Cartiera di Battaglia, nuovi documenti

Nuovi documenti sulla cartiera di Battaglia
tra età veneziana e primo Ottocento

1. Un epilogo inatteso

Il 14 febbraio 1817 la Delegazione provinciale di Padova inoltrava alla Direzione del Demanio di Venezia la richiesta di Bernardo Minchio, del fu Gasparo e residente a Battaglia, intesa a convertire la cartera acquistata nel 1814 in due ruote da molino. Il successivo 25 luglio, pur rilevando la mancanza del titolo di proprietà, la direzione demaniale autorizzava la Delegazione provinciale ad accordare “l’implorata commutazione” demandando alla stessa, di concerto colla Direzione provinciale del Demanio, l’incarico di fissarne l’annuo canone, così da stendere «una provvisoria scrittura d’investita colla riserva di sottostar a quelle modificazioni e discipline che alla stabile sistemazione di questo ramo di Regio Diritto venissero dalla suprema autorità prescritte»; a fronte della concessione rilasciata imponeva infine che copia dell’investitura fosse rimessa alla Direzione centrale. La vicenda non si concluse entro i tempi ragionevoli dell’iter burocratico: pur chiudendo nell’ottobre 1818 la trattativa sull’ammontare del canone, che venne fissato in 40 lire annue, gli attenti funzionari dell’Intendenza Provinciale delle Finanze solo il 17 luglio 1845 (27 anni dopo) riuscirono a far sottoscrivere l’investitura definitiva a Bernardo Minchio, del fu Pietro, nipote dell’iniziale nonché omonimo richiedente nel frattempo deceduto 1. Dal punto di vista istituzionale e burocratico con la commutazione in mulino cessava ufficialmente la plurisecolare attività della cartiera di Battaglia cosi che l’iter burocratico sanciva di fatto l’eclissi di un’impresa produttiva che aveva avuto nel privilegiato regime monopolistico la possibilità di prosperare e di mantenere, almeno fino al 1765, una rendita di posizione grazie al tassativo divieto governativo d’impiantare nel Padovano altre cartiere 2. L’iniziativa di Bernardo Minchio chiudeva una stagione di duri contrasti e profonde trasformazioni, divenute irreversibili prima con la decisione presa dal governo della Serenissima il 14 agosto 1765 di alienare l’antico “iure belli” sulla cartiera di Battaglia 3 (cioè la quota spettante allo Stato veneziano nel consorzio con gli altri comproprietari, detti per l’appunto compadroni o compatroni) e poi con il successivo decreto num. 23.638 del 1° settembre 1810, deliberato dalla Direzione Generale del Demanio del Regno d’Austria di sciogliere il contratto precedentemente stipulato con gli stessi compadroni della cartiera.

Il possidente Bernardo Minchio acquistò l’intero complesso produttivo di Battaglia il 14 novembre 1814, battendo sul filo di lana la concorrenza del dottor Giuseppe Menegazzi, il virtuale gestore della cartiera, che l’aveva a sua volta presa in affitto sin dalla festa di S. Giustina (7 ottobre) del 1812, anche se il contratto venne stipulato solo il 5 dicembre successivo, per la locazione privata concessagli dal consorzio veneziano dei proprietari: una locazione funesta per le conseguenze che provocò in meno di due anni di durata e che continuò a sussistere ben oltre l’acquisto concluso da Bernardo Minchio. A cedere la cartiera per la notevole ma non elevata somma di 11.000 lire austriache furono gli ultimi discendenti di una nutrita schiera nobiliare che per mezzo di divisioni patrimoniali, successioni ereditarie, doti matrimoniali e lasciti testamentari, aveva raccolto nel corso dei secoli dell’età moderna l’originario investimento compiuto il 12 settembre 1406 dai fratelli Barbon e Bernardo Morosini in società con Francesco Corner del fu Federico, allorquando la gastaldia di Carrara, comprendente una posta di molino con quattro ruote e una posta di folli da carta, fu messa all’asta dal governo della Serenissima quale bottino di guerra sottratto agli sconfitti signori Da Carrara, gli spodestati principi di Padova 4.

Produzione della carta a mano. Incisione risalente alla seconda metà del XVI secolo.

L’incisione risale alla seconda metà del XVI secolo. Al di là delle finestre si intravedono le ruote che azionano la pila idraulica o follo, macchinario che consente di ridurre gli stracci in poltiglia. In primo piano, a destra, il “prenditore” che, immergendo il telaio nella tinozza contenente la pasta, dà forma al foglio. L’apprendista porta un pacco di telai sovrapposti ad un altro lavorante. Questi separerà i fogli dai telai, intervallandoli con lana o feltro. Le pile così composte verranno pressate utilizzando il torchio posto dietro al “prenditore”.
Di Jost Amman (Scansione dal testo originale) [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Nell’ufficio del notaio Agazzi, situato a Venezia nella parrocchia di S. Maria Formosa in calle della Cassellaria, il 14 novembre 1814 si presentarono di persona o rappresentati da legittimi procuratori Angelo Primo – detto Lorenzo – Giustinian Recanati; i fratelli Giorgio e Giovan Pietro Grimani Giustinian nelle vesti di rappresentanti della “Cassa di prededuzione Grimani Giustinian”; Tommaso Mocenigo Soranzo; i fratelli Antonio, Girolamo, Pietro, Luigi e Lorenzo figli ed eredi del defunto Giuseppe Solari; i fratelli Zan Andrea, Zan Alvise e Zan Filippo Raspi; Giovan Antonio Ruzzini e infine Giulio Ceregali quale legittimo erede di casa Foscarini, presente solo virtualmente perché in quel mentre assente da Venezia. Nella circostanza venne rilevata l’assenza del Demanio Statale quale titolare della quota (carati) confiscata nel 1806 alla soppressa compagnia delle Dimesse di Murano (cioè il convento femminile di S. Maria della Concezione), ma, stranamente, non fu fatta menzione della quota già detenuta dall’altro monastero agostiniano femminile delle Vergini, o S. Maria Nuova di Gerusalemme, di Venezia, che l’aveva acquisita prima del 1623 5 e che nel frattempo era stata confiscata in occasione della generale soppressione degli istituti ecclesiastici voluta da Napoleone nel 1806 e reiterata nel 1810.

Il compratore rilevava dall’antico sodalizio un complesso di fabbricati e una dotazione produttiva fortemente alterata negli ultimi anni, in cui la produzione cartaria era di fatto cessata. Una sequela di testimonianze rese davanti al notaio padovano Antonio Fanzago racconta infatti che tra l’agosto 1812 e il giorno stesso delle deposizioni, cioè il 23 maggio 1815, l’ultimo conduttore della cartiera, vale a dire il dottor Giuseppe Menegazzi di Conselve, aveva cessato l’attività produttiva licenziando tutto il personale impiegato, dato inizio allo smantellamento degli impianti e avviato una radicale ristrutturazione dei corpi principali dell’edificio. Più precisamente egli aveva alterato la struttura architettonica di alcuni locali al piano terra della cartiera, con la demolizione, ad esempio, del magazzino della carta trasportandone il relativo legname parte a Bovolenta e parte reimpiegandolo per i restauri delle fabbriche danneggiate della cartiera e in più dello stesso magazzino ne aveva venduto le tegole (coppi); aveva poi alterato il piano mansardato dell’edificio dove da secoli trovavano spazio gli stenditoi per asciugare i fogli. Se alcune abitazioni addette alla cartiera erano state affittate, un paio di altre casette adibite a laboratori erano divenute stalle per cavalli, mentre il locale delle strazze (stracci) aveva cambiato destinazione d’uso accogliendo una bottega da casolino. Lo stenditoio a sua volta era stato trasformato in granaio e delle ventidue ampie finestre, necessarie alla ventilazione dell’ambiente per una rapida asciugatura, sui lunghi fili di canapa, dei fogli usciti dalla prima pressatura, dopo averne asportato gli scuri dieci erano state sensibilmente ridotte e le rimanenti dodici completamente chiuse. Lo stesso locale poi, pur essendo stato sovente impiegato per le recite teatrali già prima dell’ottobre 1812, da quando era passato nelle mani del Menegazzi più non era stato utilizzato per la sua naturale vocazione, tanto che si poteva affermare senza alcuna smentita che l’antica destinazione d’uso era definitivamente tramontata. Ma non solo questi ambienti avevano subito radicali mutamenti. Sempre il Menegazzi aveva dato ordine di smantellare anche il cuore stesso della cartiera con la rimozione di tre folli adibiti alla macerazione degli stracci vegetali di lino, canapa e cotone, e con il loro trasporto nello stenditoio. Altrettanto era pure avvenuto per gli attrezzi del locale lissaro, dove venivano pressati i fogli usciti dalle forme stesi tra un feltro e l’altro, e per le caldaie dei fornelli riservate alla cottura del carnuzzo (il carnìccio) impiegato nella collatura dei fogli, l’operazione finale che rendeva la candida prole dei fogli di carta idonea alla scrittura.

Collatura e pressatura dei fogli per migliorarne la qualità.

La carta prodotta a mano viene ulteriormente lavorata per migliorarne le qualità (resistenza, flessibilità, morbidezza, colore…) attraverso l’immersione in una soluzione di gelatina. I fogli saranno quindi nuovamente pressati.
Di Diderot et d’Alembert (Gallica) [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Il panorama desolante che il notaio Fanzago raccolse dalle voci seriamente preoccupate del falegname Vincenzo Caonero, del fu Giuseppe, del muratore Bortolo Maran, dei carteri Giovanni Menegatto e Giovanni Gotti tutti residenti a Battaglia, ci presenta un ambiente in cui la carta più non era prodotta e dove i macchinari risultano in totale abbandono. Una situazione che si era venuta a creare in brevissimo tempo, all’indomani dell’affidamento della cartiera al nuovo gestore che la rilevò per l’appunto nell’agosto 1812, pur iniziando il contratto dal 7 ottobre, festa di Santa Giustina. Al momento del subingresso ai precedenti gestori, vale a dire i due Giuseppe Calappo (un’omonimia che più avanti spiegheremo e che per varie ragioni induce a considerare questi cartai gli ultimi veri produttori di Battaglia, nonostante l’immagine negativa dipinta dall’autorità provinciale a seguito dei numerosi esposti presentati dai conduttori dei vicini mulini, della sega e del maglio situati ai lati della cascata dell’Arco di Mezzo), il dottor Giuseppe Menegazzi aveva davanti ai suoi occhi un complesso produttivo che seppur obsoleto, bisognoso di restauri e superato produttivamente dalla concorrenza delle altre cartiere venete del Vicentino, del Gardesano, del Trevigiano, della valle del Brenta (Oliero) e dei nuovi impianti di Rossano (Veneto), Fontaniva e Galliera 6, era tuttavia ancora in grado di mantenere una sua quota nel mercato locale, di occupare più di trenta operai e di produrre quantità rilevanti di carta e cartoni.

La cartiera. Immagine didattica realizzata per la scuola di Zlatà Koruna (Repubblica Ceca).

Questa immagine didattica, realizzata per la scuola di Zlatà Koruna (Repubblica Ceca), istituita nel 1772, raffigura in modo essenziale l’attività di una cartiera.
A destra, la ruota che, mossa dall’acqua, mette in funzione la macchina che frantuma gli stracci, materia prima da cui si ricava la pasta.
Piano superiore. A sinistra: nel tino contenente la pasta il “prenditore” immerge un telaio munito di un graticcio molto fine, chiamato forma, su cui si deposita il materiale che costituirà il foglio. I diversi fogli, separati dal graticcio e sgocciolati, vengono sovrapposti, intervallati da lana o feltro, e quindi pressati al torchio per togliere l’acqua in eccesso. Sulla destra, l’essicatoio. I fogli, perfettamente asciutti, vengono impaccati e infine preparati per il trasporto.
Di Anonimo (http://www.ckrumlov.info/img.php?img=1937&LANG=en) [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Gli eventi dei mesi successivi, come l’alloggio offerto per tre settimane ad un gruppo di soldati, i danni non rilevanti provocati ai restelli (le griglie di protezione situate a monte delle ruote idrauliche), ad alcuni infissi esterni e le ripetute, seppur contenute, brentane della primavera del 1814, rientravano appieno nel trend stagionale che da secoli la cartiera conosceva e di certo non giustificavano in alcun modo l’abbandono dei fabbricati e il fermo degli impianti. La scelta del Menegazzi fu invece precisa, mirata da un lato ad una riconversione produttiva della cartiera, per usi che rimangono oscuri e dall’altro ad un riuso degli ambienti per scopi, funzioni e usi all’epoca verosimilmente considerati ben più redditizi per un impresario che — alla luce dei dati raccolti — con la cartiera non aveva poco o punto alcuna confidenza. Non si spiegherebbero altrimenti le rimozioni e la vendita di oggetti insostituibili per il ciclo produttivo della carta, come per esempio i folli da macerazione e le caldaie, o il generale abbandono in cui venne lasciato l’edificio interrato «ingombrato dal lezzo, né mai ripulito» tanto da permettere la sommersione e il danneggiamento delle macchine dei folli, del cilindro olandese, degli attrezzi degli stenditoi e del maggietto 7.

2. Proprietari e conduttori. La gestione della cartiera nell’ultimo secolo veneziano

Lo smantellamento della cartiera per opera di Giuseppe Menegazzi e la successiva richiesta di commutarla in mulino, inoltrata dal nuovo e unico proprietario Bernardo Minchio, costituiscono l’epilogo di una storia iniziata quasi cinque secoli prima, allorquando, come narrano i Cortusii nella loro cronaca, Ubertino da Carrara (signore di Padova dal 1338 al 1345) nel 1339 prese l’iniziativa d’insediare a Battaglia una piccola cartiera, verosimilmente per soddisfare autarchicamente il fabbisogno di carta che quotidianamente le cancellerie cittadine richiedevano.

Le fasi centrali della produzione della carta.

La figura mostra le fasi centrali che portano alla realizzazione della carta a mano. A destra, il maestro cartaio immerge il setaccio (forma) nella tinozza contenente la pasta. Un lavorante impila i setacci, portandoli poi a chi, con perizia, toglierà i diversi fogli, che verranno sovrapposti. Ciascun foglio sarà inframezzato da un panno di feltro o lana. Ogni pila verrà quindi pressata, al fine di togliere il più possibile l’umidità, operazione che sarà completata con l’essicazione.
Di sconosciuto [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Sono note da tempo le linee generali della storia plurisecolare della nostra cartiera, della peculiarità degli impianti nel quadro regionale, della singolarità del regime monopolistico in cui operò dal 1406 al 1765, anche se molti aspetti legati ai titolari, ai conduttori, all’organizzazione tecnica e imprenditoriale attendono ancora un ulteriore approfondimento 8. Negli ultimi anni indagini mirate mi hanno permesso d’individuare un nutrito quanto disperso carteggio che, particolarmente dalla seconda metà del XVI secolo s’infittisce sensibilmente all’indomani della decisione presa dal Senato il 14 agosto 1765 di «redimere il publico e privato interesse dal grave pregiudizio che ne rissente per il jus privativo concesso in passato alli compatroni dei folli da carta esistenti alla Battaglia nel territorio di Padova» 9. Son documenti che per essere adeguatamente illustrati richiederebbero uno spazio ben più ampio di quello che queste pagine possono offrire, poiché si tratta di testimonianze in grado d’illustrare la complessità di una gestione tanto singolare quanto unica nel panorama produttivo dell’età moderna, dove i protagonisti appartengono a pieno titolo alle casate più illustri del Senato Veneto. Proprio per la ricchezza documentaria raccolta ritengo tuttavia più interessante soffermarmi sull’ultimo secolo, di certo il meno indagato ma non per questo il meno affascinante per la storia della cartiera di Battaglia, vista la proliferazione degli impianti che in questo arco di tempo si registra nelle altre province dell’intero Veneto.

Nell’intenzione di svecchiare un’economia incancrenita da privilegi di stampo medievale, da privative e monopoli diversi 10, Venezia al giro di boa del XVIII secolo iniziò a sfornare non pochi provvedimenti al fine di eliminare gli antichi jus esclusivi nella speranza di giungere all’approdo della completa liberalizzazione sia dell’imprenditoria, sia dell’attività produttiva. Un’iniziativa che da subito dovette fare i conti con le rendite parassitarie di un nutrito stuolo di privilegiati e che fu possibile attuare solo garantendo agli ex titolari dei benefici un vitalizio pari a quanto mediamente essi introitavano dall’esercizio del diritto che s’intendeva revocare. Nel caso specifico della nostra cartiera i periti stimarono la rendita annua “netta da decime e soldo per lira” in 826 ducati e 4 grossi, pari a 5122 lire, 3 soldi e 4 denari, e per assicurare una simile rendita annua il governo si trovò costretto a decretare il 29 novembre 1769 l’imposizione di «un discreto dazio sopra la carta tutta in qualunque luogo lavorata ch’entrerà per uso, e consumo, nella città e territorio di Padoa» 11, così com’era già avvenuto nella provincia bellunese. Ma chi erano allora i compadroni della cartiera e chi concretamente la dirigeva? La ripartizione della rendita, cioè gli 826 ducati e i 4 grossi, consente di fotografare l’anagrafe esatta dei possessori e di conoscerne i veri conduttori materiali. La ripartizione delle quote, com’era allora in uso, prevedeva la suddivisione in 24 carati, carati che il contratto d’affitto concluso mezzo secolo prima, cioè il 15 settembre 1719, con i nobili Capello 12 così ripartiva:

Cartiera di Battaglia, ripartizione rendita.

Al momento dell’accordo raggiunto con il governo nel 1766, le quote avevano parzialmente cambiato intestatari così che le due maggiori risultavano essere detenute dai nipoti e pronipoti di Lorenzo Grimani, in assoluto una delle più ricche famiglie veneziane, e da Girolamo Giustinian congiuntamente ai suoi fratelli. Due carati erano rimasti nelle mani rispettivamente di Tomà Mocenigo Soranzo, di Francesco Tomà Mocenigo Soranzo, Iseppo Solari, Pietro Gradenigo con i fratelli, Francesco Raspi e il venerando monastero delle Vergini rappresentato per l’occasione dal procuratore Francesco Todeschini, l’avvocato veneziano che 1’8 maggio 1772 acquisterà dal governo, in occasione dell’asta pubblica espressamente bandita, l’ex monastero di San Daniele in Monte di Abano 13. Un carato infine era ancora nelle mani dell’altro monastero, quello delle Dimesse di Murano. Una quota inferiore al carato spettava infine, solidalmente, a Giovanni Antonio Ruzzini (Secondo) e alla nobil donna Chiara Foscarini 14.

Il consorzio dei compatroni accolse la proposta del vitalizio di 826 ducati e 4 grossi con un proprio costituto 1’11 dicembre 1766, rinunciando pubblicamente alla privativa e rimettendola definitivamente nelle mani del Serenissimo Dominio il quale, dopo una serie di verifiche fiscali, la fece propria con decreto del 29 novembre 1769. Ad allungare i tempi della ratifica erano stati i contrasti con Vincenzo Capello, che nella veste di tutore e curatore del padre Andrea doveva al consorzio la somma di complessivi 928 ducati per l’affitto della cartiera. I nobili Capello l’avevano infatti presa in gestione con il sopra ricordato contratto del 15 settembre 1719, rinnovato il 30 aprile 1755 e prorogato ulteriormente il 28 settembre 1764, fino a riconsegnarla il 14 maggio 1772. Il contratto del 1719, articolato in undici punti, chiudeva innanzi tutto una vertenza aperta presso il magistrato dei Revisori e regolatori dell’entrate pubbliche in zecca, che vedeva contrapposti da una parte Carlo Contarini, procuratore di San Marco, figlio del defunto Andrea, unitamente agli altri consorti titolari di quote della cartiera, ivi comprese le monache del monastero delle Vergini e quelle delle Dimesse di Murano, e dall’altra i nobili fratelli Lorenzo, Girolamo e Vincenzo Capello, figli del defunto Andrea. I fratelli Capello al momento di assumere la gestione degli impianti di Battaglia, ottennero dal governo veneziano anche l’investitura, rilasciata il 24 settembre dello stesso anno, per la commutazione in cartiera dell’edificio da polvere situato a Fontaniva in contrà Zolea (Zaea nella terminazione), andato a fuoco nel 1717 15.

NOTE

1) Il carteggio dell’intera vicenda è conservato nell’Archivio di Stato di Padova (d’ora in poi ASP), Intendenza di Finanza Serie II^, b. 9, fasc. 563.
2) Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi ASV), Avogaria di comun Civil, b. 267, fasc. num. 18, doc. dell’11 dicembre 1766 che richiama il decreto del 14 agosto 1765.
3) ASV, Notarile − Atti, b. 345, atto num. 601 del 14 novembre 1814.
4) V. LAZZARINI, L’industria della carta nel padovano durante la dominazione carrarese, in Scritti di paleografia e diplomatica, Padova 19692, p. 39-40.
5) ASV, S. Maria delle Vergini, vol. 1 (Catastico), c. 325r.
6) Sulle cartiere del Veneto, la loro diffusione si veda il riepilogo in W. PANCIERA, Le cartiere del Veneto occidentale (1550-1850 ca), apparso in Cartai e stampatori in Veneto, a cura di G.L. FONTANA ed E. SANDAL, Brescia 2001, p. 37-53.
7) ASP, Notarile 11473, num. 2811. Devo la preziosa segnalazione alla squisita cortesia di Francesco Liguori che qui ringrazio vivamente. Il documento è pubblicato qui nell’appendice documentaria.
8) Sull’origine della cartiera rimane ancora prezioso il datato lavoro di LAZZARINI (L’industria della carta nel padovano) cui ora vanno aggiunte le puntuali precisazioni di G. CAGNIN, L’avvio e lo sviluppo dell’industria della carta a Treviso nel Medioevo, in Cartai e stampatori in Veneto, p. 25-36. Per un breve inquadramento del periodo successivo mi permetto di rinviare al personale lavoro apparso nel 1989: C. GRANDIS, La cartera di pubblica ragione nella villa della Battaggia, in Battaglia Terme. Originalità e passato di un paese del Padovano, a cura di P.G. ZANETTI, Battaglia T. 1989, p. 53-72.
9) ASV, Avogaria di comun − Civil, b. 267, fasc. num. 18, documento dell’11 dicembre 1766. Nel 1989 scrivevo che sulla fine della cartiera poco si sapeva visto che i dati raccolti erano stati usati per il lavoro indicato alla nota precedente; le nuove esplorazioni archivistiche, che qui presento, offrono una puntuale risposta di nomi e dare certe per l’ultimo secolo di vita della cartiera, così che ora è possibile conoscere nei dettagli l’ultima stagione della secolare manifattura.
10) B. CAIZZI, Industria e commercio della Repubblica Veneta nel XVIII secolo, Milano 1965, p. 175-180; M. INFELISE, I Remondini di Bassano. Stampa e industria nel Veneto del Settecento, Bassano del Grappa 1980, p. 49-59.
11) ASV, Avogaria di comun − Civil b. 267, fasc. num. 18, documento del 29 novembre 1769.
12) ASV, Serenissima signoria − Fisco, processi, b. 38, fasc. 149, che conserva due copie del contratto Capello.
13) A. GLORIA, Il territorio padovano illustrato, Padova 1862, II, p. 37; F.A. BARCARO, San Daniele in Monte ed Abano dal Mille ad oggi, Padova 1986, p. 57-58.
14) ASV, Avogaria di comun − Civil, b. 267, fasc. num. 18, documento del 31 marzo 1772.
15) ASV, Serenissima signoria Fisco, processi, b. 38, fasc. 149. La concessione del 1719 è in ASV, Provveditori sopra beni inculti, b. 396, riepilogata nel Catastico dei Provveditori a c. 63v. Sulla vicenda si veda anche quanto scrive I. MATTOZZI, Investimenti aristocratici nelle cartiere venete: che ruolo nella espansione produttiva?, in Produzione e commercio della carta e del libro. Sec. XIII-XVIII, a cura di S. CAVACIOCCHI, Firenze 1992, p. 269-278.