Battaglia, la conca di navigazione

Pubblicato nel 1994, in occasione del restauro della conca di navigazione di Battaglia Terme, completato nel 1998, l’articolo ripercorre la storia di questi particolari manufatti idraulici, con particolare riferimento alla navigazione fluviale nel nostro territorio.

LA CONCA DI NAVIGAZIONE DI BATTAGLIA

PIER GIOVANNI ZANETTI

Il restauro del manufatto di
Battaglia fa da spunto per
rivisitare dalle origini i più
importanti interventi a favore
della navigazione fluviale nel
nostro territorio.

Dopo trent’anni, la conca di navigazione di Battaglia Terme torna d’attualità. La Regione Veneto, attraverso l’ufficio del Genio Civile di Padova, sta finalmente procedendo al suo restauro. È un avvenimento atteso da molto tempo che forse rappresenta una svolta da parte degli enti pubblici nei riguardi dei nostri fiumi e canali, per decenni abbandonati e spesso deturpati. Il recupero di questo importante manufatto idraulico in qualche modo pone rimedio ai guasti prodotti dall’allentamento dei legami che, sino a pochi anni fa, univano saldamente le genti venete ai loro corsi d’acqua. Costituisce non solo un atto doveroso nei confronti di un raro “gioiello”, vanto dell’ingegneria idraulica del primo ‘900, ma anche un importante incentivo verso l’utilizzazione e la rivitalizzazione delle nostre vie d’acqua, presupposti essenziali per la loro conservazione e rispetto.
Dopo il restauro si potrà tornare a raggiungere Venezia in barca da Padova, attraverso la via brevis. I barcari, infatti, percorrevano questa sorta di scorciatoia, passante per Battaglia, Bovolenta, Pontelongo e Chioggia, creata apposta per agevolare il trasporto fluviale. Con una sola concata e in meno di un giorno i burchi, sia pure tra molte difficoltà che il tratto fluviale pone, raggiungevano così la laguna. Prima della costruzione della conca di Battaglia per raggiungere Venezia via acqua c’era la Riviera del Brenta con le sue numerose conche, le stesse più o meno attraversate dal Burchiello di goldoniana memoria: a Strà, Dolo, Mira, Moranzan (o Moranzano), senza contare le Porte Contarine a Padova. Dagli anni ’20 in poi si doveva superare anche la conca di Noventa e, dopo l’allargamento del canale Scaricatore, quella di Voltabarozzo, in sostituzione delle Porte Contarine.
Con la risaldazione del tratto Padova – Venezia, attraverso Battaglia si riformerà, dopo trent’anni di ingiustificabile interruzione, il meraviglioso circuito fluviale comprendente da una parte la Riviera del Brenta e dall’altra i canali Battaglia, Vigenzone, Cagnola, Pontelongo e la laguna. Questo ripristinato anello susciterà sicuramente un vasto interesse turistico, culturale e sportivo 1.
La conca di Battaglia venne solennemente inaugurata il 1° giugno del 1923 dall’allora neopresidente del consiglio dei ministri Benito Mussolini, arrivato con altre autorità da Bassanello in un grosso burchio preparato “a bucintoro” e accompagnato da numerose piccole barche della Canottieri Padova e della Rari Nantes Patavium. Benché il manufatto non fosse frutto della volontà del regime fascista, esso ne colse la ghiotta occasione per dare all’evento il massimo risalto possibile.

1 giugno 1923, inaugurazione della Conca di Battaglia alla presenza di Benito Mussolini.

Inaugurazione della conca di Battaglia, alla presenza di Benito Mussolini li 1 giugno 1923 (collez. T. Bignozzi).

La realizzazione di questa imponente opera può essere paragonata, dal punto di vista degli effetti, allo scavo di una galleria che metta in diretta comunicazione due località prima separate da un ostacolo naturale. La conca aveva finalmente evitato ai barcari il gravoso trasbordo delle merci dalle imbarcazioni sui canali di Sopra (Battaglia, Monselice e Bisatto) a quelle sul Vigenzone (o di Sotto). Fatica questa che era stata sostenuta per secoli, soprattutto per il trasporto della trachite, della scaglia e dei prodotti agricoli dai Colli Euganei a Chioggia, e quindi all’Adige e Po. Le “pietre di Lispida”, per esempio, venivano caricate ai piedi dell’omonimo monte nei pressi di Monselice, passavano sotto la “botte” (ponte-canale) di Rivella e arrivavano ai “porti” in località Acquanera, percorrendo lo “Scolador del ritratto” (canaletto di bonifica); qui il sasso trachitico veniva scaricato dalle piccole imbarcazioni e ricaricato nei burchi ormeggiati sul Vigenzone per il viaggio verso i “pubblici Lidi” 2.
Della grande utilità di una comunicazione diretta tra i canali Battaglia-Monselice e Vigenzone fu coinvolta la commissione ministeriale nominata nel 1902 per lo studio della navigazione interna. Tra l’altro questa commissione, presieduta dall’ingegner Leone Romanin Jacur, propose alla fine dei suoi lavori la costruzione di una conca tripla presso Battaglia, nella posizione dove sarà successivamente costruita, allo scopo di far superare ai natanti il dislivello fra i due canali che in certe condizioni idrometriche può raggiungere 7.40 metri 3.
La situazione politica degli anni successivi, e soprattutto lo scoppio della prima guerra mondiale, impedì che l’idea avesse un immediato corso. Nel 1917, in pieno conflitto, il Magistrato alle Acque di Venezia conferì al Genio Civile di Padova l’incarico di redigere il progetto esecutivo di apertura della nuova comunicazione, e detto ufficio, avvalendosi dei progressi conseguiti nella costruzione dei sostegni di navigazione, specialmente all’estero, dove con un solo manufatto erano superati dislivelli persino di 14 metri, progettò un’unica e ardita conca fra il canale Battaglia e l’ultimo tratto dello scolo Rialto, convenientemente sistemato fino alla sua confluenza col canale Vigenzone.

Battaglia, ingresso nella conca dal Canale Rialto. A sinistra, l'edificio per il custode idraulico.

Ingresso nella Conca dal Canale Rialto.

Per motivi dipendenti dallo stato di guerra i lavori non poterono iniziare che il primo settembre del 1919, e durante il loro corso si dovettero superare difficoltà dovute alla cattiva qualità del sottosuolo, alle frequenti piene (ad esempio nel 1921), nonché al periodo post-bellico, caratterizzato da gravi e ricorrenti agitazioni operaie 4.
Le opere in calcestruzzo armato vennero appaltate alla Società Anonima Ferrobeton di Roma, le parti metalliche alla Società Officine di Battaglia, del luogo quindi, e i lavori di scavo al Consorzio Cooperativo Regionale Veneto di Legnago. La direzione dei lavori fu affidata allo stesso responsabile del Genio Civile, D’Arcais, e all’ingegnere Umberto Lunghini che aveva curato il progetto e soprattutto ideato il particolare dispositivo ad aria compressa per il movimento delle porte.
Oltre ai lavori di costruzione della conca vera e propria, furono eseguite diverse altre opere complementari: i ponti delle Chiodare e sulla strada Padova-Monselice, allora provinciale, che dovette subire una deviazione permanente, l’edificio per il custode idraulico e gli allargamenti dei canali immediatamente a monte e a valle della conca per consentire la sosta dei natanti (mandraci). Quest’ultima opera si rese necessaria per il fatto che la navigazione era possibile praticamente solo due giorni la settimana, durante le cosiddette butà che consistevano in vere e proprie ondate artificiali di piena per ottenere un maggiore tirante d’acqua.
L’importo complessivo dei lavori appaltati fu di circa 3,3 milioni di lire.
Questa conca presenta delle caratteristiche del tutto eccezionali rispetto alle altre consimili: oltre al forte salto d’acqua, che peraltro non trova riscontro in nessuna parte della piatta pianura padano-veneta, anche per l’originalità del funzionamento, che si basa sull’utilizzo della sola pressione dell’acqua, senza l’ausilio di alcuna macchina, vale a dire senza apporto di energia esterna; si direbbe oggi ecologica, ad energia riproducibile e non inquinante.
L’aria compressa, che poteva arrivare a 40-65 atmosfere, era stata pure usata per la manovra delle porte nel dispositivo ideato da Hotopp ed applicato alle conche del canale dall’Elba alla Trave, ma il sistema ideato dal Lunghini si è rilevato particolarmente indicato per bacini ad alta caduta (oltre 5,50 m.), e vantaggioso soprattutto per la completa abolizione di rotismi ed ingranaggi, organi soggetti facilmente a guasti, nella trasmissione del movimento 5.
Le porte metalliche sono ovviamente di tipo angolare con sospensioni su cuscinetti a sfera: quelle a monte hanno un’altezza di 6,10 m. e pesano 4 tonn., mentre le porte a valle sono alte 10,50 e pesano ben 30 tonn. Ciò nonostante il loro movimento era veloce in rapporto alla notevole pressione dell’acqua: in una sola quindicina di minuti si poteva riempire la conca senza il fastidio di movimenti vorticosi dell’acqua.
Le conche di navigazione sono dei manufatti che servono per il passaggio dei natanti tra due tronchi di idrovie aventi quote idrometriche diverse. Sono di solito formate da un vaso o bacino o cratere, da cui deriva il nome conca, con il fondo di quota uguale a quella del canale più basso, cioè a valle. Il bacino è capace di contenere uno o più natanti ed è chiuso da due ordini di porte. Aprendo e chiudendo queste ultime, si può fare in modo che il livello all’interno dell’invaso sia uguale a quello dell’uno o dell’altro canale. Praticamente le conche sono una sorta di ascensore che solleva o abbassa le imbarcazioni alzando o diminuendo il livello dell’acqua all’interno del bacino, senza la necessità dello scivolamento o del sollevamento dall’alveo degli scafi, o ancora del traino.

Il Cratere visto dal Canale Battaglia.

Il Cratere visto dal Canale di Battaglia.

Però non svolgono soltanto questa funzione connessa al superamento dei salti d’acqua, ma fungono anche da sostegni idraulici, cioè consentono di tenere sufficientemente alto il livello nei canali per garantire un minimo di colmo o tirante d’acqua, specie nei periodi di magra, e nello stesso tempo, ridurre la velocità di scorrimento dell’acqua stessa.
Questi manufatti, così come li vediamo oggi, sono il frutto di secolari evoluzioni e perfezionamenti. I corsi d’acqua naturali tendono ad avere dei bassi ed irregolari fondali, che tutt’al più consentono la fluitazione del legname o la navigazione di natanti con poco pescaggio, cioè di piccola stazza. I grandi fiumi, alimentati prevalentemente da acque superficiali e pochissimo regolamentate, come il Po e l’Adige, sono difficilmente navigabili, specie nei periodi di siccità, rispetto ai fiumi e canali minori, sostenuti e regolati da varie opere idrauliche.
La costruzione dei primi sbarramenti mobili in legno, per meglio muovere le ruote dei mulini, procurò anche il vantaggio di elevare il livello dell’acqua; per contro però ponevano ostacoli al passaggio delle imbarcazioni e per questo nascevano quotidiani contrasti tra barcaioli e mugnai. Nei canali padovani, soprattutto in epoca medievale, si installarono numerosissime ruote per mulini e altri opifici, con relativi sbarramenti, creando modesti salti d’acqua che tuttavia potevano arrivare anche a 1 metro.
Questi dislivelli artificiali venivano superati dalle barche attraverso dei varchi chiamati bove. Qui i natanti dovevano affrontare una sorta di rapida con conseguenti pericolose manovre che spesso comportavano la perdita del carico e anche del natante stesso. È in ispecie per questi motivi che sino a tutto l’800 le imbarcazioni dovevano essere costruite con prua e poppa fortemente curvilinee e rivolte verso l’alto, che di conseguenza riducevano la portata della barca stessa. Forma, questa, mantenuta in alcuni tipi impiegati sino quasi ai giorni nostri, quali la rascona, il bucintoro e, soprattutto per i nostri fiumi, la padovana.
Già in epoca alto medievale si pensò di assicurare, in corrispondenza dei sostegni, la continuità della navigazione con la costruzione dei cosiddetti carri o liste o traghetti. Erano complessi apparecchi, di norma in legno che facevano scorrere i natanti su dei piani inclinati, aiutati da particolari argani, che provvedevano a sollevarli. Si ha notizia della costruzione di questi manufatti, antesignani della conca moderna, nel 1150 alla bocca del Visigone, nel 1452 alla bocca di Corbola, nel 1462 a Marghera 6.
Il più importante, in quanto punto di riferimento idrico e di collegamento tra Venezia e la terraferma, era quello di Fusina (o Lizzafusina) sul naviglio Brenta lungo il limite lagunare. Il carro venne posto “ad pubblicum incantum” e assegnato in gestione alla famiglia Ca’ Pesaro, che vi accumulò immense ricchezze. Cominciò a funzionare intorno alla metà del ‘400 e cessò solo allorquando venne costruito il sostegno a conca di Moranzan (1612-13) 7.
Per il passaggio sui carri però bisognava alleggerire, e qualche volta anche svuotare, le stive per poi ricaricarle. Visto che occorreva sollevarle, le imbarcazioni non potevano che essere di piccola stazza. Ci sono sufficienti dati per affermare che, senza il sussidio delle conche, le imbarcazioni dovevano essere di dimensioni piuttosto ridotte, raramente di lunghezza superiore alla quindicina di metri, con stazze che non superavano le 30-35 tonn.
È da ritenere pure che verso la fine del ‘400 la navigazione lungo il Brenta fosse possibile ancora senza l’ausio delle conche, forse già ideate, ma non ancora entrate a far parte della quotidianeità burocratica veneziana, se soltanto nel 1501 veniva deliberata la costruzione di due di tali ingegnosi manufatti: l’uno a Dolo, l’altro a Fusina.
La rimozione degli ultimi carri venne ordinata nel 1561, quando si stabilì di sostituirli con le conche vere e proprie. Le bove sul Bacchiglione però vennero sostituite molto più tardi: a Debba nel 1683, a Colzè addirittura nel 1870. Però non tutti i salti d’acqua vennero eliminati; sino alla scomparsa del trasporto fluviale i barcari padovani dovevano superare questi ostacoli a S. Massimo, a Noventa, dove ora c’è la conca, a Ponte S. Nicolò, sul canale Roncaiette, a Selvazzano, Debba e Trambacche sul Bacchiglione.
A Bastia di Strà, all’incontro del canale Piovego col fiume Brenta, non vi era un carro per il passaggio delle barche, bensì un sostegno speciale, chiamato ingegno, ideato e costruito nel 1481 dai fratelli Dionisio e Pier Domenico da Viterbo, soprannominati “Maestri di orologio”, che ottennero per qualche tempo dalla Serenissima Repubblica la concessione d’esercizio dell’impianto da loro stessi perfezionato. Che si trattasse di una conca a bacino, prototipo delle moderne conche di navigazione, non si può dire con sicurezza. Lo Zendrini, non trovando chi prima di essi le avesse ideate, inividuò nei fratelli da Viterbo i benemeriti inventori delle conche 8.
Il Lombardini, invece, basandosi sulla documentazione archivistica della Fabbrica del Duomo di Milano, scrisse che la prima vera conca fu costruita a Milano in via Arena (Viarenna) nel 1439, per merito degli ingegneri ducali Filippo da Modena, soprannominato degli Organi, e Fioravante da Bologna. Collegava il Naviglio Grande con la fossa interna di difesa che circondava l’antica Milano.
Nei 90 chilometri di canali navigabili, Milano fece costruire ben 25 conche prima dei fratelli da Viterbo e prima che si realizzassero le conche alla Bastiglia sui navigli di Modena e Bologna. Successivamente la costruzione di questi manufatti, via via perfezionata, si diffuse in tutta la pianura padana, anche se in taluni casi si continuava a perfezionare i carri piuttosto che realizzare questa innovativa costruzione.
La prima descrizione letteraria di una conca ci è fornita da Leon Battista Alberti nel suo De re aedificatoria pubblicato postumo dal Poliziano (1485). L’autore descrisse un manufatto munito di due “mani di Porte a motivo di poter livellare le acque tanto superiori che inferiori, e dar il passaggio alle barche; il che succeder non potrebbe, se una sola mano vi fosse”. La distanza tra le porte, vale a dire la lunghezza del bacino, doveva essere uguale o superiore a quella delle imbarcazioni più grandi, cioè i burchi o burci (le più piccole venivano chiamate barche). Qualche studioso ha fatto l’ipotesi che l’Alberti si sia riferito ad una conca costruita dall’ingegnere Bertola da Novate, progettista di numerose opere idrauliche realizzate nel Milanese. Pochi, comunque, sono i particolari conosciuti a proposito di questi primi esempi di conche; la sola illustrazione contemporanea nota sinora è uno schizzo di Leonardo da Vinci del suo “Codice Atlantico” (1460-90).
I primi prototipi si presume fossero dotati di porte ad una sola anta a saracinesca, non molto adatta al veloce transito delle imbarcazioni. Fu il genio di Leonardo a risolvere l’annoso problema delle porte? Nell’ultimo decennio del XV secolo, grazie all’invenzione delle porte a due battenti ad angolo, che si aprivano e chiudevano con la pressione dell’acqua, le porte vinciane appunto, il funzionamento delle conche divenne più sicuro e veloce. Questa scoperta, che diede alle conche un aspetto del tutto simile a quello odierno, attribuita da diversi studiosi a Leonardo da Vinci, per l’abate Paolo Frisi, docente di matematica a Milano e noto idraulico, sarebbe stata messa in opera la prima volta a Strà dai fratelli da Viterbo: Leonardo “approffittò subito di questa grande invenzione nell’unione dei due canali di Milano […] nell’anno 1497” 9.
Su queste invenzioni ci si è interrogati per secoli, senza arrivare a conclusioni definitive e inoppugnabili. In ogni caso, secondo Taubert, “non vi è nessuna ragione di contrastare agli italiani la gloria di avere inventata la conca e di avere con ciò preparata la via alla navigazione interna per un più ampio e magnifico sviluppo” 10.

Battaglia, montaggio di una delle porte a monte della conca di navigazione.

Montaggio di una delle porte a monte della Conca (Racc. Genio Civile).

Ma, tralasciando il difficile problema della paternità dell’invenzione, le conche e le porte vinciane ebbero una grande diffusione nella Padania e in particolare nel territorio padovano e veneziano, attraversati da un intenso traffico fluviale.
Tanto per citare un esempio riguardante la città di Padova, il 31 gennaio 1523 il Senato veneziano dette facoltà a Jacopo Dondi dall’Orologio di sostituire le bave dei Contarini, sul Naviglio interno, con una conca, oggi chiamata Porte Contarine, che dette “tragitto alla navigazione” e nello stesso tempo tenne “ferma ed incassata l’acqua nel fiume per facilitare e render continuo e libero il corso delle Barche senza più verun incomodo dei molini” 11. Costruita per un dislivello di 3 metri, fu restaurata a metà ‘800 sotto la direzione di Alberto Cavalletto.
Con l’allargamento del canale Scaricatore a Bassanello e la conseguente chiusura del Naviglio interno (ora Riviere Tito Livio e Ponti Romani), avvenuta nel 1958-59, questa conca ha perso ogni sua funzione. Nonostante le trasformazioni urbanistiche dell’area circostante, che l’hanno assediata, costituisce oggi un prezioso “monumento” rimasto a testimoniare il profondo legame della navigazione con Padova.
Altre conche vennero edificate sul Brenta a Dolo, Mira, e più recentemente sul Piovego, a Noventa Padovana (1920). Quella di Dolo è stata sostituita da una nuova struttura, costruita su una deviazione dell’alveo del Brenta, mentre la vecchia conca è stata interrata e destinata a parcheggio delle auto!
L’ultima conca del sistema idraulico padovano è quella di Voltabarozzo, sul canale S. Gregorio, messa in funzione subito dopo l’ultima guerra mondiale, in occasione del passaggio su un’imbarcazione della Madonna pellegrina. La realizzazione del progetto “Sistemazione dei corsi d’acqua attigui alla città di Padova” aveva comportato l’allargamento del canale Scaricatore per renderlo navigabile e la costruzione di un collegamento, chiamato canale S. Gregorio, tra lo Scaricatore e il Piovego. Su quest’ultimo tratto è stata costruita la conca, che è attraversata dalle imbarcazioni dirette da Bassanello a Venezia e viceversa, attraverso la Riviera del Brenta.
Molte vecchie conche sono state rifatte o profondamente rimaneggiate. Quella di Moranzano è invece rimasta nel suo aspetto originale, quantomeno per ciò che concerne il bacino. Le sue più ridotte dimensioni rispetto alle altre hanno sempre condizionato la lunghezza delle imbarcazioni impiegate nel padovano e veneziano. Anche l’ultima “generazione” di burci che dovevano, almeno nelle aspirazioni dei barcari, reggere alla concorrenza del trasporto terrestre, non potevano superare la larghezza di 5,25 e la lunghezza di 29.70 metri, senza considerare il timone poppiero: che per ridurre l’ingombro complessivo dei natanti veniva girato a 90° o anche tolto.
La conca di Battaglia è stata costruita con una certa larghezza di vedute, in quanto poteva essere attraversata da natanti con una lunghezza di 40 metri e con una portata sino a 300 tonn., carico, per la verità, mai raggiunto dai nostri burci, che al massimo potevano arrivare a 200-230 per le limitazioni sopra accennate.
Ciò nonostante, questa conca è stata utilizzata per un periodo relativamente breve. Operò, infatti, sino alla prima metà degli anni ’60, quando il trasporto fluviale venne soppiantato da quello su strada. Da allora, purtroppo, non è stata più messa in funzione, nemmeno per garantire il servizio alle barche da diporto. Di conseguenza attualmente si trova insabbiata ed arrugginita. Per rimetterla in funzione, attraverso il restauro e non il rifacimento, occorrerà sostenere un’ingente spesa. Alla fine avremo un manufatto, anche se non più di aiuto alle barche da carico, sicuramente utile per ridare vita ai nostri canali. Al nascente museo di Battaglia, in aggiunta a tanti cimeli “imbalsamati”, si potrà così affiancare il burcio “Nuova Maria”, recentemente recuperato dall’associazione “Lo Squero”, e la conca funzionante, per le dimostrazioni dal “vivo” della navigazione interna.

La conca di navigazione di Battaglia ormai completata e funzionante.

La conca ormai completata e funzionante.

1) P.G. Zanetti, Una difficile regolazione delle acque, in La Riviera Euganea. Acque e territorio del canale Battaglia, a cura di P.G. Zanetti, Padova 1989, p. 217. Anche il testo che segue prende diversi spunti dalla citata pubblicazione.

2) Arch. di Stato di Venezia, Secreta Archivio G. Poleni, reg. 5, c. 56; cfr. F. Vallerani, Cartografia in epoca veneta: evoluzione del paesaggio tra il XVI e XVIII secolo, in Riviera Euganea…, cit., pp.175-77.

3) Ministero dei Lavori Pubblici, Atti della Commissione per lo studio della Navigazione interna. Relazione seconda. Canali e fiumi di padovana e vicentina navigazione, III, tav. II, Alleg. D, Venezia 1903.

4) Conca di Battaglia, R. Magistrato alle Acque. Ufficio del Genio Civile di Padova, Padova 1923; cfr. Il Gazzettino Agricolo, I, 22, 2.6.1923, p. 5.

5) Guido Ferro, Navigazione interna, Padova 1927, pp. 250-52.

6) La navigazione interna dell’Alta Italia, XV, Congresso Internazionale di Navigazione, Venezia 1931, p. 34.

7) La navigazione interna…, cit., p. 33. Fusina veniva chiamata anche Lizza o Issa, perché si facevano slittare le barche da una parte all’altra del sostegno (A. Baldan, Storia della Riviera del Brenta, Vicenza 1978, p. 118-20). M. Costantini, L’acqua di Venezia, l’approvvigionamento idrico della Serenissima, Venezia 1984, p. 31.

8) B. Zendrini, Leggi e fenomeni, regolazione ed usi delle acque correnti, Venezia 1741, p. 359. Cfr. P. Pedrocco, Sulle tecniche di navigazione fluviale, in Uomini, terra ed acque, politica e cultura idraulica nel Polesine tra ‘400 e ‘600, Rovigo 1990, p. 252.

9) P. Frisi, Del modo di regolare i fiumi e i torrenti, Bologna 1798. La stessa tesi venne sostenuta anche da A. Lecchi, Trattato dei Canali Navigabili, Milano 1824, p. 14.

10) O. Taubert, Die Binnenchiffahrt, Leipzg 1902, p. 32. Frase riportata da Pedrocco, Sulle tecniche…, cit., p. 252n.

11) Arch. di Stato di Venezia, Savi et esecutori alle acque, b. 541.

Copertina della rivista: Padova e il suo territorio, n. 47.Questo articolo è stato pubblicato nel numero 47 (febbraio 1994) della Rivista di storia arte e cultura PADOVA e il suo territorio, alle pagine 15-19.