Annotazioni sul pittore Gregorio Lazzarini

In margine al restauro della lunetta dipinta da Gregorio Lazzarini e collocata nella chiesa di S. Giacomo a Battaglia, Anna Maria Spiazzi in questo scritto (pubblicato nel 1982) introduce all’opera dell’artista veneto vissuto tra il XVII e il XVIII secolo.

ANNOTAZIONI PER GREGORIO LAZZARINI
IN MARGINE AL DIPINTO DI BATTAGLIA TERME RESTAURATO

Il recupero del “Miracolo del Figlio della vedova” di Gregorio Lazzarini, opera tarda e che il suo biografo Vincenzo Da Canal dice eseguita nell’anno 1718: “Per la chiesa della Battaglia sul Padovano una mezza luna con la storia del figlio della vedova di Naim, con due angioli e i ss. Andrea e Jacopo” 1, (fig. 1), quantunque non si tratti di un’opera che segna un’evoluzione nel gusto del pittore veneziano, assestato su di una cultura figurativa classicheggiante aliena delle suggestioni ormai compiutamente rococò di Sebastiano Ricci o di Giannantonio Pellegrini, indica tuttavia come egli fosse noto anche in terraferma. Inoltre la recuperata leggibilità dell’opera ci permette di conoscere in maniera meglio documentata le sue qualità pittoriche negli anni in cui alla sua bottega si forma Giovanni Battista Tiepolo, che vi apprese “… un certo gusto decorativo grandioso, una certa predilezione cromatica a fondo iridescente che ritornerà più vivace con gli anni, e soprattutto apprese la vivacità di muovere con arditezza complessi figurali in vaste composizioni pittoriche” 2. Gaspare Diziani, Giuseppe Camerata, Silvestro Manaigo furono pur essi suoi allievi in questi anni, a conferma del fatto che “Un maestro di spirito accademico come il Lazzarini aveva certamente qualità didattiche” 3.

Gregorio Lazzarini, Il miracolo del figlio della vedova di Naim, 1718. Battaglia T. (Pd), vecchia chiesa di S. Giacomo.

Fig. 1 – Battaglia T. (Pd), chiesa di S. Giacomo: Il miracolo del figlio della vedova.

Foto: Nuova Foto Studio 23 – Battaglia Terme – PD

GREGORIO LAZZARINI (Venezia 1655 – Rovigo 1730)
Olio su tela, lunetta, cm. 140 x 243
Il dipinto si trovava in condizioni di estremo degrado: allentata la tela, generalmente ossidata e sgranata la superficie pittorica, cadute di colore in più zone e strappi di cui uno piuttosto largo sul lato destro.
Tali strappi erano stati rabberciati con fissaggio di piccole toppe sul retro della tela mentre le lacune, stuccate e ridipinte malamente, alteravano la lettura delle parti conservate.
L’intervento di restauro ha comportato la foderatura, pulitura e rimozione delle ridipinture, stuccatura delle lacune ed integrazione delle stesse ad acquarello.
Restauratore: W. Piovan, 1982.

Compositivamente la lunetta non rivela innovazioni di rilievo: il letto e la figura del paralitico occupano la parte centrale e sono scorciati in profondità, le figure sul retro fanno da quinta ed il Cristo, avanzando verso il giovane viene arginato, in movimento contrapposto, dalla donna inginocchiata in primo piano, la vedova di Naim. Una figura maschile sul lato sinistro, un apostolo, slargando le braccia chiude la composizione; nella scena, pur articolata ed ariosa nonostante le dimensioni non ragguardevoli della lunetta, la calibratura dei gesti domina il movimento, in un calcolato equilibrio degli spazi. Il Lazzarini non perviene ad una ricerca del movimento dei corpi sentiti in una dimensione spaziale ma studia, e l’operazione è tutta mentale, la posizione delle singole figure quasi avesse da impaginare un melodramma. Anche la gamma cromatica permane su una vivacità coloristica un po’ affocata, la pennellata è fluida e morbida, non mai densa e corposa poiché il colore non deve prevalere sulla forma.
Sullo stimolo di quest’opera restaurata, ripercorrendo la posizione stilistica assunta dal Lazzarini nell’ambito della cultura figurativa veneziana alla fine del Seicento e nei primi tre decenni del Settecento, sarà utile delinearne un breve profilo, sulla scorta altresì di alcuni dipinti a tuttoggi inediti.
Secondo il suo biografo Vincenzo Da Canal Gregorio Lazzarini fu allievo di Francesco Rosa e, avvicinatosi poi al pittore padovano Girolamo Forabosco, da quest’ultimo apprese l’eleganza formale e la raffinata stesura del colore. Gli insegnamenti del maestro, affascinante ritrattista di volti muliebri, trapassano nel giovane allievo e il “Ritratto del Procuratore Antonio Correr” datato 1685, una delle poche opere certe del nono decennio, ci documenta tale insegnamento 4.
Il grande telero di S. Pietro di Castello raffigurante la “Elemosina di S. Lorenzo Giustiniani” costituisce una delle opere più significative del pittore veneziano che oramai aveva raggiunto larga fama e che in questo dipinto vuole stigmatizzare una “maniera grande” di fare pittura. Dal Padovanino e dal Carpioni aveva appreso la capacità di ideare grandi spazi con quinte architettoniche, ma è dagli esempi più recenti dei lunettoni di S. Zaccaria (1684-1688) che viene stimolato ad un comporre più mosso ed articolato, in una resa scenografica determinata dalla luce che ora colpisce violentemente architetture e figure ora le avvolge in una densa penombra 5.
La sintesi realizzata tra naturalismo e classicismo lascia intendere come il Lazzarini, assumendo le tematiche della cultura figurativa veneziana dell’ottavo e nono decennio del secolo XVII cerchi di farle avanzare proponendo un linguaggio, un racconto, aulicamente eloquente, e quindi in linea col classicismo ma altresì aperto a suggestioni di luce e ad una freschezza di colore inedite. Siffatta sensibilità era stata introdotta in Venezia da Luca Giordano e il Lazzarini fu tra i primi a coglierne le istanze di rinnovamento. Nel “Sacrificio di Elia” ora al Santuario di S. Maria delle Cendrolle, ivi pervenuto in deposito per concessione del Regio Demanio nel 1839, compiuto nel 1692 per la chiesa di S. Martino a Murano ritroviamo, pur nella lettura non agevole delle qualità stilistiche per lo stato di cattiva conservazione in cui si trova il dipinto, l’interesse per un comporre movimentato, un’eloquenza classicamente ideata ma non irrigidita, un chiaroscuro fortemente accentuato. La donna col bimbo in primo piano, la cui delicata bellezza rinvia al Forabosco, è avvolta da una veste rosa di grande lievità, e l’uomo con anfora alla sua sinistra funge da contrappunto cromatico 6, (fig. 2).

Gregorio Lazzarini, Sacrificio di Elia, 1692. Riese Pio X - Tv, Santuario di S. Maria delle Cendrolle.

Fig. 2 – Santuario di S. Maria delle Cendrolle (Riese Pio X – Tv): Sacrificio di Elia.

Del 1696 è la “Annunciazione” ora nella chiesa parrocchiale di Sedico ma già nella chiesa delle Vergini di Castello (fig. 3). In essa non si discosta compositivamente da esempi antecedenti, essendo la tipologia ricorrente in tale tematica, e il dipinto dovette certo piacere per la sobria eleganza, ma un po’ edulcorata, dell’Angelo e della Vergine, così come piacevano i dipinti del Balestra, la cui consonanza stilistica col Lazzarini in questo momento è qui evidenziata.
Il “Cristo entra in Gerusalemme” ora a Santorso proveniva dalla chiesa dell’Ascensione di Venezia (1698) ed è opera singolare per l’ampiezza compositiva ed i richiami ad un classicismo intenzionalmente accentuato 7, (fig. 4). Costituisce certo, un ripensamento, una ripresa del classicismo sollecitata dalla presenza in Venezia del Dorigny e di una corrente culturale che nel Veneto, alla fine del secolo XVII e nel successivo, annovera altre presenze 8.

 Gregorio Lazzarini, L'annunciazione, 1696. Sedico (Bl), chiesa parrocchiale.

Fig. 3 – Sedico (Bl), chiesa parrocchiale: L’annunciazione.

Gregorio Lazzarini, Cristo entra in Gerusalemme, 1698. Santorso (Vi), chiesa parrocchiale.

Fig. 4 – Santorso (Vi), chiesa parrocchiale: Cristo entra in Gerusalemme.

Dello stesso anno del dipinto di Santorso è la grande tela mitologica di Ca’ Rezzonico “Orfeo e le Baccanti” compiuto per il Procuratore Correr, pur essa permeata di questo rinnovato edonismo “… pittura liscia, compiaciuta di forme molli e disossate, accarezzata da una stesura levigata e ferma” 9. Un’ulteriore accelerazione di tale procedere nel gusto che sarà poi dell’Amigoni, è leggibile nella tela “Ester davanti ad Assuero” (1703) di Ca’ Rezzonico, ed ancor più nella grande tela della chiesa del Corpus Domini di Venezia, passata a Santorso nel secolo scorso e poi a Belluno in Duomo, raffigurante “Il miracolo di S. Domenico che risana Napoleone Orsini caduto da cavallo” (1702), (fig. 5).

Gregorio Lazzarini, Il miracolo di S. Domenico che risana Napoleone Orsini caduto da cavallo, 1702. Belluno, Duomo.

Fig. 5 – Belluno, Duomo: Il miracolo di S. Domenico che risana Napoleone Orsini caduto da cavallo. (Gab. fot. del Museo Civico di Pd.)

L’eleganza formale riscontrabile alla fine del secolo si accentua con un allungamento delle figure, una stesura del colore ancor più fluida ed un linearismo accentuato. I suoi dipinti si direbbero ideazioni seicentesche alla Carpioni, reinventate secondo moduli latamente rococò, secondo un gusto che Sebastiano Ricci andava imponendo ed alla cui formulazione Antonio Bellucci aveva dato apporti non secondari. Ma se nell’ultimo decennio del Seicento una consonanza stilistica rendeva così affine la pittura del Lazzarini a quella del Bellucci, muovendo ambedue da una cultura classicistica riformata dalla presenza in Venezia di Luca Giordano, successivamente divergeranno le istanze stilistiche dei due e il primo, legato ad un purismo lineare e formale non più innovato, finirà col rinserrarsi in un classicismo accademizzante 10.
Moltissime sono le commissioni che Gregorio Lazzarini riceve nei primi tre decenni del Settecento, a riprova della notorietà di cui godeva presso la nobiltà veneziana, con tele a soggetto profano; numerose sono altresì le opere a soggetto sacro per le chiese veneziane. Per Terrassa Padovana nel 1709 compie la “Adorazione dei Pastori” nella quale “… sembra ricorrere all’ambientazione luministica di tradizione tintorresca” 11.
La “Probatica piscina”, una grande tela compiuta per la chiesa di S. Angelo di Venezia (1719), impostata con un’ampiezza scenografica che ancora poteva piacere, è dimostrativa dell’incapacità a rinnovarsi del pittore veneziano; né poteva variare un tale linguaggio troppo rigidamente bloccato da moduli compositivi desueti e da un linearismo che argina ogni lievità di colore. Anche nel “Miracolo del cieco nato” dal 1839 concesso in deposito a Riese e già in S. Giminiano di Venezia (1718) non si riscontrano innovazioni di rilievo e la figura del Cristo o della donna col bimbo in braccio o gli astanti sullo sfondo trovano riscontro puntuale con quanto già visto in tanti altri dipinti eseguiti in questo periodo, (fig. 6).

Gregorio Lazzarini, Miracolo del cieco nato, 1718. Riese, chiesa parrocchiale.

Fig. 6 – Riese, chiesa parrocchiale: Miracolo del cieco nato.

Anna Maria Spiazzi      

NOTE

1) Si veda, nel catalogo dei dipinti a cura di Chiara Ceschi, la scheda n. 52. La biografia di Gregorio Lazzarini, scritta da Vincenzo Da Canal nel 1732 e rimasta manoscritta, venne pubblicata nel 1809 da Giannantonio Moschini, corredata di ulteriori informazioni e notizie relative a dipinti non più in loco in seguito alle soppressioni napoleoniche di chiese e conventi. V. Da Canal (G.A. Moschini, Venezia 1809), “Vita di Gregorio Lazzarini” (qui). Per la bibliografia relativa a Gregorio Lazzarini si rinvia a: C. Donzelli – G.M. Pilo, “I pittori del Seicento Veneto”, Firenze 1966; ed alla bibliografia nelle singole note.
2) A. Morassi, “Giovan Battista Tiepolo”, Londra-Firenze, 1955, p. 6.11 Pilo attribuisce due tele di storia sacra di collezione privata veneziana al giovane Tiepolo con la collaborazione del Lazzarini. G.M. Pilo, “Lazzarini e Tiepolo”, in “Arte Veneta” 1957, pp. 215-219.
3) R. Pallucchini, “La pittura veneziana del Seicento”, Milano 1980, p. 378. Gregorio Lazzarini stimatissimo e celebrato per la “esattezza del disegno e il rinnovamento portato nella pittura veneta quando l’adesione alla pittura dei “tenebrosi” era gusto dominante”, godette larga fama nella letteratura artistica del XVIII secolo e della prima metà del XIX: dal Lanzi in particolare venne definito “… Per la precisione del disegno quasi il Raffaello della scuola veneta”. Di gran lunga più limitativo, talvolta forse troppo restrittivo, è il giudizio della critica nel nostro secolo. Si veda: G.M. Pilo, “Fortuna critica di Gregorio Lazzarini” in “Critica d’Arte” 1958, n. 27, pp. 233-244.
4) La pala recentemente resa nota, firmata e datata 1684 e commissionata dai canonici di S. Giorgio in Alga per la chiesa di S. Leonardo in Verona, raffigurante “S. Leonardo libera i carcerati”, dovette incontrare il gusto dell’aristocrazia veronese poiché gli vennero in seguito commissionati dipinti di carattere storico e profano dalle famiglie Giusti, Turco e Girardini, opere tutte perdute ma ricordate dal Da Canal (S. Marinelli, “Gregorio Lazzarini” in “La pittura a Verona tra Seicento e Settecento” Catalogo della Mostra, Verona 1978). Nel dipinto per S. Leonardo le figure sono ancora impaginate su moduli cinquecenteschi, così come si riscontra in Andrea Celesti nella tela di Palazzo Ducale raffigurante il “Vitello d’oro” ma sono già riscontrabili la calibratura dei gesti e la tipologia dei volti proprie del Lazzarini.
5) Del tutto diversa era una prima ideazione del soggetto, documentata da un disegno dell’Ermitage. L. Salmina, “Disegni Veneti del Museo di Leningrado” Vicenza 1964, p. 36. Sull’attività grafica del Lazzarini il Da Canal ricorda che “… erano cosi distinti i di lui disegni che innamoratone il N.H. Zaccaria Sagrcdo ne seppe e volle unire un grande volume”. V. Da Canal, (1809), p. XXXVI.
6) Provenivano dalla chiesa di S. Martino a Murano anche i dipinti trasferiti, dopo la soppressione del convento e la demolizione della chiesa, nella basilica di S. Maria della Salute raffiguranti: “Elia confortato dall’angelo” ed “Elia nutrito dal corvo” (1692). Si veda E.A. Cicogna, “Delle Iscrizioni veneziane”, Venezia 1834, VI, p. 162; A. Zorzi, “Venezia scomparsa”, Milano 1972, p. 423.
7) Il dipinto di Sedico venne concesso in deposito nel 1847, nel 1839 il dipinto di Santorso.
8) Il Dorigny, giunto a Venezia nel 1678 lavora per le nobili famiglia Zenobio e Tron ed il Raoux decora a Venezia il palazzo Giustiniani Lolin ma è attivo anche a Padova, ove lavora a lungo Ludovico de Vernansaal. Si veda, con ulteriore bibliografia: N. Ivanoff, “l pittori francesi a Venezia nel Settecento” in “Sensibilità e razionalità nel Settecento”, 1967.
9) G.M. Pilo, “Opere di Gregorio Lazzarini al Museo Correr” in “Bollettino dei Musei Civici veneziani” 1958, p. 16.
10) Del gruppo di tele compiute per S. Caterina di Vicenza nel 1706 non abbiamo notizie certe sulla loro destinazione dopo la soppressione napoleonica della chiesa e l’ipotesi che il “Trionfo di David”, giunto a Borca di Cadore nella chiesa di S. Simon in epoca imprecisata, e reso noto dal Lucco ipotizzandone una provenienza da S. Caterina, viene avanzata sulla scorta del Da Canal. M. Lucco, “Arte del Seicento nel Bellunese”, catalogo della mostra, Padova 1981, scheda n. 51.
11) R. Pallucchini, 1980, p. 378. Al secondo decennio del Settecento sono riferiti gli affreschi, a lui recentemente attribuiti, situati nel salone a pianterreno della Villa Zenobio di Santa Bona Nuova di Treviso, unica testimonianza dell’attività svolta dal Lazzarini quale frescante e di cui il Da Canal ci dà testimonianza. AA.VV. “Gli affreschi nelle Ville Venete dal Seicento all’Ottocento”, Milano 1981, scheda n. 169.

La chiesa di S. Giacomo, copertina.

La chiesa di S. Giacomo. Arte e storia, a cura di Anna Maria Spiazzi, Battaglia Terme, La Galaverna, 1982 – pagine 13-18.