Alla scoperta del Catajo

Con l’intento di presentare una panoramica, seppur non completa, della storia del Catajo, la Biblioteca comunale “Concetto Marchesi” di Battaglia Terme nel 2016 organizzò due cicli di conferenze, chiamando studiosi ed esperti che si erano occupati in vari momenti di quello che viene considerato − per le sue specificità architettoniche e l’imponenza del sito − il complesso monumentale più interessante del territorio.
A introdurre un volume che si è andato via via configurando come un testo utile a ogni lettore interessato alla conoscenza del Castello – divenuto oggi meta di 40.000 visitatori all’anno − l’intervento di Chiara Ceschi (Alla scoperta del Catajo) ove si suggerisce un percorso di visita della Casa di Beatrice, del Castello e degli spazi esterni per ammirare le sculture, il ciclo degli affreschi di Giambattista Zelotti nelle sale del piano nobile e per far comprendere come si legano tra loro − in una situazione di dislivelli scavati nella roccia − i vari nuclei architettonici di questo straordinario complesso. (Dall’introduzione al volume.)

Terra e storia, presentazione del volume Il Catajo, giugno 2021.

I due cicli di conferenze, presentati sotto il titolo “Parliamo del Catajo. Dagli Obizzi ai nostri giorni, 500 anni di storia”, si sono tenuti nella primavera e nell’autunno 2016, secondo la seguente scansione: Adriano Verdi, Villa o castello? Storia della costruzione (29 aprile 2016); Gianluca Tormen, Le collezioni museali di Tommaso Obizzi dal Catajo all’Europa (13 maggio 2016); Claudio Grandis, Archivio Storico: le carte antiche del Catajo (7 ottobre 2016); Alessandro Pasetti Medin, Parchi e giardini, natura, paesaggio ed arredo (21 ottobre 2016); Paolo Bonaldi, Dopo gli Obizzi, tra cronaca cittadina e storia Europea (11 novembre 2016).

Chiara Ceschi

Alla scoperta del Catajo

Fin ne’ suoi primi natali cominciò,
ad esser maraviglioso il palazzo del Catajo
(Descrizione del Cathaio… del Co.
Francesco Berni…
, Ferrara 1669, p. 180)

Lo stupore e la meraviglia del viaggiatore che nel Cinquecento arrivava al Catajo per la via d’acqua non si discostano molto dalla reazione che ha il viaggiatore moderno, pur avveduto e abituato al fenomeno della villa veneta: del tutto particolare è infatti l’architettura degli edifici che si allungano sul fianco del monte come particolare è la sua collocazione sopraelevata e protetta, a dominare l’incrocio di canali e la pianura distesa entro l’arco dei colli. Il percorso di visita che si suggerisce di compiere all’interno delle due fabbriche monumentali, la Casa di Beatrice e il Castello, diventa un itinerario labirintico e intrigante: l’esperienza delle salite e delle discese, lo snodarsi delle sale, gli intrecci di spazi e corridoi, il passaggio dall’esterno all’interno e viceversa, vissuti in successione, fanno comprendere bene l’abilità del progettista nel legare − in una situazione di dislivelli continui scavati nella roccia − i vari nuclei architettonici per ottenere un insieme funzionale e armonico, inserito nel paesaggio quasi come fosse un elemento naturale (fig. 1).

Veduta del Catajo con il ponte sul Rialto, Battaglia Terme.

1. Veduta del Catajo con il ponte sul Rialto.

(Foto a colori della stessa stampata in bn – Ambedue sono di Alessandra Lanza)

Oltrepassato il cancello tra i due maestosi platani piantati nel XIX secolo e il ponte sul Rialto, il visitatore viene accolto dalle statue poste a fine Settecento al colmo dei pilastri d’ingresso a simboleggiare, rispettivamente, il merito e il valore dell’agire nell’Ercole con la clava (a sinistra, fig. 2), il rapporto armonico con la natura nel dio degli alberi, Sileno con Bacco fanciullo (a destra, fig. 3).

Statua di Ercole, portale d'ingresso a via del Catajo. Statua di Sileno con Bacco fanciullo, portale d'ingresso a via del Catajo.

A sinistra: 2. Portale d’ingresso a via del Catajo con la statua di Ercole.
A destra: 3. Portale d’ingresso a via del Catajo con la statua di Sileno.

(Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Fototeca dell’Istituto di Storia dell’Arte)

Esse ci introducono al complesso del Catajo che si sviluppa tra la strada di accesso alla proprietà e il grande parco sulla sinistra e, come le decorazioni ad affresco degli interni e le altre sculture all’esterno, hanno il compito di veicolare il messaggio della committenza: alla celebrazione familiare viene unito l’insegnamento della virtù e del valore propri della nobiltà.
La via interna che si inizia a percorrere (via Catajo) − rialzata nel Seicento per raggiungere il livello intermedio del cortile − continua lungo tutto il perimetro dell’edificato sino «a ritrovare il monte» Ceva (o Sieva) che chiude il profilo dell’arco collinare; essa funziona anche da netta separazione visiva tra la parte monumentale addossata al parco per la caccia e il «parco delle delizie», realizzato a sud, al livello più basso della proprietà.

Il Portale che si apre nel muro di cinta (fig. 4), creato a metà Seicento da Pio Enea II con «sottoportico maestoso per ingresso al cortile», aveva come ornamento tra le semicolonne in facciata semplici nicchie ospitanti due statue e l’iscrizione sopra l’arco d’accesso, su cui svetta lo stemma Obizzi, inneggiante a Zeus eletto a nume tutelare del luogo. Lo ammiriamo oggi dopo la trasformazione decisa da Tommaso − che eredita il castello nel 1768 − in un vero e proprio arco trionfale: le nicchie vengono sostituite da due paraste scolpite con imprese militari mentre l’elemento scultoreo è spostato ai lati esterni del portale (allegoria dell’Ospitalità, a sinistra, allegoria della Carità, a destra) e sul fastigio superiore. Qui si riconoscono, a partire da sinistra, le allegorie dell’Estate (Cerere con putto recante il corno dell’abbondanza), dell’Autunno (Bacco incoronato di pampini d’uva con leopardo), una divinità maschile con un serpente ai piedi, una allegoria femminile accompagnata da un putto con la lira. L’intervento di Tommaso riguarda anche la lunetta sopra l’arco d’ingresso che ora ospita un “commento” pittorico all’iscrizione: la figura di uno Zeus tonante con il simbolo dell’aquila a protezione di chi varca la soglia (1787).

Portale d'ingresso al Cortile dei Giganti su via Catajo.

4. Portale d’ingresso al Cortile dei Giganti su via Catajo.

(Fig. 7 dell’inserto a colori)

Oltrepassato il vasto androne coperto, si staglia sulla parete di fondo una struttura a serliana semplificata che accoglie nel vano centrale, scavato nella roccia del colle, il gruppo scultoreo più importante del Catajo, la Fontana dell’Elefante (fig. 5). Una perfetta macchina teatrale creata per destare stupore e meraviglia: l’elefante porta a cavalcioni Bacco, attorniato dalla Fama e dall’Abbondanza, il quale dirige i numerosi giochi e scherzi d’acqua che nel passato veniva fatta uscire dal fiasco, passare nella botte, nella conchiglia tenuta dal satiro, nonché attraverso la proboscide dell’elefante, animale esotico quasi sconosciuto e sino a quella data raramente rappresentato.
Nei vani laterali due piccole fontane simmetriche (di Sesto e di Abido) decorate da un mascherone; l’intera struttura è sormontata da una terrazza, pensata in corrispondenza a quella sovrastante l’ingresso ed entrambe terminano con una targa retta da due putti e l’iscrizione che testimonia l’intervento di Tommaso su tutte le strutture che definiscono l’ingresso d’onore.

Castello del Catajo, Fontana dell'elefante (particolare). Castello del Catajo, Fontana di Sesto.

A sinistra: 5. Fontana dell’elefante, particolare.

(Marcok / it.wiki, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons, con modifiche)

A destra: Fontana dell’Elefante, particolare con la fontana di Sesto.

(Fig. 9 dell’inserto a colori)

L’ampio spazio del Cortile detto dei Giganti per le figure fatte affrescare entro finte nicchie, nei primi decenni del Seicento da Pio Enea II ai pittori bolognesi Pietro Antonio Cerva e Ippolito Ghirlanda, sulla parete settentrionale − e ne possiamo intravedere qualche traccia dopo il meritorio recente restauro − venne ricavato sbancando il monte per ampliare in forma regolare il cortile originario. L’Obizzi, infatti, uomo sì d’armi ma anche di lettere e valente organizzatore di spettacoli teatrali, lo progettò per arricchire i divertimenti dei suoi ospiti, tradizionalmente allestiti nei giardini e nel teatro, con le naumachie, finte battaglie navali: un ingegnoso sistema idraulico permetteva di allagare tutto l’invaso inferiore del cortile, lasciando lo spazio degli altri due livelli, e delle terrazze, agli spettatori.
I giochi d’acqua, elemento che innerva gli ambienti esterni del Catajo come i più importanti giardini storici del tempo, continuavano coinvolgendo altre sculture collocate in punti significativi a indicare i vari percorsi da seguire. Ai lati della scala a cordoli che porta al primo nucleo del complesso edificato a metà Cinquecento da Gaspare Obizzi, marito di Beatrice Pia da Correggio, e ricordato quindi come la Casa di Beatrice − entro due piccole grotte artificiali − troviamo le fontane pensate come allegorie del Medoacus Maior (Brenta) a sinistra (fig. 6) e del Medoacus Minor (Bacchiglione), gli antichi fiumi che hanno “disegnato” la città e il territorio di Padova (fig. 7).

Castello del Catajo, raffigurazione scultorea del Medoacus major. Castello del Catajo, raffigurazione scultorea del Medoacus minor.

A sinistra: 6. Medoacus major. A destra: 7. Medoacus minor.

(Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Fototeca dell’Istituto di Storia dell’Arte)

A destra della salita alla loggia, sempre entro una nicchia di finta roccia, la Fontana dell’Aquila dal cui becco una volta sgorgava l’acqua per intendere che era dovere dei principi distribuire beni al popolo, come esplicita l’iscrizione datata 1667, l’anno della visita al Catajo da parte dei duchi di Baviera. L’importante avvenimento venne ricordato soprattutto per l’effetto straordinario del castello e dei giardini illuminati da ben 1500 lumi.

La Casa di Beatrice (fig. 8) si sviluppa su due piani con una loggia decorata a grottesche verso il cortile e una a 17 arcate verso il Rio Rialto, da cui la separa un giardino pensile all’italiana; già nel 1534 il «palatium» viene ricordato dall’erudito Sperone Speroni come importante salotto letterario di Beatrice Pia. Il piano terra ha un portego passante su cui affacciano quattro stanze per parte; al primo piano, vi sono stanze con decorazioni a finto pergolato eseguite nella prima metà dell’Ottocento.

Castello del Catajo, Casa di Beatrice.

8. Casa di Beatrice.

(Foto Fabrizio Rosada)

Tornati nel cortile, prima della Fontana dell’Elefante, si apre a destra il cancello custodito come da tradizione dalla Fontana del Cerbero (fig. 9): dà accesso alla scala scoperta che porta alla terrazza − realizzata dal figlio di Beatrice, Pio Enea I, sul tetto del preesistente fabbricato − su cui si apre il piano nobile del Castello. La scala a cordoli consentiva agli ospiti di arrivare a cavallo, come in una parata teatrale, davanti all’edificio da lui voluto e progettato per sottolineare lo status sociale e il prestigio di una famiglia di condottieri al servizio del papato e delle casate italiane più importanti.

Castello del Catajo, statua di Cerbero.

9. Ingresso alla sala scoperta con la statua di Cerbero.

(Marcok / it.wiki, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons, con modifiche)

La nuova imponente fabbrica del Castello (fig. 10), si sviluppa visivamente collegata all’antica dimora, ma arretrata verso il monte, su progetto dell’architetto Andrea della Valle e viene terminata prima del 1573. L’aspetto militare, da fortezza, è rafforzato dalla presenza dei due corpi sporgenti a torre, negli angoli nord-est e sud-ovest, dalle torricelle (garitte) poste agli angoli della grande terrazza, dalle merlature e − sino alla fine del Settecento − dal ponte levatoio sul Rialto.

Veduta angolare del castello dalla terrazza.

10. Veduta angolare del castello dalla terrazza.

(Fig. 6 dell’inserto a colori, particolare)

Il visitatore, facendo il suo ingresso al piano nobile dalla terrazza, senza attraversare spazi intermedi, si ritrova nel grande salone (fig. 11), immerso subito nel racconto celebrante la cronologia e le gesta degli Obizzi dal 1010 al 1422: davanti agli occhi si dispiega l’inizio di un romanzo storico ideale, articolato abilmente in 40 riquadri affrescati dall’artista veronese Giambattista Zelotti (1526-1578) e dai suoi aiutanti. Un ciclo decorativo così ampio, dedicato alla celebrazione di una casata, non ha precedenti nel territorio veneto, distinguendosi anche per la fantasia compositiva con cui vengono risolte le numerose scene di battaglie e di gruppo, l’armonia cromatica che si dispiega sulle pareti di altre cinque stanze ove i frescanti lavorano tra il 1571 e il 1573 e il buonissimo stato di conservazione degli affreschi.

Giambattista Zelotti, Sala dell'Albero Genealogico degli Obizzi. Castello del Catajo, Battaglia Terme.

11. Giambattista Zelotti, Sala dell’Albero Genealogico degli Obizzi.

(Foto a colori della stessa stampata in bn – Marco Moressa)

L’artista veronese, noto per il gusto illusionistico che trasformava le pareti delle ville in tanti scenari “aperti” sul paesaggio circostante, qui realizza un telaio architettonico di grande effetto: sopra un basso zoccolo dipinto a finti marmi policromi poggiano i riquadri rettangolari che incorniciano i vari episodi storici ambientati all’esterno; lesene scanalate si alternano ai finti telai e sorreggono timpani e architravi. Al centro di ogni riquadro, in alto, una targa sostenuta da putti alati su festoni fioriti contiene la descrizione della scena sottostante; le porte d’ingresso sono fasciate da finte cornici lapidee e da un timpano su cui compare sempre una Allegoria che introduce e presenta la stanza seguente. Sopra le cornici delle finestre, invece, vengono affrescati gli stemmi di tutte le famiglie legate agli Obizzi da rapporti di amicizia o di parentela per via matrimoniale.
Affinché il visitatore possa facilmente identificare gli Obizzi nelle varie scene, sempre gremite di figure, i membri della famiglia vengono ritratti con le stesse caratteristiche fisiche, capelli e barba tendenti al castano con riflessi rossicci e quasi sempre indossano vesti con i colori della casata a bande bianche e celesti.

La Sala Grande (o dell’Albero Genealogico) ospita le prime sei storie: sul lato breve a sud, campeggia l’albero genealogico della casata: alla base il nome di Obicio I, alla fine del tronco quello del committente Pio Enea I; nella targa, il racconto dell’origine della famiglia sotto il regno dell’imperatore Enrico II con Frisco (fondatore della casata dei Fieschi a Genova) e Obicio I (fondatore degli Obizzi), scesi in Italia dalla Borgogna. Ai lati dell’Albero, le personificazioni di Lucca dove Obicio I si stabilì e di Padova dove si consolidò il ramo da cui nasce Pio Enea I, con una veduta delle due città.

Giambattista Zelotti, Albero Genealogico degli Obizzi, particolare. Castello del Catajo, Battaglia Terme.

G.B. Zelotti, Albero genealogico degli Obizzi, particolare. Salone.

(Fig, 13 dell’inserto a colori)

Il primo riquadro di questa storia ideale, dove gli Obizzi compaiono nelle vaste composizioni ritratti vicino a papi, imperatori, dogi con l’intento di assicurare un ricordo prestigioso alla stirpe di cui si celebra contemporaneamente l’anzianità e il valore, compare sulla parete lunga occidentale e rappresenta proprio la Nomina di Obizzo I a governatore dell’Italia settentrionale, vicario dell’imperatore nell’anno 1010; segue il Duello tra Obizzo II (con lo scudo bianco e celeste) e il luogotenente di Saladino, sultano di Egitto e Siria (1172). La parete termina con la raffigurazione delle bandiere di tutte le casate servite nel passato e una finta apertura nel muro coperta da un drappo viola.

Giambattista Zelotti, Nomina di Obizzo I da parte dell'imperatore Arrigo II, particolare. Castello del Catajo, Battaglia Terme.

Giambattista Zelotti, Nomina di Obizzo I da parte dell’imperatore Arrigo II, particolare. Salone.

(Fig. 16 dell’inserto a colori)

Giambattista Zelotti, Duello tra Obizzo II e il luogotenente di Saladino, particolare. Castello del Catajo, Battaglia Terme.

Giambattista Zelotti, Duello tra Obizzo II e il luogotenente di Saladino, particolare. Salone.

(Fig. 15 dell’inserto a colori)

Il racconto continua sul lato breve che fronteggia la parete con l’Albero genealogico e dove la porta che dà accesso alla Sala dei Papi presenta sul finto timpano l’allegoria della Fama (fig. 12); l’importante iscrizione, datata 1570 e a firma dello storico e letterato bassanese Giuseppe Betussi, dichiara gli intenti celebrativi del vasto ciclo decorativo da lui ideato: «un’opera mai stata in simil maniera, ne con tale ordine distesa». A sinistra, il III riquadro con la Battaglia navale tra saraceni e cristiani, svoltasi nel Mare di Licia dove interviene, a capo di quattro galere lucchesi, Nino Obizzi (1179); a destra, l’Imbarco delle truppe per la Terra Santa nel 1233 dal porto di Ancona, ambientato in un vasto paesaggio marino, molto luminoso, sul quale si staglia la figura del comandante Nicolò accanto allo stemma degli Obizzi. La parete dell’ingresso ospita l’ultimo episodio del salone: rivestito da una corazza d’argento, Luigi Obizzi libera papa Innocenzo IV Fieschi dalla città di Sutri, occupata dall’imperatore Federico II (1244). Inizia con questo riquadro la raffigurazione dei valorosi Obizzi che combattono al servizio del pontefice.

Giambattista Zelotti, Allegoria della Fama, Sala dell'Albero Genealogico. Castello del Catajo, Battaglia Terme.

12. Giambattista Zelotti, Allegoria della Fama, Sala dell’Albero Genealogico.

(Foto di Fabrizio Rosada)

Il programma decorativo del piano nobile concepito da Betussi investe anche i soffitti lignei, come di regola nelle residenze cinquecentesche di città: nella Sala grande è suddiviso in tre grandi comparti ove campeggiano altrettante tele orizzontali affiancate ciascuna da due ovali con allegorie. Zelotti rappresenta qui le tre forme di governo impersonate da protagonisti maschili: la Monarchia dove l’imperatore sul trono viene incoronato dalla Buona fortuna e dalla Felicità pubblica; di fronte, l’imperatore del Sacro Romano impero Germanico e il Re di Francia con i loro vessilli. Sulla sinistra, nel gruppo dei quattro uomini spicca il Committente in mantello dorato, Pio Enea I; ai margini, lo stesso Betussi si fa ritrarre con un mantello rosso. Al centro del soffitto, la Democrazia, identificata nella città di Roma che domina dal piedistallo come Minerva in elmo ed armatura; la dea ha le fattezze della seconda moglie di Pio Enea I, Eleonora Martinengo. Nel terzo riquadro compare l’Aristocrazia, simboleggiata dalla Repubblica Serenissima: il doge, in ginocchio davanti a Prudenza e Occasione che lo incoronano, accanto al Leone di San Marco; probabilmente le fattezze sono quelle di Alvise Mocenigo che governava negli anni di costruzione del Catajo.