La bonifica del “Retratto di Monselice”

Se la storia qui riassunta è nota da tempo, altrettanto non di può dire per la reale estensione della superficie interessata e per i protagonisti coinvolti. Angelo Ventura in un saggio apparso nel 1968 dedicato agli investimenti di capitale del patriziato veneziano 6, riprendendo un’affermazione di Alvise Cornaro, indicava in 10.000 campi padovani la superficie complessiva del Retratto di Monselice. Alla luce del censimento compiuto al termine dei lavori, quella stima risulta eccedente di ben un terzo. L’area bonificata fu infatti di 6.664 campi, 3 quartieri e 148 tavole, l’equivalente di 2.574 ettari attuali 7. Una superficie di poco inferiore (17 ettari) all’estensione di 2.591 ettari che tre secoli e mezzo più tardi, cioè nel 1901, risulta sottoposta ai tributi consortili 8.
La possibilità di poter disporre di due precisi inventari, redatti rispettivamente prima e dopo l’esecuzione dei lavori, consente qui di tracciare un profilo dell’avvenuto mutamento, soprattutto per quanto concerne la distribuzione della proprietà, tenuto conto anche della consistenza dei “beni comunali” coinvolti nella bonifica. I censimenti indicano inoltre l’esatta entità della superficie ripartita tra i sei comuni interessati, che alla luce dei dati indicati risulta così riepilogabile:

"Retratto di Monselice", superficie ripartita tra i comuni interessati. per un totale di 6.207 campi, 3 quartieri e 73 tavole.
In aggiunta a questi dati, lo stesso censimento delle terre pone a parte i Fratti de Lispia sotto Val San Zibio et parte sotto Galzignan con campi 54 complessivi, e Messer Bortolo Salvadeghi et fratelli, per mezo la Bataia con un’estensione di campi 402, quartieri 3 e tavole 0 (attuali 155 ettari e mezzo). Sommando le superfici dei comuni con quelle di Lispida e dei Selvatico il totale ci riporta agli oltre 6.664 campi complessivi 9.

Il catasto fondiario eseguito nel 1561 fotografa la situazione della proprietà post bonifica e suggerisce le vere ragioni che spinsero il governo veneziano ad intervenire su quest’area prima di altre. Nel corso del XVI secolo nelle medesime condizioni del comprensorio euganeo del Retratto si trovavano infatti anche le vaste lande paludose in riva all’Adige, sommerse dai laghi di Vighizzolo e Vescovana, le terre vallive del Conselvano con il Palù di Bagnoli, le aree anfibie ai margini della laguna situate nel Foresto, parte delle quali in capo alla grande azienda benedettina di Correzzola 10. Tutte aree dove la massiccia e radicata presenza di istituti religiosi impediva la penetrazione del capitale veneziano.
Nella piana pedecollinare degli Euganei la presenza ecclesiastica risulta invece pressoché insignificante. All’interno del Retratto solo una dozzina di Istituti, tra monasteri, ordini mendicanti, ospedali e benefici ecclesiastici riusciva a raggruppare una frammentata superficie di appena 180 campi padovani, pari al 2,7% dell’intero comprensorio bonificato. La fetta più consistente di questo risicato patrimonio era costituita dai 54 campi dei padri di Lispida, sopra ricordati, seguiti dagli altri quattordici dei camaldolesi di S. Maria delle Carceri e dalla dozzina di campi delle monache veneziane di San Zaccaria, l’antica istituzione lagunare posta sotto la tutela diretta del doge. Gli altri frammenti di poche unità risultavano intestati sia ad enti con sede a Padova (Ospedale della Ca’ di Dio, S. Stefano, Ospedale di S. Francesco, monasteri di S. Anna, Beato Pellegrino, Beata Elena Enselmini, Certosa di S. Girolamo e Bernardo) sia a corporazioni di Este (S. Maria delle Grazie), Monselice (S. Francesco) e dell’area collinare euganea (S. Maria di Orbieso, madri di Salarola, padri di Monteortone, benedettini di Praglia, Monte delle Croci, frati della SS. Trinità). Nell’elenco incontriamo anche S. Maria della Riviera di Polverara per i beni di Galzignano, acquisiti molto tempo prima con l’incorporazione dell’ospedale di S. Leonardo di Torreglia.
Di ben altra consistenza ci appare invece la proprietà dei comuni locali. Tra il censimento iniziale e quello finale emerge con evidenza l’ampia sottrazione cui furono soggetti. Nel 1561 ai comuni risultano intestati 2.087 campi, 1 quartiere e 113 tavole, cioè il 31,3% della superficie bonificata. Al comune di Baone sono riconosciuti 338 campi, più 158 tavole; a quello di Arquà 46 campi, 1 quartiere e 105 tavole. Monselice conserva la fetta più larga, calcolata in 1.296 campi e 77 tavole, mentre a Galzignano sono attribuiti altri 406 campi, 2 quartieri e 193 tavole.
Nel quadro d’insieme che andiamo illustrando emerge con forza l’incunearsi della nobiltà veneziana, rappresentata dalle famiglie Contarini, Grimani, Pisani, Loredan, Polani, Giustiniani, Corner, Memmo, Bragadin, Gradenigo e qualche altro. La folta rappresentanza si aggiudica complessivamente 2.292 campi, 3 quartieri e 93 tavole, pari al 34,4% dell’area del Retratto. Il maggior possidente dell’elenco, con ben 517 campi nella zona di Arquà (senza contare le terre di Baone), è il magnifico messer Zuan Battista Contarini fo de messer Simon. A seguirlo è la famiglia Marcello con 137 campi a Monselice, incalzata da Andrea Contarini, con 110 campi in quel di Valsanzibio. Con superfici minori seguono tutti gli altri.

Confrontando l’elenco dei sotto scrittori redatto nell’agosto 1557 con quello steso nel 1561, emergono non pochi cambi di mano nella proprietà. La prova è fornita dall’acquisto dei “caratti”, cioè le dodici superfici compattate, dell’estensione media di ottanta campi, acquistate ex novo da diversi proprietari; di questi due solo sono padovani (Negri e Dalla Vecchia) mentre gli altri sono tutti veneziani. Messer Bernardo Polani infatti rileva il carato decimo, Antonio Bragadin acquista a Baone il carato undecimo et il duodecimo; un altro messer, Lorenzo Loredan, s’aggiudica altri due carati, cioè il sexto e l’ octavo, mentre a Pietro Pisani va il carato setimo. Per finire Daniele De Anan acquista il carato nono, che raggruppa le terre di Valsanzibio, mentre Gasparo da Riva, il contabile dei Beni Inculti che seguì l’intera operazione, preleva il carato primo comprendente le terre di Galzignano.
Giusto per completare il quadro delle proprietà racchiuse nell’anello del Retratto è doveroso ricordare anche la consistenza patrimoniale sia della nobiltà padovana, significativamente rappresentata dalle famiglie Buzzacarini, Dottori, Orologio, Lion, Capodivacca, Zabarella, Abriani, Savonarola, Speroni, Santa Sofia, Mussato, Negri e altre, sia della piccola proprietà locale. Nel suo insieme la superficie nobiliare copre l’estensione di 1.395 campi e 141 tavole, pari al 20,9% del Retratto, mentre ai piccoli proprietari non tocca che il rimanente 10,7%. Scorrendo l’elenco di questi ultimi ritroviamo diversi cognomi familiari per l’area euganea (Albertin, Benda, Bertazzo, Bettin, Cremonese, Ferrari, Fornasiero, Gaffo, Gatto, Girardi, Guerra, Lovo, Malachin, Malmignato, Marampon, Masin, Schiavolin, Selmin, Toninello, Ventura, Veronese, Zago, Zuccato, ecc.), segno di un legame profondo che nel corso dei secoli ha mantenuto qui le proprie radici.
A margine di questa anagrafe catastale sorprende il ruolo della famiglia Selvatico che, oltre a primeggiare nell’elenco dei proprietari padovani, è curiosamente posta da sola e, diversamente da tutte le altre, in coda al lungo elenco: La registrazione che ne viene fatta così recita: ltem de messer Bortolo Salvadeghi et fratelli posto per mezo la Bataia del canal vechio della Priara fino al confin del comun de Monteselese, computando le pertege 60, a torno il monte dal Bagno de Santa Lena, sono in tutto campi 402, quartieri 3, tavole 0. Dal tabulato finale dei costi risulta che l’incidenza della spesa per campo fu calcolata in tre ducati ciascuno, sì che per conservare e riscattare le terre, ai 500 ducati versati nell’agosto 1557 la famiglia Selvatico dovette aggiungerne altri 706 11.

La spesa complessiva per ritrarre le terre, costruire opere idrauliche e dare al territorio quell’impronta che tuttora mostra costò 20.000 ducati. Un’ opera realizzata interamente a mano, grazie al lavoro coatto di migliaia di contadini della zona, con il solo uso delle braccia, muovendo zappe, badili e carriole. Una fatica che ha trasformato quelle valli incolte e paludose in terre da semina, assicurando nel contempo la navigazione sopra e sotto il canale Battaglia e potenziando lo sfruttamento delle preziose priare (cave) di Lispida. Un’opera sancita dal motto CONCORDIA RERUM PERFECTIO scolpito nell’iscrizione del 1557 posta a valle del ponte-canale di Rivella.

Ponte-canale della Rivella visto da una delle aree interessate alla bonifica.

La foto è stata scattata alla confluenza dei canali di Lispida ( a sinistra) e della Rivella di Lispida, che attraversano una delle zone interessate alla bonifica del “Retratto”. In fondo, tra le piante, si intravede il ponte-canale della Rivella. Queste acque scorrono al di sotto del canale Bisatto.

Foto: Alessandra Lanza.

Sommità del ponte-canale della Rivella. Sullo sfondo, una delle aree di bonifica.

Parte superiore del ponte-canale della Rivella. Attraversando la Riviera euganea nel suo Grand Tour, Montaigne ebbe modo di osservare e descrivere questa ingegnosa opera idraulica (vedi). La tabella in primo piano riporta la narrazione che ne fece lo scrittore nel suo “Journal de voyage en Italie…”. Da questo punto è ben visibile una parte dell’area interessata alla bonifica, dove scorre il Canale della Rivella di Lispida.

Foto: Carmelo Donà. 

Parte superiore del ponte-canale della Rivella. In lontananza, il ponte mobile e il Colle della Rocca.

Sommità del ponte-canale della Rivella. Le acque provenienti dall’area di bonifica scorrono sotto il letto del canale Bisatto, attraversandolo perpendicolarmente. Proseguono quindi in direzione di Pernumia. In lontananza, il ponte mobile della Rivella e il profilo del Colle della Rocca di Monselice.

Foto: Carmelo Donà.

Lapide del 1557 posta sul ponte-canale della Rivella a memoria del "retratto di Monselice".

Ponte-canale della Rivella, tra Battaglia e Monselice. Lapide posta dai Provveditori sopra Beni Inculti nel 1557 recante il motto CONCORDIA RERVM PERFECTIO – SENATVS DECRETO a memoria del Retratto di Monselice. Gli stemmi riproducono le armi delle famiglie cui appartenevano i tre provveditori (G. Priuli, L. Loredan, N. Zeno) mentre al centro si affaccia un bel leone di S. Marco in “moleca”, uno dei pochi esemplari sopravvissuti alla “Ieontoclastia” del maggio 1797, la sistematica distruzione dell’immagine marciana che coinvolse l’intero padovano alla caduta della Repubblica di Venezia.

Con i due laghetti di Arquà e Lispida, uniche reliquie di quelle antiche valli, a noi è pervenuto uno straordinario documento del passato. Le generazioni che l’hanno gestito in questi quattro secoli e mezzo di vita hanno anche saputo conservarlo perfettamente, facendolo diventare col tempo un monumento unico, singolare e irripetibile. Spetta a noi, così come l’abbiamo ricevuto, trasmetterlo intatto alle generazioni future perché esso fa parte della nostra storia, delle nostre vere radici che nessuno ha l’arbitrio o l’autorità di recidere.

Claudio Grandis

6) A. Ventura, Considerazioni sull’agricoltura veneta e sulla accumulazione originaria del capitale nei secoli XVI e XVII, in Agricoltura e sviluppo del capitalismo. Atti del convegno organizzato dall’Istituto Gramsci (Roma, 20-22 aprile 1968), Roma 1970, p.519-560.
7) Il campo padovano è pari a 3.862,569 metri quadrati. Si suddivide in quattro quartieri, ognuno di 965,642 mq. il quartiere è composto da 210 tavole e una tavola è pari a 4,598 mq. La tavola inoltre è formata da un quadrato avente per lato 6 piedi, o una pertica, della misura di m 2,144.
8) M. Pedrazzoli, Relazione sul progetto di massima 25 giugno 1901 dell’ing. Zanovello Agostino per la bonifica naturale del Comprensorio dei Pratiarcati, Milano 1902.
9) ASP, Territorio, vol. 43, fasc. 175, c. 18v. Il dato è sintetizzato anche da R. Ponzin, Politica, società, giustizia nella seconda età veneziana 1508-1797, in Monselice. Storia, cultura e arte di un centro “minore” del Veneto, a cura di A. Rigon, Monselice 1994, p. 264, che limita tuttavia le sue considerazioni al solo territorio di Monselice.
10) Indagini sulla consistenza, sull’evoluzione e sulla bonifica sono state oggetto, in un recente passato, di attenzioni confluite in diversi lavori. Qui ricordo a titolo di esempio Terra acque uomini in Bassa Padovana. Appunti per una esplorazione d’ambiente, Quaderni del Gruppo Bassa Padovana 1982, e M. Vigato, Il Monastero di S. Maria delle Carceri, i comuni di Gazzo e Vighizzolo, la comunità atestina, Carceri 1997, p. 92-124.
11) ASP, Territorio, voI. 43, fasc. 175, c.18v.

Copertina della rivista: Padova e il suo territorio, n. 116.Questo articolo è stato pubblicato nel numero 116 (agosto 2005) della Rivista di storia arte e cultura PADOVA e il suo territorio, alle pagine 11-14.
Le tre foto a colori che documentano il ponte-canale della Rivella e le relative didascalie sono a cura di BATTAGLIATERMESTORIA.