essi emerge che i libri erano indistintamente di carta bona (pergamena) e carta bombasina, con casi di singoli volumi realizzati dall’assemblaggio di entrambe 29. Nell’inventario dei libri del medico padovano Cristoforo Barzizza, redatto nel 1449, troviamo che su 62 codici descritti, dei 67 posseduti, 25 risultano in bombicina, 4 in papyro e i restanti 33 in carta capreti o membrana 30. Il vescovo Pietro Donato, invece, nell’elenco dei suoi 358 codici, allegato al testamento del 1447, annoverava alcuni volumi in papiro e in carta bombasina contenenti testi di diritto e una cronicha 31. A sua volta nel 1460 Francesco Alvarotti, giurista padovano, appare proprietario di 89 codici di cui 62 risultano equamente divisi tra pergamena e carta bombicina 32. Un altro giurista, Vittorio Dolce da Feltre, morto nel 1453, su 101 volumi posseduti ne aveva 32 in carta bombasina. Nell’inventario compare anche un commento di Benvenuto da Imola su Dante. Le successive registrazioni dell’opera in testamenti e inventari posteriori, evidenziano come la valutazione del materiale librario fosse a volte diversa da stimatore a stimatore; la descrizione del codice infatti, definito inizialmente in bona carta sine asseribus (in pergamena senza copertina), fu successivamente corretta tanto da apparire prima in bombice e infine in papyro 33.

La carta da stracci trovò impiego anche nella stesura dei libri liturgici. Molti gli esempi tra i quali un libellus ad baptizandum in bombicinis, ricordato in un inventarlo della chiesa cittadina di S. Fermo redatto da prete Biagio il 26 febbraio 1418; un elenco della chiesa di San Luca, compilato nel 1445, menziona invece un libro ad cantandum… in bambacino; un missale in bombicina è poi registrato a Cadoneghe nel 1461 mentre numerosi libri liturgici de papiro impressum sono presenti un po’ ovunque nelle parrocchie della Diocesi verso la fine del secolo XV 34. All’alba del secolo seguente ormai i testi stampati su carta bombasina costituiscono la parte predominante dei libri di una biblioteca, segno che il ‘fragile’ prodotto cartaceo aveva vinto la battaglia con la più “resistente” pergamena 35.

3. I SECOLI DELLA DOMINAZIONE VENEZIANA (XV-XVIII)

Prima di esaminare l’articolato rapporto tra proprietari e gestori della cartiera ci sembra opportuno analizzare un documento dell’11 gennaio 1407, redatto dal notaio Pileo del fu Antonio abitante nella contrada di Borgo Capelli 36, in quanto ci consente di conoscere l’origine, le condizioni e il regime di monopolio accordato alla cartiera di Battaglia e conservato, ad eccezione di piccoli ritocchi, fino al XVIII secolo. La stesura dell’atto seguiva di poco la vendita della cartiera avvenuta il 12 settembre 1406 per conto del Serenissimo Principe veneziano Michele Steno, da parte di Marino Caravello, Zaccaria Trevisan, Enrico Contarini e Marco da Molin rettori e provveditori di Padova a favore di Francesco Corner e dei fratelli Barbon e Bernardo Morosini.

Il documento dell’inverno 1407 stabiliva in primo luogo il divieto di costruire nuove cartiere per i cinque anni seguenti. Proibiva la conduzione, fuori del territorio padovano, di pecie (pezze) e garavelle (colle animali) senza specifica licenza. Consentiva lo smercio della carta oltre i confini provinciali solo nei casi di produzione eccedente e dopo che la domanda interna fosse stata interamente soddisfatta. Vietava a chiunque d’incanipare (ammassare) o tenere presso di sé a scopo speculativo stracci destinati ai folli di Battaglia, pena il pagamento di una sanzione pecuniaria stabilita secondo consuetudine. Ribadiva che le spese necessarie per il funzionamento e la riparazione della cartiera dovevano essere sostenute da proprietari e gestori, nel rispetto delle quote in atto da tempo. Consentiva il taglio di alberi, necessari per ricavare il legname da utilizzare nelle riparazioni dei pezzi deteriorati della cartiera, nei boschi della signoria. Proibiva il commercio nel Padovano di carta prodotta in luoghi diversi da Battaglia pena l’applicazione di pesanti sanzioni e il sequestro della carta contrabbandata. Obbligava i costruttori dei folli a rifornire la cancelleria podestarile della carta necessaria al prezzo stabilito, fissato in lire quattro di piccoli per i fogli di qualità finas floretum e mediam de fina nonché per alcune risme di mediam floretum; in lire undici di piccoli per la “reale” e infine in due lire di piccoli per i fogli ad squarzandum.

Battaglia Terme, interno dell'ex cartiera.

Battaglia Terme. L’interno dell’ex cartiera durante i lavori di ristrutturazione del fabbricato.
Raccolta: G. Bonafè

Il funzionamento della cartiera era dunque garantito dai privilegi riservati ai proprietari e produttori. Esclusiva di vendita, mancanza di concorrenza, protezione, assistenza e facoltà di reperire materia prima per il buon funzionamento dei folli e per la continua produzione della carta, si contrapponevano all’unico obbligo verso lo stato fissato nella fornitura a “prezzo politico” della carta necessaria ai pubblici uffici ed alle cancellerie. Del resto le norme sopra ricordate si ritrovano pari pari in tutte le riconferme della privativa seguite nel corso dei secoli XVI e XVII. In alcuni casi poi i divieti si fanno più specifici e circoscritti mentre l’unica norma che scompare riguarda la facoltà di prelevare legname dai boschi della signoria, un privilegio anzi che ben presto si trasformò in rigido controllo data la penuria di legna da costruzione, segno anche questo del lento e inesorabile disboscamento di molte aree della nostra provincia 37.

Il monopolio venne riconfermato più volte su esplicita richiesta di proprietari e cartai; 23 novembre 1503, 14 marzo 1530, 5 febbraio 1613 e 17 febbraio 1643 sono alcune delle tante date che scandiscono il rinnovo della privilegiata vita dell’opificio di Battaglia 38. In molti casi le date coincidono con le nuove investiture a favore di nobili veneziani, intenti a rilevare la gestione degli “edifitii da carta nel luoco della Battaglia, territorio di Padova, insieme con le case et con tutte le sue ragioni, habentie et pertinentie, et anco compreso la riva sino al fiume, cominciando dal moraro verso la favraria et continuando per quanto comprendono le fabbriche del follo, da casa insino alle fabbriche del molino” 39. Diverse poi le richieste degli affittuari: tra queste la durata del contratto, le modalità di pagamento, la garanzia delle forniture di materie prime (colla e stracci), il perfetto funzionamento dei folli – da stimare dettagliatamente prima della consegna – e la presenza dell’attrezzatura “mobile” per la fabbricazione dei fogli 40.

Le alterne fortune della cartiera registrano un momento di crisi nella seconda metà del XVII secolo. In una supplica datata 11 settembre 1676 diretta al Serenissimo Prencipe, Francesco Giambusi a nome dei sindaci, colleghi e scolari dello studio di Padova, lamentava l’insopportabile giogo del monopolio, che aveva permesso al cartaio Marco Sordina di “succhiare il sangue” alla città e ai forestieri e di arricchirsi con il commercio della carta tanto da permettersi la costruzione di due fabbricati residenziali. Padova di conseguenza era fatta “di conditione inferiore a tutte le città suddite del Serenissimo Dominio” poiché mentre nelle altre provincie vi erano “dieci e più cartari, in Padoa …, luogo pieno di scolari e di professioni” ove per “gloria della Serenissima Repubblica stampano libri”, ve ne era uno solo. Il Sordina, continuavano i ricorrenti, ‘vende carta pessima a prezzo rigorosissimo e se qualche lettore che stampa libri fa venir carta buona l’intercetta e minaccia far levar da torchi de stampatori li fogli. Siché prostrato, il vostro studio [Università] di Padoa implora solievo da questa oppressione, ordinando la Serenità Vostra che più d’uno, come nelle altre città, possi vender carta buona et al prezzo che si vende in Venetia, et altri luochi del Serenissimo Dominio. Aggiungono li proffessori che si come la Reggia Munificenza Vostra concede loro franchiggia del pane, vino et altro, così si degni ordinare che possino far portare a Padova carta non per mercantia, ma per istampar le loro opere. Sperano dalla pubblica clemenza questa gratia, la quale darà il lustro a tutto gl’altri privileggi dalla stessa conceduti loro”. L’istanza del Giambusi, fatta propria dal Doge e dal Capitano della città, venne accolta. Con ducale del 7 novembre successivo il monopolio di vendita venne abrogato. L’intenzione del Senato era favorire il libero commercio affinché ognuno potesse “vender ogni sorte di carta non solo da scriver, ma anco da stampa, così in questa città come nel territorio, purché sia di qualità buona e fabbricata dentro il Stato nostro” 41.

Il modo migliore per eseguire i controlli sulla provenienza della carta era porre in controluce i fogli ed esaminarne la filigrana, obbligatoria nella produzione tanto da costituire un vero passaporto per Il transito doganale. La filigrana come illustrato più avanti, si otteneva con un filo di metallo vanamente modellato, cucito e fissato sulla forma; dapprima costituita da una semplice croce assunse in seguito forme più complesse come animali, teste umane, ecc. Era situata di solito al centro della metà superiore del foglio, ma la si ritrova anche ai margini degli angoli. Charles Moïse Briquet nella Sua opera Les filigranes ne ha classificate secondo il soggetto ben 16.112: di queste solo trenta provengono con certezza dalla cartiera di Battaglia e si riferiscono unicamente al secolo XIV 42. L’esame della filigrana, utile per l’identificazione dell’origine della carta, e l’auspicabile stesura di un’attenta cronologia consentirebbero la datazione di molti documenti, disegni, manoscritti e stampe non datate. Anche l’invenzione della filigrana, come i folli per la triturazione degli stracci e l’applicazione esterna della colla animale, è unanimemente attribuita ai cartai di Fabriano.

Filigrane presenti nella carta prodotta a Battaglia nel XVII e XVIII secolo.

Esempi di filigrane presenti nella carta prodotta a Battaglia nel XVII e XVIII secolo.
Disegno: S. Fallido.

Nel corso del XVI secolo la carta prodotta a Battaglia era classificata nel modo seguente: – Carta Real; – Mezana; – Cancellaresca; – Fioretto; – Strazzo 43. Due secoli più tardi, al tramonto dell’opificio, la medesima produzione aveva assunto una diversa denominazione: – Corsiva ordinaria; – Corsivetta ordinaria; – da Scrivere fina, ordinaria e da navegar; – Lion fina; Reale sottile; – per far Sonetti; – de Manganeri 44. La carta era venduta a quinterni, una serie di cinque fogli giustapposti e piegati in modo da ottenere dieci carte o 20 pagine, oppure fornita in risme, un vocabolo di origine araba che indicava un preciso quantitativo, mediamente di 500 fogli. Tra il 1724 e il 1731, ad esempio, risulta documentato l’invio dalla cartiera di Battaglia al fondaco di Padova di 8.309 risme, cifra considerata irrisoria e non credibile per uno stabilimento di dimensioni medio grandi 45. In quegli anni una risma era composta da venti quinterni ed ogni quinterno a sua volta da venticinque fogli: in totale quindi la cartiera di Battaglia avrebbe prodotto annualmente poco più di 550.000 fogli e considerando una media annuale di 300 giorni lavorativi la produzione quotidiana doveva aggirarsi sulle 1.800 unità.

Anche i prezzi delle diverse qualità di carta furono più volte rivisti tra il XV e il XVIII secolo, in conseguenza dei reclami, delle proteste e delle lamentele sollevate nei confronti dell’opificio per la cattiva qualità del prodotto 46. La rivendita maggiore ed esclusiva era a Padova nel “fontico, over botega…” sotto il Palazzo della Ragione, riconoscibile per l’insegna “della croce rossa” situata all’esterno 47. A proteggere la produzione rimase il secolare divieto a daziari, scolari, nodali, spetieri, marzeri e altri “botteghieri di tutte le sorte” di condurre o vendere carta bombasina, over papiro d’alcuna sorte, e da scriver e da strazzo, e commun, e reale, che non sii fatta a folli della Battaglia”. Pene severe erano previste per i contravventori, così pure per chi smerciava o stampava libri a Padova con carta di provenienza straniera 48.

Un ultimo appunto sulla lavorazione degli stracci la cui raccolta nel 1720 era affidata a Nicolò Goldin per i distretti di Este, Montagnana e Castelbaldo; ad Antonio Marcolin per i comprensori di Battaglia, Monselice, Conselve, Arquà; a Stefano Marcolin e Domenico Petrazza per Bovolenta e a Giovanni Mattioli per il Piovese. Dal febbraio 1720 al giugno 1725 furono consegnate alla cartiera 926.163 libbre di cenci, pari a 279 tonnellate. Nello stesso periodo, racconta Lodovico Salieri per 20 anni fattore della cartiera per conto di Francesco Rusca, si lavoravano mediamente 45 miara (135,5 quintali) di “ strazze bianche sguazade nette” a condizione che la produzione prevedesse notevoli quantità di “carte grosse”; 120 miara (361 quintali) di “strazze fioretone e da carta da strazze sguazate nette”, sempre in condizioni normali. I cenci poi andavano depurati di strame, paglie, “strazze da panno, di mezza lana” e seta non adatti alla produzione, per complessivi 40 miari (120 quintali). Tutte le strazze erano lavorate in 4 tine, sebbene a disposizione ce ne fosse stata una quinta “che quasi niente lavora perché è sempre affondata e perché li folli non sono sufficienti”. La prima tina lavorava in “carta da scrivere et altri fornimenti che vengono fatti dalle strazze bianche” per una produzione media annua di 2500 risme (1.250.000 fogli); la seconda le “strazze Brunelle”: forniva mediamente 2200 risme di carta da stampa e le rimanenti due i “sortimenti che vengono dal Fioretone e dalle strazze nere” per una produzione di 5000 risme 49.

La liberalizzazione del mercato degli stracci nel Dominio Veneto avvenne nel 1727 50, quando già da alcuni anni operavano ai margini settentrionali della provincia di Padova due nuove cartiere, rispettivamente a Galliera e a Fontaniva. Tra il 1794 e il 1795 il Senato veneziano decise di alienare il “ius privativo” della cartiera. II decreto è datato 22 agosto 1795 mentre la stima dell’opificio, valutato dall’ingegner pubbico perito Alvise Giaconi 19.160 ducati, risale al 6 novembre 1798. Nell’ultimo scorcio dell’Amministrazione veneziana furono avviate opere di restauro per ripristinare i locali della cartiera e l’acquedotto del Magetto, tubazione che convogliava l’acqua del canale Battaglia al maglio, ubicato all’interno della cartiera, sottopassando la strada Padova-Monselice a nord dell’Arco di Mezzo. La necessità degli interventi appare evidente dalla lettura delle perizie di Andrea Sciotto e Simon Vidali, redatte rispettivamente il 14 dicembre 1781 e il 21 marzo successivo. Otto mesi dopo i lavori erano terminati, tanto che Paolo Renier con propria ducale del 28 novembre 1782 accordava il pagamento delle spese quantificate in 2692 lire.

Pianta della "cartera" di Battaglia del 1786.

Battaglia, 1786.
Pianta della cartiera rilevata da Andrea Sciotto. I fabbricati raffigurati a destra erano adibiti alla produzione della carta, mentre quelli a sinistra ospitavano gli alloggi dei lavoranti e i magazzini di deposito.
(A.S.V. – Revisori e regolatori delle entrate pubbliche in zecca, b. 641, c. non num.)

Ma il degrado dell’opificio veniva nuovamente evidenziato nella relazione di stima della cartiera redatta da Alvise Giaconi nel 1798 e ricordata in precedenza. Annota infatti il pubblico perito, dopo aver esaminato “le fabbriche e terreni contenenti l’abbitazioni dell’affittuale ed operari” e “le fabbriche e sotteranei dove esistono l’edifici e li murazi che fanno fronte al fiume”, che gli edifici presentavano “defezioni”, unitamente ai “coperti, muraglie, soleri, scuri” in parte mancanti e “marciti”. “Nella fabbrica dove sono l’edificij – continua Alvise Giaconi – è caduto un pezzo di muraglia, con un tratto di volto ed altro pezzo sta per cadere, sicché avendo in riflesso il luogo della pianta delle suddette fabbriche, soggette alle piene d’acqua” non possono lavorare per la “scarsezza d’acqua”. Il sopralluogo non si limitò ai soli edifici ma venne esteso anche alle “porte superiori, canalli, ruotte, melli, magi, pille, celindro e tutto ciò che ad uso dell’edificio suddetto andante, nonché stendidori per asciugar la carta e quanto altro appartiene alli suddetti edificii”. Qui venne rilevato che “li legnami… trovansi in gran parte pregiudicati” e che solo “una abondantissima ferramenta” era in buono stato 51.

Sulla fine della cartiera, sopraffatta dalle altre della Terraferma fiorenti e in continua espansione, scarse sono le notizie. Il Gloria nel 1862 a proposito della cartiera scriveva che “presso la cateratta ed i molini della Wimpffen è la contrada delle Chiodare ove nella casa Mincio esistevano anche negli ultimi tempi fabbriche di carta linea, che si estinsero per le crescenti torbide dell’acqua” 52.

Cartiera di Battaglia, proprietà e gestioni (1). Cartiera di Battaglia, proprietà e gestioni (2).

Proprietà e gestioni e, dal 1406, “patroni” e affittuari che si sono succeduti nella cartiera di Battaglia.

NOTE

28) Accanto alle raccolte private a Padova erano ben fornite anche le biblioteche conventuali, ove attiva era pure la copiatura di testi. Per la città cfr. B. PAGNIN, Le origini della scrittura gotica, Padova 1933, p. 24-38 e Della scrittura padovana nel periodo umanistico, “Archivio Veneto”, s. V, vol. XV (1934), p. 184-186, mentre per il territorio ricordo il caso del monastero di Praglia in: G. PENCO, Cenni storici. Dalle origini al 1448, in L’abbazia di Santa Maria di Praglia, a cura di C. CARPANESE e F. TROLESE, Milano 1985, p. 10.
29) SARTORI, Documenti padovani, p. 195; GARGAN, Lo studio teologico, p. 228, 250, 275; S. BERNARDINELLO, Sulla biblioteca di Gaetano da Thiene, lettore allo studio e canonico della cattedrale di Padova, in Viridarum Floridum. Studi di storia veneta offerti dagli allievi a Paolo Sambin, Padova 1984, p. 347.
30) P. SAMBIN, Cristoforo Barzizza e i suoi libri, “Bollettino del Museo Civico di Padova”, A. XLIV- 1955, p. 145-164.
31) SAMBIN, Ricerche per la storia della cultura nel secolo XV, p. 79-98.
32) M. BLASON BERTON, Una famiglia di giuristi padovani: Pietro, Giacomo e Francesco Alvarotti (Speroni) e la loro biblioteca di diritto (1460), “Bollettino del Museo Civico di Padova”, A. LIII – 1964, n. 2, p. 131-141.
33) L. MONTOBBIO, Vittorio Dolce da Feltre ( † 1453) e la sua biblioteca, “Bollettino del Museo Civico di Padova A. XLVI-XLVII – 1957-58, p. 169-194.
34) R. ZANOCCO, Per la storia della nostra diocesi. Gli antichi libri liturgici delle nostre chiese, “ Bollettino Diocesano di Padova”, A. XVIII – 1933, p. 234, 236, 450-451, 500 e 503.
35) SARTORI, Documenti padovani, p. 116.
36) Stampa del N. H. s.Alvise Mocenigo 5° K., e L.L.C.C. Al taglio, pubblicazione del XVIII secolo, post 1726, edita in occasione di controversia giurisdiziaria, p. 11-12, e inserita nella b. 1 dell’A.S.P., Cartiere e stamperie, c. 198r-214r. Il documento è pubblicato anche da LAZZARINI, L’industria della carta, p. 50-51, doc. II.
37) Il rigido controllo esercitato dalla Dominante sui boschi della Terraferma è stato ampiamente illustrato nella mostra allestita presso l’Archivio di Stato di Venezia nell’estate 1987. Per altre considerazioni rinvio al mio Uomini e Barche, navigazione e trasporto, in La Riviera Euganea. Acque e territorio del canale Battaglia, a cura di P.G. ZANETTI, Padova 1989, p. 133.
38) A.S.P., Cartiere e stamperie, b. 1, c. 143; Stampa del N H. s.Alvise Mocenigo, p. 13-16 e 25-28.
39) Stampa del NH. s.Alvise Mocenigo, p. 25.
40) A.S.P., Fraglie laicali diverse, b. 3, fasc. “Librai e stampatori 1664/1796”, c. non num.
41) Stampa del NH. s.Alvise Mocenigo, p. 30-32.
42) C.M. BRIQUET, Les filigranes. Dictionnaire historique des marques du papier de leur apparition vers 1282 jusq’eu 1600, Liepzig 19232. Le marche di Battaglia incluse dal Briquet sono tratte dall’opera dell’Urbani citata sopra alla nota 2. Dello stesso Briquet si vedano anche: De la valeur des filigranes da papier comme moyen de determiner l’âge et la provenance de documents non datés, “ Bullettin de la Societé d’Histoire et d’Archéologie de Genève”, I, 2 (1892), p. 15-28; La date de trois impressions précisée par leurs filigranes (Missel Rosenthal, les Neuf Preux du musée de Metz, vue de Lubek), “Bibliographe moderne”, A. IV, v. 2 (1900), p. 35-58.
43) Stampa del NH. s.Alvise Mocenigo, p. 13.
44) Ibidem, p. 67-69.
45) I. MATTOZZI, Produzione e commercio della carta nello stato Veneziano settecentesco. Lineamenti e problemi, Bologna, Università degli Studi, 1975, p. 27 nota 46. Il conteggio è eseguito sulla scorta di dati conservati presso l’Archivio di Stato di Venezia, nel fondo V Savi alla Mercanzia, che però non ho potuto verificare. L’impressione del Mattozzi è condivisibile sulla base di quanto afferma il cartaio Lodovico Salieri proprio negli stessi anni. L’autore tuttavia nel suo giudizio non considera la notevole quantità di carta diretta agli altri mercati periferici e, soprattutto, l’entità del prodotto verosimilmente inviato a Venezia. Sulla tipologia delle cartiere venete si veda A. FEDRIGONI, L’industria veneta della carta dalla seconda dominazione austriaca all’Unità d’Italia, Torino (Archivio storico dell’Unificazione Italiana – s. II, v. 14) 1966, p. 17-18.
46) A.S.P., Cartiere e stamperie, b. 1, c. 158r; Stampa del NH. s.Alvise Mocenigo, p. 13.
47) Stampa del NH. s.Alvise Mocenigo, p. 14.
48)  Ibidem, p. 18.
49) Ibidem, p. 64, 74-75. Nel sistema di misura veneziano 1 miaro corrispondeva a 40 miri, equivalenti a 25 libbre. Per pesare il cotone i veneziani usavano la libbra sottile il cui peso era pari agli odierni Kg. 0,301; di conseguenza 1 miaro = 301 kg. Sugli allagamenti provocati dalle brentane (piene) numerose sono le testimonianze, in proposito si veda: A.S.P., Fraglie laicali diverse, b. 3, fasc. “Librai e stampatori 1664/1796”, memoriale non datato inserto in una lettera del 1° giugno 1666; ID. Foro Civile, b. 205, C. 146v e 186r per
due interessanti perizie di Giacomo Savio del 23.11.1760 e 11.3.1761 a proposito di rotte che provocavano lo svuotamento del canale Battaglia, rendendo inoperosi gli “edifici” e impossibile la navigazione, e di opere idrauliche abusive che ostruivano il regolare deflusso delle acque.
50) MATTOZZI, Produzione e commercio, p. 24.
51) A.S.P., Cartiere e stamperie, b. 1, c. 186r, 173r, b. 3, c. 518r, 521r; proclama a stampa c. 529, 609r, 626r-627r, 628r, 630r, 633r. Copia dei provvedimenti sono conservati anche in A.S.V., Senato Terra, Aprile 1795 Quarta (filza non numerata), c. 339-335v.
52) A. GLORIA, Il territorio padovano illustrato, Padova 1862 [rist. anast., Sala Bolognese 1974], III, p. 110.