Cartiera di Battaglia, nuovi documenti

Il contratto del 15 settembre 1719 offre numerose informazioni sulle modalità di gestione della cartiera che val la pena di esaminare in dettaglio. Dalla sua lettura rileviamo che al primo punto viene disposta formalmente la cessione “ad affitto perpetuo” degli «edifizi da foli da carta, posti, et esistenti nel loco della Battaglia territorio Padoano, insieme con le case e con tutte le sue ragioni, giurisdizioni, abenzie e pertinenzie, et anco compresa la Riva sino al Fiume, cominciando dal Moraro la Favraria, e continuando per quanto comprendono le fabriche del folo di carta insino alle fabriche del Molino e con tutte le ragioni d’acque», nonché di tutti gli altri diritti, esenzioni, immunità e comodità collegati alla conduzione degli impianti. Al momento della stipula, ricorda ancora il primo punto del contratto, la cartiera era condotta dagli eredi del defunto dottor Francesco Rusca, così che una volta lasciati gli impianti i nobili Capello sarebbero divenuti di fatto e di diritto «procuratori irrevocabili delli detti NN.HH. Consorti, padroni delli medesimi edifici da Folo» con possibilità riconosciuta di «tener, goder, affittar e disaffittar» la cartiera ad altri conduttori. Francesco Rusca era l’ultimo rappresentante della famiglia che aveva assunto la conduzione della cartiera nel 1621, giusto un secolo prima, subentrando a Iseppo Marsiliato: in quell’occasione l’antenato di Francesco (un altro Francesco) aveva incaricato il marangon Lodovico Spagnolo della Riviera di Salò di stimare in contraddittorio con Alvise Zanardi, cartaro della stessa provenienza salodiana, l’intero complesso di Battaglia provvedendo a descrivere in modo analitico l’intero complesso e il corrispondente valore di mercato 16.

Battaglia Terme, l'area occupata dall'ex cartiera vista da via Terme.

Il complesso degli edifici che erano adibiti a cartiera, visto da via Terme. A destra, la cartina con l’area che era occupata dalla cartiera e l’indicazione dei fabbricati interessati (elab.ne C. Grandis). In rosso, il punto da cui è stata scattata la foto.
Foto: Carmelo Donà.

Battaglia Terme, l'area occupata dall'ex cartiera vista dalla contrada Ortazzo.

Da sinistra: l’ex mulino della Società Veneta di Macinazione (S.V.M.), già dei Quattro; l’Arco di Mezzo, attraverso cui si riversano nel Vigenzone le acque dei canali Battaglia e Bisatto; gli edifici che erano adibiti a cartiera. La foto è stata scattata dalla contrada Ortazzo, dal punto indicato in rosso nella cartina (elab.ne C. Grandis).
Foto: Carmelo Donà.

Nel secondo punto del contratto troviamo invece le modalità di pagamento dell’affitto, fissato in complessivi 880 ducati, di cui 440 spettanti a Carlo Contarini in virtù dei 12 carati detenuti, cui sono pure riconosciuti altri 30 ducati a titolo di rimborso rateizzato per i miglioramenti apportati, per complessivi 470 ducati da pagarsi ogni sei mesi, anticipatamente. Dei 440 ducati 90 risultano girati al N.H. Polo Corner «per sue ragioni sopra li caratti dodeci». Nel contratto segue inoltre l’ulteriore ripartizione del canone calcolato per ciascun comproprietario sulla base della rispettiva quota tanto da formare complessivamente gli altri 12 carati, cui spettavano pertanto i rimanenti 440 ducati. Così come a Carlo Contarini, anche alle Dimesse di Murano i patti contrattuali riconoscono un’ulteriore rata annua di 6 ducati sempre per le migliorie apportate agli impianti per un ammontare pari a 100 ducati complessivi.

Una regalia di «mezza risma di carta da scriver di perfetta qualità all’anno per cadaun caratto alli detti NN.HH. consorti padroni di detti foli» s’impone al terzo punto del contratto, un’onoranza che, fatti i debiti conti, costava la fornitura gratuita di 6.000 fogli, atteso che una risma si compone di 500 pezzi. La restituzione e la successiva consegna degli impianti comportava la preventiva stima in contraddittorio. La procedura, praticata e usuale da secoli soprattutto per i mulini, discendeva dal bisogno di stabilire il più probabile valore di mercato dell’intero complesso, tenute presenti, soprattutto, le diverse componenti lignee (ruote, alberi, folloni, ecc.) e le numerose parti metalliche soggette ad usura e continua manutenzione, nonché bisognose di numerosi utensili che costituivano l’attrezzatura indispensabile per la fabbricazione della carta.

Pila idraulica che, pestando gli stracci, li riduce in pasta omogenea.

L’imponente macchinario è una pila idraulica che, battendo continuamente i magli sulla vasca contenente pezzetti di tessuto, permette di sminuzzarli sempre di più, sino a ridurli in una pasta omogenea. A destra, un contenitore in cui sono depositati gli stracci, già ridotti a pezzettini e pronti per essere triturati.
Di Daderot (Opera propria) [Public domain o CC0], attraverso Wikimedia Commons

Il quarto capitolo del contratto si ricollega al precedente, poiché riprende sia le modalità di nomina dei periti di parte, sia le procedure di liquidazione del “sopra più”, imponendo inoltre che la stima sia «posta in falda alla presente convenzione». Anche il quinto punto contrattuale ritorna sulla stima degli impianti e in particolare sull’eventualità che alla fine della conduzione Rusca il valore dell’opificio dovesse risultare inferiore alla stima elaborata al momento della consegna: in questo caso l’accordo disponeva che fosse rimborsata la differenza da parte degli eredi di Francesco Rusca. Che la consegna degli impianti comprendesse anche tutti i relativi privilegi ed esenzioni è ribadito dal punto numero sei del contratto, un capitolo che aggiunge inoltre il divieto per i compatroni di sollevare eventuali riserve per tutta la durata della locazione, con l’eccezione «del solo caso di difetto del pagamento delli affitti».

A garanzia dell’integrale rimborso delle spese sostenute dal procuratore di San Marco, Carlo Contarini — che nella trattativa agì in nome e per conto anche degli altri consorti — per i miglioramenti fatti apportare a sue spese alla cartiera, i contraenti Capello s’impegnarono ad assegnargli «gli affitti di uno o più stabili, fondi, o altro di loro ragione» in grado di rendere annualmente 235 ducati e in più — come conclude il settimo capitolo contrattuale — a «pagar le gravezze de loro foli» della Battaglia. Sulle modalità di smercio della carta e dei cartoni prodotti fino al 17 febbraio 1719 dagli eredi Rusca indugia il successivo capitolo che fissa espressamente la vendita e l’asportazione dai depositi di Battaglia nei quattro mesi successivi, quindi entro il 17 giugno 1719, stabilendo altresì che qualora i nuovi conduttori avessero optato per l’acquisto del prodotto finito e di quello semilavorato, sarebbe stata loro consentita una spesa massima di 2.000 ducati, poiché l’eccedente doveva comunque essere portato «fuori di Padova, e suo territorio, e dove paresse alli detti conduttori».

Gli ultimi tre capitoli, il nono, il decimo e l’undicesimo, ribadiscono le reciproche promesse di rispettare quanto pattuito; di consegnare copia del contratto siglato al Magistrato dei Beni Inculti «potendo in ogni tempo esser da cadauna delle parti ricercato ogni sufraggio del detto Eccellentissimo Magistrato», riconoscendo al tempo stesso la validità dei patti come se avesse ottenuto il laudo del Consiglio dei 40 Civil Novo; di demandare ad un accordo successivo la disciplina dell’affittanza dei tre caratti spettanti alle religiose dei monasteri delle Vergini di Venezia e delle Dimesse di Murano 17.

Il rinnovo del 30 aprile 1755 e la successiva proroga del 28 settembre 1764 si conclusero il 14 maggio 1772 allorquando ai Capello subentrò Carlo Comici. Essendo sorti vivaci contrasti, sfociati in un conflitto legale tra i Capello e i consorti della cartiera, il contratto del 14 maggio 1772 precedentemente approvato dal Senato il 28 marzo ebbe natura solo “provisionale” e stabilì un canone annuo di 927 ducati e 22 grossi, 48 ducati in più dell’affitto pagato dai Capello in precedenza, quasi che a rapportare la differenza si potrebbe individuare nell’aumento l’indice dell’inflazione corso a Padova nel mezzo secolo che separa il 1719 dal 1772, che a conti fatti supera di poco il 5%. Il contratto provvisorio era in vigore ancora nel 1779 quando, a seguito della morte di Carlo Comici, venne presentata all’ufficio dei Revisori e regolatori dell’entrate pubbliche in zecca un’istanza a firma di Giuseppe Venerando agente per nome della società commerciale Comici e Zucchetta, che nel frattempo aveva continuato l’attività, affinché fosse disposto il restauro delle «case di pubblica ragione rovinose e cadenti» così da assicurare sia il rispetto dei patti contrattuali sia l’incolumità dei lavoratori addetti alla pila, divenuta pericolosa per le condizioni in cui era ormai ridotta 18.

La gestione diretta della ditta commerciale “Eredi di Carlo Comici e Giuseppe Zucchetta” durò fino al 1776, anno in cui la direzione degli impianti passò a Giuseppe Calappo del fu Francesco. Il controllo e i rapporti istituzionali rimasero comunque intatti tra i vecchi proprietari e la ditta commerciale, che solo diciannove anni più tardi dovette lasciare definitivamente la conduzione della cartiera: a decretarne il rilascio fu la decisione presa dal Senato il 17 maggio 1794, che ebbe effetto pratico alla scadenza dei dodici mesi successivi alla sua adozione. Il 10 marzo 1795 la ditta accettò il rilascio della cartiera e di ogni diritto ad essa spettante: una decisione che indusse, prima dello scadere del 17 maggio 1795, i due Giuseppe Calappo a presentare a breve distanza di giorni l’uno dall’altro altrettanti memoriali al governo per assumere la gestione diretta della cartiera stessa. Giuseppe Calappo, quondam Attilio «servo, e suddito dell’Eccellenze Vostre, capo di lavorandi della cartera di pubblica ragione della Battaglia», si legge nell’istanza presentata ai Revisori e regolatori dell’Entrade Pubbliche in Zecca il 6 maggio 1795, a fronte della decisione presa dai conduttori Comici e Zucchetta, che avrebbe comportato il licenziamento dei «lavoratori d’essa cartara sudditi di questo Serenissimo Dominio, componenti circa 15 famiglie, ed abitanti in quel distretto» con conseguente perdita «dell’impiego in cui furono inniziati», tanto da rimanere disoccupati «o viver nell’ozio e miseria nelle loro famiglie», si offriva di «continuar a tener operativa essa cartera, e supplire a quel discretto affitto» che l’ufficio competente avrebbe quantifìcato. Il capo degli operai mirava ovviamente a salvaguardare anche il suo posto di lavoro almeno fino alla vendita dell’intera cartiera, decisione che verrà presa dal governo il 30 aprile 1795, e al subentro di una nuova proprietà. Nell’istanza di Giuseppe Calappo, quondam Attilio, si coglie in pieno la preoccupazione di un futuro incerto, di una prospettiva completamente mutata per le decisioni deliberate dal senato veneziano di rimuovere definitivamente il manto protettivo fino allora steso sull’attività, di un rischio concreto di veder finire una secolare attività proprio per la liberalizzazione del mercato; una preoccupazione alimentata anche dai ripetuti tentativi di vendita, miseramente falliti contro le ottimistiche aspettative delle magistrature centrali coinvolte nell’operazione.

Motivazioni ben diverse emergono invece dalla lettura della supplica proposta dall’altro Giuseppe Calappo, figlio del defunto Francesco, depositata al medesimo ufficio delle Entrade Pubbliche in Zecca il 13 maggio 1795. Il supplicante nelle premesse ricordò che una privata scrittura del 1776 gli aveva trasferito la conduzione della cartiera e che una sequenza di pesi e aggravi gli erano stati imposti sulla base delle stime peritali redatte nell’occasione. La professione alla quale s’era dedicato l’aveva pure indotto a potenziare gli impianti, «costituendo quattro tine da nuovo, piantando un cilindro ad uso di Olanda, e migliorando gl’attrezzi tutti con grave … sacrifizio borsuale» tanto da fargli spendere complessivamente 20.000 lire, «come da privati documenti risulta».

Pila a cilindro, introdotta in Olanda verso il 1670.

La pila a cilindro, introdotta in Olanda verso il 1670 (da cui: pila olandese). Questa macchina sostituirà la pila idraulica e via via si diversificherà per adempiere a diverse funzioni (olandese lavatrice, sfilacciatrice, mescolatrice, raffinatrice…).
Di Père Igor (Opera propria) [CC BY-SA 3.0], attraverso Wikimedia Commons con modifiche.

Giuseppe Calappo del fu Francesco rilevava poi che il suo omonimo «ingratamente retribuendo alle benefiche dimostrazioni», che gli erano state riservate in passato al punto da essere stato prescelto in «figura di capo de lavoranti, et interessato agli utili», s’era permesso d’inoltrare una supplica per ricevere in affitto provvisorio la conduzione della cartiera dimentico proprio del trattamento di favore che aveva ricevuto. Ricordando il proprio ruolo di «subaffittuale cui copre, et ha coperto per lo spazio non interrotto di anni 19, e per le circostanze (ben crede) degne d’un clemente sguardo sovrano», Giuseppe Calappo del fu Francesco supplicò con ragionevoli argomenti il rilascio della concessione per l’esercizio della cartiera, proprio a difesa e conservazione «de grandiosi capitali ivi esistenti, sicchè possa provedere all’esistenza di tante famiglie lavoratrici», garantendo nel contempo il loro impiego a fronte di un affitto congruo e di una garanzia (pieggiaria) che egli avrebbe provveduto ad assicurare, qualora le fosse stata richiesta nel “publico interesse”, e in attesa di eventuali future sovrane deliberazioni. L’istanza dell’ex subaffittuale fu accolta nello spazio di due giorni ma a condizione fosse prodotta la ventilata pieggiaria. E Giuseppe Calappo quondam Francesco «abitante nella villa di Galliera del distretto di Cittadella nel territorio di Padova» 19 puntualissimo il 15 maggio 1795 depositò alla magistratura competente il costituto con cui il negoziante veneziano Francesco Zanardelli assicurava la copertura dell’annuo affitto di 600 ducati e il mantenimento degli impianti, degli attrezzi e degli utensili «inservienti alla suddetta cartera che sono di pubblica ragione nella qualità, quantità, stato et essere in cui li verranno consegnati dall’affittuale presente». L’affittanza provisionale fu oggetto di apposita terminazione il giorno seguente e prese avvio il 18 maggio. Nel provvedimento i Revisori e regolatori dell’entrate pubbliche in zecca ribadirono in premessa l’insofferenza per le diverse aste di vendita andate deserte e giudicarono pertanto l’affittanza una soluzione tampone, nella momentanea attesa della soluzione definitiva, soluzione che vedrà uno sbocco conclusivo ben oltre la fine della Repubblica, sancita giusto due anni dopo con l’occupazione francese del maggio 1797 20.

Giuseppe Calappo del fu Francesco fu scelto al posto dell’omonimo figlio di Attilio, per la migliore offerta del canone d’affitto di 600 ducati contro i 380 del concorrente e in considerazione della necessità di preservare le «fabbriche, utensili et ogni altro effetto inserviente alla cartera sudetta da deterioramenti». L’affittanza escludeva tuttavia il diritto «privativo della fabbrica e della vendita della carta» e si sarebbe conclusa in caso di vendita della cartiera mediante un preavviso di tre mesi senza il riconoscimento di qualsiasi azione di rivalsa. Il valore dell’intero complesso fu riconosciuto in 25.674 lire e 14 soldi, così come l’aveva determinato il perito Pietro Antonio Letter; nella circostanza furono pure garantiti i quattro bocchetti pubblici di alimentazione delle ruote idrauliche, riportate negli elaborati che lo stesso ingegnere aveva provveduto a redigere per conto del magistrato veneziano. Modalità di pagamento delle rate, delle ragioni d’annullamento del contratto e disposizioni circa la pubblicità del provvedimento deliberato, completavano la terminazione dei tre Revisori e regolatori delle entrate pubbliche in zecca che a quella data rispondevano al nome di Antonio Vendramin, Pietro Zen e Nicolò Michieli. Il 20 maggio seguente venne redatta una nuova stima degli impianti che diversamente dalla valutazione dell’ingegner Letter quantificò in lire 28.052 e soldi 1 il valore di mercato della cartiera; nella circostanza i due concorrenti di nome Giuseppe Calappo vennero indicati nelle vesti di compagni, cioè di soci in affari 21. Gli eventi epocali che segnarono la fine della Repubblica e l’alternarsi dei governi francese e austriaco sino al definitivo assetto del 1814 fecero diventare l’affittanza provvisoria un contratto di lunga durata, tanto da concludersi solo il 7 ottobre 1812, quando alla gestione Calappo subentrò la funesta figura del dottor Giuseppe Menegazzi di Conselve.

Ad allungare la durata del contratto furono soprattutto le fallite aste di vendita della cartiera, più volte reiterate nel corso del 1772, del 1786 e del 1795, come attestano diversi carteggi sparsi in altrettanti fondi dell’archivio di stato veneziano. La vendita, decretata con il provvedimento del 29 settembre 1769, era finalizzata a sgravare lo Stato dalla quota detenuta, origine e fondamento legale del vitalizio degli 826 ducati e 4 grossi che abbiamo visto in precedenza riservati ai compatroni titolari dei 24 carati della cartiera. Alienando i propri diritti lo Stato veneziano avrebbe pertanto cessato l’erogazione annuale delle somme riconosciute a nobili e religiose 22. I documenti rimessi all’ufficio contabile mostrano per il 1795 come non vi fosse alcun interesse da parte di potenziali acquirenti d’investire i propri capitali nella cartiera di Battaglia e come lo sconforto dei proponenti alla fine giungesse a consigliare il Senato di optare per un affitto “d’anni 25 almeno”. Giusto per rimanere al 1795, la cronologia degli avvenimenti registra un primo tentativo di vendita nel maggio di quell’anno, un secondo nell’agosto successivo e un terzo quattro mesi più tardi, tutti miseramente ritirati per la mancanza di partecipanti, al punto da far sorgere nell’animo della dirigenza veneziana il serio dubbio che l’insuccesso potesse ascriversi al deterioramento degli edifici, oppure ad una riduzione del lavoro, o ancora ad una lesione dei “diritti e legittime azioni” della cartiera o, infine, ad una sottrazione delle acque, quindi — con linguaggio corrente — ad una mancanza d’energia motrice. Tutte limitazioni che dovettero giungere, seppur ovattate, agli orecchi attenti dei burocrati veneziani ma che per essere provate dovevano essere attestate all’autorità da una perizia tecnica. È così che assistiamo all’incarico conferito ancora al perito Letter, inviato a Battaglia con commissione del 7 febbraio 1796 proprio per controllare lo stato complessivo della cartiera; un incarico che nelle sue conclusioni estimative confermò lo stato precario degli impianti, degli edifici e delle derivazioni d’acqua, come del resto la dettagliata perizia dell’anno precedente già aveva adeguatamente evidenziato 23. Alle condizioni approssimative del complesso produttivo si aggiungevano anche altre ragioni in grado di tener lontano da Battaglia i potenziali acquirenti: tra queste, e buon non ultima, vi era l’agguerrita concorrenza degli imprenditori che sfornavano prodotti di migliore qualità dalle cartiere di recente attivazione sorte a nord della Provincia lungo la linea delle risorgive, come nel caso di Fontaniva, Galliera e Rossano (Veneto) 24.

Tinozza e torchio per carta a mano.

In primo piano, una tinozza che conteneva la materia prima per la fabbricazione della carta. Sullo sfondo, il torchio per pressare le forme che diventeranno fogli (ricostruzione).
Di {{{AUT1B}}} ({{{AUT1R}}}) [CC BY-SA 4.0], attraverso Wikimedia Commons con modifiche.

Tornando ai nostri conduttori, i veri produttori materiali della carta, credo di poter affermare “carte alla mano” che nella figura di Giuseppe Calappo del fu Francesco possiamo identificare l’ultimo vero imprenditore cartario di Battaglia. La sua resta una figura singolare, bisognosa di ulteriori approfondimenti biografici, anche per il dubbio che rimane in diversi documenti nei quali non è possibile stabilire se vanno riferiti al nostro gestore o piuttosto all’omonimo capo dei lavoratori della cartiera (il figlio del quondam Attilio), a sua volta discendente da una famiglia originaria di Piovene che nel XVII secolo risulta titolare di una cartiera sul torrente Astico 25. L’ascesa imprenditoriale e una certa spregiudicatezza fecero di Giuseppe Calappo da Galliera un personaggio di spicco nella zona, se in lui dobbiamo riconoscere quel sindaco di Battaglia ricordato da un isolato documento del 1808, e se ancora alla sua persona fanno riferimento le numerose lamentele provocate dalla continua manomissione abusiva dei livelli del canale «con danno della navigazione e degli altri opifici». Il più volte ricordato pubblico perito Pietro Antonio Letter — divenuto col tempo e col mutare dell’assetto politico amministrativo ingegnere capo della prefettura padovana — in una nota inviata al prefetto di Padova nell’agosto 1808 lo definì indisciplinabile e così restio al rispetto delle leggi che era persino inutile «adoperar contro di lui que’ valevoli espedienti, che abbino a centrarlo nelle discipline centuplicatamente infrante ed altrettante volte condonnate, con abuso costante di tanta indulgenza». Quant’è vicino alla realtà presente il lontano passato. Le continue denunce nei suoi confronti non sortirono effetto, e le interruzioni dell’attività molitoria, del traffico fluviale, con l’impossibilità di eseguire «li buttà nelle giornate e ore» prescritte di giovedì e domenica, continuarono a giungere sul tavolo del capo della Prefettura padovana. Giovanni Maria Dorotea e Francesco Romano, conduttori del maglio e della sega alla Battaglia, sono alcune delle tante voci di questo coro ininterrotto di proteste cui si aggiungevano quelle dei mugnai locali continuamente accese dalla reiterata manomissione delle canalizzazioni d’acqua, spesso operate “nottetempo” 26.

NOTE

16) ASP, Cartiere e stamperie, b. 1, c. 149-157.
17) Copia del contratto dei Capello con i consorti è in ASV, Serenissima signoria – Fisco, processi, b. 38, fasc. 149, c. 1-6.
18) Ibidem, c. 7.
19) Sui rapporti tra Giuseppe Calappo, i soci Carlo Comici e Giuseppe Zucchetta, e i nobili Capello, si veda nella Biblioteca Civica di Padova il manoscritto BP 123, 1 vol. num. 15, PIAZZA G. MARIA, “Allegazione per signori Giuseppe Zucchetta per la sua dita mercantile Comici e Zucchetta contro il signor Giuseppe Calappo” dell’agosto 1798, relativa alla conduzione delle cartiere di Fontaniva e Rossano Veneto. ASP, Notarile 7767, c. 159: il 25 giugno 1795 Giuseppe Calappo quondam Francesco, della villa di Galliera distretto di Cittadella, riconobbe alcuni debiti a favore di Abram Salon, titolare dell’omonima ditta assieme a Samuel del fu Jacob Salon, e in particolare una cambiale scaduta nel marzo 1795 per lire 2280 impegnandosi a pagare la somma in tre rate uguali di lire 760 l’una, la prima con decorrenza maggio 1796, la seconda nel seguente mese di agosto e l’ultima a dicembre 1796. Nella sua polizza depositata a seguito dell’indagine aperta dal Magistrato contabile (ASV, Revisori e regolatori delle pubbliche entrate in zecca, b. 650), Giuseppe Zucchetta si firma “abitante in Padova di professione venditor di carta”. Il costituto dello stesso Zucchetta a favore di Antonio Contarini del 5 marzo 1795 è in ASP, Notarile 8154, c. 16.
20) L’intero carteggio è riprodotto in un opuscolo a stampa collocato in ASV, Provveditori sopra beni inculti Processi, b. 430, p. 32-38.
21) Ibidem, p. 39-64.
22) È il decreto del 14 agosto 1765 a ribadirlo (ASV, Avogaria di comun Civil, b. 267, fasc. num. 18).
23) ASV, Savio cassier, b. 375, fasc. 222.
24) PANCIERA, Le cartiere del Veneto occidentale, p. 45-48.
25) ASP, Notarile 7082, c. 196-197. Originaria di Piovene, nel vicentino, dove possedeva una cartiera, la famiglia Calappo è presente a Padova già nel 1742, allorquando don Andrea Calappo, parroco di S. Giorgio di Padova, nonché cugino del Giuseppe Calappo figlio di Attilio, vendette con patto di retrocessione livellaria affrancabile ad una certa Giulia Bianchi, moglie abbandonata di uno sconosciuto Francesco, la “mettà d’un edifizio da fabbricar carta, del valore de ducati 4.564 e grossi 2, sive tanta portione del medesimo posto in Piovene, territorio vicentino, sopra il fiume Astico”, capace di rendere 40 ducati annui; nell’occasione, a garantire il buon esito dell’operazione, intervenne Attilio Calappo, zio del reverendo Giorgio, nonché padre del primo Giuseppe (ASP, Notarile 4362, c. 242). Giuseppe Calappo del fu Attilio il 29 aprile 1800 presentò istanza alla Nobile congregazione delegata alle acque per ottenere il riconoscimento di una concessione d’acqua utilizzata per l’irrigazione di un brolo, un’ortaglia e altri usi domestici a Battaglia, relativa ad uno stabile acquistato nel 1794, della quale non si riusciva più a trovare il titolo originario (ASV, Nobile congregazione delegata alle acque Investiture, b. 9, fasc. 43)
26) ASP, Prefettura dipartimento Brenta, b. 11, fasc. “Acque”, rubrica 10.