Cartiera di Battaglia, nuovi documenti

3. L’apparato produttivo della cartiera sul finire del XVIII secolo

Le manomissioni dei condotti, l’alterazione del salto d’acqua, la sottrazione della preziosa energia costituiscono il filo conduttore di una quotidiana contesa che mai ebbe fine sulle sponde del canale Battaglia e che anzi crebbe ancor più vivacemente all’indomani dell’abolizione del monopolio sulla carta padovana, come dimostra, ad esempio, il duro contrasto sorto per l’apertura di un nuovo foro in corrispondenza dell’Arco di Mezzo, richiesto per attivare una pila da riso; presentato al governo nel 1786 dagli stessi compatroni della cartiera venne vibratamente osteggiato dalla società commerciale Comici-Zucchetta tanto da finire due anni più tardi davanti al giudizio della Serenissima Signoria 27.

Battaglia Terme, l'Arco di Mezzo visto da via Terme.

L’Arco di Mezzo, ricostruito nel dopoguerra. Qui confluiscono i canali Battaglia (a sinistra della foto) e Bisatto (a destra) e da qui le acque dei due canali si riversano nel Vigenzone. È evidente la sporcizia, mescolata a rifiuti, che portata dall’acqua dei due canali continuamente si accumula in questo punto e che da sempre è un problema per il paese.
Foto: Alessandra Lanza.

La documentazione reperita particolarmente per gli ultimi due secoli consente di tracciare un profilo preciso della consistenza materiale dell’apparato produttivo, dei macchinari, delle attrezzature e dei fabbricati che le ospitavano. La cartiera di Battaglia lungo i quattro secoli di vita sotto la Dominante era diventata il più grosso centro produttivo di carta e cartoni, capace di mantenere in attività ben Otto folli per la macerazione delle strazze (stracci), un numero impensato in tutte le altre cartiere venete del tempo. Basta scorrere la lunga quanto preziosa “relazione riguardante la cartera della Battaglia” completata il 6 marzo 1795 dall’ingegnere Letter per rendersene conto. Lo «Stato attuale della cartera di pubblica ragione, situata in villa della Battaglia» — si legge nell’introduzione — presentava un articolato complesso edilizio, formato da vari corpi di fabbrica racchiusi tra la strada Padova-Monselice ad ovest, il canale Sottobattaglia (o Vigenzone) e il “Mulino dei Sei” a sud, la strada per Carrara a nord, sebbene in quest’ultimo caso più che un confine il tracciato segnava la divisione tra il corpo più antico, situato a meridione, dalle aggiunte posteriori affacciate alla banchina settentrionale. La superficie assommava a 3 quartieri e 54 tavole di campo padovano, l’equivalente di 3.145 mq attuali. Al piano terra del vasto complesso erano situati i folli, il cilindro, le tine, i torcoli, le casse di deposito per le paste, i magli per battere la carta, le caldaie e gli altri servizi utili alla cartiera e alla casa del direttore. I primi piani ospitavano il deposito delle strazze, i magazzini per la custodia della carta, gli alloggi e altro ancora, mentre al secondo s’aprivano gli ampi stenditoi della carta. Non mancavano nelle adiacenze degli ambienti produttivi anche le abitazioni dei capi delle maestranze che alla sospensione dell’attività, nel 1812, verranno affittate come normali unità abitative. A giudizio del Letter, tuttavia, nel generale le fabbriche erano «in assai cattivo stato, consumate dal tempo, ed in qualche sito poco meno che cadenti» pur con le debite eccezioni prontamente sottolineate. I continui allagamenti per le piene del fiume costituivano un grave pregiudizio per la «parte che si trovano in lavoro», e la loro frequenza, rilevava ancora il tecnico, era favorita dalla “somma bassezza’ dei locali posti al piano primo sottostrada, cioè nell’interrato del fabbricato, per meglio sfruttare il salto d’acqua generato dal dislivello dei due contigui canali. Tra allagamenti e pulizie se ne andavano mediamente tre mesi all’anno, riferì nella circostanza il direttore della cartiera Giuseppe Calappo, nell’informativa privo di paternità. Gli oltre trenta operai occupati percepivano comunque lo stipendio «anche nel caso d’inoperosità» aggravando ancor più i costi di gestione della cartera.

Pressa del XVIII secolo.

Pressa del XVIII secolo.
Di Père Igor (Opera propria) [CC BY-SA 3.0], attraverso Wikimedia Commons con modifiche.

Sotto il profilo energetico il complesso beneficiava di quattro bocchette di derivazione d’acqua che provenienti dalla sponda orientale del canale Battaglia, sottopassando la strada Padova – Monselice, entravano nell’opificio regolate da altrettante porte maestre in larice, unite da solida ferramenta e sorrette da stanti in rovere correnti entro un’apposita guida. Otto folli erano animati dalla vampa dell’acqua, ciascuno dei quali composto da un’articolata sequenza di pezzi metallici e lignei la cui puntuale denominazione in gran parte sfugge alla nostra immediata comprensione. Termini quali “canale con citella”, “smergone di legno”, “sua bastarda”, “melo con ruota”, “zapade di legno”, “gabbiazzi”, ecc. appartengono ad un glossario linguistico che l’evoluzione tecnologica ha da tempo sepolto. Da questo vocabolario emergono il fascino e la curiosità di cogliere la ricchezza e la varietà di meccanismi non più esistenti, visibili solo nei musei della tecnica o in quelli dedicati alla carta come nel caso di Fabriano in Italia e di Valchiusa in Francia.

Ciascun follo per la macerazione degli stracci trasportati con barche fluviali a Battaglia era dotato di un apposito canaletto ove una citella con lo smergone (il gradino di caduta dell’acqua che generava la spinta idraulica sulla ruota), lasciava sul fianco la bastarda, cioè il canaletto collaterale che scaricava l’eventuale eccedenza d’acqua, preziosa quando la ruota idraulica doveva essere fermata. Chiodi, lame di ferro, accessori diversi completavano l’arredo della canalizzazione nella quale s’immergeva la grande ruota idraulica colpita dal basso e sorretta da due “zapade di legno”, verosimilmente le robuste basi d’appoggio che sorreggevano i cuscinetti entro cui giravano per i mozzi del melo, l’albero centrale della ruota. Su quest’ultimo asse andavano ad agire le stanghe e i piloni che all’interno delle pile pestavano gli stracci. Chiodi e piastre — gettati in Valtrompia precisa il nostro informatore — si presentavano con spessori diversi, così da frantumare gradualmente le strazze vegetali. A differenziarsi dai medievali folli di macerazione era il cilindro “all’olandese” o “all’uso d’Olanda”, come si era soliti identificarlo, la cui installazione aveva costretto il direttore a forare un muro perimetrale, contiguo alla strada, per poterlo ospitare nel locale in cui l’aveva destinato. Nella fabbricazione della carta le tine piene d’acqua e poltiglia macerata ne erano il vero cuore: era qui che la pasta liquida ricavata dal continuo battere dei folli veniva raccolta dalle mani dei maestri cartai per trasformarsi in candidi fogli; era qui, ancora, che le maestranze più abili ostentavano tutta la loro capacità manuale nell’immergere le forme dai fili sottili trattenuti dai bordi di legno.

Setaccio che consente di dare la forma al foglio.

Il setaccio, costituito da un telaio in legno cui sono fissati sottili fili metallici, consente di dare forma al foglio. Proprio per questo prende il nome di forma. Immersa nel tino, la forma viene risollevata con la giusta quantità di pasta, che subito viene accuratamente livellata.
By {{{AUT1B}}} ({{{AUT1R}}}) [CC BY-SA 4.0], via Wikimedia Commons con modifiche.

Festa medievale di Monselice, produzione della carta a mano.

L’arte di fabbricare la carta a mano, uno delle attività rappresentate nella annuale festa medievale di Monselice.
Di Zyance (Opera propria) [CC BY-SA 2.5], attraverso Wikimedia Commons con modifiche.

I fogli ancora umidi una volta pressati sotto i torcoli venivano sfogliati dai panni di feltro e portati negli stenditoi, gli spazi areati dove teleri e corde li sostenevano per la definitiva asciugatura. La colla per la finitura dei fogli era preparata in due ampie caldaie di rame che, come precisa l’ingegner Letter, erano murate, verosimilmente per un miglior utilizzo e una più sicura stabilità 28.

Attrezzi, utensili, macchine azionate dall’acqua controllate da maestranze la cui anagrafe ci è restituita, proprio per quel fatidico 1795, da un memoriale inviato all’Avogaria di Comun dai Revisori e regolatori all’entrate pubbliche in zecca il 31 dicembre 1795, a seguito delle rimostranze avanzate da Giuseppe Calappo per la sottrazione d’acqua, avvenuta il 14 dicembre precedente, in grado di provocare la sospensione dell’attività nei giorni in cui egli era «partito dalla Dominante per restituirsi alla sua famiglia». Le trentatré persone «tutte necessarie all’andamento della cartera stessa» s’erano trovate nell’impossibilità di lavorare e di consegnare entro le scadenze contrattuali 800 risme di carta a Giovanni Cochi “carter alla Madonetta a S. Polo” nel cuore di Venezia 29. I loro nomi, seppur privi di uno straccio di identificazione anagrafica, val la pena riportarli qui di seguito poiché anch’essi sono parte di una storia che non può essere riservata solo ai nobili proprietari e agli abili direttori della cartiera. All’appello i diciannove operai rispondevano al nome di:
– Giuseppe Gatti,
– Giulio Zenari,
– Bernardo Bravo,
– Michele Cerolin,
– Francesco Niero,
– Lorenzo Niero,
– Giovanni (Zuanne) Cestari,
– Gaetano Gatti,
– Giuseppe Loro,
– Giovanni (Zuanne) Canogia,
– Giovanni (Zuanne) Coppo,
– Attilio Calappo,
– Giovanni (Zuanne) Peretto,
– Giovanni (Zuanne) Fontana,
– Vincenzo Rizzardi,
– Valentin Venezia,
– Paolo Mullo,
– Antonio Mineo,
– Giuseppe Vendramina.

Le dodici donne impiegate nella cartiera rispondevano a loro volta al nome di:
– Maria Venezia,
– Maria Bravi,
– Teresa Bravi,
– Angela Mineo,
– Anna Cestari,
– Paola Calappo,
– Anna Niero,
– Pasqua Calappo,
– Teresa Cerolin,
– Maria Grancieri,
– Teresa Forini,
– Betta Forini.

A conclusione di queste pagine ci sembra doveroso sottolineare come le figure di Giuseppe Calappo del fu Francesco, Giuseppe Menegazzi e Bernardo Minchio siano da considerare le principali protagoniste del definitivo tramonto della nostra cartiera. Come mostrano i documenti raccolti si tratta di personaggi ben diversi tra loro, che agiscono per ragioni altrettanto diverse in una delicata quanto turbolenta fase storica ove il tramonto dell’età moderna lascia spazio al debutto dell’avventura contemporanea. Se per il primo protagonista è l’attività produttiva ad essere prioritaria, per gli altri la cartiera è solo uno dei tanti complessi edilizi da far fruttare o sul quale investire capitali freschi per ricavarne vantaggi e guadagni immobiliari. Non a caso Bernardo Minchio è definito “possidente di Battaglia” allorquando i notai ne devono indicare la professione esercitata. Altrettanto è per il Menegazzi, seppur residente a Conselve.

La miglior qualità della carta da scrivere e da stampa prodotta fuori provincia fu indubbiamente la principale ragione che decretò la fine dell’attività produttiva a Battaglia. Ben prima della caduta della Repubblica vibrate proteste del mondo universitario patavino erano giunte sul tavolo dei magistrati veneziani a proposito della pessima qualità della carta, inadatta alla scrittura e ai torchi tipografici per il suo color bianco sporco provocato dal terriccio argilloso contenuto nell’acqua del canale Padova-Monselice. E nello stesso secolo XVII alla scadente qualità della carta di monopolio si contrapponeva l’ottima qualità dei fogli usciti dagli opifici animati dall’acqua di risorgiva, non soggetti ai periodici allagamenti cui era invece sottoposta la cartiera di Battaglia. L’inferiore prodotto della Riviera Euganea (giusto per ricordare qui anche un’altra Riviera cartaria oltre a quella di Salò sulla sponda bresciana del lago di Garda) trovava acquirenti sul mercato locale — ribadivano i critici — solo per il privilegio monopolistico che a lungo vietò ogni forma di concorrenza e l’immissione nel Padovano di carta prodotta in altri centri. La limpidezza delle sorgenti unita ad una maggior quantità di calcare presente nell’acqua furono elementi preziosi per il candore dei fogli (la candida prole degli stracci di lino, canapa e cotone). Come detto una condizione improponibile sulla sponda orientale della Riviera Euganea, tormentata dalle brentane (allagamenti) e segnata dal continuo trasporto di materiale solido (la così detta belletta ripetutamente ricordata dai tecnici del Censo austriaco nel 1826-27 a proposito delle esondazioni dei canali padovani). Anche la scelta di abili maestranze poco servì per migliorare una qualità che continuava a mostrare i segni evidenti di una condizione idrografica ed energetica impossibile a mutarsi, così che il tramonto del monopolio, contrariamente alle previsioni governative, costituì il punto di non ritorno e la fine di una secolare tradizione che aveva visto sfilare a Battaglia interessi e abilità sconosciute in ogni altra parte del Padovano.

Claudio Grandis

NOTE

27) ASV, Serenissima signoria − Fisco, processi, b. 38, fasc. 149, “Stampa delli NN.HH. Ser Antonio, e nipoti Grimani, e liti consorti contro la ditta Comici, e compagno. Affittuali della cartera alla Battaglia”, p. 1-10 e c. 15-30.
28) Ibidem, p. 9-31. L’originale perizia del Letter del 6 marzo 1795 è in ASV, Senato Terra aprile 1795 quarta, c. 356r-349r. L’altra stima redatta in contraddittorio, datata 20 maggio 1795, è alle pagine 52-62 dell’opuscolo di cui sopra alla nota 27. Un’altra perizia della cartiera venne elaborata dal pubblico perito Alvise Giaconi il 6 novembre 1798 (GRANDIS, La cartera di pubblica ragione, p. 62).
29) ASV, Serenissima signoria Fisco, processi, b. 38, fasc. 149 “Stampa delli NN.HH …”, p. 69-92. Sull’impiego di maestranze femminili rinvio a R. SABBATINI, L’occupazione femminile in cartiera: tra manifattura e industria, “Società e Storia”, n. 49 (1990), p. 547-565.

APPENDICE DOCUMENTARIA.

Padova 23 maggio 1815. Deposizioni giurate raccolte dal notaio padovano Antonio Fanzago di un gruppo di lavoratori residenti a Battaglia sulle opere, le ristrutturazioni, l’asporto degli attrezzi e le manomissioni attuate da Giuseppe Menegazzi di Conselve nella cartiera di Battaglia tra l’agosto 1812 e il 23 maggio 1815.

(Archivio di Stato di Padova, Notarile 11473, num. 2811).

Questo giorno di martedì 23 maggio 1815 / Milleottocento quindici / In nome di Sua Sacra Apostolica Imperiale R.M. Francesco I d’Austria.
Costituiti personalmente e volontariamente innanzi di me infrascritto pubblico notaio patentato da questo Municipio al numero 91, 4 novembre 1814 di C.U. ed in presenza de sottosegnati a me noti testimonii, li signori Vincenzo Caonero del fu Giuseppe falegname, Bortolo Pavan di Paolo muratore, Giovanni Menegatto del fu Marco carter, tutti domiciliati nella comune della Battaglia a me notaio e testii pienamente noti e cogniti, li quali per effetto di verità e giustizia depongono tutti i fatti seguenti assieme con Giovanni Gotti del fu Giovanni carter del luogo sudetto a me e testi noto.
Primo: che a S. Giustina 1812 sono rimaste in pien possesso del dottor Giuseppe Menegazzi di Conselve tutte le casette, e fabbriche aspettanti alla cartera della Battaglia di proprietà delli Veneti compadroni che prima erano dettenute dal fu Giuseppe Calappo del fu Attilio dalla Battaglia.
Secondo: che soltanto rimase chiuso l’edifizio della cartera, e la fabbrica d’abitazione del detto Calappo.
Terzo: che il detto Calappo esercitò il detto edifizio fino a S. Giustina 1812 che lo ha lasciato ed in esso esistevano tutti gl’attrezzi ed utensili ne’ rispettivi luoghi addetti al rispettivo uso per l’esercizio della cartera stessa lo stenditojo ossia standauro ed il lissaro, il quale ha permesso per due sole volte che il detto stendauro fosse usato per circa tre recite ad uso di teatro, trascorse le quali subito ritornava ad adoperarlo per uso della cartera.
Quarto: che soltanto nel 1813 furono alloggiati i militari nella casa ch’era d’abitazione del Calappo per circa giorni 20 / venti / e danneggiarono soltanto 5 / cinque / balconi ed un restello al foletto che da essi furono abbrucciati ne altre volte vi alloggiarono da S. Giustina 1812 in presente.
Quinto: che fin dal mese di agosto 1812 il signor Menegazzi fece demolire il magazzino che serviva ad uso della cartera, il cui legname parte lo impiegò nelli ristauri delle fabbriche addette a detta cartera, e parte lo fece trasportare a Bovolenta ed ha venduto i coppi alli signori Medoro, Manfiolo e Grimani, e ciò prima d’intraprendere alcun ristauro nei fabbricati.
Sesto: che a S. Giustina 1812 detto signor Menegazzi fece otturar li 22 balconi dello stenditoio, levando i scuri e del 1813 vi fece il pajolo, onde ridur detto luogo a granajo.
Settimo: che il detto Menegazzi da S. Giustina 1812 affittò le casette d’abitazione addette a detta cartera ed à riscossi gli affitti, ha ridotte due cartere terrene ad’uso di stalla per il di lui uso, ha ridotto lo stenditojo ad’uso di granaio coll’otturazione degl’indicati balconi avendoci costituiti 10 / dieci / balconi picoli ad’uso di granaio e lo affittò al signor Giuseppe Dalla Riva per granaio che lo dettiene tutt’ora ed a spese del suo subaffittuale Giuseppe Manfìolo ha convertito il locale delle strazze in una bottega da’ casolino ora da biavarolo ed il luogo interno ad’uso di carter, convertite, avendo anco due camere in un’entrata.
Ottavo: che a S. Giustina 1813 detto signor Menegazzi affittò il lizzaro a Domenico Zuccarin biavarolo da lui tuttora dettenuto per uso di magazen.
Nono: che di tutti detti locali da Pasqua 1813 fino in presente il detto signor Menegazzi ha sempre riscossi gl’affitti.
Decimo: che avanti la S. Pasqua 1813 il detto Menegazzi ebbe in assoluto possesso anco la casa che per abitazione era detenuta dal Calappo, e rimase in suo potere.
Decimo primo: che i ristauri occorrenti nei fabbricati non si sono aumentati dall’epoca di agosto 1812 fino in presente non essendosi maggiormente detteriorati ne per acque ne per altro motivo a riserva della breve indicata occupazione de’ militari che apportarono li pochi danni sopra esposti, e prontamente riparati.
Decimo secondo: che nel giorno 16 marzo 1814 tutte le macchine ed attrecci addetti all’edifizio della cartera esistevano nelle loro rispettive località, e pronti al relativo uso ma in detto giorno, e ne giorni susseguenti, il signor Menegazzi fece asportare dall’edifizio del primo follo, la Bastarda e Chioderia, le tapade di legno, li 5 / cinque / restelli, li 20 / vinti / pilloni, le 20 / venti / stanghe, li n° 5 / cinque / cabiazzi e sentiroli del secondo follo, la Bastarda e la Chioderia, li 5 / cinque / restelli, li 20 / vinti / pilloni con sua ferramenta, le 20 / vinti / stanghe e li 5 / cinque / cabiazzi, e sentiroli, dal terzo follo la Bastarda, e Chioderia, le tapade di legno, li 5 / cinque / rostelli, li 20 / pilloni, li cabiazzi e sentiroli, nel celindro la Bastarda, e Chioderia, li asegiari, il cabiazo e il celindro di ferro, e piastra con rocchello di legno, brazole, e vere ferro, nel follo inferiore al detto celindro le quattro / 4 / piastre ferro di altro follo, le quattro pille, li 8 / otto / pilloni e li 2 restelli e tutta la ferramenta del luogo del Maggietto, oltre tutti gli attrecci dei stenditoi, quali tutte macchine ed attrecci furono da esso fatti riponere parte nel tendauro superiore al magazino dettenuto dal Zuccarin, e parte dalla Canazza ne da detta epoca fino in presente furono più riposti nelli loro locali.
Decimo terzo: che parimenti alla detta epoca furono levati dal lissaro tutti gli attrecci a riserva dei due torchi, e furono portati nel luogo superiore.

Antico torchio per la pressatura della carta.

Antico torchio per pressare i fogli, in modo da togliere la gran parte dell’umidità (ricostruzione).
Di {{{AUT1B}}} ({{{AUT1R}}}) [CC BY-SA 4.0], attraverso Wikimedia Commons con modifiche.

Decimo quarto: che alla detta epoca il signor Menegazzi levò le due caldaie delli fornelli che dal villico Francesco Bottaro furono per di lui ordine tradotte in Padova dal calderer Giacon, e dopo detto luogo fu usato ad’uso di stalla, come si attrova al presente.
Decimo quinto: che dalla detta epoca di marzo 1814 fino in presente in detto edifizio e negl’altri luoghi non furono riposti li respettivi asportati capitali né nel detto edifizio fu praticato alcun uso o intrapreso alcun lavoro, o’ eseguito alcun ristauro, ma anzi detto edifizio rimase sempre chiuso, a riserva di piciola porta confinante colla strada detta la Calada, che per essere soltanto puntellato vi potè entrar e qualunque e sempre spoglio di detti asportati capitali, e ciò dalla suddetta epoca fino al giorno presente, avendolo li costituiti veduto più volte, e specialmente in questi ultimi giorni.
Decimo sesto: che per esser stati levati in detta epoca 16: marzo 1814, dal signor Menegazzi alle macchine delli tre folli esistenti nell’edifìzio li capitali ed attrecci suddetti ed il peso della ferramenta, colla quale erano tenute ferme nella loro nicchia tali macchine, ora si sono detteriorate, in modo che sono rese inservibili, essendo state disperse, ed altrove trasportate per il detto locale dalla forza dell’acqua che persino danneggiò li canali conduttori, e li pavimenti e fondamenta ora non rappresentando il detto edifizio che un luogo rovinoso, e ridotto incapace all’uso della cartera, quand’anche vi fossero riposti gli attrecci asportati.
Decimo settimo: che all’indicata epoca di marzo 1814 il detto edifìzio e locali annessi era ingombrato dal lezzo, che in detto mese, ne posteriormente fino in presente ne fu fatta levare parte alcuna dal signor Menegazzi, essendosi anzi aumentato posteriormente alla stessa epoca ed avendo vieppiù somerse, e specialmente danneggiate le machine rimasti delli folli, del celindro, e del maggietto.

Pila idraulica a magli multipli proposta da Vittorio Zonca nel 1607.

Pila idraulica a magli multipli, chiamata dall’autore pistogio. La macchina, azionata dall’energia idrica, serve a pestare gli stracci, così da ottenere la pasta con cui fabbricare la carta. La pila è formata da una vasca, rivestita di ferro o bronzo. I magli, collegati ad un albero rotante orizzontale e muniti di chiodi all’estremità, si alzano ed abbassano di continuo, sfibrando e spappolando il tessuto.
La figura è tratta dal libro Novo teatro di machine et edificii…, opera dell’inventore padovano Vittorio Zonca pubblicata nel 1656 (p. 94).
Di Paul K [CC BY-2.0] attraverso flickr con modifiche.

Decimottavo: che dalla detta epoca 16: marzo 1814 fino in presente il Menegazzi non fece in detto edifizio della cartera alcun lavoro, o’ ristauro, onde procurarne il suo andamento, ne v’impiegò capitale alcuno nella stessa non destinò persona alcuna per il suo esercizio, ma anzi fu dal medesimo del tutto abbandonato.
Decimo Nono: che dal giorno 16: marzo 1814, fino in presente sono avvenute due brentane di poca considerazione, le quali hanno mosse le macchine delli detti folli dalla loro nicchia per lo dichiarito motivo che vi mancava la ferramenta altrove dal signor Menegazzi asportata, ma queste brentane nè molto meno l’acqua proveniente dall’Arco di Mezzo possono asportare fuori del locale di detto edifizio le macchine stesse.
Tanto unanimi e concordi hanno dichiarato a me notaio e testii essere di piena verità ed a loro perfetta cognizione, pronti anzi a ciò notificare col loro giuramento ovunque fossero provocati.
Furono da me notaio detti costituiti cerciorati dell’importo del presente atto, e delle loro dichiarazioni e delle leggi, che lo risguardano promisero di uniformarvisi.
Il presente atto non viene firmato dalli detti Giovan Gotti, Vincenzo Caonero, Giovanni Menegoto per aver dichiarato come espressamente dichiarano a’ me notaio in presenza de’ sottosegnati testimonii i per non saper essi loro scrivere su di ciò io notaio infrascritto ne facio espressa menzione.
Fatto a Padova capo-luogo del Dipartimento Brenta, letto, pubblicato il present’atto da me notaio a detti comparenti colla continua presenza de sottosegnati testimonii, e di loro stesse a chiara ed inteligibile voce nel mio studio situato in contrada di S. Lorenzo vicino al Palazzo della Giustizia. Essendo presenti i signori Giuseppe Pendini di Feltre vivente di condizione impiegato ed Antonio Bosio del fu Bortolo benestante domiciliati il primo in contrada della Savonarola e l’altro in quella del Beato Pellegrino, ambidue di questa Comune.
Testimonii a me notaio noti, idonei, i quali si sottoscrivono unitamente a Bortolo Pavan assieme con me notaio non fìrmandosi li Gotti, Caonero e Menegoto suddetti per essere illetterati come superiormente ce lo dichiararono.

Bortolo Pavan afermo con mio giuramento.
Giuseppe Pendini fui presente testimonio.
Antonio Bosio fui testimonio.
Antonio Fanzago del fu Matteo notaio residente in Padova 6 rogato.

(Seguono gli estremi della registrazione del 2 giugno 1815 e l’annotazione del rilascio di una copia a Bortolo Pavan il successivo 30 giugno).

Copertina Terra d'Este n. 25.

Questo articolo è stato pubblicato nel numero 25 (gennaio-giugno 2003) della Rivista di storia e cultura TERRA D’ESTE, alle pagine 9-31.
Le immagini e le relative didascalie sono a cura di BATTAGLIATERMESTORIA.

In questo numero di “Terra d’Este” sono pubblicati i contributi degli studiosi che hanno partecipato al convegno “Tra manifattura e industria. Battaglia e l’area euganea nei secoli XIV-XVIII”, svoltosi a Battaglia Terme il 18 aprile 2004, per iniziativa del Comune di Battaglia Terme, Assessorato alla Cultura, con il contributo della Regione del Veneto, della Provincia di Padova e del Parco Regionale dei Colli Euganei.