Andar per acque: da Mezzavia a Battaglia

5.12 Contrada e chiesetta del Pigozzo
L’abitato del Pigozzo, che prende il nome da una specie di picchio (uccello), è un piccolo borgo, chiamato anche della Cartiera che, pur essendo sito in territorio del Comune di Carrara San Giorgio (oggi Due Carrare), è profondamente legato a Battaglia; viene sfigurato ed emarginato dal contesto dopo la costruzione della conca di navigazione (v. 8. tav.12) e la conseguente deviazione della strada che assume una forma ad S. Il successivo allargamento della statale, dopo l’istituzione dell’A.N.A.S., comporta la parziale demolizione del pubblico oratorio, dedicato alla Beata Vergine dell’Annunziata, che viene così privato della parte prospiciente la via, ora sagrato (v. anche 3. tav.11). All’interno di ciò che rimane di questa chiesetta mozzata è conservata, tra l’altro, un’interessante lapide che porta la seguente scritta: “Il 27 ottobre 1907/ l’acqua del Rialto irrompente / minacciava la rotta / dell’argine sinistro. Il popolo delle due Carrare / fidente nella Vergine del Pigozzo / dal pericolo dell’inondazione / prodigiosamente scampato / questa memoria pose”. Da allora, l’ultimo fine settimana di marzo, ha luogo la piccola ma singolare sagra del Pigozzo.
Sull’ area attigua all’oratorio affiorano degli spuntoni di roccia, estreme propaggini del monte Nuovo (185 m), nella quale è stata scavata la botte per far defluire le acque del canale Rialto (v. 3. tav.12).
Ora il vecchio tratto di strada che corre lungo il canale, chiamato via Squero, e l’area posta tra la statale e il naviglio, sono pressoché abbandonati. L’auspicio è che la zona, una sorta di ‘biglietto da visita’ di Battaglia Terme, venga finalmente valorizzata.

Contrada Pigozzo prima della deviazione della statale in una foto del primo '900.

Contrada Pigozzo prima della deviazione della statale (primo ‘900).

(Cartolina, racc. A. Zanellato)

6.12 Ferro di Cavallo e fichi d’India
Non è un amuleto portafortuna bensì un bell’itinerario da effettuare a piedi, in bicicletta o a cavallo su strada bianca o sentiero. Si snoda tra il centro di Battaglia e una delle più suggestive vallate dei Colli Euganei. Inizia dalla casa Berto (v. C tav.12), tipico rustico di stile veneto con un’ampia aia selciata, posto lungo il Naviglio Euganeo (riva destra) in faccia alla conca di navigazione; il percorso passa dietro il castello Catajo (v. 1. tav.12), sovrappassa la ferrovia che taglia in due la vallata, corre ai piedi dei colli Ceva, Spinefrasse e Croce, che formano una sorta di quinta naturale a forma di ferro di cavallo, da cui deriva il nome dell’area, e termina nell’ex cava di monte Croce ricollegandosi con il centro del paese attraverso la strada che porta a Galzignano Terme. Lungo l’itinerario, ai piedi dei colli, si possono ammirare villa Valier (sec.XVII?) e l’attiguo oratorio a mezza costa, purtroppo In pessime condizioni, nonché alcune interessanti ed antiche boarìe, come quella dei Santini, che facevano parte della vasta tenuta dei proprietari del castello Catajo.
Oltre all’aspetto architettonico si trovano anche motivi d’interesse naturalistico per la presenza spontanea del fico d’India nano e del raro semprevivo ragnateloso, piante che offrono lo spettacolo di una coloratissima fioritura. Si tratta dell’unico sito dei Colli, a livello della campagna circostante, dove crescono queste specie vegetali (altri insediamenti del genere si trovano in quota nei monti della Madonna e Ceva). Il fico d’India, vera e propria pianta grassa in miniatura, è originario dell’America centrale ed è stato importato in Europa dopo la scoperta di Cristoforo Colombo (1492). Il semprevivo, invece, è una pianta montana migrata sui Colli durante la glaciazione quaternaria. Lungo la strada sterrata si incontrano filari di gelso e ci si può imbattere anche in alcuni daini nella zona dietro il castello Catajo, delimitata da un alto muro.

Fichi d'India nani lungo il percorso denominato Ferro di Cavallo di Battaglia Terme.

Fichi d’India nani lungo il percorso denominato “Ferro di Cavallo” di Battaglia T.

I furti nei boschi
Oggi, in tempo di piraterie telematiche, fa sorridere quando si legge ciò che succedeva nel 1843 nei nostri colli. Ecco cosa scrive l’agronomo Antonio Sette a questo proposito.
“Quei [boschi] di Battaglia comprendono 11,717 pertiche di terreno; constano di roveri, di castagni e di cespugli (sgolmore o brècane); sarebbero i meglio produttivi della Provincia di Padova qualora non venissero deteriorati con ogni foggia d’abusi. Non fruttano essi una metà di quanto potrebbero dare: e alle piante d’alto fusto che muoiono in copia ogni anno, succedonvi solo di rimessiticci crescenti qua e là in verghe isolate o in miseri cespugli. Principalissimo dei danni a questi boschi si è il loro sito di agevole accesso, in vicinanza al Capo-luogo del Distretto, ed all’acqua navigabile del canale Battaglia. Quindi vengono di notte tempo, non pure tagliati, ma schiantati alla peggio e derubati grossi fasci di vermene di età diversa, che si traghettano a Chioggia e Venezia pei fabbricatori di gabbie, di corbe e di canestre.
La pubblica Autorità s’interpone, studia i modi prudenti e vigorosi onde trattenere questa ladreria; ma torna ogni cura men che efficace stante la condizione dei frodatori, i quali non si fanno paura a minacce nulla avendo o quasi da perdere. Si tormentano così le piante con tagli precoci e si molestano con depauperarle in maniera successiva, continua e guardando più alla prestezza del compimento de’ furti, che non alla incolumità delle piante amputate”.

7.12 Monte Croce e la cava
Dal monte Croce (o delle Croci, 90 m) si estraeva, sino a tutti gli anni ’60 del ‘900, la latite, pietra di colore scuro utilizzata nella costruzione delle massicciate ferroviarie (v. scheda Le origini delle pietre dei Colli) e anche per la prima autostrada Padova-Mestre. La cava, gestita su concessione dei proprietari Dalla Francesca da Gaspare Lazzaro e da Albino Bonetti, proprietario anche di quella di Valdimandria (v. 5. tav.10), è arrivata a disporre di ben 6 frantoi, per frantumare la pietra, e di una propria ferrovia Decauville, che trasportava il sasso spezzato alla stazione ferroviaria.
Lo spaccato di cava mette in luce la singolarità geologica di questo colle. Il livello sedimentario marino, infatti, è intercalato da rocce vulcaniche (latiti); la datazione di questo livello, basata sullo studio dei fossili marini in esso contenuti, ha consentito di stabilire che le eruzioni magmatiche risalgono all’Oligocene inferiore, vale a dire a circa 30 milioni di anni fa. Sulla cima si possono vedere ancora i pochi resti del monastero benedettino di Santa Maria di Monte delle Croci, fondato nel 1224, uno dei promotori del movimento dei padri albi a Padova (v. 3. tav.15*). Nel 1383, per iniziativa del vescovo di Padova Raimondo, viene ceduto ai camaldolesi e successivamente aggregato al monastero di San Michele di Murano e a Santa Maria di Porciglia. Nel 1670 il vescovo Gregorio Barbarigo ottiene di annettere i beni al Seminario di Padova.
Sino al 1971 sull’area dell’ex monastero è rimasta la casa abitata dagli Orietti che, a causa delle escavazioni, si è trovata a meno di 20 metri dal fronte della cava. Questa famiglia, unitamente ad uno speciale Comitato per la salvezza dei Colli, si è opposta al proseguimento dell’attività sino ad ottenere nel 1969 la sospensione dell’estrazione; due anni dopo la nota legge per la tutela dei Colli Euganei blocca definitivamente la cava Lazzaro, ma non riesce a salvare la residenza e alcuni resti del monastero (v. scheda Le cave dei Colli).
Le cime del colle Croce e del vicino Ceva possono essere facilmente raggiunte attraverso un sentiero tra la vegetazione e da qui si può ammirare la valle di relativa recente bonifica idraulica. Ai piedi del monte Croce è stata attrezzata dall’Ente Parco Colli Euganei un’ampia area per camper e pic-nic.

Le pietre dei Colli
I Colli Euganei si elevano dalla ‘piatta pianura’ sino ad un massimo di 600 metri s.l.m. (monte Venda) e sono frutto di particolari manifestazioni vulcaniche (o magmatiche) che non è del tutto corretto chiamare vulcani. Il magma incandescente non è fuoriuscito violentemente come nei vulcani veri e propri. A volte si è raffreddato dopo aver sollevato la crosta superficiale di rocce sedimentarie, formando enormi bubboni, chiamati dai geologi “laccoliti”. In altri casi, invece, la lava particolarmente viscosa ha rotto la copertura sedimentaria e, ristagnando sopra le fessure di emissione, ha dato luogo a corpi elevati, come ad esempio nel complesso Venda-Vendevolo.
In genere il vulcanismo euganeo si è verificato quando l’area degli attuali colli, come tutta la Valle Padana, era sommersa dal mare. La crosta sollevata era stata prodotta dalle millenarie sedimentazioni sul fondo marino di organismi che avevano formato una roccia calcarea con tracce di fossili. Il magma sottostante ha avuto modo così di raffreddarsi lentamente e in qualche caso di infiltrarsi nelle varie fratture provocate nello strato calcareo. La massa rocciosa pur solidificandosi, perché scesa al di sotto della temperatura di fusione, era ancora caldissima ed ha continuato a raffreddarsi fino a raggiungere la temperatura esterna. Essa andava contemporaneamente diminuendo di volume, ma essendo ormai solida non poteva più contrarsi in blocco e si è suddivisa in prismi e colonne (es. cava di Monte Cinto). Il fenomeno della fessurazione di origine termica (raffreddamento) è oggi ben conosciuta nel campo delle costruzioni delle grandi dighe in calcestruzzo dove le fessurazioni sono precostituite a mezzo di giunti di contrazione (in questo caso il riscaldamento è provocato dalla reazione di presa del cemento).
Il vulcanismo cessa intorno a 30 milioni di anni fa. Dopo il ritiro del mare, comincia lo smantellamento erosivo della crosta sedimentaria ad opera soprattutto delle acque meteoriche, specie sulle sommità dei Colli che in tal modo vengono ad assumere l’attuale conformazione. Così oggi troviamo le parti alte costituite da rocce magmatiche, mentre più in basso è conservato il manto calcareo. Essendo meno erodibili, le rocce magmatiche presentano un andamento ripido o a strapiombo, come nel caso di Castelnuovo. Sia le pietre di origine vulcanica, come la trachite (es. sulla Rocca di Monselice, a Lozzo e Lispida), la riolite (più acida della trachite, come sui monti Cinto e Ricco) e la latite (di colore scuro, come sul monte Croce), sia quelle sedimentarie, come il rosso ammonitico, il biancone e la scaglia rossa (scaja), sono utilizzate per vari scopi: le prime per rinforzare i litorali marini e le rive fluviali, per l’innalzamento di mura difensive e di edifici civili, per pavimentazioni e, nel caso di latiti, per massiccia te ferroviarie; le seconde per produrre calce e come materiale da costruzione.
Nel 1733 il Senato veneto decide di “selciare” piazza San Marco con le maségne della Rocca di Monselice; il materiale è di ottima qualità e comodamente trasportabile via acqua. Da allora poco a poco tutte le calli, le fondamenta, i campi e campielli di Venezia, nonché i marciapiedi (listoni) e le piazze di Padova, Vicenza e Treviso vengono lastricati con la trachite o riolite euganea. A metà ‘800, dopo la chiusura delle cave della Rocca a causa di una lite insorta fra i proprietari, si sperimenta una specie di “terrazzo a cemento bituminoso “, chiamato asfalto, ma questa nuova pavimentazione allora costa più che il selciato di maségne e perciò non ha il successo che invece otterrà molto più tardi!
Taglio manuale della trachite.

Taglio manuale della trachite.

(“Attività estrattive negli Euganei”, M.C. Billanovich, 1997)

Il Parco regionale dei Colli Euganei
Il Parco nasce nel 1989 dopo la positiva esperienza del vecchio consorzio tra comuni e provincia per la valorizzazione dei Colli Euganei, istituito nel 1962. Si estende per circa 18.702 ettari e comprende, in tutto o in parte, il territorio di 15 Comuni: Abano T., Arquà Petrarca, Battaglia T., Baone, Cervarese S. Croce, Cinto Euganeo, Este, Galzignano T., Lozzo Atestino, Monselice, Montegrotto T., Rovolon, Teolo, Torreglia, Vo’.
Si propone la protezione e la valorizzazione del patrimonio naturalistico, storico, architettonico e paesaggistico dell’area euganea, nonché la promozione delle attività economiche tradizionali compatibili con l’esigenza primaria della tutela dell’ambiente. Per raggiungere queste finalità, l’ente di gestione si è dotato di un apposito strumento: il Piano Ambientale, costituito da un insieme di norme e di indirizzi che servono come riferimento e orientamento per i cittadini, operatori ed amministratori in rapporto ai loro interventi sul territorio. Il piano, che comprende la relazione illustrativa con vari materiali di studio e di analisi, le tavole di progetto vere e proprie e le norme di attuazione, è stato adottato nel 1994 e approvato dalla Regione nel 1998.
La gestione del parco è affidata all’ente regionale denominato “Parco dei Colli Euganei” e amministrato dal Consiglio che elegge nel suo ambito il Comitato Esecutivo e il Presidente. Tra le varie attività svolte dall’Ente, anche in collaborazione con altre amministrazioni, si segnalano quelle che possono interessare il turista: recupero e sistemazione dei sentieri con apposizione di cartelli indicatori e di aree di sosta; manifestazioni per promuovere i prodotti tipici dei Colli (13 vini D. o. c., l’olio, il miele, piccoli frutti come le giuggiole, le more, i melograni, ecc.); organizzazione di attività didattiche che vanno dai moduli per le varie scuole alle “Domeniche al Parco”; particolari progetti per il recupero del rustico detto “Casa Marina” sulle pendici del monte Venda (destinato ad ostello per scolaresche); salvaguardia dell’ex roccolo in località Pianzio a Torreglia; realizzazione di un anello ciclabile pedecollinare; pubblicazioni sulla natura, l’ambiente, la storia degli Euganei. Recentemente è stato prodotto anche un CD, nell’ambito del progetto “Strumenti multimediali alla scoperta delle risorse ambientali del Parco dei Colli Euganei”.
Trimestralmente il Parco diffonde, tra tutti i residenti dei Colli, un bollettino di informazioni chiamato “Parcoinforma”. L’ente coordina l’attività delle “guardie del Parco”, una trentina di agenti giurati volontari, autorizzati dalla Regione e dalla Prefettura, che svolgono compiti di prevenzione e vigilanza sul rispetto del patrimonio floristico e faunistico del parco stesso.
La presidenza, la direzione, l’amministrazione e l’ufficio tecnico del parco hanno sede a Ca’ Mori di Este (v. 2. tav.20*), mentre l’ufficio educazione ambientale a Ca’ Emo di Monselice (v. 16. tav.15*).

Via Rana Ca’ Mori, 8 – 35042 Este, tel. 0429.602796 – Via S. Stefano Superiore – 35043 Monselice, tel. 0429.784589, posta elettr. [email protected]
Carta del Parco Regionale dei Colli Euganei.

8.12 Conca di navigazione ‘ecologica’
Per secoli il materiale proveniente dai Colli che veniva trasportato fino alla laguna di Venezia, al Po e all’Adige, una volta arrivato in prossimità di Battaglia doveva essere trasbordato dal Canale di Sopra (Battaglia) a quello di Sotto (Sottobattaglia/Vigenzone) su altri natanti. Tra i due canali, infatti, non c’era collegamento navigabile. L’Arco di Mezzo (v. 12. tav.12*) è un manufatto idraulico costruito sin dall’origine del naviglio Battaglia, destinato a sostenere il livello e, conseguentemente, a muovere le ruote idrauliche collocate ai suoi fianchi, ma non ha mai consentito il transito delle barche.
Vista la scomodità dei trasbordi, l’idea di collegare i canali alti con quelli bassi di Battaglia è piuttosto antica. Il progetto viene finalmente recepito dalla commissione ministeriale, presieduta dal deputato padovano Leone Romanin Jacur e appositamente nominata nel 1900 per la sistemazione delle vie d’acqua della Valle Padana, che propone, per il forte dislivello, una triconca, cioè una conca con tre bacini e quattro ordini di porte. Con tale opera s’intende collegare il canale Battaglia con il canale Rialto (quello della botte del Pigozzo, v. 3. tav.12) che sfocia nel Sottobattaglia o Vigenzone (di fronte all’attuale Museo della Navigazione Fluviale). Il sito proposto è proprio quello in cui la conca verrà successivamente edificata ma il progettista, ingegnere Umberto Lunghini del Genio Civile di Padova, con molta lungimiranza propone nel 1917 un manufatto semplice ad un solo bacino, facendo tesoro delle esperienze nel frattempo acquisite all’estero. Una volta approvato il progetto, la realizzazione cade però in uno sfortunato periodo, quello tra la fine della Grande Guerra e la crisi sociale, economica e politica del dopoguerra; come se ciò non bastasse, l’opera viene ostacolata anche dalla insufficiente consistenza del terreno di appoggio.
Nonostante queste difficoltà la costruzione si conclude nel 1923 assicurando il collegamento tra il canale alto e quello basso. Questa conca presenta delle caratteristiche eccezionali: innanzi tutto permette alle imbarcazioni di superare una caduta d’acqua che in certi momenti arriva a 7,4 m, dislivello che non ha riscontro in nessun altro manufatto, ad un solo vaso, della pianura Padana; come molte altre conche presenta due ordini di porte ad angolo, così dette “vinciane” che però sono mosse, invece che con motori elettrici, con la sola pressione dell’acqua che crea aria compressa (una conca ecologica dunque, che non richiede energia esterna); un’altra particolarità, che rende quest’opera una sorta di ‘monumento’ all’ingegneria idraulica del primo ‘900, è il fatto che viene impiegato il calcestruzzo armato (bèton come veniva chiamato), materiale allora ancora pionieristico; inoltre le pareti del cratere o vaso sono rinforzate da numerose costolature che ne riducono lo spessore.
Accanto alla conca vengono eretti il casello del manovratore ed ampi mandraci (mandracchi) a monte e a valle della stessa conca. Il bacino viene solennemente inaugurato il 23 giugno del 1923 alla presenza di Benito Mussolini, salito a bordo di un grosso bùrcio addobbato a bucintòro veneziano e accompagnato da numerose barche a remi della Canottieri Padova e della Rari Nantes. La conca non è, come si è visto, opera fascista, ma il regime la sfrutta a scopi propagandistici in quanto risulta in perfetta sintonia con il concetto mussoliniano autarchico: “Domare le acque selvagge per fame strumento di produzione”. Pur risultando estremamente utile per il traffico acqueo, in quanto apre una sorta di via brevis (scorciatoia) con la laguna, non viene però utilizzata a lungo e già alla fine degli anni ’60 non transita più nessun barcone. Rimane abbandonata per decenni sino al restauro e alla reinaugurazione del marzo del 1998, attuati dalla Regione Veneto (Genio Civile di Padova). La sua rimessa in funzione risalda l’anello fluvio-lagunare che collega Padova con Venezia, Chioggia e i Colli Euganei, assumendo così una notevole valenza turistica e sportiva.

Dati tecnici: lunghezza 42 m, larghezza 7,20, dislivello massimo 7,40, tirante d’acqua 2,00, apertura su preavviso Genio Civile Padova […].

Costruzione della conca di navigazione di Battaglia in una foto del 1922, vista dal canale Rialto.

La conca di navigazione di Battaglia in costruzione, vista dal canale Rialto (1922).

(arch. Genio Civile di Padova)

9.12 Squeri a Battaglia
Al cantiere per la costruzione e riparazione delle barche, chiamato squero, è dedicata una via a Battaglia e una a Monselice (v. 4. tav.16*), segno evidente che un tempo queste attività erano presenti anche in questi abitati come in molti altri ambiti fluviali e lagunari. Dello squero di Battaglia si hanno notizie grazie al recente libro di Francesco Liguori, Battagia. La contrada Squero a Battaglia è quella vietta a fondo bianco che corre lungo lo specchio d’acqua, dall’attuale distributore di benzina alla statale in prossimità della conca, e che segna in parte il tracciato della vecchia strada postale sostituita da quella odierna nel 1923. In quell’area era attivo nel primo ‘700 il cantiere di Giacomo Pipinato e di un suo probabile parente, certo Girolamo Pipinato che era squerarolo anche a Pontelongo. Nel primo ‘800 nel piccolo borgo, oltre allo stesso cantiere, sulla maresàna funzionava anche la fornace di Giovanni Sanavio e c’era la casa di Domenico Belloni. Dello squero e della fornace non è purtroppo rimasta più alcuna traccia.
A Battaglia, però, nell’ultimo dopoguerra s’insedia un altro squero, quello di Oreste Cobelli che si è trasferito in questo luogo da Pescantina (Verona), e che si stabilisce tra il canale Rialto e il Vigenzone, vicino all’attuale museo. Il sito è un punto nevralgico per la navigazione padovana perché collega direttamente Battaglia a Chioggia e quindi i Colli con le principali idrovie padane. Oreste è il più giovane di tre fratelli e decide di traslocare a Battaglia perché a Pescantina lo squero, condiviso appunto con gli altri fratelli, non può più continuare l’attività. L’Adige, da Pescantina a Verona e anche più a valle, non è più navigabile, soprattutto per le forti derivazioni d’acqua necessarie alle centrali idroelettriche. I Cobelli di Pescantina sono conosciutissimi nel mondo dei barcàri perché hanno prodotto i più eleganti ed efficienti burci della cantieristica fluvio-lagunare. Il cantiere veronese, che aveva origini probabilmente quattrocentesche, era stato il punto di riferimento per gli altri squeri veneti che varavano barche da carico a fondo piatto e ciò anche nei confronti dei cantieri lagunari, molto più numerosi e ‘prolifici’ rispetto a quelli dell’entroterra.
Negli anni ’50 però, quando il Cobelli si trasferisce a Battaglia, ormai il trasporto fluviale è già avviato al declino; il cantiere perciò ha vita breve per quanto concerne le imbarcazioni tradizionali da carico.

Lo squero presso Castelvecchio di Padova, ora Specola, nel 1767.

Lo squero presso Castelvecchio di Padova, ora Specola, nel 1767.

(“Il Castello di Padova e le sue condizioni”, G. Lorenzoni, 1886)

10.12 Il Museo dei barcàri
Nel 1966 transita l’ultimo bùrcio nella conca di navigazione di Battaglia. Verso la fine degli anni ’70 il paese ha già tagliato i legami con il proprio passato marinaro. Solo i vecchi lavoratori del fiume ricordano l’importante ruolo svolto dal trasporto fluviale nel paese. Così, durante il corso delle 150 ore per ottenere la licenza di scuola media che alcuni ex barcaioli vogliono conseguire per poter lavorare in fabbrica o in albergo, scocca la scintilla: alcuni dei corsisti svolgono le prime ricerche e raccolgono materiale fotografico e attrezzature di barche. Nel 1979 viene allestita la mostra “Battaglia Terme e la navigazione fluviale”. Il successo della manifestazione induce a pubblicare il relativo catalogo intitolato “Canali e burci”, che verrà ristampato più volte. Si costituisce successivamente uno speciale comitato per la creazione di un museo; l’Amministrazione comunale, con delibera del 1985, lo istituisce ufficialmente e ne individua la sede nell’ex macello comunale di via Ortazzo. L’edificio quindi viene ristrutturato tra la fine degli anni ’80 e il 1995. Il Museo Civico della Navigazione Fluviale viene presentato una prima volta nel settembre del 1997, in occasione del convegno “I mestieri del fiume” organizzato nel castello Catajo, e inaugurato ufficialmente il 2 maggio del 1999.
Oggi costituisce l’unica realtà museale italiana interamente dedicata al trasporto fluviale e raccoglie circa tremila pezzi, tra i quali una collezione quasi completa di tipi di barconi veneti tradizionali da carico, quali il bùrcio, la peàta, Il topo, la gabàra, la caorlìna, oltre ad un esemplare di rimorchiatore in ferro. All’interno si trovano le sezioni dedicate alla componentistica, alla cantieristica, ai manufatti idraulici e alle vie d’acqua, ai mezzi di propulsione, alla vita di bordo. Oltre a visite guidate, il museo offre ai gruppi anche la possibilità di fare escursioni a bordo di imbarcazioni tradizionali in legno recuperate dall’Associazione Lo Squero di Padova.

Museo della Navigazione, via Ortazzo, 63 Battaglia T. […]
Associazione Lo Squero Via Guizza, 79 Padova […], posta elettr. [email protected]

I mestieri del fiume
Attorno ai fiumi, ai canali e in genere ai corsi d’acqua si è formato nel tempo uno specifico e stretto rapporto tra uomo e ambiente e in particolare tra le risorse naturali e il loro equilibrato sfruttamento. Di questo microcosmo culturale un aspetto tra i più interessanti è rappresentato dai mezzi e dagli uomini del trasporto acqueo con le loro specifiche tecniche di navigazione e di costruzione dei natanti. Ogni pezzo di barca, tratto di fiume o strumento di lavoro sono noti e individuati con un nome particolare, segno evidente di una conoscenza accurata e di una familiarità con il mezzo e con tutto l’ambiente. Il trasporto in acque interne si avvale di figure professionali specifiche, come i barcarói (conduttori di barche), i paróni de barca o barcàri (proprietari armatori), i cavalànti (prestatori di animali per il tiro da terra), i sabionàri (che estraggono sabbia dall’alveo del fiume), gli zattieri (conduttori di zattere per la fluitazione del legname), i portinàri (manovratori delle porte delle conche), i pallattieri (esattori dei pedaggi), i traghettatori (conduttori di barche da una riva all’altra del fiume), i peòti (piloti esperti di particolari tratti); si serve anche di altri artigiani comuni nel mondo marinaro, come gli squeraroli (ora maestri d’ascia), i canevìni (costruttori di cavi), i remèri (costruttori di remi e forcole), i marinèri (aiutanti a bordo), i morè (mozzi). Fra tutti il mestiere più noto e diffuso è quello del barcaiolo che peraltro è sopravvissuto più a lungo. L’installazione dei motori entrobordo, avvenuta nell’ultimo dopoguerra, e prima ancora l’utilizzo dei rimorchiatori, hanno costretto al riposo i cavalànti e i velai. Il divieto di estrarre sabbia dal letto dei fiumi colpisce i sabionàri, la costruzione dei ponti fa scomparire i traghettatori; ma il colpo di grazia al trasporto fluviale l’hanno dato negli anni ’60 del ‘900 i camionisti che modificano il sistema dei trasporti, trasferendolo quasi esclusivamente sulle strade. Questa sorta di rivoluzione ha avuto riflessi negativi soprattutto in quelle località dove si viveva con le attività legate al trasporto via acqua, come a Limena, Bassanello e Battaglia, solo per citare quelle padovane.
La scomparsa pressoché totale dei mestieri del fiume segna una svolta epocale. A differenza del mondo contadino, quello fluviale era caratterizzato da intensi rapporti e scambi per il continuo spostamento imposto da questo tipo di lavoro. I conduttori di barche, paroni o barcarói, erano definiti per questo “nomadi del fiume”: buona parte del tempo lo passavano a bordo e lontani da casa; solo d’estate erano accompagnati dalla moglie e dai figli, questi ultimi per essere introdotti all’arte della navigazione, attività non meno difficile, rischiosa e faticosa di quella dei pescatori e navigatori di mare. Il mondo fluviale era più o meno legato alla cultura del mare, ma non si identificava con essa. Ed è questa specificità, peraltro poco nota, che occorre ancora oggi salvaguardare e valorizzare, come il dismesso gergo.

Una deviazione verso Chioggia
Arrivati al Museo, anziché ritornare lungo il Naviglio Euganeo, si può percorrere il canale Vigenzone che, dopo un primo tratto sinuoso e stretto in territorio di Due Carrare, giunge al ponte di Riva, poco lontano dalla chiesa di Santo Stefano, culla dei Da Carrara signori di Padova; da lì prosegue verso il ponte di Cagnola (Cartura), Bovolenta, Pontelongo, Correzzola, Ca’ Bianca e Ca’ Pasqua. In quest’ultima località confluiscono Brenta e Bacchiglione in un unico alveo; poco prima di versare le acque al mare, in località Brondolo, i fiumi uniti sono collegati alle diramazioni, a sud verso l’Adige e Po (tramite il canale di Valle) e a nord verso Chioggia, attraverso la conca di Brondolo. L’intera deviazione, che inizia a Battaglia, si snoda tra interessanti abitati e suggestive campagne che alla fine si tramutano in un affascinante paesaggio lagunare.
Il percorso si può fare anche in bicicletta seguendo la strada arginale. Recentemente è stato sistemato il tratto sulla sinistra idraulica che va da ponte Chiodare di Battaglia (dietro il Museo) sino a Ponte di Riva; qui è opportuno passare sull’argine destro sino a Cagnola. Oltre, è quasi sempre possibile percorrere ambedue i lati del canale.

11.12 I ponti di Battaglia e San Zuàne
Le due rive del Naviglio Euganeo a Battaglia, lunghe poco più di 500 m, sono collegate da due ponti pedonabili, la passerella metallica e il ponte a gradini. La passerella metallica, ora denominata Ponte de Fèro, viene costruita la prima volta nel 1871 e dopo solo 13 anni rifatta nel luogo dov’è attualmente, di fronte al vecchio Municipio, cioè spostata di un’ottantina di metri verso Monselice; viene restaurata nel 2001. Il ponte “alla veneziana” (dei Scaìni) in mattoni ad arco a tutto sesto, l’unico a gradini della provincia di Padova, viene ricostruito un po’ più alto nell’ultimo dopoguerra (tre gradini in più) per facilitare il transito dei natanti, dopo essere stato colpito da una bomba. A fianco di questo singolare manufatto è stata collocata una bella statua di San Zuàne, Giovanni Nepomuceno (1330-1383), originario di Nepomuk (da qui il nome), piccolo paese a pochi chilometri da Pilsen in Boemia (Rep. Ceca), protettore della fraglia dei barcaioli che gestiva i trasporti nel Naviglio Euganeo (v. 4. tav.15* e 1. tav.24*). Questo martire del sigillo sacramentale della confessione, che aveva studiato a Padova, fu decapitato e gettato in acqua dal re di Boemia, Venceslao VI, perché non gli aveva rivelato i peccati della consorte, la regina Giovanna. Venerato in modo particolare dai sovrani asburgici, fu considerato il protettore dei naviganti e dei naufraghi; di conseguenza statue che lo rappresentavano furono collocate in prossimità di numerosi ponti in tutto l’impero.
Il collegamento carrabile tra le due sponde del naviglio a Battaglia è assicurato da altri due ponti: il Ponte Nuovo (recentemente ribattezzato “Ponte dei Cavalanti”!), in muratura e oggi chiuso al traffico veicolare, e il nuovissimo in calcestruzzo, inaugurato nel 1994 e denominato” delle Terme”. Il Nuovo venne eretto nel 1838 in sostituzione di quello dei Scaìni, per il traffico stradale; nello stesso tempo il duca di Modena, proprietario del Catajo realizzò, a proprie spese, un ponte in legno di fronte al suo castello e il Comune demolì quello posto di fronte al Pigozzo. Il ponte attuale del castello Catajo, in muratura ad arco a sesto ribassato del 1883, sostituisce il citato in legno, divenuto impraticabile, per consentire una comoda comunicazione tra la frazione di San Pietro Montagnon (ora Montegrotto T.) e le sue cave con il capoluogo e il suo porto. È il più basso fra tutti quelli del Naviglio Euganeo, unitamente a quello di Mezzavia, e al Nuovo di Battaglia. Qui i barcàri, quando non riuscivano a passare sotto per pochi centimetri, distesi sulla coperta del natante appoggiavano i piedi all’estradosso dell’arco del ponte stradale oppure legavano a prua il battello di servizio per abbassare il barcone quanto necessario. L’estremità anteriore dei burci, dotata di puntale di ferro chiamato brocón, essendo il punto più alto delle parti fisse del barcone, fungeva da preziosa spia per poter sottopassare; i segni ancora oggi visibili, lasciati sotto gli archi del ponte dal puntale, sono una conferma di questa ulteriore difficoltà che doveva essere superata dai barcaioli.

Battaglia Terme, le acque del Naviglio Euganeo viste dal Ponte dei Scaìni (primo '900).

Battaglia T. vista dal Ponte dei Scaìni (primo ‘900). A destra la statua di San Zuàne, i mulini “dei Quattro” e “dei Sei” e l’Arco di Mezzo.

(cartolina, racc. A. Zanellato)

Pier Giovanni Zanetti

Andar per acque, copertina.

Pier Giovanni Zanetti, Andar per acque, Padova, Il Prato, 2002 – pagine 9-13, 16, 113-117, 124, 142-172, 182, 222-223, 231-233.