Andar per acque: da Mezzavia a Battaglia

tav. 11 Mincana (Due Carrare)

Percorso fluviale in località Mincana (Due Carrare).

1. Casa Sanudo-Levi – 2. Mulini di Mezzavia – 3. Strada Monselesana (Statale n. 16 Adriatica) – 4. Azienda agricola Salmaso – 5. Granze di Mezzania – 6. Villa Dolfin e azienda agricola Dal Martello – 12/6 Canale Battaglia – 1/8 Scolo Menóna.

A. Azienda agricola Rango “Al Graspo” – B. Capitello di Sant’Antonio – C. Canale Biancolino – D. Boarìa Dalla Francesca, Ambrosin, Già Brozzolo (XVIII sec?) – E. Scolo Canella – F. Traforo della ferrovia Padova-Bologna (1866 e raddoppio 1904) – G. Scuderia e maneggio – H. Scolo Rialto – I. Boarìa Mazzucato, già Venier (XVIII sec.) – L. Chiavica Dal Martello.

1.11 Casa Sanudo – Levi
È un bel palazzo più volte rimaneggiato e forse rimasto incompiuto, di probabile impianto cinque-seicentesco e con l’ala, opposta alla strada, probabilmente antecedente. Il piano terra, coperto da volte a crociera, era destinato a cantina e scuderia. Il fronte sulla strada Adriatica, in parte nascosto da tre secolari platani, presenta un portale bugnato e una breve scala in pietra trachitica. Originariamente questa saliva dall’unghia del contrargine stradale al piano nobile dell’edificio; ora invece scende dal piano stradale rialzato ed allargato al portale d’ingresso. È pensabile che, proprio per queste modifiche della strada avvenute nei primi anni ’30 del ‘900 (v. 3. tav.11), il suolo sottostante, formato da strati torbosi o comunque di scarsa consistenza, sia stato ulteriormente sovraccaricato e compresso facendo inclinare vistosamente l’edificio, alla stessa stregua di palazzo Zennato (v. 2. tav.10). Casa Sanudo era dotata di un oratorio privato, ora scomparso, dedicato alla Madonna Annunziata, cui fa cenno lo storico Andrea Gloria nel suo “Territorio padovano illustrato”. Nel ‘600 risulta di proprietà dei Bragadin, successivamente dei Sanudo, altra famiglia aristocratica veneziana, almeno sino a metà ‘800; subentrano poi vari altri proprietari e per ultima la contessa Carlotti Corti di Venezia. È stata in parte restaurata dagli attuali proprietari, Levi Minzi-Colombana.

2.11 Mulini di Mezzavia
Percorrendo la strada arginale o arrivando in barca non ci si accorge che sotto la statale Adriatica esistono i resti di una posta molitoria, i mulini di Mezzavia. È il toponimo, risultante nella vecchia cartografia, che ci avverte di questa presenza pochissimo conosciuta. Se si raggiunge questo sito si può ancora scoprire quello che rimane dei cinque calloni (canaletti), su quattro dei quali si facevano girare otto ruote idrauliche (quello centrale serviva come scaricatore).
Qui nasce il canale Biancolino che deriva acqua dal canale Battaglia sulla sinistra idraulica, compiendo un salto piuttosto consistente, dislivello che per secoli viene sfruttato per far funzionare i mulini. Scendendo di pochi metri lungo via Saline (laterale della statale) che corre lungo il Biancolino, si può ancora osservare, non solo la derivazione d’acqua, ma anche una parte del ponte a due archi in muratura su cui passava la vecchia strada postale Padova-Battaglia; a fianco del vecchio viadotto si può distinguere l’ampliamento in calcestruzzo, realizzato in occasione dell’allargamento della strada, dopo la costituzione dell’Azienda Nazionale Strade Statali. A pochissimi metri dal ponte si erge un edificio dotato di una ruota metallica (ricostruita), che ha sostituito quelle vecchie in legno, poste originariamente sia a destra che a sinistra del Biancolino. I vecchi mulini esistono già nel 1209, cioè subito dopo lo scavo del canale Battaglia; qualche decennio più tardi il monastero di San Benedetto risulta essere proprietario di tutta la posta molitoria costituita da quattro ruote. Nel 1298, a seguito della divisione dei possedimenti tra le monache e i monaci benedettini, le ruote verso Padova sono destinate alle prime, mentre quelle verso Monselice ai secondi. Successivamente i mulini vengono accresciuti di altre quattro ruote, equamente divise tra i due monasteri. Nonostante ciò, essi continuano a litigare confermando, purtroppo anche in questa circostanza, la nota locuzione popolare: “ognuno tende a tirar l’acqua al proprio mulino”. A metà ‘800 sono acquistati da Gaetano Bottin, nel 1895 dalla Società Industriale di Battaglia per poi essere ceduti alla famosa S.A.D.E. (Società Adriatica di Elettricità di Venezia). Nel 1919 cessa l’attività molitoria sulla sinistra idraulica del Biancolino (lato verso Padova) e qualche anno dopo anche quella dell’altro mulino, che sino agli anni ’50 ha conservato la ruota idraulica metallica. Quest’ultimo viene acquisito dalla famiglia Costa che ha tentato di ripristinare la funzionalità della ruota mediante una sua ricostruzione.

Ruota del mulino di Mezzavia nelle acque del canale Biancolino in una foto degli anni '50.

Ruota del mulino di Mezzavia, negli anni ’50 del ‘900.

(“Le vie d’acqua del Veneto”, F. Vallerani, 1983)

3.11 La strada “Monselesana”
Quest’arteria, chiamata “Monselesana” che collega Monselice a Padova, è sistemata sul contrargine del Naviglio Euganeo (lato orientale); ha sostituito la strada romana Emilia Altinate che probabilmente passava per la Mandria, Abano, Monselice ed Este lambendo i Colli per collegare Padova a Rovigo e Bologna. Nel 1868 da importante strada “regia postale” diviene Provinciale. La diligenza la percorre quotidianamente effettuando numerose fermate (poste), come ad esempio a Bassanello, Ponte della Fabbrica, Mezzavia, Battaglia, Rivella, ecc. Negli anni ’20 del ‘900 diventa strada statale n. 16 Adriatica. Poco dopo viene in diversi punti rialzata e allargata demolendo tutto ciò che restringeva la carreggiata, come alcuni edifici a Mezzavia (compreso il palazzo Avogadro, v. 1. tav.10) e persino la navata dell’oratorio Pigozzo (v. 5. tav.12). Inoltre nel 1927-28 viene ampliato il ponte sul canale Biancolino ai mulini di Mezzavia; al vecchio manufatto a volta di mattoni vengono accostate nuove strutture in calcestruzzo armato. Negli anni ’30 viene asfaltato il tratto da Padova a Ponte della Fabbrica. Lungo la via erano stati piantati in epoca napoleonica vari gruppi di platani, come quelli di fronte all’azienda agricola Salvan (ora eliminati), per il riparo estivo dai raggi solari, utili non solo per i nocchieri ma anche per i cavalli. Lungo tutto il percorso gli stradini solevano disporre mucchi di ghiaino e, sotto gli alberi, pani di argilla bianca! Il ghiaino serviva per colmare le buche, mentre la tèra crea veniva utilizzata per talune dermopatie dei quadrupedi, molto frequenti proprio per lo sforzo prolungato a cui erano sottoposti e per le insidie del fondo sconnesso che potevano facilmente azzopparli.
Nell’ultimo dopoguerra il fondo stradale viene ulteriormente sollevato ed allargato dalla parte del canale innalzando un muro di sostegno dell’argine in calcestruzzo, escluso un breve tratto a monte del ponte della Fabbrica che è in trachite. La carreggiata in questo modo passa da una larghezza media di 6,50 a oltre 12 metri.
Nonostante il declassamento a strada comunale del primo tratto da Bassanello al Baracón (Mandriola) di Albignasego, avvenuto qualche anno fa, questa importante arteria rimane la più lunga strada statale d’Italia; inizia a Padova e va sino a Santa Maria di Leuca con un percorso lungo poco meno di 1018 km. Il cippo d’inizio è ora posto sopra l’argine lungo la stessa strada statale, all’incrocio con l’uscita di Padova Sud dell’autostrada Bologna – Padova.

L'abitato di Mezzavia e la strada Monselesana, che corre a fianco delle acque del canale Battaglia, in una foto degli anni '50.

L’abitato di Mezzavia e la strada “Monselesana “, ora statale Adriatica (anni ’50 del ‘900).

(Cartolina, racc. A. Zanellato)

4.11 Azienda agricola Salmaso
Nel catasto napoleonico l’immobile, posto sulla destra idraulica proprio di fronte agli ex mulini di Mezzavia, è censito come “casa da massaro con levatoio o canape” di Giordano Lione. Nei successivi catasti risulta intestato ai Mincio e poi ai Moro. Attualmente è sede dell’azienda vitivinicola della famiglia Salmaso che produce vini a denominazione di origine controllata (d.o.c.). Non lontano, lungo la sommità arginale, si incontra un capitello dedicato a Sant’Antonio.

5.11 Granze di Mezzavia
Località indicata sulla destra del canale Battaglia nella vecchia cartografia, ora in Comune di Montegrotto. Il nome del luogo piuttosto comune, presente anche a sud di Battaglia (ora Palù Inferiore), a sud di Marendole (Granzette) e a sud di Monselice (Comune di Granze), deriva da granza, dal latino tardo grancia, fattoria, magazzino, luogo di raccolta dei prodotti agricoli spesso dipendente da un monastero; da questo deriva anche la voce tardo-medievale granica, cella adibita a deposito di grano. Prima della separazione amministrativa tra Battaglia e Montegrotto, avvenuta nel 1921 (v. scheda La questione territoriale di Montegrotto), la frazione apparteneva al Comune di Battaglia.

La questione territoriale di Montegrotto
Battaglia è il più piccolo, come superficie territoriale, fra tutti i 104 comuni della Provincia di Padova; dispone infatti soltanto di 6,28 km quadrati. Ma non è sempre stato così. Nel XIII secolo comprendeva le seguenti frazioni: Catajo (attorno al castello), Esenzian Barbi (ora via Esenzione Barbè in loc. Rivella), Granze di Mezzavia (lungo il naviglio), Montenovo (Ferro di Cavallo), Pigozzo (attorno all’omonima chiesetta), Pizzon (ora borgo Ortazzo), Selvatico (nelle vicinanze del colle Sant’Elena), San Pietro Montagnon (zona della vecchia chiesa parrocchiale) con Montegrotto (attuale zona ad ovest della ferrovia). Il censimento del 1911 registra a Battaglia una popolazione di 5.192 abitanti, più di quanto registra ora.
Nei primi anni ’20, periodo in cui si offre la possibilità ai capoluoghi di provincia di inglobare i comuni contermini (opportunità che Padova, a differenza di Verona, Milano, ecc., non ha saputo cogliere), a Battaglia, invece, si verifica un processo opposto, vale a dire la spaccatura del Comune in due; nasce così l’autonomo Comune di Montegrotto.
Stemma dei Comuni di Battaglia Terme e di Montegrotto Terme.
La frazione di San Pietro Montagnon è poverissima d’industrie poiché, ad eccezione dei due stabilimenti termali, di tre cave di sasso trachitico e di una fornace di laterizi, comprende una zona prettamente agricola; gelosa dello sviluppo commerciale ed industriale del capoluogo, inizia verso il 1914 una campagna separatista, che ha esito positivo nel 1921. Il paese di Battaglia, col distacco della frazione, viene ridotto a meno di un terzo della sua estensione, gravato da debiti e messo nell’assoluta impossibilità di espandersi. Durante le trattative per la divisione territoriale e patrimoniale dei due enti, mentre gli interessi di San Pietro Montagnon sono trattati da una Commissione eletta dai suoi cittadini, Battaglia invece è amministrata da un Regio Commissario il quale, malgrado i suoi sforzi, non riesce ad ottenere appoggio alla sue richieste, venendo a mancare il sostegno della cittadinanza stessa, che si mantiene beffardamente apatica; ciò permette alla Commissione di San Pietro Montagnon di impedire al capoluogo anche ogni possibilità di sviluppo, privandolo di tutto il territorio potenzialmente produttivo. La frazione nasce quindi come Comune nel 1921 con il nome di San Pietro Montagnon, che rimane fino al 1934, quando viene mutato in Montegrotto Terme.

6.11 Villa Dolfin – Dal Martello a Mincana
“Lungo le rive del Battaglia vi sono case ancor più belle che sul Brenta, ma meno numerose; e quella di Dolfin mi parve la più bella”, così nel 1739 si esprime uno dei più attenti viaggiatori stranieri che visitano l’Italia attraverso il “grand tour”, il francese Charles De Brosses.
La villa è posta a levante del canale Battaglia, in località denominata Mincana del Comune di Due Carrare (ex Carrara San Giorgio). Di questa costruzione non si hanno molte notizie. Si sa che è edificata, o meglio ristrutturata, in modi palladiani nella seconda metà del ‘600 dalla famiglia Dolfin che l’ha rilevata dai Bondumier. Nel 1721 viene consacrato l’annesso oratorio da Daniele Dolfin, patriarca di Aquileia. Nella seconda metà del ‘700 l’assetto del complesso è sostanzialmente quello attuale, vale a dire con un corpo centrale accostato a due ali laterali più basse, timpanato sul lato sud e con una loggetta su portico bugnato sul fronte nord. L’ingresso è originariamente previsto sul lato della loggia, ma poi viene sempre utilizzato il lato opposto. Nel 1777, a firma di Bortolo Deveraro, allievo di Domenico Cerato, docente nella Pubblica scuola di architettura di Padova, vengono redatte delle tavole di disegno che raffigurano un ampio giardino di gusto seicentesco, in pratica poi rimasto sulla carta. Successivamente viene realizzato un giardino all’inglese, uno dei primi del suo genere in Italia, dall’architetto A. Selva, allora reduce da un viaggio in Inghilterra. In questo periodo Andrea Dolfin, essendo ambasciatore della Serenissima a Parigi e a Vienna, dedica pochissimo tempo alla villa e al suo parco, peraltro colpiti da una tromba d’aria nel 1789. Inizia così il declino dell’intera struttura che tuttavia conserva ancora un’interessante loggia palladiana; nel secolo successivo essa vede un susseguirsi di varie proprietà e la perdita totale del parco.
Nel 1916 viene acquistata dai fratelli Dal Martello che impiantano un’azienda vitivinicola tuttora attiva.

tav. 12 Battaglia Terme (1a parte)

Percorso fluviale nel territorio di Battaglia Terme.

1. Villa Obizzi, castello Catajo – 2. Azienda agricola Salvan – 3. Botte del Pigozzo – 4. Idrovora Palù Catajo – 5. Chiesetta del Pigozzo – 6. Ferro di Cavallo  – 7. Monte Croce – 8. Conca di navigazione – 9. Squeri a Battaglia: 9a Via Squero, 9b Squero Cobelli – 10.Museo della Navigazione Fluviale – 11. Ponti: 11a. delle Terme (1996), 11b. Nuovo (1838), 11c. Ponte dei Scaìni (ricostr. 1947), 11d. Passerella metallica, 11e. Ponte del Catajo sul naviglio (ricostr. 1883) – 12. Sostegno Arco di Mezzo – 13. Mulino dei Sei – 14. Cartiera – 15. Mulino dei Quattro – 16. Sega e maglio – 17. Battaglia Terme (abitato) – 18. Chiesa di San Giacomo -19a. Palazzo Cini-Masini; 19b. Vecchio municipio – 12/6 Canale Monselice.

A. Scolo Rialto – B. Ferrovia Padova-Bologna (1866) – C. Boarìa Berto, già Rango – D. Cippo indicante via Elisea – E. Canale Vigenzone – F. Canale di Sotto – G. Ponte del Catajo sul Rialto – H. Officine Galileo – I. Mandràcio del Rialto – L. Canale della Sega – M. Ponte Chiodare sul Canale Rialto – N. Sifone Salvan.

La maestosa villa Catajo a Battaglia, in un disegno di fine '800.

La maestosa villa Catajo a Battaglia, in un disegno di fine ‘800.

(“Cento Città d’Italia” suppl. del Secolo – 1895)

1.12 Villa Obizzi, castello Catajo
Sorta sulle pendici di Montenuovo, estrema propaggine del gruppo euganeo del Ceva (255 m), costituisce uno dei più straordinari complessi architettonici della terraferma veneta. Innalzato dal condottiero della Serenissima Pio Enea degli Obizzi, il cui nome è forse legato all’invenzione della bocca da fuoco (obice), rispecchia il carattere guerresco e gli ideali militari del committente: le torricelle merlate, gli archi trionfali, il ponte levatoio (non più esistente) e la massiccia e severa struttura del corpo centrale fanno esplicito riferimento all’arte della guerra, cui si dedicano gli Obizzi. Il nome Cataio o Catajo non deriva dalle meraviglie del Catai, come comunemente si crede, ma da quello del luogo, che pare si chiamasse così ancora prima della costruzione della villa. Il nome della località richiama alla memoria Ca’ del Tajo (Taglio, canale, scolo scavato nelle immediate adiacenze e oggi chiamato Rialto). Gli Obizzi, capitani di ventura originari della Borgogna poi trasferiti a Lucca, si stabiliscono a Padova perché un avo di Pio Enea, tale Antonio II degli Obizzi, aveva sposato una ricca padovana.
Il castello, come viene comunemente chiamato, sorge su un preesistente casino di caccia eretto come pacifica residenza e non come costruzione difensiva, per iniziativa di Beatrice degli Obizzi che si era invaghita del piacevole sito. Intorno al 1570, ad opera del figlio Pio Enea, l’edificio viene ampliato spianando il pendio, scavando nella roccia anditi e scale, e fabbricando annessi ad uso di caserma per i soldati mercenari. La parte residenziale è ingentilita a metà del XVI secolo da affreschi di Giambattista Zelotti, allievo del Veronese, che racconta le storie della famiglia al servizio dei vari Stati (Veneto, Pontificio, Lucca, ecc.). Il cortile dei Giganti, realizzato nel XVII secolo, vede disputarsi tornei, mentre il teatro accoglie spettacoli e commedie. Il giardino viene arricchito di grandiose serre di agrumi e fiori, di una peschiera con capanna e vasca per il nuoto. Accanto al portale d’ingresso è edificato l’oratorio dedicato a san Michele Arcangelo, decorato internamente, su disegno dell’arciduca Massimiliano di Modena, in quel gotico di interpretazione romantica che è di moda verso la fine dell’800. A rendere ancora più interessante per curiosi e studiosi la sfarzosa dimora di Tomaso, ultimo degli Obizzi, è l’allestimento, all’interno del castello, di una ricca raccolta museale (prima del genere nella zona) che comprende un’armeria ed altri oggetti pregevoli e rari come statue, busti, bassorilievi, monete e medaglie (collezione di ben 14.600 pezzi), vasi cinerari, stele greche e romane, deità egizie e persino una mummia. Morendo nel 1803 Tomaso lascia in eredità l’immobile, un po’ per boria e un po’ per ripicca dato il caratteraccio comune a tutta la famiglia, ai duchi di Modena, ultimi eredi degli Estensi. Comincia così la spoliazione dello straordinario museo obizziano, anche se in precedenza Ferdinando Obizzi, deceduto nel 1674, aveva disposto nel suo testamento “che resti per sempre al Cattaio l’armeria”. Passata successivamente la proprietà agli Asburgo, arciduchi d’Austria, che possiedono il castello tra il 1875 e il 1919, il saccheggio diventa pressoché totale. Così la raccolta di monete oggi trova spazio presso il Museo Estense di Modena, gli strumenti musicali a Vienna, la strepitosa collezione di armi nel castello di Konopiste in Boemia. Come amara consolazione si potrebbe ripensare alle parole con cui un giornalista del Corriere della Sera saluta i 14 grandi vagoni ferroviari pieni zeppi dei beni del Catajo in partenza per l’Austria per ordine dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Este: “L’italiano rimpiangerà le raccolte perdute; lo studioso invece preferirà di vederle in una città dove possono servire alla cultura di molti, piuttosto che saperle sepolte in un castello che non veniva quasi mai visitato da alcuno”.
Dopo la prima guerra mondiale il Catajo, che è costituito da oltre 350 stanze (!) su una superficie di 2,2 ettari, è confiscato dal Demanio a rifusione dei danni recati dal nemico. I Dalla Francesca acquisiscono nel 1928 il complesso che comprende anche tutto l’arco delle colline circostanti, il Ferro di Cavallo (v. 6. tav.12), le campagne e le boarìe, per complessivi 340 ettari circa.

Via Catajo, 1 – Battaglia T. […] Sito internet

Un fatto di cronaca nera in casa Obizzi
Nelle sale affrescate del Catajo appaiono numerosi ritratti dei componenti della famiglia Obizzi; fra questi figurano Pio Enea, nipote del fondatore, e sua moglie Lucrezia Dondi dell’Orologio, assassinata da un amico di famiglia. Ecco come Andrea Gloria descrive questo fatto di sangue.
“Era Pio splendido signore, ma un po’ guasto dai vizj del secolo. Due volte stipendiò e guidò 2000 fanti, l’una in ajuto del marchese di Mantova, l’altra dei Veneziani, dando buon conto di sé nell’armi. Domatore ardito di cavalli, spertissimo nell’armeggiare, inventare e dirigere tornei, era accarezzato dai sovrani d’Italia, massime da Cosimo granduca di Toscana e dal marchese di Mantova, ove condusse la prima sua gioventù. Stra ricco tenea aperta la casa e imbandita la mensa a letterati, a guerrieri ed amici. Fu autore di drammi e peritissimo a dirigerli nelle scene. Lucrezia invece spiccò per bellezza, religiosa pietà, intemerata vita, e anzi tutto per la costante sua fede conjugale. Attilio Pavanello nobile di Padova, frequentando nella casa degli Obizzi e preso d’amore per lei, mentre il marito era a Finale, osò la notte del 14 novembre 1654, mentr’ella dormia nel suo palazzo in Padova, furtivamente aggredirla e non potendo indurla alle sue brame, inferocito dalle grida e dall’eroica opposizione di Lucrezia temendo essere scoverto, con un rasojo la scannò. Fu sepolta nella basilica di Sant’Antonio e nella tomba apposta una scritta, che suona così: Qui giace Lucrezia Orologio marchesa degli Obizzi per morte truce ed esecranda, scannata nel proprio letto da mano scelleratissima. Visse santissimamente anni 42, morì innocentissimamente il 15 novembre 1654”.

2.12 L’azienda agricola Salvan e i vini Pigozzo
Ottimi vini a denominazione di origine controllata sono prodotti dall’azienda agricola di Urbano Salvan che prende il nome dal vicino oratorio “Pigozzo” e ha sede di fronte al castello Catajo. Una stradina scende dalla statale per raggiungere una padronale dimora con vasta aia e barchéssa. La famiglia Salvan coniuga in questa azienda, fondata nel 1915 da Dionisio, il sapere accademico con la concretezza contadina. Il nipote del fondatore, Giorgio, accoglie il visitatore e lo accompagna tra i vigneti; in cantina fa assaggiare il pregiato vino invecchiato nelle botti di rovere. Le sue specialità sono il Cabernet e Merlot, Pinot e Chardonnay e i neonati San Marco e Oltre il limite … e altre ancora. Qui inoltre sta per sorgere il “Museo dei sapori euganei” con vecchie varietà e forme di allevamento della vite.

Visite guidate ai vigneti e alla cantina su prenotazione. Via Mincana, 143 – Due Carrare.

Marchio del Consorzio Vini Colli Euganei D.O.C.

Marchio del Consorzio vini Colli Euganei.

Pianta della vecchia e della nuova Botte del Pigozzo, che collegano le acque dello Scolo Rialto con quelle del canale Sottobattaglia. Battaglia Terme.

Pianta della vecchia e della nuova Botte del Pigozzo a Battaglia T.

(Consorzio di Bonifica Bacchiglione Brenta, Padova)

3.12 Botte del Pigozzo
È la botte più nota fra tutte quelle esistenti lungo il nostro itinerario fluviale per le sue particolari caratteristiche e per i lavori di raddoppio che sono durati parecchi anni sollevando polemiche che hanno occupato molte pagine dei giornali locali. Posta quasi di fronte al castello Catajo, la vecchia botte è stata scavata a forza di scalpello nella roccia per scaricare le acque superficiali di tutta la zona delimitata a nord dal fiume Bacchiglione, ad est dal canale Battaglia, a ovest e a sud dalle pendici dei Colli Euganei. Il comprensorio racchiude gli “Abbani e Sanpieri”, cioè i territori dei Comuni di Abano e Montegrotto, e tutto o parte del territorio comunale di Teolo, Selvazzano, Cervarese S. Croce, Torreglia, Battaglia, Padova, Saccolongo, Rovolon e Veggiano, per complessivi 11.804 ettari, di cui 2.658 collinari. Tutte le acque superficiali di questo bacino imbrifero vengono raccolte dal Rivo Alto (oggi chiamato più comunemente Rialto) che nasce a Frassenelle; questo scolo riceve numerose altre fosse e, tramite la botte del Pigozzo, convoglia l’acqua sotto il canale Battaglia, all’esterno del comprensorio, nel canale Sottobattaglia e quindi nel Vigenzone. La botte consiste in un traforo lungo circa 66 m, largo 5,5 e alto poco più di 3. La scelta di forare la pietra trachitica piuttosto che costruire un manufatto in muratura, come in altri casi, risulta sconcertante, tanto più se si considera che il canale Rialto (forse l’antico Togisono) non arrivava a Battaglia, ma si allacciava all’attuale Brancolino intersecando il Naviglio Euganeo. La botte perciò a rigor di logica doveva essere eretta a Mezzavia e non a Pigozzo. La scarsa consistenza del sottosuolo (v. 1. tav.11) probabilmente ha scoraggiato la costruzione di un simile manufatto là dove poco dopo verrà derivata acqua dal Biancolino e insediate le poste molitorie. Le prime notizie della botte a Pigozzo si hanno a partire dal XVI secolo. È perciò possibile che si sia inizialmente tentato di attuare il manufatto a Mezzavia e che la deviazione del canale Rialto verso Battaglia sia stata fatta in un momento successivo, pensando in questo modo di garantire maggiore durata e stabilità all’opera.
Proprio sopra il traforo è stata eretta Ca’ Barbarigo (poi Mincio, ricostruita nell’ultimo dopoguerra) e questo sta a dimostrare la solidità della botte che, tuttavia, è stata sottoposta a diversi interventi di sistemazione nel corso dei secoli, in particolare nel 1880, come viene ricordato nella chiave di volta di monte del ponte-canale; i lavori sono stati realizzati su progetto dell’ingegnere Giovanni Brillo dell’allora Consorzio Bacchiglione e Colli Euganei. Negli ultimi trent’anni la superficie urbanizzata e cementificata del bacino imbrifero del Rialto, grazie alle sempre nuove espansioni e lottizzazioni, si è quadruplicata passando da 540 a 2.300 ettari. Nel 1987, dato che vaste aree andavano periodicamente sott’acqua, si iniziano i lavori di raddoppio della botte ritenendo con questo di eliminare la strozzatura nel sistema di scolo del comprensorio termale. Nonostante le particolari caratteristiche del sottosuolo, che è ricco di spuntoni di roccia, il progetto, per evitare di interrompere il traffico stradale, ha previsto di inserire “a spinta” due “monoliti” prefabbricati in calcestruzzo sotto la strada statale Adriatica. La loro messa in opera perciò crea numerosi grattacapi al Consorzio di Bonifica Bacchiglione Brenta, ente appaltatore, e i lavori vengono più volte sospesi. Finalmente nel 2000 le due canne in calcestruzzo armato vengono messe in opera; sono lunghe 122 metri e hanno ciascuna un’apertura di 5 m di larghezza per 4 di altezza, per un totale di 40 mq di sezione, contro i 15 o poco più della vecchia botte, che tuttavia continua a rimanere in funzione. Quella nuova verso la fine del 2001 è aperta al flusso delle acque del Rialto e il canale Battaglia viene riaperto alla navigazione, dopo sei anni di interruzione. Ma per quanto riguarda il rischio di allagamento di Abano e Montegrotto il risultato probabilmente sarà deludente, se da una parte non si arresterà la cementificazione del territorio e dall’altra non si interverrà a monte e a valle della botte per tenere puliti i corsi d’acqua e per creare bacini di espansione e di sedimentazione dei fanghi reflui, provenienti dagli stabilimenti termali.

4.12 Idrovora del Consorzio Palù Catajo
L’impianto di sollevamento dell’acqua, mediante pompe idrovore, risale al 1928 ed è costruito dal consorzio denominato Paludi Catajo Savellon di Bagnarolo, oggi facente parte del Consorzio di Bonifica Adige Bacchiglione. Prima dell’entrata in funzione di tale impianto, l’acqua superficiale del bacino, che va dalla sommità dei colli Croce, Spinefrasse e Ceva fino alle strade Galzignano-Battaglia e Adriatica, era allontanata senza sollevamento, cioè per pendenza naturale; si scaricava nel canale Vigenzone, in zona Acquanera, mediante lo Scolador del Catajo (o anche detto La Fossa, ora tombinato) che, attraverso una bottesina (piccolo ponte-canale) sita in prossimità dell’ex farmacia, passava sotto il naviglio Battaglia. Lo scolo non sempre era assicurato, specialmente nella parte più bassa del comprensorio; avveniva in modo intermittente, a seconda del livello delle acque del Vigenzone (bacino di recapito), per cui i terreni agricoli soffrivano periodicamente di ristagno.
Il consorzio Paludi-Catajo-Savellon ha origine dalla fusione dei due piccoli consorzi Palù Catajo e Savellon di Bagnarolo, avvenuta nel 1924. Il primo era nato nella seconda metà del ‘500 assieme agli altri della zona, con l’intento di bonificare l’area del Ferro di Cavallo (v. 6. tav.12) inserita in un bacino idraulico di 304 ettari. Una delle prime realizzazioni appunto di questo consorzio accorpato è l’installazione delle pompe idrovore tuttora funzionanti, sia per le acque così dette basse che per quelle alte, le quali ora scaricano tutte nel canale Rialto, quasi di fronte alla botte del Pigozzo (v. 3. tav.12).

Pionieri della bonifica meccanica
Nel settore della bonifica meccanica più che di inventori è opportuno parlare di pionieri che sin dai primi anni dell’800 cominciano ad installare ruote idrofore per l’innalzamento dell’acqua (v. 3. tav.1*). Si tratta di sollevare quantità molto consistenti d’acqua stagnante dei terreni vallivi che non può defluire naturalmente per gravità perché il bacino di recapito è più alto delle acque da scaricare; inoltre, per il movimento delle ruote non si può sfruttare il salto d’acqua che peraltro è di segno negativo, cioè passa da un livello basso ad uno alto.
Il primo tentativo di prosciugare meccanicamente risale al 1806 e riguarda il fondo di Agostino Marin, situato lungo il canale dei Cuori. Si tratta di una rudimentale ruota idrofora, formata da comuni pale da granone (paloti) infisse in un albero orizzontale, che viene girata a mano.
Nel territorio padovano il primo a mettere in opera una macchina idraulica a scopo di bonifica è Agostino Meneghini, solerte e colto agricoltore possessore della villa, albergo termale e tenuta “La Contea” di Battaglia (v. 1. tav.13*) già dei Selvatico. La sua macchina consiste in una ruota a pale di legno mossa da un cavallo, installata poco dopo l’acquisto del complesso (1814) per sollevare e scaricare l’acqua in eccesso nel vicino Scolo di Lispida. Il Meneghini per questo manufatto, come per la sistemazione del parco attiguo alla villa, forse si avvale della consulenza di Giuseppe Jappelli che, tra l’altro, qualche anno dopo realizzerà una nuova ‘macchina’ mossa non più da cavalli ma, per la prima volta, da una macchina termica (v. scheda Lo “Smergone” di Giuseppe Jappelli) però con esiti deludenti.
Nel 1847 i fratelli Benvenuti di Venezia ritentano l’applicazione del motore a vapore nella tenuta di Cantarana (Cona), non più ad una classica ruota, ma ad una sorta di “pompa aspirante e elevatoria” (due motori di 7 e di 10 cv per redimere 400 ettari!). Poco dopo Antonio Zara di Padova pratica un metodo analogo a Boricella (Cona). Zara divide i suoi 572 ettari in varie prese scavando fossi e canali per convogliare l’acqua verso la ruota con un sollevamento medio di 1,20-2 m, impianto collaudato dai professori Gustavo Bucchia e Domenico Turazza, idraulici dell’Università di Padova.
La prima vera pompa centrifuga è installata da Ernesto Metich di Trieste nel suo fondo di Monsole, ma anche in questo caso con scarsi risultati.
Il motore termico fisso o locomobile, applicato o a ruote a pale, chiamate in Veneto “a schiaffo”, o a ruote-pompa oppure a pompe centrifughe, pone comunque il problema del rendimento e quindi del costo. Attorno alla maggiore o minore efficacia di queste macchine si apre un acerrimo dibattito che divide gli ingegneri tra i fautori delle ruote a schiaffo, capeggiati da Cesare De Lotto di Cavarzere, e i promotori delle pompe centrifughe, diretti da Francesco Botter di Ferrara.
Dopo i risultati negativi ottenuti con le pompe, si perfezionano le ruote a schiaffo costruite anche dalla ditta padovana Bénech-Rocchetti. Notevoli progressi si hanno anche grazie alle innovazioni apportate dal bravo meccanico del consorzio Dossi Vallivi (Loreo), Giordano Zangirolami: ingranaggio centrale, particolare inclinazione alle palette, nuova forma della corsia (cassellone), tutti miglioramenti che consentono di innalzare l’acqua oltre i 9/10 del raggio della ruota che passa dai 4-5 m di diametro dei prototipi a 8-10.
Nonostante il basso rendimento e l’alto costo di gestione di queste macchine, nel giro di pochi anni l’utilizzo dei ‘cavalli vapore’ si diffonde capillarmente segnando il rivoluzionario e definitivo passaggio dalla forza animale a quella meccanica. Nel 1867 con una potenza complessiva di oltre 1000 cv, sono già 40 gli impianti di sollevamento installati. Tredici anni dopo, l’utilizzo del motore a combustione esterna risulta ormai diffuso in tutto il basso Veneto. Nel Padovano risultano presenti impianti dei seguenti proprietari: Antonio Centanin a Pozzonovo, Moise Vita Jacur a Piove, Vittorio Finzi a Merlara, Principe Giovannelli a Pozzonovo, Lodovico Melzi d’Eril a Correzzola, Benedetto Pelà a Ospedaletto, Wimpffen (Rigoni) a Galzignano e Battaglia, Antonio Ventura a Baone, Widmann ad Este, Alvise Mocenigo a Vighizzolo e Piacenza, Francesco Camerini a Vescovana, Domenico Centanin a Stanghella, Veneranda Arca del Santo ad Anguillara, Giuseppe Treves ad Arquà, Mansueto Centanin a Ca’ Barbaro Baone.

Di particolare interesse è l’applicazione della locomobile a vapore nella tenuta di 309 ettari, già di Agostino Meneghini, posta tra i Comuni di Galzignano e di Battaglia. Verso la metà dell’800 Pietro Rigoni di Abano, assunta la conduzione di questo vasto fondo di proprietà dei Wimpffen, riprende la pionieristica iniziativa del Meneghini di sollevamento meccanico dell’acqua con due macchine: una scarica nello scolo Comunella, l’altra, che raccoglie l’acqua dell’area posta a destra della strada per Valsanzibio, nella fossa Comuna. I monotoni silenzi della campagna così vengono gradatamente rotti dall’acuto fischio delle prosciugatrici. Per contro “dove crescevano la canna, il giunco, il caretto, le stipe, si vedono far bella pompa il grano, il granone, il riso, la canapa, i vigneti, i prati. Le fangose vie si ridussero comode strade in ghiaia; belli e solidi ponti sostituiscono le pericolose barcaccie, entro le quali, per passaggio dei canali, s’ammucchiavano persone, quadrupedi e veicoli. E fu il vapore, questo elemento potente che la intelligenza dell’uomo seppe far servire a molteplici e svariati intenti, proporzionandone la forza fino al grado minimo dei bisogni agl’intraprendenti agricoltori per compiere in sì breve tempo tanta mirabile trasformazione, servendosi di esso a smaltire artificialmente le acque dei loro terreni, le quali naturalmente non ci fluivano”.
Dopo le esperienze dei privati, il motore a vapore viene adottato sistematicamente anche dai consorzi di bonifica, come il Bacchiglione, Fossa Paltana, VII Presa, Retratto Monselice, Prati Arcati ed altri, e continuerà a funzionare sino agli anni ’20 del ‘900, quando le idrofore cominceranno a lasciare definitivamente il posto alle moderne idrovore mosse da motori diesel ed elettrici, molto meno costosi e ingombranti e più efficaci. Il Consorzio Bacchiglione Brenta ha adottato come suo logo la ruota a schiaffo di Santa Margherita (Codevigo), installata nel 1888 e rimasta in funzione sino al 1935.
Ruota idrofora di Santa Margherita, Vigonovo, in una foto degli anni '30.

Ruota idrofora di Santa Margherita, Vigonovo (anni ’30 del ‘900)

(Consorzio di Bonifica Bacchiglione Brenta, Padova)